Contro l’eugenetica e l’antropocidio APPELLO PER L’ABOLIZIONE DI OGNI RIPRODUZIONE ARTIFICIALE DELL’UMANO

Contro l’eugenetica e l’antropocidio

APPELLO PER L’ABOLIZIONE DI OGNI RIPRODUZIONE ARTIFICIALE DELL’UMANO[1]


[1] FIV, DPI, GPA, modificazioni genetiche, gameti e utero artificiali, clonazione, etc


Un crimine contro l’umanità si sta svolgendo sotto i nostri occhi.

Questo crimine, nato dal cervello dei biologi[1] e commesso con i mezzi della medicina e della genetica, si presenta sotto le apparenze di un beneficio e un’emancipazione per l’umanità.
Un beneficio per le vittime della sterilità (organica o dovuta all’avvelenamento chimico e industriale dell’ambiente), per le donne sole e le coppie dello stesso sesso naturalmente infeconde.
Emancipazione dal vivente – spontaneo, autonomo e imprevedibile -, dai vincoli della natura da cui deriva la nascita con tutte le sue incertezze.

Questo crimine è l’eugenetica (chiamata all’inizio viricultura o aristogenismo), la selezione scientifica della specie umana, ridenominata così nel 1883 da Galton, un cugino di Darwin, inventore anche della biometria assieme a Karl Pearson (1857-1936). O ancora igiene  della razza (Rassenhygiene), nel 1904, da parte di Alfred Ploetz ed Ernst Rüdin, due medici nazisti. 
Un crimine sostenuto e propagato da innumerevoli scienziati, imprenditori (Henry Ford, John D. Rockefeller), pensatori (Renan, Teilhard de Chardin), dirigenti politici (Trotsky, Churchill, Hitler). Fu di nuovo ridenominato transumanesimo nel 1957 da Julian Huxley – il fratello di Aldous Huxley (Il mondo nuovo), biologo e direttore dell’Unesco – dopo che i nazisti avevano svelato la verità dell’eugenetica. La creazione in laboratorio di un  Übermensch, di una “razza di signori” e di superuomini “aumentati”.
La macchinizzazione dell’umano (produzione artificiale, modificazioni genetiche) è il mezzo adoperato dal transumanesimo eugenetico. Cioè di questo razzismo uscito dal laboratorio, i cui promotori oggi si mascherano dietro uno pseudo-egalitarismo[2].

L’eugenetica, lungi dal minacciare le tecniche riproduttive dalle sue funeste “derive”, ne è, al contrario, la causa e il motore. E’ l’eugenetica che spinge le ricerche nella genetica e nella tecnologia della procreazione, per portare a termine i suoi progetti di “razza pura” e “superiore”.

Questa igiene della razza “transumanista” non compare soltanto nelle politiche degli Stati, come nel Novecento o ancora oggi in Cina e a Singapore; ma in una filiera tecnocratica “rovesciata” (Galbraith), che ha asservito Stato e Capitale alla sua volontà di potenza per imporre i propri prodotti alle masse dei consumatori. Le scelte “individuali” vengono modellate a  monte attraverso la “distruzione creativa” (Schumpeter) delle condizioni di riproduzione naturale – libera, gratuita e sessuata – il marketing, la pubblicità, l’ideologia dominante, il consumo ostentato, l’imitazione e la rivalità mimetica.
Osservate queste folle di zombie al rimorchio delle techno-parade, liberal-libertari, se non libertari, che strillano il proprio “desiderio di avere un bambino”, “un bambino se voglio, quando voglio, come voglio!” Insieme, un bambino come voglio io e concepito nella maniera che voglio io. Illusioni di massa. Il prezzo per l’emancipazione dal vivente e dai suoi vincoli naturali è la sottomissione ai vincoli tecnologici del mondo-macchina e al potere dei macchinisti. Dei biocrati esperti e specialisti.

Questo vuol dire che nessun incremento di produttività o di produzione potrà mai soddisfare i “bisogni/desideri” di una clientela succube cui i biocrati imporranno senza posa nuovi prodotti (nuovi desideri, nuovi “bisogni”, nuove norme), migliorati, “aumentati”, dall’avanzare delle conoscenze e del battage tecnologico.

E’ il “diritto al desiderio di avere un bambino” (alias “diritto al bambino”) degli sterili – naturali o incidentali – che serve oggi come pretesto all’esproprio dei fertili dal loro diritto naturale alla riproduzione naturale, libera e gratuita.
All’appropriazione e alla distruzione di questi diritti da parte dei biocrati (medici, genetisti, laboratori).
– Alla generalizzazione della riproduzione artificiale, asservita ai piani e processi degli scienziati eugenisti e transumanisti e diventata la nuova norma. Tra  le coppie che si piegano alla moda della riproduzione in laboratorio, il 15% non soffre di alcuna patologia accertata.[3].
– a riportare l’“igiene della razza” con l’avvento di un superuomo “aumentato”, macchina, e l’eliminazione del subuomo ordinario, costretto a comprare o fare dei BGM, dei Bambini Geneticamente Modificati, per poter sopravvivere alla concorrenza dei più adatti e delle “macchine intelligenti”.
Il “darwinismo sociale”, un tempo denunciato dalla sinistra in nome dell’uguaglianza, si realizza oggi grazie al “darwinismo tecnologico” che essa rivendica in nome di una falsa uguaglianza.  

La produzione della prima bambina-manufatto, Louise Brown, il 25 luglio del 1978, all’ospedale di Oldham in Gran Bretagna, spezza in due la nostra storia naturale e sociale.
Come il progresso scientifico ha aperto la strada alla riproduzione artificiale, così a partire dal 1990, grazie al triage genetico (alias DPI o diagnosi pre-impianto), esso comporta l’eliminazione di un numero crescente di anomalie e di embrioni indesiderabili. Così l’albinismo tra “246 diverse malattie genetiche” identificate prima dell’impianto in utero di embrioni portatori[4]. Insomma, il miglioramento del prodotto offerto ai “progetti genitoriali” e “genitori d’intenzione”. Un “incremento” che può solo accelerare la velocità dell’innovazione e dei prossimi “progressi delle conoscenze”.

La distinzione fallace tra “eugenetica negativa” e “positiva” inganna solo i falsi ingenui. Se l’amniocentesi (1950) e l’ecografia (1958) hanno permesso l’aborto di molti soggetti trisomici in Occidente e di molte femmine in Oriente, le banche di gameti già vendono ai “genitori d’intenzione” la selezione positiva di alcune caratteristiche, per ottenere dei bambini conformi ai loro “progetti genitoriali”. Sesso, colore degli occhi, dei capelli, della pelle, se non addirittura presunti “geni dell’intelligenza”. O con l’acquisto di gameti di premi Nobel e altri geni, come negli Stati Uniti; oppure con incentivi per le coppie che hanno diplomi superiori, come a Singapore; o ancora con il sequenziamento del genoma di individui con un quoziente d’intelligenza superiore, come in Cina, allo scopo di creare una popolazione di supercinesi.
Riassumendo, secondo il dottor Alexandre, un moderno sostenitore dell’igiene della razza: « L’incremento cerebrale si può ottenere solo in due modi: tramite selezione e manipolazione genetica degli embrioni, o con un’azione elettronica sul nostro cervello[5]. »
Le “forbici” Crispr-Cas9 (2012) sono già servite a comporre bambini geneticamente modificati, come in Cina (2018), e ci lavorano laboratori in tutto il mondo. In attesa che la fabbricazione di gameti artificiali a partire da cellule-sorgente, la produzione di embrioni in serie e il loro triage adoperando gli algoritmi dei big data genetici, così come la messa a punto dell’utero artificiale non realizzino la macchinizzazione della riproduzione.

In altre parole, un movimento antropocida, uscito dai laboratori e che raccoglie scienziati e dirigenti politici; di sinistra, di destra, comunisti e fascisti; ebrei come cristiani, credenti come atei, ha intrapreso l’eliminazione della nostra specie naturale comune da parte di una specie artificiale superiore.
Questo movimento si è imposto, nella sua prima ondata, sotto forma di eugenetica nei paesi di cultura protestante, dall’Indiana negli Stati Uniti (1907) al cantone del Vaud in Svizzera (1985), passando per una trentina di stati americani, la Svizzera, la Danimarca, la Germania, la Finlandia, la Svezia, l’Estonia.
Provvisoriamente sconfitto nel 1945, dopo lo sterminio di 250.000 soggetti psichiatrici e handicappati fisici o mentali nelle macellerie naziste, e l’instaurazione di Lebensborn (“fontane di vita”), gli allevamenti delle SS delle “razza di signori”, questo movimento non ha ricevuto al tribunale di Norimberga la qualifica e condanna per “genocidio” e “crimine contro l’umanità” che avrebbero almeno dato un nome ai fatti. Le vittime non rientravano nelle definizioni legali (“persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi…”, “gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale…”). Non avevano alcuna associazione per difenderle. E poi sarebbe stato necessario giudicare troppi responsabili politici e scientifici rispettabili, provenienti dai paesi vincitori, di cui i nazisti avevano solo seguito l’esempio e la lezione nella loro ingenuità radicale e disciplinata.
E’ significativo il fatto che i medici, questi progressisti colti e diplomati, fossero la categoria più nazificata, con il 50% di iscritti all’NSDAP, lontano dal cliché populista del bruto, disoccupato e canaglia.

L’introduzione, nel 1978, della riproduzione artificiale per le coppie eterosessuali sterili, la sua tacita estensione alle coppie fertili e poi, oggi in Francia con il terzo aggiornamento della legge sulla bioetica, alle coppie lesbiche e alle donne sole (in attesa delle coppie di uomini e di uomini soli), ha origine nell’aggressione biologica (necrotecnologica) contro la comune umanità.
Dietro i buoni sentimenti e lo sdegno teatrale, le smorfie lacrimevoli e sciroppose, la veemenza strabordante e il ricatto della supposta “uguaglianza”; dietro la strumentalizzazione tattica del “desiderio di avere un bambino” e delle associazioni degli sterili (naturali o per incidente), da parte dei transumanisti, alleati di circostanza dei movimenti antropofobi e neosessisti (queer, LGBT e compagnia), c’è il medesimo disegno strategico che viene portato avanti da oltre un secolo. Un disegno i cui teorici e praticanti dichiarano apertamente l’obiettivo finale, nei loro scritti e manifestazioni. Non si tratta solo di eliminare i maschi dalla riproduzione, ma anche le femmine e ogni riproduzione sessuata, sostituendoli con la razza superiore degli Inumani Geneticamente Modificati.

