Dialogo tra Resistenze al nanomondo e Paul Cudenec

  1. Resistenze al nanomondo: Se ci puoi scrivere qual’è la tua storia, il tuo percorso, quando hai iniziato a sviluppare una critica agli sviluppi tecno-scientifici e quali sono stati i pensatori da cui hai tratto insegnamento.

Paul Cudenec: Non credo di poter separare la mia critica agli sviluppi tecno-scientifici dal resto delle mie opinioni e analisi. Sono un anarchico da 30 anni ormai, ma anche prima di allora, nella mia gioventù, sentivo una forte avversione istintiva per la società dei consumi high-tech. Da un lato era associata a tutto ciò che non mi piaceva – il grande business, lo stato, i militari, l’autorità e il controllo in generale. Dall’altro lato era in contrasto con tutto ciò che più apprezzavo – la natura, la libertà, la comunità, un senso di continuità storica e culturale. L’arrivo delle telecamere a circuito chiuso in Inghilterra è stato un momento di risveglio per me. All’epoca lavoravo come giornalista in un giornale locale in una delle prime città in cui erano state installate le telecamere e, dato che sapevo per certo che lì c’era pochissimo crimine, mi fu chiaro che questo progetto non aveva niente a che fare con la lotta al crimine, come si diceva, ma era il lancio di qualcosa di molto più sinistro. Ho scritto una canzone punk su questo a metà degli anni ’90 (che ho messo online l’anno scorso), mettendo in guardia contro “le telecamere che rubano la nostra libertà” e i tecno-tifosi che stavano per scansionare il nostro DNA, mettere microchip nei nostri cervelli e trasformarci in robot. Con il gruppo anarchico locale, che in seguito ho contribuito a creare, eravamo soliti tenere proteste annuali contro le telecamere, segnando l’anniversario della loro installazione come “il compleanno del Grande Fratello”. Come avrete capito da quanto sopra, George Orwell è stato, senza sorpresa, un’influenza su di me. La storia dei luddisti è stata un’altra ispirazione (tramite Kirkpatrick Sale tra gli altri), insieme a pubblicazioni anarchiche come Green Anarchist, SchNEWS, Do or Die, Anarchy: A Journal of Desire Armed e varie pubblicazioni EF! Ho letto anche Against the Megamachine di David Watson, Against His-story di Fredy Perlman, Against Leviathan, il Manifesto di Unabomber più molto di John Zerzan e Derrick Jensen. Più recentemente sono stato influenzato dalla lettura di autori come Miguel Amorós, Jacques Ellul, Theodore Roszak, Charlene Spretnak, Renaud Garcia… Ma intrecciate a questo filo della mia autoformazione sono state altre ispirazioni. Il mistico della natura inglese Richard Jefferies è stato molto importante per me, così come René Guénon, che univa la sua metafisica a una forte critica della modernità. Ho anche letto altrove di sufismo, taoismo, mitologia comparata, folklore inglese, filosofia indiana, idealismo tedesco, romanticismo ebraico anticapitalista, psicologia junghiana… Ciò che mi interessa, soprattutto, sono le connessioni tra questi racconti e tradizioni, o piuttosto, forse, il nuovo spazio che si apre alla nostra riflessione quando li consideriamo insieme, nello stesso contesto concettuale.

2. Resistenze al nanomondo: Il Great Reset è un tema che hai affrontato molto nei tuoi testi, potremmo dire fin dall’inizio dei lavori di Davos sull’ultima dichiarata emergenza. Sappiamo ormai che questa élite in gran parte non nasconde neanche più le sue intenzioni e i suoi progetti. Già da prima della dichiarata pandemia è stato sempre evidente come contesti di emergenza, veri o presunti, accidentali o creati ad hoc, rappresentino sempre un’ottima occasione per il sistema tecno scientifico per consolidarsi e dare significato alla propria permanenza.
Le sciagure ambientali come Fukuschima per la sinistra e tanti pensatori ambientalisti rappresentano delle contraddizioni che porteranno alla fine i nodi al pettine. La storia passata e soprattutto recente ci insegna invece che la Grande trasformazione (Great Reset) si nutre proprio di questi disastri, come un alimento non può farne a meno e farà quindi di tutto per far si che ve ne siano sempre di nuovi, non solo considerandoli come un continuo business, ma anche come universo di senso da cui trarre ispirazione: da questo punto di vista la dichiarata pandemia dovrebbe aver insegnato molto. Questo ovviamente vale anche per le turbolenze economiche, spesso causate dai disastri ambientali stessi, che rappresentano un’ottima occasione per cambiamenti radicali portati avanti con l’aiuto delle tecno scienze. Come hai scritto tu, questo porterà a far abbracciare innovazioni tecnologiche specifiche nella sfera pubblica e privata in modo che le generazioni future possano soddisfare le nuove necessità che il Grande Reset richiederà alimentando nuovi mercati – ma non solo – che ruotano verso innovazioni digitali, strategie elettroniche, telelavoro, intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologie, internet delle cose e internet dei corpi accentrando il potere nelle mani degli stakeholder capitalisti con il pretesto benevolo di reinventare il capitalismo attraverso mezzi più equi e più ecologici. Come stanno avvenendo e come si evolveranno questi processi, pensando alle parole di Schwab che tu citi secondo cui certe tecnologie non saranno solo relegate al mondo fisico, ma diventeranno estensioni di noi stessi? Ma soprattutto in quella che tu chiami la seconda fase del Grande Reset con la guerra come nuova emergenza?

Paul Cudenec: Devo dire subito che non sono stato personalmente l’autore di quest’ultimo articolo, anche se apprezzo molto e faccio eco al contenuto! Una delle cose che mi ha colpito di più della narrazione di Schwab è il modo in cui ha collocato il cosiddetto Grande Reset nel contesto di una serie di tappe storiche. Cita l’11 settembre, spiegando come questo momento di shock abbia permesso al sistema di normalizzare tutti i tipi di misure di “sicurezza” invasive e restrittive che altrimenti non sarebbero state accettate dal pubblico, come il body-scanning negli aeroporti e la necessità di fare “check-in” e “check-out” negli edifici. In effetti, la “Guerra al Terrore” è stata, per me, un preludio alla “Nuova Normalità” del periodo di Covid. I continui annunci registrati nelle stazioni ferroviarie che ricordavano alla gente la “minaccia” del terrorismo, l’atmosfera di sospetto e sfiducia (“Se lo sospetti, denuncialo!”) erano già utilizzati per creare l’atmosfera di uno stato di emergenza permanente, in cui era inappropriato insistere troppo sulla propria privacy o libertà personale. Questo era combinato, almeno nel Regno Unito, con un culto delle forze armate (d’ora in poi ribattezzate “eroi”) che personalmente ho trovato intollerabile!

Prima della Guerra al Terrore, naturalmente, c’è stata la Guerra Fredda, che ha anche incoraggiato un atteggiamento militarista, la paura degli stranieri, e così via. La seconda guerra mondiale, anch’essa citata da Schwab, fu un altro evento che cambiò la società, spazzando via gran parte dei precedenti modi di vivere europei a favore di una versione “modernizzata” americana (in Occidente) o sovietica. Lo stesso vale per la prima guerra mondiale, che so ha messo fine, per esempio, a molte delle usanze popolari che avevano sempre animato la cultura inglese. Non erano più considerate appropriate nella New Normal del dopoguerra.

Suppongo che la maggior parte delle persone immaginino che questi eventi non siano altro che il gioco della storia e che i conseguenti cambiamenti della società siano il risultato necessario del loro impatto, parte dello stesso processo evolutivo, se volete. Ma io la vedo diversamente. Molte persone sono ora consapevoli che la “pandemia” non era niente del genere, ma una massiccia operazione psicologica utilizzata per portare avanti l’agenda presentata da Schwab come il Grande Reset. Lavorando a ritroso, e tenendo presente la vasta letteratura sull’11 settembre e altri attacchi “terroristici” (compresa l’analisi del situazionista Gianfranco Sanguinetti), possiamo vedere che la Guerra al Terrore era un fenomeno simile. Ovviamente, ha giustificato le guerre imperialiste in Afghanistan, Iraq, Siria e così via, ma ha anche permesso la securitizzazione della nostra società di cui Schwab si vanta – ed è stato evidentemente progettato per fare proprio questo. Lo stesso vale per il “terrorismo” dell’epoca della guerra fredda (il lavoro di Daniele Ganser su Gladio è particolarmente utile in questo caso). Anche le due guerre mondiali sono state deliberatamente usate in questo modo?

Possiamo vedere un modello preciso qui. Si verificano eventi scioccanti e omicidi che servono, simultaneamente, diversi aspetti della stessa agenda: la spesa statale massiccia viene incanalata in tasche private (sia il commercio di armi che Big Pharma), con i risultanti debiti pubblici che aumentano ulteriormente l’influenza delle istituzioni bancarie internazionali; la paura viene usata per instillare un’obbedienza sconsiderata all’autorità; i costumi e le strutture sociali precedenti vengono spazzati via; nuovi sistemi di controllo vengono introdotti di fronte a questa “emergenza”.

In questo contesto, non è difficile capire come l’attuale situazione di “guerra” possa essere stata deliberatamente istigata per accelerare questo processo, come solo l’ultima di una lunga serie di tappe (e ho citato solo le più evidenti sopra). La gente non vuole che il suo cibo sia razionato o prodotto in laboratorio, che le sue spese siano controllate dalle autorità bancarie centrali, che i suoi movimenti siano tracciati e le sue attività monitorate, ma può accettare tutto questo in un contesto di “emergenza”.

Tutto questo riguarda puramente il potere e il controllo. La tecnica impiegata dal sistema per raggiungere questo obiettivo è solo uno strumento, o un’arma. Ecco perché non è mai “neutrale” come alcuni amano sostenere: esiste solo per aumentare il dominio di chi la possiede, a spese di tutti gli altri, come i luddisti capirono fin troppo bene 200 anni fa!