Il loro obiettivo finale è la distruzione dei nostri diritti riproduttivi, la nostra sterilizzazione, forzata o consensuale e la nostra scomparsa in quanto esseri umani ordinari, atti alla riproduzione naturale, libera e sessuata. Proprio come ovunque nel mondo, dalla Germania alla Cina, dalla Svezia agli Stati Uniti, dall’India al Perù, sono stati sterilizzati milioni di subumani, di superflui e di indesiderabili, alienati e handicappati fisici o mentali, miserabili, alcolisti, devianti e membri di etnie “inferiori”. E se noi ci mostriamo recalcitranti davanti alla sterilizzazione e alla nostra stessa scomparsa, gli Inumani superiori sapranno mettere in opera programmi di eutanasia compassionevole, come l’Aktion T4 in Germania tra il 1939 e il 1941. Non fosse altro che per assicurarsi lo spazio e le risorse vitali (Lebensraum) su una terra sovrappopolata e devastata dopo due secoli di saccheggio industriale. L’avvento di una razza superiore non comporta forse di per sé la scomparsa della razza inferiore?

Entriamo quindi in uno stato di legittima difesa. Costretti ad agire o scomparire. Noi, esseri umani ordinari, animali politici e scimpanzé del futuro[6].

Noi sappiano che nessuna promessa, nessuna muraglia di carta, “dichiarazione di buona condotta”, regola d’etica, legge nazionale o internazionale fermerà questo colpo di forza permanente fondato sulla volontà di potenza, la trasgressione, la violenza del fatto compiuto e la frenesia tecnoscientifica. Ciò che uno scienziato, un laboratorio, un’impresa, un paese proibisce a se stesso, altri lo faranno.

Noi sappiamo che il transumanesimo è l’ideologia della tecnocrazia dirigente e delle “tecnologie convergenti” (NBIC, la nanotecnologia, la biotecnologia, la tecnologia informatica e la scienza cognitiva); e che per restare liberi e umani, occorrerà fermare la maggior parte dei laboratori di nano-bio-neuro-cyber-tecnologie del mondo.

Noi però sosteniamo che il “diritto al desiderio di avere un figlio” di individui colpiti dalla sterilità accidentale (eterosessuali) o refrattari a ogni rapporto sessuale con membri dell’altro sesso non può prevalere sul diritto dell’immensa maggioranza degli umani, né sul diritto della specie stessa di conservarsi e perpetuarsi, come ha fatto durante tutta la sua evoluzione, da milioni di anni, e come hanno fatto i nostri antenati ominidi e mammiferi prima di noi.

Per combattere questo attentato che è in corso, noi esigiamo – a differenza delle milioni di vittime dagli anni Trenta ai nostri giorni:
– che si dia un nome all’aggressione di massa diretta contro di noi, gli umani ordinari, e contro le nostre facoltà di riproduzione naturale, libera e sessuata.
– che venga qualificato come “crimine contro la specie” dalle  autorità nazionali e internazionali, ogni riproduzione artificiale dell’umano, ogni selezione e modifica genetica dell’umano.
– noi esigiamo che si fermi ogni presa in carico della produzione di bambini da parte del sistema sanitario  pubblico e che si chiudano tutte le banche di gameti, pubbliche o private. Le risorse del sistema sanitario pubblico devono andare ad aiutare i veri malati dei ceti bisognosi, e non a soddisfare i desideri egoistici e narcisistici di sterili volontari o involontari.
Facciamo appello a tutte le persone fertili affinché respingano una propaganda tanto massiccia quanto ripugnante, e a rifiutare ogni donazione, ogni vendita di gameti, ovuli o spermatozoi, ai laboratori. E a dissuadere i loro cari, i loro conoscenti e chiunque dal partecipare a tali processi.

Mettiamo in allerta l’umanità!
Combattiamo l’antropocidio!
Svuotiamo i laboratori della “razza superiore”!

Les Amis de Bartleby (Bordeaux), les Chimpanzés gascons (Gascogne),
Hors-Sol (Lille), Lieux communs(Paris), Pièceset main d’œuvre (Grenoble), Resistenze al Nanomondo (Italie)

Ottobre 2019

https://lesamisdebartleby.wordpress.com
http://hors-sol.herbesfolles.org
https://collectiflieuxcommuns.fr
www.piecesetmaindoeuvre.com
www.resistenzealnanomondo

Versione in francese: http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=1200

[1] Thomas Huxley (1825-1895), August Weismann (1834-1914), Ernst Haeckel (1834-1919), Alfred Ploetz (1860 – 1940), Charles Davenport (1866-1944), Ernst Rüdin (1874-1952),  Julian Huxley (1887-1975), Hermann Muller (1890-1967), Ronald Fisher (1890-1962), J.B.S Haldane (1892 -1964), Tage Kemp (1896-1967), Otmar von Verschuer (1896-1969), James Watson (1928…), Miroslav Radman (1944-…), Daniel Cohen (1951-…), Laurent Alexandre (1960 -…) ecc.

[2] Cf. André Pichot, La Société pure. De Darwin à Hitler, Ed. Flammarion, 2000

[3] Cf. Etude d’impact du projet de loi relatif à la bioéthique, Assemblée nationale, luglio 2019

[4] Cf. Rapport 2016 de l’Agence française de biomédecine

[5] Causeur n°71, settembre 2019

[6] Secondo il cibernetico Kevin Warwick: “Chi decide di rimanere umano e rifiuta di migliorare avrà un grave handicap. Costituiranno una sottospecie e formeranno gli scimpanzé del futuro” . Vedi il Manifeste des Chimpanzés du futur contre le transhumanisme, Pièces et main d’œuvre, (Service compris, 2017).

Blu come un’arancia – TomJo & PMO

Blu come un’arancia
17 settembre 2019 da TomJo & Pièces et main d’œuvre

Non tutti i giorni facciamo una scoperta eccezionale. Siamo andati a indagare sul paese dell’artificializzazione – esso stesso artificiale – in altre parole i Paesi Bassi. Un paese vago e commovente che inghiottì fino ad Artois, quasi in Piccardia, e lanciò i suoi tentacoli in tutto il mondo. Avevamo alcuni indizi e motivi, i polder, queste terre conquistate nel corso dei secoli sul mare; la costruzione di stalle e pigstylum negli edifici di Amsterdam; lo sviluppo della famosa «bistecca artificiale» presso l’Università di Maastricht; la proliferazione di Center Parcs, queste bolle di paesaggio fuori terra per i vacanzieri nelle città; en vrac, alla rinfusa, (Parola olandese), i mulini, i canali, i tendaggi delle Fiandre… dei clichés, ecco cosa. E poi siamo passati di sorpresa in sorpresa, al punto da non riuscire a nominare questa successione di sorprese che con il termine di orangizzazione. Questo è il privilegio dell’ignoranza. Chi non sa nulla, crede di scoprire la luna ogni volta che apre una porta. Tuttavia, la conoscenza sparsa di specialisti che abbiamo saccheggiato come medici di medicina generale – storici, economisti, un filosofo … – non esprime, o poco, la visione d’insieme di questa orangizzazione che rimane sepolta sotto un enorme luogo comune anglosassone.

Ogni volta che scaviamo sotto gli Stati Uniti e il Regno Unito, riesumiamo le Province Unite: la prima repubblica (borghese) d’Europa, la prima rivoluzione agricola, la prima industria, la «nazione capitalista per eccellenza (Marx), un impero commerciale e marittimo globale, dalle Americhe al Sudafrica», dalle Indie occidentali all’Indonesia. Un paese che nell’età dell’oro è servito da modello economico per Richelieu, Colbert e l’Europa; da modello politico a John Locke e all’Inghilterra – al punto di rovesciare il proprio re, Giacomo II, a favore dello stathouter, Guglielmo III di Orange, che sbarcò a capo di un esercito di «liberazione». Da quel momento in poi, l’orangismo si diffuse specialmente sotto la bandiera britannica e poi americana.
Non soltanto dei teorici che pensano al liberalismo economico e filosofico (Grotius, Mandeville), ma ingegneri, imprenditori che hanno trovato la Bank of England e New Amsterdam (New York), che esportano le loro reti scientifiche e tecnologiche in tutto il mondo intero.

Orangizzazione /organizzazione. Un piccolo paese, fangoso e sovrappopolato, un vasto agglomerato urbano in perpetuo stato di disastro naturale, e che con la sua industria ha trasformato questa catastrofe in una prospera impresa, ovviamente ha soluzioni da vendere a tutto il mondo quando il cielo crolla e l’acqua inizia a salire. Città galleggianti, per esempio. L’orangismo è un’organizzazione razionale, la cittadinanza contrattuale, l’efficienza pratica e l’indifferenza del mercato. Il centro del «commercio libero e gentile», della stampa libera e della coscienza libera (Erasmus), paradiso dei dissidenti (ugonotti) e sede dell’Illuminismo (Diderot, Montesquieu), gestisce la convivenza funzionale tra le sue comunità e alimenta il razionalismo di Cartesio come l’industrialismo di Saint-Simon o il nazionalismo plebiscitario di Renan.

È sempre ad Amsterdam, questa città intelligente solcata da ciclisti benevoli, nutriti con verdure biologiche derivanti dagli orti urbani, come i lettori di World e Télérama, oggi vorranno cercare le regole e le buone pratiche di convivenza [del ben-vivere-insieme]. Ecologi e tecnologi si connettono e si ibridano nei loro spazi collaborativi. Nederland Inc. è una società aperta e progressista, in cui medici affabili e innovativi conducono ricerche su embrioni geneticamente modificati, vendita e impianto di gameti e suicidio assistito, anche per adolescenti. Tutto viene venduto, tutto viene acquistato. Tutto ciò che è tecnicamente possibile è realizzato, tutto ciò che non è ancora, lo sarà presto. Quando la regina Maxima ha inaugurato la prima filiale europea della Singularity University nel 2016, a Eindhoven, nello stesso tempo i transumanisti beneficiarono di una rete di simpatizzanti locali in un ambiente favorevole, al fine di conquistare l’Europa – e un ritorno alle origini. Nella terra dell’artificiale, da dove si è diffuso, qualche secolo fa, questo vasto progetto di maestria e distruzione creativa della natura. Se questo mondo è blu come un’arancia, se marcisce e soffoca per l’avvelenamento chimico, costringendo i suoi abitanti ad artificializzarsi per sopravvivere, i Paesi Bassi permisero per primi questo movimento di totale tecnizzazione, e suoi morbosi miasmi. I Paesi Bassi sono il modello e la matrice della Silicon Valley e di tutta la Silicon Valley del mondo.

È triste dirlo, ma è stata per noi una visita tanto emozionante quanto spaventosa. Non capita tutti i giorni di scoprire il laboratorio dell’esagono industriale.

TomJo / Pièces et main d’œuvre
Lille, Grenoble
settembre 2019

Documento in pdf: blu arancia – PMO

Prima parte, il testo completo in francese in pdf:
http://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/pays-bas_1_2_3.pdf

Traduzione da principiante, originale in francese: http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=1173

Presidio 8 ottobre Milano – Summit Singolarity University

SINGULARITY UNIVERSITY SUMMIT ITALY
PRESIDIO 8 OTTOBRE 2019
Dalle 7.00 alle 14.00 Milano Congressi – Via Gattamelata 5

Il Transumanesimo è già qui
Il transumanesimo non è una tendenza marginale di alcuni eccentrici ricercatori o un effetto collaterale dello sviluppo tecnologico, è il logico approdo di questo sistema tecno-scientifico.
Lo slogan di questo incontro è: “Progetta il futuro. Costruisci il futuro. Sii il futuro.” Un futuro che sta già diventando il presente. Le logiche del transumanesimo – superamento dei limiti, miglioramento e potenziamento dell’uomo, riprogettazione e artificializzazione del vivente – non sono solo mere speculazioni astratte, ma diventano ricerche, chimere transgeniche, droni militari, nuovi apparati della smart city, Procreazione Medicalmente Assistita e editing genetico.
Il transumanesimo e il sistema tecno-scientifico producono immaginari, desideri, bisogni, trasformano il mondo e la nostra percezione della realtà.
Dalla Singolarity University, una delle maggiore espressioni del transumanesimo, si formano i più importanti dirigenti e ricercatori mondiali, alcuni di loro confluiscono poi al MIT (Massachusetts Institute of Technology), una delle più importanti università di ricerca al mondo; nella DARPA, una agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per lo sviluppo di nuove tecnologie per uso militare; in Google; in Microsoft, solo per citarne alcune…Tra i maggiori finanziatori della Singolarity University vi sono compagnie come Google note sicuramente per l’informatica ma meno per i suoi investimenti nella ricerca genetica. Proprio in questa convergenza di settori e ricerche di alto livello quest’alveo di scienziati, imprenditori, militari, politici trovano il loro incontro.

Noi non vogliamo essere uomini macchina in un mondo macchina!

Spazio di documentazione La Piralide – lapiralide.noblogs.org
Collettivo Resistenze al Nanomondo – www.resistenzealnanomondo.org

Contributo a Radio Cane sul transumanesimo

https://radiocane.info/distopie-transumaniste-contro-il-singularity-university-summit/

Summit della Sigularity University

Summit della Sigularity University
Il transumanesimo è già qui

Il movimento transumanista sorge negli stati Uniti, nella Silicon Valley, alla fine degli anni 80, tra i fondatori dell’associazione transumanista mondiale, oggi nota con il nome di Humanity+ e tra i fondatori, finanziatori, dirigenti transumanisti di numerose fondazioni, istituti, start-up, progetti di ricerca e aziende di importanza internazionale abbiamo Natscha e Max More, Nick Bostrom, David Pearce, Peter Diamantis, David Orban, Ray Kurzweill, che ha preso il termine Singolarità dalla fisica, per citare i nomi più conosciuti.
Non è semplice dare un breve panorama delle origini di questa ideologia, queste ci portano al lontano 1883 quando appare per la prima volta il termine eugenetico da Galton, al discorso di Huxley sul suo credo transumanista di trascendenza dell’umano, al paradigma cibernetco, originatosi durante la guerra in campo militare, che riduce il soggetto a una somma di informazioni, a un programma che si può decifrare e quindi modificare come una macchina, per arrivare allo sviluppo della biologia molecolare, alle bio e nanotecnologie, alla ridefinizione dell’umano in termini antropotecnici.
Il transumanesimo mira a potenziare l’umano attraverso la tecnologia e a liberarlo dai vincoli della biologia fino a un’ibridazione con le macchine, per arrivare a una trasformazione nano-bio-tecnologica dell’essere umano: il cyorg, il post-humano. Considerando l’umano quindi come infinitamente modificabile, ingegnerizzabile e per sua stessa ontologia ibridativo che si co-costruisce con la tecnologia, distruggendo così i confini tra natura e tecnica, tra vivente e macchina.
La cosa importante da sottolinerare è che il transumanesimo non è una tendenza di alcuni eccentrici ricercatori marginali, di filosofi che confondono la realtà con i propri sogni, non è un mero delirio prometeico, per ricordare il dislivello prometeico di Gunther Anders, così come non è un effetto collaterale, ma è l’approdo dello sviluppo tecnologico, è l’ideologia della convergenza tra biotecnologie, nanotecnologie, informatica, neuroscenze.
L’ideologia transumanista si incarna nei centri di ricerca, nei colossi come Google, IBM, Microsoft, nelle multinazionali agro-alimentari, farmaceutiche e biotecnologiche.
La Singularity University non è una semplice università, è una delle maggiori espressioni del transumanesimo, ne escono i più importanti dirigenti e ricercatori mondiali, alcuni di loro confluiscono poi al MIT (Massachusetts Institute of Technology), una delle più importanti università di ricerca al mondo; nella DARPA, una agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per lo sviluppo di nuove tecnologie per uso militare; in Google; in Microsoft, solo per citarne alcune… Tra i maggiori finanziatori della Singularity University vi sono compagnie come Google conosciuta per l’informatica ma meno per i suoi investimenti anche nella ricerca genetica.
In Italia ci sono due sedi dell’Università della Singolartà: una a Milano e l’altra a Roma. Questa università fa da consulenza per settori come quello della difesa, della sicurezza, della biomedicina, per tutti settori di punta a livello di sviluppo e di ricerca. Il transumanesimo influenza così profondamente i vari governi nello sviluppo delle scienze convergenti, non è un caso ad esempio che un partner di alcuni Summit sia la Vodafone, in prima fila con la sua propaganda per la rete 5G che permetterà il passaggio definitivo all’internet delle cose e al così detto “pianeta intelligente” di IBM. Il Summit rappresenta questa convergenza di settori e di ricerche di alto livello ed è la vetrina della loro propaganda.
I Summit vengono organizzati in più parti del mondo, l’8 e 9 ottobre e Milano e l’11 e 12 novembre ad Atene.Lo slogan del prossimo a Milano è: “Progetta il futuro. Costruisci il futuro. Sii il futuro.” Un futuro che sta già diventando il presente.
La loro propaganda si basa sulla retorica di poter far fronte ai disastri climatici, siccità, carenze alimentari, estinzione delle specie, all’aumento di sterilità, di poter sconfiggere le malattie con un accelerazione tecno-scientifica che potrà cancellare le disuguaglianze sociali. Tutto questo sostituendo un mondo naturale, compromesso sempre di più, con un mondo artificiale, informatizzato, e bio-nanotecnologico. In questo mondo i corpi, gli elementi naturali, non costituiscono più un fondamento indisponibile ma divengono scomponibili, manipolabili e ingegnerizzabili.
Significativo è notare che dai loro stessi discorsi emerge che le tecno-scienze e la visione transumanista cambieranno profondamente e radicalmente il modo in cui le persone percepiranno il mondo attorno a loro e la loro vita. La loro strategia mira a far si che le persone abbiano sempre più familiarità con concetti come terapia genica, intelligenza artificiale, editing genetico, così sarà più semplice creare un’accettazione sociale per tutti questi sviluppi.
In alcune circostanze, come ad una conferenza di Roberto Cingolani, dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, dove presentava il suo robot umanoide, c’è la tendenza a sottolineare che le loro ricerche non hanno applicazioni militari e a distanziarsi dai transumanisti più estremi come Kurzweill, in realtà è mera propaganda, ben sappiamo che portano avanti la stessa idea e distruzione di mondo e sappiamo bene che dai laboratori per la salute pubblica possono uscire innovative nanoarmi o sofisticati sistemi di controllo.
Purtroppo, a parte poche eccezioni, non è presente una critica al transumanesimo, questo perché non viene compreso, viene considerato come un mito, come un qualcosa di astratto o di futuristico.
Noi proprio per evitare questi fraintendimenti, non ci incentriamo su quello che ancora non c’è, come quando avevamo molti anni fa iniziato a parlare di nanotecnologie, non parlavamo del rischio della catastrofe del “Gray goo”, cioè della replicazione incontrollata di nanorobot, così per il transumanesimo non ci incentriamo sui progetti di crioconservazione del cervello o sulla trasposizione del cervello in un computer, ma di quello che è già presente.
Le logiche del transumanesimo – superamento dei limiti, miglioramento e potenziamento dell’uomo, riprogettazione e artificializzazione del vivente – non sono mere speculazioni astratte, ma diventano ricerche, chimere transgeniche, droni militari, nuovi apparati della smart city, Procreazione Medicalmente Assistita e editing genetico…
Se pensiamo agli esoscheletri per i tetraplegici che possono essere usati anche per potenziare le prestazioni dei soldati, capiamo bene quanto è sottile il confine tra cura e potenziamento dell’umano. Forse nessuno si amputerà gambe sane per mettersi delle protesi che aumenteranno le prestazioni, a parte forse qualche eccentrico ricercatore, ma le idee dell’implementazione, del potenziamento continuo, della modifica del corpo, da tempo si fanno strada nell’immaginario e nei desideri delle persone. Prima della sostituzione di parti del nostro corpo, il telefono cellulare è già un’inseparabile protesi, dalla tasca al polso con l’auricolare senza fili perennemente connesso, ecco, il passaggio al chip sottopelle non è così lontano.
La salute “perfetta”, il bambino “perfetto”, un continuo adattamento a un mondo tecnico, dalla diagnosi pre-impianto alla medicina rigenerativa, questo non rappresenta solo una medicalizzazione che si estende a ogni fase della vita, ma rappresenta il potere illimitato delle tecno-scienze per un continuo superamento di limiti in cui è proprio il corpo umano a costituire un limite per la piena perfettibilità.
La procreazione medicalmente assistita rappresenta il cavallo di Troia del transumanesimo perché aperta la strada alla possibilità della riproduzione artificiale, per tutti e tutte, la logica conseguenza è quella del continuo miglioramento del prodotto. La diagnosi pre-impianto con selezione genetica dell’embrione sottende logiche eugenetiche e l’uomo potenziato del transumanesimo.
Al momento ancora non abbiamo bambini modificati geneticamente, ma la soglia delle bambine editate in Cina è stata superata, ed è una soglia da cui nessuno può pensare di tornare indietro e nel mentre viene instillato il pensiero che è preferibile consegnare la procreazione in mano ai tecnici e alla tecnologia, che è bene fornire alla figlia che nascerà un’eredità genetica migliore di quella che potrebbero fornire i propri stessi gameti e che con la diagnosi pre-impianto si può essere i designer della propria figlia.
Il mondo transumanista è protagonista della rivoluzione CRISPR e non si vuole lasciare sfuggire le possibilità offerte da questa nuova tecnologia. Le manipolazioni genetiche sono in assoluto le tecnologie più promettenti afferma Roberto Manzocco, ricercatore transumanista.
Lo sviluppo delle tecno-scienze e il transumanesimo producono immaginari, desideri, bisogni, creano i paradigmi di pensiero attraverso cui guardiamo e interpretiamo il mondo e noi stesse/i determinando ciò che nella società verrà considerato come accettabile. Questa creazione di immaginario, questa visione del vivente implica quindi una trasformazione dello stesso vivente.
Difronte a queste trasformazioni epocali dovremmo comprenderne la portata e sentire la necessità e la priorità di lottare contro questo mondo macchina prima che davvero sia troppo tardi.
Un guru delle tecnoscienze ha lanciato un avvertimento ai suoi fedeli che si potrebbe estendere agli oppositori: “Non state da parte di fronte alla Singularity, avete la possibilità di dirigere il vostro sforzo nel punto di maggior impatto, l’inizio”.