3. Resistenze al nanomondo: Il subentrare della nuova emergenza internazionale legata alla guerra con le sue ovvie conseguenze energetiche sembra aver per un attimo sostituito dall’attenzione generale la dichiarata pandemia con i suoi strascichi nefasti che da anni ormai ci tocca subire.
Significativo che la propaganda di guerra di queste settimane riporti in pieno modalità e linguaggi che erano serviti a paralizzare i più su un terreno sanitario. È evidente, se continuano a seguire questo solco, che l’esperimento di ingegneria sociale è riuscito e si apprestano alle sue successive evoluzioni, dove il camice bianco è continuamente interscambiabile con la tuta mimetica.
Questo apparentemente ammorbidimento delle restrizioni in quasi tutti i paesi europei fuorché l’Italia sembra lasciare sperare che si stia andando nella direzione di un’uscita dalla dichiarata emergenza sanitaria e dal suo strumento simbolo per eccellenza: il lasciapassare sanitario (Green Pass). Eppure, le buone intenzioni, le retoriche e le descrizioni che vengono fatte non coincidono minimamente con la realtà presente. Dove, nel grande resettaggio globale, è ormai evidente che sono state già prese precise direzioni di natura trasnazionale e ai singoli Stati, soprattutto quando sono colonie statunitensi come l’Italia, non resta che applicarle.
Quello che temiamo è l’allentamento dell’attenzione e quindi della lotta verso questi nuovi sviluppi ed evoluzioni che non rappresentano alcun miglioramento della situazione, ma piuttosto un suo irreversibile consolidamento. Ma il vero problema più grande è che sfugga il fare chiarezza e, di conseguenza, che sfumi la possibilità di comprendere ciò che è stato impiantato nella società: un’idea concreta di società digital-cibernetica con individui impauriti pronti a qualsiasi richiamo a rinnovare i sieri genici dentro al proprio corpo o qualsiasi altro prodotto farmaceutico o meno che venga ritenuto necessario, confermando di fatto la nuova normalità in un paradigma di ingegneria genetica a mRNA.
Più volte nel tuo sito internet ti sei occupato delle lotte a livello internazionale contro la nuova normalità biomedicale, ritieni siano state sufficienti e siano state all’altezza della minaccia non che verrà, ma che ci sta già travolgendo? Potresti partire dalla tua esperienza personale, ma anche da altri paesi che negli ultimi anni hanno realizzato mobilitazioni importanti e come in Canada dove ci sono state le ultime lotte dei trasportatori? In queste proteste anche molti gruppi anarchici non erano dalla parte giusta della barricata, qual’è il motivo secondo te?
Dove l’aspetto quantitativo della protesta è stato raggiunto, si può dire la stessa cosa riguardo ai contenuti, dove in genere si è preferito immediate rivendicazioni ben digeribili ai più invece che toccare i veri nodi dietro al Green Pass? Parlare di cattiva gestione dell’emergenza pandemica non sposta forse il piano su parzialità recuperabili immediatamente dal potere stesso e del tutto inefficaci dal punto di vista dell’obbiettivo qualitativo della lotta?
Potresti fare delle considerazioni su tutto questo?

Paul Cuden: La mia esperienza personale è stata in Francia, dove vivo ormai da diversi anni. Nei primi giorni di Covid c’è stata poca reazione critica qui, soprattutto rispetto all’Inghilterra, dove le grandi proteste sono iniziate rapidamente a Londra e lo scetticismo sulla natura della “pandemia” sembrava un po’ più comune. Le cose cambiarono veramente nel luglio 2021, quando fu introdotto il “pass sanitaire”: un numero massiccio di persone scese in strada e non smise di farlo. Ho percepito un vero cambiamento nell’atmosfera politica, nel senso che le persone avevano rotto il tabù che impediva loro di sfidare la narrazione di Covid e, improvvisamente, esprimevano la loro opposizione non solo al pass, ma all’agenda del Grande Reset che c’era dietro. Prevedibilmente, la presenza di alcuni nazionalisti in queste proteste ha fatto sì che fossero presentate dai media come interamente di “destra”, ma questo non era chiaramente il caso: hanno rotto le solite classificazioni. Per molti versi questo nuovo movimento era un’evoluzione della rivolta dei Gilets Jaunes e la loro presenza nelle sue file era notevole. Ma, a causa della portata senza precedenti dell’attacco alle libertà umane di base che il lasciapassare comportava, ha attirato molte persone che non avevano precedentemente sentito il bisogno di essere coinvolte nella protesta politica. Anche se i critici hanno ritenuto che questo significasse che i manifestanti erano troppo disparati politicamente per rappresentare un vero “movimento”, non sono del tutto d’accordo. Ho visto a livello molto locale, con un gruppo locale anti-pass con cui sono coinvolto, come un certo consenso, una certa visione condivisa, si sia evoluta nel corso dei mesi e non sia stata interrotta dagli eventi in Ucraina. Recentemente ho presentato il mio ultimo libro, The Withway, a un gruppo di compagni di campagna qui e loro erano in gran parte in sintonia con la mia prospettiva, sia per quanto riguarda i pericoli della tecnica, la necessità di un decentramento radicale, l’importanza dell’aiuto reciproco, la nostra appartenenza al luogo e alla natura o, infatti, la necessità di una dimensione spirituale alla nostra lotta. Non ricordo di aver mai trovato così tanti spiriti affini in un gruppo “anarchico” ufficiale al 100%.

È difficile per me sapere se questo è generalmente vero in Francia o in altri paesi. Hai ragione a suggerire che il gran numero di persone coinvolte nelle proteste per la libertà non implica necessariamente una qualità di analisi o di comprensione. Ma quello che ho sentito nelle interviste da Ottawa, per esempio, mi suggerisce che c’è, come minimo, il potenziale per costruire un movimento di resistenza coerente. Il fatto stesso che questo movimento si definisca in termini di libertà, e che abbia identificato il principale nemico di questa libertà come le forze unite del grande business, delle istituzioni internazionali e dei singoli stati – una tecnocrazia globale – mi sembra incoraggiante. Non penso che sia una completa coincidenza che l’invasione dell’Ucraina sia avvenuta proprio quando questo movimento stava prendendo identità e slancio. Non credo nemmeno che la guerra frantumi decisamente quel consenso: nei circoli dissidenti ha già preso forma un’analisi condivisa della situazione che va oltre la dicotomia Stati Uniti/Russia/Cina.

Il fallimento degli anarchici nel loro insieme di opporsi al colpo di stato tecnocratico è stato per me fonte di grande delusione dal marzo 2020 e ho scritto ampiamente (forse troppo ampiamente!) su questo. Posso vedere due ragioni principali per questo tragico stato di cose. In primo luogo, c’è stato un declino a lungo termine nella comprensione del pensiero anarchico tra coloro che presumibilmente sottoscrivono la filosofia. Questo probabilmente non è del tutto nuovo, dato che Gustav Landauer si lamentava della stessa cosa più di 100 anni fa, ma è certamente peggiorato! L’influenza del postmodernismo e il culto dell’intersezionalità hanno creato una sorta di culto dell’artificio che rifiuta ferocemente ogni “essenzialismo” o la nozione di qualità umane innate e ha così voltato le spalle alla cruciale intuizione anarchica che non abbiamo bisogno di un’autorità dall’alto verso il basso perché siamo innatamente capaci di organizzarci dal basso. Senza le basi dell’autentico pensiero anarchico, questi anarchici zombie svuotati sono stati facilmente portati nelle posizioni assurde di sostenere il controllo fascista dello stato e la medicazione sulla base della difesa del “bene comune” come definito dai nostri governanti. Ma questa debolezza ideologica di fondo deve essere vista nel contesto della seconda ragione che voglio menzionare, che è che c’è stata chiaramente una deliberata acquisizione e manipolazione delle strutture anarchiche per impedire loro di sfidare il nuovo ordine.