Silvia Guerini, Resistenze al Nanomondo

In occasione del presidio contro il Sigularity University Summit dell’8 ottobre a Milano organizzato dal collettivo Resistenze al Nanomondo (www.resistenzealnanomondo.org) e dallo spazio di documentazione La Piralide di Bergamo (lapiralide.noblogs.org)

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Paradossi delle politiche d’identità

Paradossi delle politiche d’identità

“La politica dell’identità non è liberatoria, ma riformista. Non è altro che un terreno fertile per aspiranti politici dell’identità borghese. La loro visione a lungo termine è la piena integrazione dei gruppi tradizionalmente oppressi nel sistema sociale gerarchico e competitivo che è il capitalismo, piuttosto che la distruzione di quel sistema. Il risultato finale è Rainbow Capitalism – una forma più efficiente e sofisticata di controllo sociale in cui ognuno ha la possibilità di recitare una parte!” [1]

Le categorie di razza, genere, nazionalità, sessualità sono servite come giustificazioni per schiavizzare, reprimere, escludere, normalizzare, psichiatrizzare, incarcerare ed è comprensibile che coloro che hanno subito tali discriminazioni e violenze si siano uniti con il desiderio di sradicarle. Ma su cosa si fonda questa unità? Non sulla volontà di combattere il sistema, ma sull’identità categoriale che è servita a giustificare queste discriminazioni. Si sceglie di unirsi non come nemici di un sistema che si vorrebbe distruggere, ma come vittime di un sistema al quale si chiede riconoscimento e diritti andando a omologarsi ai suoi stessi valori.
“Il personale è politico” originariamente indicava la necessità di politicizzare la sfera della vita privata, con il passare del tempo e la fine di una diffusa politica militante, questo approccio si è incancrenito. L’individuo si è chiuso in sè stesso e ha soffocato il proprio agire in una dimensione personale credendo che il cambiamento sociale si possa raggiungere attraverso un cambiamento individuale. Di fatto è più facile avere uno sguardo che si chiude all’interno identificando il problema in sè stesse/i, invece che allargarlo al di fuori e identificando il problema nel sistema, con una conseguente azione verso l’esterno e contro di esso. L’agire è stato progressivamente sostituito da una protesta che fa della testimonianza individuale il proprio centro. Una caleidoscopica frammentazione dell’azione politica nei mille rivoli di un attivismo il cui campo di intervento non esce più da ciò che i singoli fanno nella propria quotidianità, affermando la propria identità. Il personale ha così fagocitato il politico.
Non bisognerebbe farsi abbagliare davanti a contesti apparentemente più radicali anarco-queer e dal nuovo colorato e alternativo attivismo transfemminista [2]. Le identità queer e trans diventano di per sè rivoluzionarie, in grado di scardinare le norme, ma siamo davvero sicure che non siano in realtà in sintonia con questo sistema?
Una pseudo sovversione che in realtà è un’omologazione ai valori del biomercato e del transumanesimo: tutto è in vendita, tutto è mercificabile e tutto è possibile perchè non esistono limiti; la parola acquisisce più significato della realtà materiale dei corpi e la riscrive stravolgendo significati e distruggendo dei punti fermi come il fatto che nasciamo da donna; nella teoria queer i corpi si dissolvono e si fluidificano ed essere donna non ha più niente a che vedere con la realtà dei corpi, basta nominarsi tale per esserlo. In tutto questo la modificazione genetica attira, le mutazioni genetiche causate dalla tossicità rimandano alla modificazione dei corpi e le nuove tecnologie, in particolare le “biotecnologie per la mutazione del corpo trans” [3] e le tecnologie di riproduzione artificiale sono viste positivamente come liberatorie. Biotecnologie che “proprio perché bio – sono il corpo stesso” [4] con una pericolosa sovrapposizione che rinforza il paradigma tecnoscientifico con le sue aspirazioni postumane. Le mutazioni genetiche rappresentano “ambiguità, variabilità, mutevolezza” [5]: in altre parole, una fonte di ispirazione. Gli effetti dei perturbatori endocrini come benzene, diossina, PCB… rientrerebbero in “un’ontologia malleabile della vita”: una “queerness tossica” [6]. Una neolingua per nascondere quel sotteso sempre presente di adorazione per le manipolazioni genetiche. Lo xeno-cyborg-queer-transfemminismo non ha bisogno della natura perchè nella sua premessa l’ha già sostituita con la biologia sintetica, i semi che si appresta a diffondere sono come quelli terminator della Monsanto [7].

L’infinita scansione di identità oppresse è del tutto interna all’ideologia liberale e politically correct. Questo sistema è inclusivo, c’è posto per tutte e tutti nel carro del libero mercato, tutte/i possono essere dei potenziali consumatori e sostenitori entusiasti delle nuove tecnologie. Nessuno ne vorrà rimanere indietro, tutte/i si affannano a salire, anche accademici e attivisti critici, tutte/i con un posto assicurato e con una bella vista sulla direzione intrapresa dalla corsa. Noi, dal canto nostro, siamo consapevoli che non basta sperare che il carro si fermi da solo, ma bisognerà adoperarsi per bloccarne la corsa.
Le varie eccentricità si rivelano soggettività pienamente coerenti con il sistema dominante e la politica delle identità si poggia su individui svuotati da ogni contenuto, da ogni valore, parola ormai superata e considerata come un abominio essenzialista, per essere poi riempiti da desideri e bisogni perfettamente in linea con il biomercato e il transumanesimo. L’arcobaleno è in realtà il monocromatismo assoluto del biomercato che finge di valorizzare le varie identità ma le neutralizza rendendole di fatto neutre e omologate per un nuovo modello antropologico che assume la forma di una mutazione antropologica: atomi individuali, ibridi infinitamente e illimitatamente manipolabili, una centrifugazione dell’individuo in una fluidità che lo rende fluido come le merci, una cancellazione della diversità tra uomo e donna per l’ideologia del medesimo: solo atomi di consumo, un neutrum oeconomicum di cui già trent’anni fa Ivan Illich ne preconizzava la venuta.
La postmodernizzazione delle coscienze e la frammentazione del soggetto portano alla creazione di schiavi ideali, a una massa arcobaleno pacifica del totalitarismo glamour del libero mercato. Uno schiavo ideale che agisce per soddisfare i bisogni indotti dal sistema rendendoli propri.
Il soggetto prima si frantuma in una miriade di identità e poi viene disgregato nella dissoluzione post-moderna e ricostruito nel rapporto con le tecno-scienze. Un essere umano indeterminato che si co-costruisce con la tecnologia, un’indeterminazione che è ibridazione tecnica, che distrugge i confini tra soggetto e oggetto, tra natura e tecnica, tra vivente e macchina. Tutto, dalla natura attorno a noi, ai nostri corpi diventa un artefatto. Se c’è l’uomo è solo perchè una tecnica lo ha prodotto ed è essa ciò che crea l’uomo: dalla Haraway al filosofo Sloterdijk le basi teoriche di una concezione antropotecnica e cyborg dell’essere umano che non permette di sviluppare una critica al paradigma biotecnologico e che atrofizza la capacità di percepirci profondamente altro da una macchina. Il sistema ringrazia la scuola di Deleuze e Guattari per cui l’emancipazione si realizzerà “con la mercificazione totale delle macchine desideranti che noi siamo.”

“Si agganciano al loro statuto vittimario e minoritario, sempre più fittizio, come ad una rendita di situazione, per esigere l’immunità critica e spingere le loro strade ovunque essi possano. E lo possono ovunque; il capitalismo tecnologico, che lo si chiami società dello Spettacolo, società dei consumi, società post-industriale, post-moderna, è tutto tranne che razzista, sessista, xenofobo, omofobo, etc. Al contrario, quella di essere inclusivo, aperto, egualitario quanto più possibile verso le identità di genere, di sesso, di etnia, di religione è una condizione propria della sua prosperità. È la condizione affinché si esprimano dei desideri che troveranno la loro soddisfazione commerciale grazie alla ricerca e all’innovazione. Il queer è buono per la crescita ed il consumo come è testimoniato dalla sua ubiquità nelle rappresentazioni pubblicitarie e le pletore delle pubblicità nei media queer friendly, come ad esempio Le Monde Magazine. […]. Questa ‘molteplicità di generi e dei modelli familiari’ non è altro che il sequenziamento marketing dei ‘socio-stili’, delle pseudo tribù e delle comunità di cui Benetton aveva annunciato, fin dagli anni Ottanta, le immagini più trasgressive e ‘ribelli’. Siamo lontani dalle geremiadi sugli esclusi e i maledetti, esaltate dalla teoria Queer […] Vi è in questo capitalismo del desiderio accoppiato alla tecnologia un giacimento di crescita e di profitto infinito che si nutre di un conformismo fanatico e ingenuo dalle virtù emancipatrici, ‘rivoluzionarie’, della trasgressione e della mancanza di limiti infinita.” [8]

I membri di interi gruppi – bianchi, maschi, occidentali, eterossesuali e per le tendenze contemporanee anche donne e cis-gender (nuovo termine della neolingua che rappresenta un insulto) – sono considerati privilegiati/e. Il privilegio è contestato nonostante sia causato dal sistema piuttosto che delle proprie azioni e volontà. Questo porta a considerare che l’individuo privilegiato è un diretto oppressore dell’individuo oppresso [9].
L’attenzione si sposta alla persona identificata come privilegiata che deve ammettere e identificarsi con il proprio privilegio. Lo sguardo reclina ancora all’interno di sè stesse/i con una ricerca infinita dell’oppressione principalmente dentro di noi; l’azione diventa autoanalisi ed espiazione di gruppo piuttosto che essere diretta verso i diretti responsabili dell’oppressione e il sistema stesso. Di fatto un non agire che è meno faticoso, più semplice e sicuramente più sicuro di un reale impegno speso e profuso nelle relazioni, nella vita e nelle lotte.
Assistiamo a una gara a chi racchiude in sé più oppressioni, trans nera sex worker è oggi il biglietto da visita migliore per avere aperta ogni porta dei movimenti. Ma per la maggior parte dei casi è una mera adesione ideologica superficiale e confusa di ragazze e ragazzi che fanno gli alternativi con abiti strappati e il bancomat dei genitori che usano anche se disprezzano la famiglia.
Tutto viene diviso in due raggruppamenti: l’indiscutibile, intoccabile, incriticabile oppresso e l’innato privilegiato da guardare con sospetto che deve espiare le sue colpe. La solidarietà viene richiesta in modo ridondante e patetico, compare in ogni dove come vuoto slogan, circondando di sospette discriminazioni chi non include il solito ritornello di solidarietà alle identità oppresse.
In qualsiasi momento è possibile interrompere il dibattito accusando di privilegio un uomo bianco dai capelli grigi, segno di una certa età e automaticamente autorità, o un pò troppo muscoloso, segno del suo macismo, o una donna bianca e cis, un pò troppo nei canoni femminili perchè non obesa e non con i capelli fuksia e rasati. Da notare che chi accusa un’altra di essere bianca e occidentale come privilegio in realtà lo è anche lei. Questi approcci servono per non confrontarsi davvero con le critiche poste e per spostare continuamente il piano dalle posizioni e rivendicazioni politiche criticate a un piagnisteo sulla propria sofferenza volendo generare un senso di colpa con un vittimismo strisciante. Una cultura del piagnisteo dove occorre tributare un culto alla vittima in modo lacrimevole e mai in forma rivoluzionaria.
Interi spazi e iniziative vengono totalmente occupati, la discussione viene stroncata, il non essere d’accordo con chi si definisce queer o trans è fascista, il non accentrare tutto attorno ai loro bisogni personali è transfobico. Avviene la creazione di uno status di intoccabilità, chiunque critichi e metta in discussione le loro rivendicazioni e posizioni, quindi sempre il piano politico, chi mette in luce che queste sono fuorviate da bisogni e interessi personali senza la comprensione delle conseguenze sull’intera società sarà sicuramente queerfobica, transfobica, Terf (trans-exclusionary radical feminist) reazionaria, fascista.

“Ci stupisce anche che non si vedano ovvi paralleli con la politica di destra, nel modo in cui le femministe sono liquidate come ‘femminaziste’, che si riflette nell’attuale uso della parola ‘fascista’ contro le femministe radicali da parte di attivisti per i diritti dei trans, oltre agli slogan che chiedono che le ‘Terfs’ vengano uccise negli spazi anarchici sia online che nel mondo reale. È sconvolgente che la violenza di questa misoginia venga celebrata, non condannata.” [10]

Sull’intersezionalità
“La politica diventa un riflesso del proprio privato. Il vegano, da questo punto di vista, non ha l’esclusiva della purezza morale. Il consumatore critico lo accuserà di rifornirsi dalla grande distribuzione che foraggia gli interessi delle multinazionali. Il decrescente che si dedica all’autoproduzione li accuserà entrambi di non mettere sufficientemente in questione l’ideale sviluppista. Il primitivista, dal canto suo, li accuserà tutti di fare ancora troppo affidamento alla tecnologia che è la vera radice di ogni alienazione. La femminista osserverà che tutti questi problemi, dal modello sociale ed economico alla tecnologia, non vengono adeguatamente compresi se non sono messi in rapporto con l’imporsi del patriarcato. Finché qualche teorica queer non le farà notare che anche il patriarcato è un falso problema, perché dovremmo occuparci piuttosto del “dispositivo binario” che istituisce i due generi eteronormativi. Ma a questo punto rientra in scena il vegano che osserverà come il “dispositivo binario” si fonda in realtà sull’opposizione uomo-animale e così il ciclo di accuse reciproche può ricominciare spostandosi di piano.” [11]

Le variegate identità che caratterizzano il movimento possono trovare delle forme di convergenza politica, in quella forma di fragile unione che è l’intersezionalità. Probabilmente torneranno a dividersi e contrapporsi, poiché i rispettivi progetti politici si fondano su istanze particolari e poco dopo quello che emergerà non saranno gli aspetti che potrebbero unire, ma quelli contrapposti.
Il termine intersezionalità significa che, a seconda dell’individuo, si incrocino corrispondenti “sistemi di oppressione” o corrispondenti “privilegi”. La conseguenza di questo è che l’oppressione non è causata da un unico “sistema di oppressione” identificabile nel sistema, ma come l’intersezione di molti diversi “sistemi oppressivi” con uno sguardo che ancora si sposta dentro di sè.
In molte attiviste e attivisti queste singole identità possono convivere, ma dalla somma di diversi identitarismi non può nascere una visione e una prospettiva politica globale. Inoltre si creeranno microlotte in orizzontale tra gli ultimi, un’orizontalizzazione del conflitto funzionale al potere che ha tutti gli interessi a non permettere il conflitto dal basso verso l’alto, l’unione nel combattere chi in alto domina senza un continuo confliggere nell’orizzontalità della schiavitù.
Alcune lotte che sono state all’origine di numerosi movimenti di liberazione hanno avuto al proprio interno, fino a un certo momento, una componente di classe che successivamente è stata annacquata e rimossa. Secondo i teorici dell’intersezione, la classe non ha peso ed è considerata riduttiva perchè nasconde caratteristiche particolari di particolari gruppi. Sicuramente non è solo una questione di classe, ma affermare che il potere “ci attraversa tutti” appiattisce e cancella le effettive responsabilità: il rischio è che una donna capitalista o biotecnologa sia vista solo come una donna oppressa da un sistema patriarcale, non prendendo in considerazione le sue responsabilità nel mantenere e sostenere questo sistema. Si dirà che avrà interiorizzato le logiche patriarcali che non le appartengono, ma questo non cambia la realtà e porta al non considerarla, per il suo ruolo, dall’altra parte. Da sempre esiste una linea, non siamo noi a tracciarla, esiste già, è la linea tra chi decide di essere complice con questo stato di cose e che invece si opporrà sempre ad esse.
L’interpretazione del potere come trama di micro-relazioni gerarchiche solo all’apparenza è un’analisi più concreta, in realtà rende il potere astratto e inafferrabile perchè essendo ovunque non è più da nessuna parte. Così non si riescono più a individuare le diramazioni e connessioni del potere nelle sue strutture e nei centri che lo alimentano, che lo sviluppano e che lo rafforzano.
Con queste analisi le uniche dinamiche di potere che mutano sono quelle delle relazioni personali ma senza un’impatto sulla società nel suo insieme cancellando quella che dovrebbe essere la dimensione, non privata, del conflitto.