4. Resistenze al nanomondo: Hai svolto un gran lavoro di approfondimento sull’impatto1 delle agende dei padroni universali sui contesti apparentemente portatrici di una critica a questo sistema, svelando una pseudo sovversione che in realtà è portatrice e promotrice delle stesse istanze di questo sistema tecno-scientifico e transumanista. Scrivi di Exinction Rebellion2 e anche di Black Lives Matter UK che è stato sostenuto da Edge Found. Ci puoi dire qualcosa di più?
Ricordiamo che gli Edge Found sono dei fondi di investimento speculativi che investono non a caso anche nella causa LGBTQ+ dove la Fondazione Rockefeller ha co-presieduto il comitato di programma di Edge ed è anche presente nel consiglio di amministrazione di Edge Funders dove troviamo un rappresentante dell’Open Society Initiative for Europe di George Soros. Questi e altri soggetti non sono semplicemente tra gli uomini più ricchi del pianeta, imprenditori, dirigenti di multinazionali biomediche e biotecnologiche: con gli investimenti delle loro società, le loro opere filantropiche e i loro progetti di ricerca sono in grado di dirigere l’agenda delle politiche mondiali su temi cruciali come la salute o l’ambiente per esempio. Dovremmo porci quindi delle domande se nella loro agenda troviamo investimenti a determinate aree di sinistra, ambientaliste e arcobaleno. Domande sui loro fini e sull’integrità e reale critica di queste aree e su come sono in realtà funzionali al grande resettaggio in corso.
Cosa pensi su questo?

Paul Cudenec: Sappiamo che il Grande Reset è una transizione che è stata pianificata per anni, probabilmente decenni. Come parte della loro pianificazione, quelli dietro di essa avrebbero inevitabilmente guardato alle potenziali fonti di opposizione ad essa e gli anarchici, molto coinvolti nelle proteste anti-globalizzazione più di 20 anni fa, si sarebbero ovviamente distinti. Girare il pensiero anarchico in modo che non minacciasse più, ma di fatto rafforzasse, l’agenda dei tecnocrati sarebbe stata quindi una mossa sensata da parte loro.

Da tempo sentivo, intuitivamente, che c’era qualcosa di malsano nella direzione che il movimento anarchico stava prendendo, ma forse supponevo che questo parlasse semplicemente delle mie differenze con gli atteggiamenti prevalenti. È stato solo con il momento Covid che sono stato costretto ad affrontare veramente questo problema e ad esplorare cosa c’era dietro.

Uno sviluppo significativo negli ultimi 15 anni circa è stato l’emergere di un movimento “antifascista”, la cui identità e i cui presupposti ideologici sembrano aver ampiamente spostato quelli del movimento anarchico da cui è nato. Nel Regno Unito, questo è stato spinto dall’emergere della English Defence League, un movimento di strada anti-musulmano molto pubblicizzato e considerato da molti come deliberatamente prodotto dal sistema. Sospetto che questo sia stato un altro esempio della strategia di contro-insurrezione “bande e contro-bande” molto favorita dallo stato britannico (come esplorato dal ricercatore Larry O’Hara, tra gli altri). In risposta a questa minaccia fisicamente reale – l’EDL inizialmente ha attratto un gran numero di sostenitori bianchi della classe operaia – gli anarchici si sono sentiti obbligati a reagire. Io stesso ho preso parte all’attività antifascista locale. Ma, con il senno di poi, il culto dell’antifa ha effettivamente allontanato gli anarchici dall’organizzazione diretta contro il nostro vero nemico stato/corporativo per concentrarsi invece su gruppi di individui che, mentre agivano effettivamente come proxy del sistema, non erano il vero problema. L’enfasi sulla lotta di strada, l’autodifesa e la spavalderia posticcia ha anche depoliticizzato l’ambiente anarchico in una misura spaventosa, con un gruppo, i Berkshire Anti Fascists, che dichiaravano persino con orgoglio di essere, esattamente come quelli a cui sostenevano di opporsi, “più interessati all’azione che alla filosofia politica”! Successivamente, lo stesso atteggiamento iper-aggressivo coltivato verso gli oppositori di estrema destra è stato diretto contro i “nemici” appena scoperti, come le “terf” (femministe che sfidano il dogma transgender) e, successivamente, tutti quei teorici della cospirazione “di destra” e gli “anti-vaxxers” che osano mettere in discussione la narrazione ufficiale di Covid. Questo mi sembra molto simile alla creazione deliberata da parte del sistema di una milizia di strada con cui attaccare i suoi oppositori sotto la falsa bandiera dell’antifascismo. Il linguaggio violento usato contro i dissidenti di Covid da molti anarchici “ufficiali” si è persino esteso (in Germania, Australia e Canada, per esempio) a specifiche mobilitazioni antifa contro le proteste per la libertà. Fortunatamente queste sono state piccole e inefficaci.