Paradossi dell’antispecismo
Pochi di noi reagirebbero indifferentemente alla carneficina di un macello. La nostra reazione a questo non dovrebbe fondarsi solo sulla sofferenza e sul pensare di porre fine a quella sofferenza.
L’antispecismo per la liberazione animale, definirò così l’approccio radicale e anarchico alla questione animale, dalla reazione emotiva arriva a un’analisi critica al sistema di smembramento dei corpi animali. Un’analisi che si contraddistingue da quella meramente etica e compassionevole, che dietro la bandiera del “benessere animale”, con richieste di allargamenti di gabbie, allevamenti a terra, uccisioni indolori, anestesie prima delle torture della vivisezione, non fa altro che rafforzare questo sistema.
L’antispecismo per la liberazione animale si distingue anche da quella parte di movimento che rivendica una scelta di consumo alternativo “cruelty-free” mettendo al centro la scelta vegana.
Le contraddizioni dell’etica vegana diventano dolorosamente e materialmente evidenti quando guardiamo alle origini di tutti i prodotti nella nostra società. L’affermazione secondo cui i prodotti vegani non hanno contribuito direttamente all’uccisione di animali è una delle tante illusioni commercializzate promosse dalle aziende che traggono profitto da questo mercato di nicchia, dal momento in cui la produzione capitalista richiede un’enorme quantità di risorse che vengono estratte dalla Terra con la conseguente distruzione degli habitat e uccisioni di animali.
Lo stile di vita vegano porta con sè l’idea che la scelta individuale è il cardine per creare un cambiamento sociale, ma credere che basta cambiare stile di vita per cambiare il mondo è utile solo a farci andare a letto con la coscienza tranquilla nell’illusione di aver fatto anche noi qualcosa. Il veganesimo presenta una falsa alternativa, non cambia e non potrà mai cambiare le cose per gli altri animali, per noi e per il pianeta.
Ma da quale prospettiva si guarda lo smembramento dei corpi animali? E l’intero sistema è davvero messo in discussione dall’analisi antispecista e dalle pratiche radicali di questo contesto?
La “strada per la vittoria” che molti attivisti animalisti, anche radicali, celebrano è una serie di concessioni emesse dal sistema. Il capitalismo è abbastanza flessibile da riformarsi concedendo quello che non lo mette in crisi e quello che gli può essere funzionale e tutte le istanze per gli animali e per l’ambiente possono essere perfettamente recuperate. Non è da escludere che nei circhi saranno vietati gli animali e anche che la produzione di carne sarà sempre più sostituita da produzione di carne sintetica.
Il radicalismo diventa semplicemente un termine oppositivo usato per differenziarsi da altri metodi considerati riformisti. Ma ogni lotta se non porta una critica e un’opposizione al sistema nella sua totalità è e rimarrà una semplice rivendicazione riformista anche se ha metodi radicali. Un radicale può benissimo non avere una chiara prospettiva realmente radicale.
Il radicalismo si presenta come un’alternativa alle tendenze riformiste delle grandi associazioni, ma una parte del movimento per la liberazione animale segue queste stesse tendenze presentandole come radicali semplicemente per i metodi scelti. PETA e SHAC volevano principalmente raggiungere gli stessi obiettivi, usavano solo tattiche e strategie diverse. Per entrambe il loro obiettivo a breve termine era quello di salvare il maggior numero possibile di animali e l’obiettivo a lungo termine era quello di porre fine alla sofferenza degli animali mettendo le industrie di animali fuori mercato.
Le pratiche radicali non dovrebbero essere confuse con obiettivi radicali. Alcune azioni di liberazioni e di sabotaggio verso luoghi di sfruttamento animale rimangono confinate in una prospettiva che si preoccupa solo degli animali. Un’azione di liberazione apre uno squarcio nel mondo di sfruttamento che si cela dietro agli animali imprigionati, ma dovrebbe andare oltre all’immediato salvare delle vite. Alcuni comunicati di incursioni nei laboratori di vivisezione si concentrano esclusivamente sulla sofferenza degli animali con un approccio moralista o che fa leva sul senso di pietà ed empatia nei confronti di alcune specie animali come i cani, ignorando quali sono le ricerche portate avanti in quel laboratorio. La prospettiva si autolimita non ponendosi verso l’intero sistema che trasforma gli animali in merci e in oggetti da esperimento, così il potenziale di queste azioni è ridotto e non viene messo in luce il mondo della ricerca, i legami che intercorrono tra le forme di sfruttamento e i rapporti di dominio all’interno di questa società.
Non soffermiamoci sulla pratica in sè, ma andiamo oltre, guardando quello che esprime e quello che vuole ottenere. Una pratica non è di per sè rivoluzionaria, rivoluzionario è il senso, il significato e lo scopo.
Un topo nudo transgenico non potrà mai essere nè semplicemente un “povero animale” nè un nuovo soggetto sovversivo, è solo un’aberrazione della ricerca genetica. La sperimentazione animale fa parte della ricerca scientifica, asse portante del sistema tecno-scientifico. Questo esercita un controllo, gestione e manipolazione del vivente sempre più totale in cui l’unica dimensione che si sta delineando è quella di un mondo artificiale per un individuo infinitamente manipolabile e adattabile. Non è possibile estrapolare la questione della liberazione animale da tutto questo.
Senza dubbio questo è un sistema di smembramento di corpi animali, con una carneficina muta, incommensurabile e non paragorabile con altre per il suo continuo e sistematico riprodurre, smembrare e uccidere corpi animali e lo specismo è l’ideologia che serve per legittimare, naturalizzare, giustificare tutte queste pratiche. Ma l’antispecismo oggi non può bastare per una comprensione della complessità della realtà attorno a noi e della posta in gioco. I tempi di oggi, tempi di editing genetico e di smart city, ci chiamano verso altre considerazioni e verso altre urgenze.
La storia della zootecnia ci insegna che tutto ciò che viene sperimentato sugli altri animali verrà trasportato sull’uomo, ma se questa comprensione dell’origine e dello sviluppo di alcune pratiche non si collega a ciò che queste rappresentano e alle conseguenze sull’intera società e sul vivente rimane una comprensione monca.
Si è sempre pensato che l’antropocentrismo fosse un fondamento di questo sistema e se smantellato avrebbe fatto cadere l’intero edificio sacrificale, un grattacielo a più piani, dove negli scantinati c’è la carneficina degli altri animali. Ma lo stravolgimento del paradigma tecno-scientifico non verrà dallo smantellamento dello specismo, dal crollo dell’industria della carne o dell’industria delle pellicce. Questo paradigma prevede la possibilità di sostituire o ricostruire artificialmente la materia prima che il sistema trae dai nostri corpi, dai corpi degli altri animali e da interi ecosistemi naturali di cui ha costantemente bisogno. Un’artificializzazione per far fronte alla finitudine, ai limiti, alla distruzione del vivente. L’antispecismo non presuppone una reale indisponibilità dei corpi e del vivente, se questi possono essere modificati. All’interno della cornice post-moderna di questi tempi un animale transgenico e una mutazione genetica rappresentano una sovversione da norme e normalità andando a costruire e rafforzare la normalità tossica e transgenica di questo sistema.
Se non saremo in grado di proteggere i nostri corpi dall’introduzione del potere della scienza come pensiamo sia possibile pensare di salvare quelli degli altri animali? Se l’uomo sarà lui stesso trasformato in un uomo macchina in un mondo macchina non ci sarà più niente da fare per noi stessi e per il pianeta. Gli sviluppi delle nano-bio tecnologie, all’avvento dell'”Internet delle cose”, la riproduzione artificiale dell’umano e l’artificializzazione e ingegnerizazione dell’intero vivente sono i fulcri di un’analisi sul presente. È necessario individuare delle priorità, sentendo nel profondo un’urgenza d’agire, ma per agire serve un’attenta e lucida comprensione della realtà attorno a noi. Per contrastare il sistema di dominio in un preciso momento storico e sociale dobbiamo innanzitutto comprendere come si evolve, come si trasforma e cosa va a trasformare nella società, intravederne le direzioni ancora prima che si realizzino nella totalità. Bisogna chiedersi dove si sta concentrando e dove sta puntando. Un’analisi sul presente con uno sguardo proiettato in un futuro che si avvicina sempre di più è fondamentale per capire il percorso da intraprendere, per colpire dove più può nuocere. Se non si affronterà il sistema sul suo terreno, nelle sue logiche transumaniste e nei suoi luoghi di dominio, presto ci si sveglierà bruscamente con davanti agli occhi la cruda realtà di un futuro considerato lontano che è diventato il presente.

Silvia Guerini, dal giornale L’Urlo della Terra, num.7, luglio 2019

[1] Wokeanarchists, “Against Anarcho-Liberalism and the curse of identity politics”, 2019, wokeanarchists.wordpress.com, tra. it in: “Contro l’anarco-liberismo e la maledizione delle politiche di identità”, www.resistenzealnanomondo.org
[2]  Contesti che a volte strumentalizzano le stesse persone transessuali, queste non sono il soggetto delle mie riflessioni che sono incentrate sulle rivendicazioni, posizioni politiche e approcci di questi contesti.
[3] Cossutta, C., Greco, V., Mainardi, A., Voli, S., “Smagliature digitali, corpi, generi e tecnologie”, Agenzia X, Milano, 2018.
[4]  Cossutta, C., Greco, V., Mainardi, A., Voli, S., op. cit.
[5] Hester, H., “Xenofeminism”, Polity books, 2018; tr. it Xenofemminismo, Nero, Roma, 2018.
[6] Hester, H., op. cit.
[7] Per approfondimenti: S. Guerini, “Xenofemminismo. L’aberrazione è già qui”, 2019, www.resistentenzealnanomondo.org
S. Guerini, “Riflessioni sp arse leggendo il libro ‘Smagliature digitali’”, 2019, www.resistentenzealnanomondo.org
[8] Pièces et main d’œuvre, “Ceci n’est pas une femme (à propos des tordus queer)”, 2014, www.piecesetmaindoeuvre.com
[9] Certamente in alcuni casi è così, ma non sto considerando il capitalista, o la capitalista, sto prendendo in considerazione tutti e tutte noi che rientriamo, più o meno, in quei gruppi che ho prima menzionato.
[10] Wokeanarchists, op. cit.
[11] Marco Maurizi, “Il personale, il politico e il capitale. Perché essere ecologista, femminista, queer, antirazzista, antispecista ecc. non fa di te un anticapitalista”, 2017, marcomaurizi74.files.wordpress.com

 

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Il Green New Deal e l’ecologismo di Stato: la trappola della sostenibilità

Il Green New Deal e l’ecologismo di Stato: la trappola della sostenibilità

Negli ultimi anni abbiamo visto un cambiamento e una trasformazione radicale all’interno dei sistemi economici più avanzati, non solo al Nord, ma anche in tanti paesi del “Sud del mondo”. Questo cambiamento non è stato solo nel loro modo di procedere ma piuttosto in un continuo livellamento e aggiustamento della loro propaganda per giustificare lo sfruttamento e la depredazione continua del pianeta.
Da una parte l’industria, anche quella tra le più inquinanti al mondo, si è rifatta un’immagine sostenibile con politiche verdi. Un esempio tra i più significativi è stato il proporre di contrastare il cambiamento climatico con lo scambio e la compravendita di emissioni di CO2. Dall’altra parte proliferano nuovi ambientalismi impegnati a cogestire con i poteri dello stato il mantenimento degli stessi livelli di sfruttamento della natura: siano questi di natura chimica, genetica o altro.
Più recentemente si sta diffondendo un ambientalismo internazionale, come quello ispirato alla giovane svedese Greta Thunberg con il nome di Friday for Future accolto e cullato favorevolmente in ogni dove: dalle piazze al Vaticano, per arrivare fino a Davos. Un ambientalismo senza contenuto e soprattutto senza più nessuna conflittualità, senza una controparte con delle responsabilità precise: soltanto la denuncia di gravi problemi ambientali che si trasformano in emozioni collettive, come se bastasse prendere coscienza di un qualcosa per far sì che questo cambi.
Se fino a qualche anno fa la propaganda in difesa della natura portata avanti dal sistema industriale era quasi solo una retorica traballante, in tempi recenti siamo di fronte alla nascita di una vera e propria impresa: tutte le industrie, soprattutto quelle più inquinanti e nocive, hanno al proprio interno dipartimenti specifici su tematiche ambientali. Ogni loro discorso passa preliminarmente da una questione ambientale da affiancare ai propri processi produttivi, tanto che poi spesso questi divengono il frutto di vere e proprie economie e mercati verdi, anche se di verde vi era solo la pubblicità e la retorica nel ciclo di produzione.
Se tutto si è fatto più verde anche dove c’è chimica, cemento, silicio, manipolazioni genetiche, questo è stato a scapito della natura, sempre più degradata e distrutta in ogni parte del mondo. A farne le spese di questi processi è stata anche l’ormai risicata autonomia degli individui, spogliati prima materialmente e poi anche nella loro possibilità di dare senso alle cose, quest’ultimo aspetto è ormai prerogativa del potere e dei suoi cogestori e specialisti sparpagliati nei territori.
Il conservazionismo e l’ambientalismo di stato è riuscito a preservare una piccolissima parte di mondo naturale, per poter permettere di depredare il rimanente, nella sua protezione limitata e in gran parte esclusiva a particolari habitat e specie ha distorto il senso di cos’è un ambiente naturale e qual’è il nostro posto in questa natura che ci circonda. È stato soprattutto in nome della conservazione e protezione che è stato permesso di far sfruttare tutto il resto continuando a parlare di biodiversità. Ma la diversità della vita selvatica non può convivere con una società industriale sempre più tecnologica, come non vi può essere una vera libertà e autonomia in una società sempre più atomizzata, dove per natura si intende il parco cittadino o quelle pseudo campagne dove i contadini non esistono più da molto tempo. La campagna bucolica e il parco inteso come luogo di conservazione torneranno per descrivere l’andamento del mondo, anche se probabilmente non ancora per molto, visto che l’industria dell’alta tecnologia è andata ancora oltre e sembra essersi emancipata dal discorso sulla natura, perchè adesso conta di mandare avanti la propria di natura, quella che viene dal laboratorio e ha bisogno di un mondo laboratorio per sopravvivere. Più il sistema parla di natura e più questa viene distrutta e allo stesso tempo manipolata finchè è possibile o addirittura sostituita. Ma dove il sistema vorrebbe scordarsi della natura è questa che torna a ricordargli la sua esistenza restituendo erosione del suolo, acidificazione dei mari, degradazione della biodiversità e soprattutto un clima sempre più alterato.
Questa continua concezione e “depredazione controllata” della natura è la stessa che ha spianato negli anni, e soprattutto nei tempi attuali, l’attacco ai nostri stessi corpi come lo erano già da molto tempo prima i corpi degli altri animali: prima addomesticati e resi docili e successivamente schiavizzati nelle moderne linee di smontaggio zootecniche. L’obiettivo mai come adesso è stato chiaro: distruggere prima la natura fuori e dopo quella che è dentro di noi.
L’assordante coro che è iniziato con il movimento verde conservazionista protezionista e anche antispecista si affanna a parlare di ecosostenibilità: ma può esistere qualcosa di sostenibile all’interno dei paradigmi industriali e iper-tecnologici?
Il discorso stesso della sostenibilità è un prodotto del linguaggio che gli stati e le grandi multinazionali utilizzano quando si interrogano sulle strategie per salvare i loro profitti e sul mantenimento dei loro privilegi, soprattutto trovandosi in un’epoca di importanti rivolgimenti nelle fonti energetiche.
La sostenibilità non è un tipo di discussione che si presti benissimo a un’avvio di una trattazione di temi etici, almeno che questa etica non sia già diventata un involucro vuoto. L’idea stessa di sostenere qualcosa si lega strettamente all’idea che “esistere” significhi “andare sempre avanti” lasciando più o meno tutto in una condizione inalterata. Quello che supporteremmo con l’avvallo di questa sostenibilità non sono altro che le forze oppressive. Ogni volta che una grande compagnia tira fuori questo termine, si pensa che questa si stia riferendo al sostegno verso le forme di vita minacciate, ma le grandi compagnie stanno in realtà discutendo su come sostenere se stesse. Se a parlare di ecosostenibilità sono gli stati la questione non cambia, anzi la peggiora nettamente perchè serve a mantenere inalterata la situazione. La stessa proliferazione atomica ha avuto il suo massimo sviluppo grazie a impegni in campo civile e quindi pubblico: un’unica produzione per una doppia filiera, da una parte l’energia per mandare avanti questo sistema e dall’altro le bombe atomiche.
Lo stato moderno per lo meno nei paesi occidentali rappresenta l’interfaccia tra il sistema economico e la natura, è l’organismo che regola l’uso delle condizioni di produzione affinchè queste possano essere sfruttate con il massimo profitto e per il maggior tempo possibile dallo stesso sistema. Senza questa interfaccia, la natura consegnata alla tecno-industria moderna sarebbe stata rapidamente distrutta nella sua totalità.
Soffermarsi verso le conseguenze ultime ambientali, non solo è controproducente ma permette la perpetuazione degli attuali livelli di sfruttamento continuamente rinnovati e ampliati con le tecnoscienze. Di fatto quando parliamo delle produzioni industriali siamo di fronte ad un avvelenamento controllato o come avviene per molte sostanze, come ad esempio l’asbesto o la diossina, questo avvelenamento è solo rimandato. Chi regola questi flussi tossici, quando regola vi è, sono sempre quei consorzi verdi ormai indispensabili e inseparabili dal potere, dove in un mercanteggio di soglie di tolleranza, si imbastiscono schiere di specialisti e nuovi specialismi. Nuovi tecnici sempre più all’avanguardia con i tempi, che spesso superano gli stessi tempi, come per esempio per le nanotecnologie dove si intravedono già le gravi conseguenze prossime e si corre ai ripari; l’importante di fatto è che tutto resti com’è, ma che vi sia una percezione che qualcuno, con le competenze per esserlo, ha la situazione sotto controllo, un pò come il ruolo che era stato dato a quei poveri tecnici disperati a cui era stato consegnato in mano la sicurezza del reattore di Fukuschima dopo il disastro. Ovviamente una sicurezza impossibile da dare, ma per il potere era fondamentale dare quell’immagine di situazione sotto controllo, nessuno avrebbe potuto smentirli e nessuno si ricorderà più di loro dopo qualche anno, quando arriveranno inesorabili le conseguenze mortifere dell’irradiamento radioattivo.
Le grandi organizzazioni ambientaliste svolgono per il sistema industriale lo stesso lavoro che i sindacati portano avanti per il mondo del lavoro: ammortizzano ogni possibile tensione e reale possibilità di scontro e conflitto. Tutto arriva sempre ad una mediazione che per il Pianeta significa sempre altro sfruttamento, perchè nella società industriale l’esigenza primaria è sempre l’accaparramento di risorse naturali, non vi è cambiamento climatico che possa fare la differenza.
Spesso queste organizzazioni, di cui in tempi pià recenti possiamo anche aggiungerci quelle antispeciste sono vere e proprie costole del sistema: lo rappresentano benissimo facendone le veci dove occorre. In molti paesi del sud del mondo questi organismi inaugurano anche nuove forme inedite di razzismo ambientale che si traduce nel promuovere la deportazione di intere popolazioni locali, per far posto a riserve e parchi o per proteggere singole specie animali in molti casi armando veri e propri eserciti di protezionisti della natura. Si proteggono gli scimpanzè in Africa ma non si pensa all’ecosistema nel suo insieme dove essi vivono. Queste multinazionali verdi come il WWF non solo si arricchiscono ma soprattutto permettono una gestione e uno sfruttamento di territori impossibile senza la loro presenza, il tutto ammantato dalla tanto decantata ecosostenibilità.
Per il sistema la crisi ecologica oltre a rappresentare una grossa minaccia ormai di dimensione planetaria questa è anche una grande possibilità. Questa possibilità non è solo di natura economica, permette tutta una ristrutturazione al prezzo di libertà, corpi, natura che si perdono o si trasformano irrimediabilmente sotto i colpi delle tecnoscienze. Da qui l’idea avanzata da alcuni storici secondo cui l’ecologia, e lo stesso concetto moderno di natura, trova una delle sue origini nella colonizzazione e nel controllo delle regioni colonizzate. Questo controllo presuppone che le risorse siano sottratte dalle mani degli autoctoni, giustificando il discorso “paternalista” che afferma la loro incapacità a prendersene cura. L’imperialismo ecologico e l’imperialismo culturale trovano qui il loro punto di fusione.
Sarebbe impensabile in tempi di normalità ottenere quello che il sistema può ottenere in tempi di crisi. Una situazione di emergenza accellera ogni processo che poco prima era impensabile, tanto che non vi è il tempo a livello sociale di digerire un cambiamento che già ne arrivano altri e altri ancora. In questo senso la tecnologia con i suoi tempi che non consentono pause e mirano ad una senpre maggiore velocità e connessione ci stanno predisponendo benissimo a questa situazione. Il cambiamento climatico è destinato a restare nel nostro “spam mentale” come qualcosa di indesiderato, che si spera di eliminare al più presto. Con un linguaggio nuovo e performante che non sarà più solamente preso in prestito dalle tecno scienze ma che diventerà il nostro stesso linguaggio.
Il sistema tecno-scientifico nei suoi sviluppi più evoluti è sempre oltre a quello che attualmente il contesto sociale è pronto ad accettare. Nei laboratori vi è molto di più di quello che può avere un’applicazione immediata: il piano è cambiato. Non è più solo l’industria che guarda la ricerca scientifica, ma è quest’ultima che muove e trasforma l’industria fattasi tecno-scientifica con una tale sintonia che non è più possibile farne una separazione e affrontarle singolarmente come ancora spesso avviene soprattutto per ricercare una qualche forma di indipendenza scientifica ormai impossibile.