Sono stato in grado di fornire la prova di una connessione tra gruppi di sinistra/anarchici e il mondo corporativo a cui teoricamente si oppongono, attraverso le mie indagini su Guerrilla Foundation e Edge Fund. Ero già a conoscenza dell’esistenza di “finanziamenti” per le attività anarchiche e anticapitaliste, ma ero stato indotto dai compagni a credere che questi provenissero da simpatizzanti anarchici che per caso avevano ereditato grandi somme di denaro che volevano usare per una buona causa. La realtà, infatti, è che queste organizzazioni di finanziamento sono strettamente legate al mondo dell’impact investing e a coloro che promuovono la transizione del Grande Reset: la loro politica di identità intersezionale, la loro “sostenibilità” e “inclusività”, sono strettamente legate all’agenda ESG degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, di cui il principale promotore ufficiale è il World Economic Forum.

Lei chiede specificamente di Extinction Rebellion (conosciuta come XR) e Black Lives Matter. Il caso XR ha rappresentato per me un momento spartiacque nel 2019. Inizialmente ero stato contento dell’emergere di quello che sembrava essere un movimento ambientale radicale, dopo anni di scarsa attività, e sapevo attraverso le connessioni personali che in XR erano coinvolti attivisti genuini. Tuttavia, l’organizzazione si è data la zappa sui piedi lanciando e pubblicizzando un gruppo “XR Business”, attraverso il quale i suoi finanziatori aziendali si sono resi visibili. Molti di questi si sono rivelati essere dell’industria dell’impatto che è così centrale per la nuova economia basata sui dati prevista dal Grande Reset. L’auto-esposizione di XR è stata, guardando indietro, la nostra prima indicazione di ciò che sarebbe seguito nel 2020.

Rising Up, il gruppo dietro XR, è stato infatti finanziato da Edge Fund, insieme a Black Lives Matter. Il fatto che entrambi questi gruppi attraggano senza dubbio sostenitori genuini che pensano sinceramente di fare la cosa giusta, non intacca la realtà della loro totale immersione nella truffa dell’intersezionalità. Un rappresentante di Black Lives Matter UK ha elogiato Edge Fund per aver abbracciato “le questioni dei diritti dei lavoratori del sesso, degli alloggi, del cambiamento climatico, dei diritti LGBTQIA+, della salute mentale, del recupero dalle dipendenze e della giustizia razziale”. Questi sono tutti temi cari ai piani degli investitori d’impatto, che formano la base della loro mercificazione dei nostri problemi e svantaggi e la loro speculazione sul nostro “successo” o “fallimento” nell’affrontarli, come tracciati e valutati attraverso la sorveglianza online permanente nel loro panopticon digitale. È interessante notare che, alla luce dei miei commenti precedenti, anche i gruppi antifascisti sono stati finanziati dai capitalisti d’impatto di Edge Fund…

Quando gli “anarchici” condannano i compagni come “teorici della cospirazione” per aver esposto il sostegno delle grandi imprese al movimento “giustizia climatica”, quando attaccano qualsiasi sfida al culto transgender dell’industria biotecnologica, o qualsiasi messa in discussione dei prodotti sperimentali dell’industria farmaceutica, allora l’agenda aziendale è difficile da ignorare. Sono abbastanza d’accordo che stiamo parlando qui di “una pseudo-sovversione che è in realtà portatrice e promotrice delle esigenze stesse di questo sistema tecno-scientifico e transumanista”.

5. Resistenze al nanomondo: In un tuo testo fai riferimento a queste parole di Gustav Landauer: “Non c’è bisogno di temere la mancanza di rivoluzionari: in realtà nascono da una sorta di generazione spontanea, cioè quando arriva la rivoluzione”3.
Quello che ci chiediamo è come sarà possibile mettere in atto una critica e una lotta all’esistente che vadano fino alle sue fondamenta se non ci sono adeguati strumenti per comprendere cosa ad esempio rappresentano questi sieri genici e, nel complesso, per comprendere le attuali trasformazioni?
I contesti che da sempre hanno considerato marginale o che hanno addirittura deriso una priorità di lotta verso le tecno-scienze adesso si trovano a non avere questi strumenti. Ma anche alcuni contesti che si stavano opponendo all’avanzata della Quarta Rivoluzione Industriale si sono trovati impreparati mettendo in atto di fatto una scissione con la realtà che stavano contestando non opponendosi con adeguata determinazione e forza a questi sieri genici e al più ampio progetto transumanista in cui vanno collocati questi e altri fondamentali passaggi. Eppure pensavamo che, quando i tecnocrati eugenisti e transumanisti dagli altri animali sarebbero arrivati a penetrare e modificare anche i nostri corpi, ci sarebbe stata una forte opposizione. Ma, ripensandoci, anche la notizia delle due bambine modificate geneticamente in Cina era stata accolta come questione marginale, forse perché partiva dalla Cina e non si è voluto vedere che l’Occidente pieno di bioetica fasulla non stava aspettando altro, non per fare uguale, ma per fare meglio.
Perché secondo te si è arrivati a questa situazione?

Paul Cudenec: Sì, è molto frustrante vedere come le persone tendono, di volta in volta e in vari contesti, a fermarsi ad un certo punto e a rifiutare di portare avanti la loro analisi. Non è una questione di essere in grado di educarli, dato che l’informazione è disponibile – semplicemente si rifiutano di riconoscerne l’esistenza! Questo sembra essere tipico della “sinistra”, in generale: ci sono certi tabù ideologici o sociali profondamente radicati che non possono mai essere infranti senza il rischio, forse, di far esplodere il senso di identità personale dell’individuo, che è stato costruito su un certo insieme di presupposti sociali. Il problema, per me, è che troppi non si sono veramente liberati dal pensiero del sistema. Il fatto che adottino posizioni che sembrano sfidare il sistema aiuta solo a renderli ciechi al fatto che rimangono intrappolati all’interno del suo quadro generale della realtà. Come ha scritto Guy Debord nei Commentaires sur la société du spectacle: “L’individuo che è stato segnato più profondamente da questo pensiero spettacolare impoverito che da qualsiasi altro aspetto della sua esperienza si mette al servizio dell’ordine stabilito fin dall’inizio, anche se soggettivamente può aver avuto l’intenzione opposta. Seguirà essenzialmente il linguaggio dello spettacolo, perché è l’unico che gli è familiare, quello in cui ha imparato a parlare. Senza dubbio vorrebbe essere considerato un nemico della sua retorica; ma ne userà la sintassi”.

Nelle nostre società, siamo stati tutti sottoposti a una vita di condizionamenti, a partire dalle nostre famiglie (dove gli altri ci hanno trasmesso i risultati dei loro condizionamenti!) e continuando attraverso la scuola, i media, la lettura – cresciamo e ci definiamo usando i termini e i presupposti che ci sono stati insegnati. Uscire da questo condizionamento non è facile, ma è essenziale se vogliamo essere in grado di pensare dall’interno di noi stessi piuttosto che dalla società esterna, e trovare dentro di noi l’intuizione collettiva naturale che ci è nascosta dalla nostra educazione sociale artificiale. Normalmente raggiungeremmo questo attraverso una successione di fasi – io stesso sono stato molto consapevole di questo processo nel corso degli anni, che ha comportato un distacco di strato dopo strato dell’illusione in cui avevo vissuto. Più sei “istruito” – più hai costruito il tuo senso della realtà sulla versione falsa servita dallo spettacolo – allora più lavoro devi fare per disimparare tutta la falsità accumulata, il che forse spiega perché le persone con idee politiche molto strutturate rimangono incapaci di afferrare certe verità che sembrano ovvie agli altri. Penso che questo sia forse parte di ciò a cui Landauer mirava con la citazione che hai citato. Le persone che pensano di essere rivoluzionarie, che hanno sognato a lungo di essere rivoluzionarie, non sono necessariamente le persone che effettivamente passeranno all’azione quando arriverà il momento! Il loro pensiero è troppo rigido, le loro aspettative troppo precise. Hanno, in effetti, aggiunto ulteriori strati al loro condizionamento – strati “rivoluzionari”! – che li immobilizzano quando il momento del potenziale rivoluzionario arriva in una forma diversa da quella che avrebbero immaginato o preferito. Il lato positivo del punto di Landauer è che la frantumazione delle certezze da parte di una situazione rivoluzionaria rompe i condizionamenti e le inibizioni delle persone precedentemente non rivoluzionarie, spingendole a cogliere il momento e a prendere parte alla rivolta. In momenti potenti come questo, l’inconscio collettivo travolge i soliti tabù sociali e si impossessa degli individui che sono aperti alla sua influenza, che sono guidati principalmente dal loro cuore, potremmo dire, e non sono trattenuti da un intelletto timoroso e ossificato. Penso che possiamo vedere questo fenomeno manifestarsi nelle varie proteste per la libertà, compresa la rivolta dei camionisti canadesi, anche se tutto questo ovviamente non equivale (ancora!) a una rivoluzione.

6. Resistenze al nanomondo: Ultimamente hai scritto: «Ma perché questa rivolta abbia successo, è necessario liberare un ulteriore elemento dal labirinto di menzogne in cui anch’esso è stato a lungo imprigionato.
Questo elemento è il nostro senso del sacro, la nostra connessione con il Tutto, il nostro spirito.
La cultura dominante ha lavorato duramente per soffocare questa dimensione, non solo negando la sua esistenza attraverso la sua moderna mentalità materialista unidimensionale, ma ingabbiandola all’interno delle strutture rigide e senza vita e dei dogmi della religione al servizio del potere e dirottandola in culti o pseudo-spiritualità superficiali che predicano la passività e non rappresentano una minaccia per il suo dominio»4.
Questo tuo rimando alla dimensione del sacro ci fa chiedere come può essere possibile una rivoluzione, collegandoci alla domanda precedente, se non si hanno da contrapporre altri valori a quelli dominanti, se non si ha da contrapporre una visione di mondo essenzialmente altra da quella transumanista e materialista.
In un mondo completamente materialista la paura più forte è quella della morte, paura sulla quale si è retta parte della propaganda attorno alla narrazione su questa pandemia dichiarata. Ed è stata significativa la rimozione dei morti, nell’impossibilità di seppellirli e nell’ultimo saluto negato durante il primo periodo di confinamento in cui era vietato lo svolgersi dei funerali e il poter andare dai propri cari ricoverati.
Ernst Jünger, che hai anche tu ripreso in un altro tuo testo5, aveva messo in luce che «Nessuno è più facile da terrorizzare di chi crede che tutto sia finito quando il suo fugace fenomeno si spegne. I nuovi schiavisti se ne sono accorti, e questo spiega l’importanza per loro delle teorie materialistiche…».
La cancellazione dei riti porta alla disgregazione di una comunità che si regge anche su una dimensione del sacro. E, in ultima istanza, la desacralizzazione dell’esistenza e la cancellazione del sacro rende il vivente disponibile alla predazione e manipolazione tecnoscientifica, riprendendo queste tue parole: «Il sacro non è “lassù” e non abbiamo bisogno di sedicenti intermediari per entrare in contatto con esso. È dentro ogni essere vivente»6.
La cancellazione della dimensione del sacro ha ripercussioni anche sulle analisi critiche che, se prendono in considerazione solo il piano economico, rinchiudendosi nei meri dati, diventano incapaci di cogliere un più ampio piano di orizzonte di senso e di assoggettamento con le sue conseguenze che vanno oltre al piano prettamente materiale. Lo scopo non può essere ridotto al mero profitto, ma è proprio la realizzazione di una precisa visione di mondo transumanista. Da anni scriviamo che il problema non sta solo se l’esperimento raggiunge il risultato prefissato – e con le tecno-scienze il mondo intero e gli stessi corpi sono diventati dei laboratori viventi – ma nel percorso per raggiungere quel risultato: in questo percorso viene resa possibile l’idea di poter manipolare e artificializzare il vivente e nel mentre qualcosa si trasforma e si perde in maniera irreversibile. Siamo arrivati alla presa dello spirito per la chiusura del cerchio del totale dominio e per la totale trasformazione antropologica e ontologica dell’umanità.
Cosa pensi di questo?