L’ambientalismo va alla guerra
Il moltiplicarsi delle catastrofi naturali comporta, in primo luogo, che le forze armate saranno sempre di più sollecitate a venire in aiuto e allo stesso tempo dovranno “pacificare” le popolazioni coinvolte. La sciagura dell’uragano Katrina nel suo essere stato anche un colossale disastro economico ha consentito l’espulsione e la messa a profitto di interi quartieri popolari poco redditizi e sicuramente problematici per i nuovi assesti urbanistici previsti nei programmi di aiuto. Inoltre nel rinnovamento in corso sono stati privatizzati e concessi alle corporazioni interi settori pubblici tra cui ovviamente anche le scuole.
Ciò vale anche per lo tsunami del 2004 in Asia che ha portato alla chiusura di numerose regioni costiere e prodotto l’insediamento di enormi catene commerciali. In Pakistan per il terremoto del 2005 sono intervenute le forze della Nato e durante il disastro climatico di Fukuschima ancora una volta i paesi sono stati messi sotto stretto controllo militare, gestioni che spesso soprattutto nei paesi del Sud del mondo assumono una presenza permanente.
In altri casi come in Europa nel 2003 dove un’ondata straordinaria di caldo causò la morte di oltre 35000 persone ha portato ad massiccio controllo sanitario sulla popolazione, con ancora una volta una gestione militare delle operazioni, ma questa volta in camice bianco.
L’entrata in campo della finanziarizzazione per far fronte alle catastrofi sempre più numerose dovute al cambiamento climatico si pone come soluzione alla crisi ecologica. Questi processi hanno però altri risvolti di tipo sociale che preoccupano non poco gli stati e gli investitori delle compagnie. Per questo i teatri dei luoghi dei disastri climatici, di cui New Orleans durante l’uragano Katrina è stato particolarmente significativo, diventano veri e propri laboratori dove sperimentare tecniche repressive ancora in formazione su vasta scala, in particolare con la militarizzazione di interi territori e la deportazione e carcerazione in molti casi di intere fasce di popolazione, soprattutto se questa è costituita da poveri.
Il cambiamento climatico viene preso molto seriamente da parte dei militari, tanto che in molti casi questi faticano a trovare un linguaggio comune con la politica. I primi essendo parte dell’elitè insieme alla finanza sono sicuramente in grado di pensare ad un tempo molto lungo che può essere di vari decenni, quel tempo necessario a incontrare le gravi conseguenze del cambiamento climatico. La politica invece è più legata alle proprie scadenze elettorali, quindi con tempi limitati che gli impediscono di approfondire il problema se non come mera descrizione o bieca strumentalizzazione.
La gestione da parte dello stato e delle multinazionali porta la crisi ecologica agli estremi: dopo aver consolidato un flusso finanziario pressochè continuo adesso entra in un processo di militarizzazione. Gli Stati Maggiori e tutti gli analisti dell’esercito sono consapevoli di questa situazione a cui si preparano già da anni nelle loro analisi strategiche dove inseriscono le conseguenze del cambiamento climatico. Già nel 2009 la CIA ha inaugurato un Center for Climate Change and National Security, che ha il compito di valutare gli effetti del cambiamento climatico sulla sicurezza nazionale e proprio quest’anno tra i temi dell’annuale incontro del Club Bilderberg vi era proprio il cambiamento climatico e l’etica nell’intelligenza artificiale.
Il forte interesse dell’esercito e quindi anche dell’industria della guerra verso le questioni ambientali è sicuramente un loro modo di stare al passo con i tempi, di non essere impreparati quando il peggio si presenterà. Le catastrofi naturali che di naturale hanno ben poco visto che sono causate dal processo industriale aggravano fortemente la crisi ecologica quando non ne sono la causa primaria, ad ora si contano 25 milioni di rifugiati climatici; queste catastrofi a loro volta portano fortissimi squilibri sociali indebolendo le istituzioni in carica, soprattutto nelle regioni più povere del mondo, dando così alle forze armate l’alibi per intervenire e imporre la loro presenza a tutti gli effetti come truppe di occupazione.
Le forze armate in questo scenario si apprestano a intervenire efficacemente da sole nel caos che ne deriverà, evoluzioni di questo tipo sono soprattutto attese nelle tre zone di interesse strategico dell’Unione Europea: il bacino del mediterraneo, l’Asia Sud Occidentale e l’Artico. Alcuni analisti sono arrivati ad ipotizzare che nel prossimo futuro le forze armate potrebbero esercitare la funzione di “specialisti del caos”, quale miglior clima per esercitare questo nuovo tecno-totalitarismo ammantato di difesa delle libertà e della natura.

Scioperare per il clima
Sicuramente è ancora presto per dire a cosa siamo di fronte, qualcosa di nuovo all’orizzonte c’è ma si fatica a capire che cosa sia. La novità è senza dubbio che si torna o si inizia a parlare di cambiamento climatico in una prospettiva di mobilitazione addirittura internazionale. In tutto il mondo tantissimi giovani sono scesi in piazza chiedendo genericamente che venisse fatto qualcosa per il clima del pianeta.
In senso quantitativo la protesta è sicuramente riuscita considerando l’altissimo numero di adesioni soprattutto da studenti che hanno scioperato le giornate di scuola per essere presenti in piazza; molto del lavoro di organizzazione delle proteste è partito proprio da dentro le scuole seppur poi negli appelli compaiono anche associazioni ambientaliste come WWF o Greenpeace che non hanno mai creduto in nessun movimento che partisse dal basso, lasciando sempre allo Stato o alle
multinazionali la possibilità di fare qualcosa per l’ambiente.
In senso qualitativo queste proteste sono figlie di questi tempi moderni virtuali dove si manifesta a “chiamata” dopo un martellante lavoro fatto sui social, dove sempre gli stessi brevi e rapidi messaggi “invitano ad esserci”. Queste mobilitazioni più che esprimere una protesta e un sano conflitto esprimono “un’emozione condivisa” che non parte da alcun percorso o progettualità che sempre accompagna ogni lotta. In queste mobilitazioni può non esserci alcuna progettualità perché non vi sono contenuti o analisi seppur preliminari che vadano nella direzione di costruirla.
Una qualsiasi protesta o lotta per definirsi tale necessita per forza di cose di una controparte a cui rivolgersi. Il cambiamento climatico non è qualcosa di astratto ma è molto concreto e necessita di interventi altrettanto concreti per provare a contrastarlo. Che cosa significa ridurre i responsabili della devastazione della Terra e ogni rivendicazione di liberazione ad una mera astrazione? Sicuramente questo comporta una totale inoffensività di questi movimenti: si sciopera e si scende in piazza, ma di fatto non si pretende niente. Un fattore positivo è che per la prima volta si è creata una mobilitazione internazionale su un tema a carattere ambientale come appunto il cambiamento climatico, ma è come se questa fosse arrivata troppo tardi o troppo presto a seconda dello sguardo che vogliamo dargli. Dai social network le proteste sono arrivate a concretizzarsi in piazza, una cosa rara di questi tempi, ma un tema centrale come il cambiamento climatico può soltanto perdersi in un simile contesto per la profondità e ampiezza di problematicità che non saranno mai indagate.
Nell’ultima assemblea molto partecipata che si è tenuta a Milano il movimento Friday for Future Italia ha provato a fare chiarezza soprattutto in un report successivo all’incontro. L’obiettivo condiviso è quello di far rispettare dai governi gli accordi presi a Parigi nel 2015, per far si che questi intervengano per mettere in atto provvedimenti che incidano in maniera tangibile sulle emissioni di CO2. Tra i punti principali è stato detto che “l’istruzione e la ricerca pubblica devono proporre modelli alternativi di sviluppo. I miliardi di finanziamenti pubblici ad attività inquinanti vanno spostati sull’istruzione, la ricerca e un piano di investimenti per la riconversione ecologica e la democrazia energetica”. Il movimento che nasce quasi interamente come studentesco, sia universitario che di scuola inferiore, si appresta quindi a proporsi come megafono per quegli scienziati che denunciano il prossimo disastro climatico. Quindi espressione ma soprattutto legittimazione verrà data a coloro che sono causa del problema, che ne rappresentano l’essenza stessa. Arrivare a parlare di democrazia energetica nel mentre la proliferazione delle armi atomiche raggiunge i suoi maggiori picchi proprio per accaparrarsi fonti energetiche e le ultime risorse naturali, sembra una vera fesseria. Ma nel campo dell’astrazione tutto è permesso, soprattutto quando si parla di mancanze o errori da parte del sistema industriale.
Il movimento di Friday for Future si rivolge a tutta la società, proprio tutta, tanto che trova consenso praticamente ovunque. Come se dall’altra parte, quella controparte che si fatica a vedere, avesse solo una disattenzione su com’è la situazione attuale o peggio che sia questione di aggiungere ancora altre voci al coro scientifico. Sfugge, o forse non si vuole cercare il nodo centrale del problema.
Una cosa che attira l’attenzione in tutti i vari slogan scanditi nella maggior parte delle piazze nel mondo durante gli scioperi del clima è quella di rivolgersi sicuramente alle istituzioni, ma anche alla “vecchia generazione”: voi siete responsabili di questa situazione, che ovviamente non abbiamo costruito noi, sta a voi quindi porvi rimedio. Ancora una volta come in passato entrano in gioco la delega, ma con queste nuove mobilitazioni si è ancora oltre perchè è una delega in bianco. Un tempo si chiedevano degli impegni per l’ambiente e dopo in un certo senso si vigilava che questi impegni venissero rispettati. L’impegno di cui abbiamo testimonianza oggi è un disimpegno e una deresponsabilizzazione totale da qualsiasi cosa. Almeno in Italia fino a non troppi anni fa la ribellione giovanile partiva da casa, verso quella società costruita o almeno rappresentata dai genitori, una società odiata dai giovani ribelli. Ma la gran parte dei giovani e giovanissimi soprattutto che compongono questi fenomeni collettivi di adesso indicano il problema la fuori ma dopo guardano razionalmente ai loro studi, in attesa di avere quelle competenze e soprattutto quei titoli, che permetterà poi anche a loro di diventare parte del problema più avanti. La cosa peggiore è che di questo ne fanno pure una rivendicazione.
La responsabilità è diventata individuale, gli appelli si rivolgono spesso alle singole persone: dopo averle scioccate con dati su dati di rinomati e sicuramente indipendenti scienziati si invita ad usare meno l’auto, a non prendere l’aereo, a riciclare… Si vittimizza quindi il singolo individuo sempre più atomizzato, dandogli però tutta una serie di poteri nuovi per gestire e cogestire la propria miseria di consumatore consapevole.
Il movimento Friday for Future si dichiara senza partiti e senza bandiere, pacifista e per la disobbedienza civile. Quindi astratto a livello teorico come a livello di prassi organizzativa. Cosa significa infatti nei tempi attuali essere per la disobbedienza civile? A quale tradizione si fa riferimento? Si potrebbe infatti pensare alle dure lotte dei diritti civili o alle ridicole contestazioni dei disobbedienti contemporanei che alzano sempre le mani anche se non hanno una pistola puntata contro. Nei tempi attuali definirsi pacifisti fa parte della coreografia dell’attivista coscienzioso e credibile, in genere non vi è in questi contesti un vero e proprio spirito consapevole non violento.
Qualsiasi tipo di trasformazione sociale di una qualche rilevanza è sempre passata da strade mai semplici e mai indolori. La questione sociale e quella della natura non avranno mai il loro senso e nessun significato verrà mai veramente indagato all’interno di un paradigma di potere che è il primo responsabile dell’attuale situazione, in cui come era prevedibile la degradazione della Terra sta raggiungendo anche i corpi e le chimere dei laboratori trovano sempre più nuovi interpreti.
Essere contro il cambiamento climatico significa disfarsi di questo sistema tecno industriale e di tutti i suoi sostenitori ambientalisti, di tutti coloro che pensano di riformarlo o sostituire qualche sua parte magari con pali eoliche o che non si rendono conto di come il sistema tecno-industriale può solo sopravvivere con gli attuali livelli di sviluppo a cui non rinuncerà se non obbligato da lotte o “disastri naturali” che non tarderanno ad arrivare nel prossimo futuro soprattutto per gli sconvolgimenti climatici. Oppure siamo di fronte ancora una volta a chi in nome della trappola dell’ecosostenibilità sta sognando nuove tecnologie verdi, ma queste rappresentano solo la chiusura del cerchio e nel cerchio ci siamo noi.

Costantino Ragusa, dal giornale L’Urlo della Terra, num. 7, luglio 2019

 

documento in pdf: Il Green New Deal e l’ecologismo di Stato la trappola della sostenibilità