Paul Cudenec: Infatti. Molto ben detto. E come dici tu, questa è la continuazione della domanda precedente. La rimozione della falsità, che stavo descrivendo, inizia a livello sociale o politico, ma progressivamente si avvicina al nucleo stesso del nostro essere. L’ultimo strato di illusione da scrostare è quello della nostra individualità che è la radice della nostra esistenza. Questa scoperta, che è la base di ogni autentica spiritualità, può rafforzare la nostra resistenza in due modi. In primo luogo, come dice Jünger, elimina la paura della morte individuale che limita tanto il nostro coraggio di agire. In secondo luogo, ridefinisce tutta la nostra visione di chi siamo e di quale sia lo scopo della nostra vita. Direi che il semplice vivere – essere vivi ed essere coscienti di essere vivi – è una parte di questo scopo, poiché è solo attraverso le sue parti costitutive che l’organismo universale complessivo può sperimentare la propria esistenza fisica. In altre epoche della storia umana, solo questo poteva essere visto come il senso della vita. Ma ognuno di noi ha anche lo scopo di agire per conto di quell’insieme, di permettere a noi stessi di servire da veicolo per l’organismo universale di cui siamo solo una parte (sebbene dotata della soggettività cosciente necessaria per la nostra vita pratica quotidiana). Lo scopo della vera spiritualità, come sottolinea Sri Aurobindo, non è semplicemente diventare consapevoli di questa appartenenza cosmica, o withness come la definisco nel mio ultimo libro, ma permettere che guidi le nostre azioni ad ogni livello. Paradossalmente, dobbiamo trovare una grande forza individuale per intraprendere questo processo di superamento dell’individualità. E, di nuovo paradossalmente, una volta che ci siamo spogliati del nostro ego per diventare avatar del tutto cosmico, diventiamo individui molto potenti.

Sono d’accordo che non riusciremo mai a rovesciare il sistema di morte che ci schiavizza se rimaniamo sul piano puramente politico e non fondiamo la nostra resistenza su questa trasformazione spirituale potenziante: è l’unica arma che possediamo che ci può permettere di affrontare l’immenso potere fisico del sistema. Ma ci aspetta un compito difficile, quello di incorporare questa dimensione spirituale nella nostra lotta politica, perché le ideologie radicali generalmente non solo trascurano questo elemento, ma lo rifiutano attivamente, costruendo addirittura le loro prospettive fondamentali su una base che esclude definitivamente questa possibile dimensione. Le loro “teorie materialiste”, per usare le parole di Jünger, sono inoltre solo uno dei mezzi con cui il potere organizzato ha cercato di impedire l’emergere di un’opposizione risvegliata spiritualmente, che sa che potrebbe minacciare il suo controllo. Incoraggia il dogma religioso che definisce la divinità come un’autorità ultima piuttosto che la nostra identità ultima, insieme a discipline spirituali degenerate che promuovono il disimpegno dal mondo come obiettivo finale dell’auto-realizzazione, tentando così di allontanare anche le persone di mentalità spirituale da una forma autentica e potenziante di metafisica.

Per quanto riguarda i valori che sosteniamo, questi scaturiscono dal punto di vista della nostra coscienza metafisica. Vediamo chiaramente l’unità dell’esistenza, i modelli e l’ordine che formano la struttura della materia, della natura, del corpo umano e della mente umana, delle nostre culture, del nostro pensiero, del nostro sogno. Tutti i tentativi di ridurre la vita, di dominarla, inquinarla o controllarla, si rivelano come gli abomini che sono. Come avatar coscienti del tutto organico, sappiamo intuitivamente, senza esitazione, che il nostro compito è quello di allontanare queste minacce tossiche in ogni modo possibile, al massimo delle nostre capacità. In un’epoca di pericolo, non può esserci altro significato per il nostro vivere che questo.

7. Resistenze al nanomondo: «Da una parte c’è il sistema neoliberista, radicato nell’élite politica locale e nazionale, che è sempre felice di sacrificare la terra a beneficio della crescita, dello sviluppo, del profitto. Dall’altro lato c’è un altro modo di pensare, un modo di pensare contadino, un modo di pensare molto più antico che paradossalmente oggi è spesso rappresentato dalle generazioni più giovani»7.
Questi anni di dichiarata emergenza sanitaria per le élite trasnazionali al potere e per gli stati chiamati poi ad eseguire i programmi sono stati delle vere e proprie scuole per verificare nel vivo le fasi della loro “distruzione creativa” usando le parole di Mario Draghi. Questo, pensiamo, avrebbe dovuto esserlo anche per chi vuole sovvertire il mondo macchina, in quanto gli ultimi anni hanno delineato anche con chiarezza la degradazione a cui è giunto l’essere umano. Una cosa evidente, almeno qui in Italia, è stata come l’insofferenza verso quello che sta avvenendo sia derivata non da persone giovani, ma quasi sempre da adulti. La percezione che noi abbiamo è che il potere sapeva che ad ostacolarlo ci sarebbe stata soltanto questa piccola parte di popolazione, destinata a scomparire, se pensiamo agli anziani in molti casi ancora isolati nelle RSA: una memoria che non deve lasciare traccia. Le nuove generazioni di giovani invece, immerse nel virtuale, che in molti casi non hanno memoria di come poteva essere una relazione non mediata dal virtuale, sono già pronte per il Metaverso. Intendiamoci, anche i giovani hanno e continuano a soffrire tantissimo per il clima emergenziale pandemico, ma questo non si trasforma in rabbia e rivolta, ci pensano le frotte di psichiatri scolastici a convogliare altrove questi sentimenti, magari precocizzando il corredo degli psicofarmaci. Cosa ne pensi di questi aspetti, partendo da quello che scrivi tu e di cui abbiamo citato alcune righe e pensi sarà ancora possibile una memoria viva e reale di cosa significhi libertà, natura ed essere umano in questa erosione di senso?

Paul Cudenec: Il passaggio che citi è tratto da un articolo che ho scritto nel 2015 sull’ondata di resistenza anti-industriale in Francia, in ZAD come quelle di Notre-Dame-des-Landes e Sivens. Queste lotte coinvolgevano molto i giovani che reclamavano, in forma contestabile, i valori contadini dei loro nonni o bisnonni. È vero che questo movimento è meno visibile oggi: Ho il sospetto che sia stato in gran parte assorbito dai Gilets Jaunes e dal movimento per la giustizia climatica che, in Francia, ha un’ala radicale non corporativa.

Purtroppo è vero che, nel complesso, i giovani sembrano attualmente meno aperti a mettere in discussione la tecnica nel suo complesso, senza dubbio perché la loro intera comprensione della realtà è stata costruita su un’esperienza di internet, telefoni cellulari, giochi e così via. Ma resto ostinatamente convinto che questo potrebbe cambiare molto rapidamente! Perché? Perché questa dipendenza dai giocattoli e dagli strumenti del sistema tecnocratico è solo superficiale; occupa solo il loro cervello e non il loro cuore. Ci sarà necessariamente una reazione contro la tecno-tirania che si è rivelata così chiaramente dal 2020 e questo si manifesterà necessariamente nella generazione più giovane. Penso in particolare alla generazione che non ha ancora raggiunto la maggiore età, la cui visione del mondo non è ancora stata interamente plasmata. Avranno sperimentato l’incubo newnormalista direttamente, nelle loro scuole e nelle loro case, e avranno anche sentito e assorbito le opinioni critiche degli adulti intorno a loro: i semi sono già stati piantati. Molti di questi giovani cercheranno anche ora di dare un senso a ciò che vedono accadere intorno a loro, cercando informazioni rilevanti, scambiando opinioni con i loro coetanei. Insieme a questo ci sarà il senso del giusto e dell’etico, l’amore per la giustizia e la libertà che è innato nella specie umana e che riaffiorerà sempre, in forme superficialmente diverse, nello spirito di ogni nuova generazione. Penso che il Grande Reset potrebbe essere la scintilla per una potente rinascita di questo spirito di vita tra milioni e milioni di giovani. E la loro energia giovanile e il loro idealismo significheranno che questo non apparirà solo sotto forma di critiche teoriche, ma come una vibrante e epocale rivolta della vita reale contro la tecnocrazia e in difesa della natura e della vita e della libertà umana.

8. Resistenze al nanomondo: «Il guscio della sinistra, una stantia crosta ideologica fabbricata per limitare la ribellione piuttosto che per rafforzarla, si sta spaccando»8.
«Questi ‘sinistra’ fraudolenti e spregevoli hanno commesso crimini eclatanti e tradito l’umanità. […] Da un lato, la sinistra rivoluzionaria deve definirsi, separarsi dalla ‘sinistra’ corrotta e porsi come una forza rivoluzionaria più forte con il popolo in tutti i campi di lotta contro la tirannia e l’oppressione.
D’altra parte, al di là del paradigma sinistra-destra, se vogliamo sconfiggere l’agenda globale di schiavitù e genocidio, dobbiamo unirci sulla base della nostra comune umanità. Tutto ciò che di arbitrario ci divide non è più rilevante.
L’esposizione della falsità della falsa “opposizione” di sinistra ci offre un’opportunità senza precedenti per reimmaginare la nostra resistenza da zero. […] La nostra resistenza sarà completamente contro questo sistema e tutto il suo pensiero e le sue infrastrutture»9.
Riteniamo questi tuoi pensieri molto importanti per aiutare ad uscire dal laghetto artificiale – non parliamo di stagno visto lo splendido ambiente biodiverso che questo rappresenta – in cui è sprofondato il pensiero critico e quindi anche la resistenza ai tempi presenti.
Sembra di parlare con retorica rivendicando un’unione sulla nostra comune umanità, ma oggi ad essere in gioco è proprio la nostra stessa umanità. E nell’universo fluido che si va creando sovvertire il potere avrà lo stesso significato di adesso? Ti andrebbe di approfondire tutte queste questioni, magari anche con le tue ultime riflessioni?

Paul Cudenec: Penso che ciò che è cambiato dal 2020 è la chiarezza con cui possiamo vedere la vera identità della sinistra. Questa realizzazione mi ha lasciato, come molti altri immagino, in una strana posizione. Sono ancora motivato da principi che sono generalmente considerati di sinistra, ma mi sento completamente alienato dalla sinistra come è attualmente costituita. Improvvisamente mi sembra strano che io abbia mai potuto considerarmi dalla stessa “parte” generale di persone che credono sia nel potere dello stato (anche uno stato mondiale!) che nel dominio della tecnica avanzata sotto la bandiera del cosiddetto Progresso. Queste persone non sono miei alleati ma miei nemici, come loro stessi hanno chiarito attraverso i feroci attacchi e le calunnie su coloro che condividono la mia posizione sul golpe di Covid. Guardando indietro nella storia, mi chiedo se questo non sia sempre stato il caso – possiamo vedere inquietanti paralleli tra il finanziamento capitalista dei bolscevichi, per esempio, e il finanziamento odierno delle organizzazioni “radicali” da parte più o meno delle stesse entità finanziarie. Questi dettagli completano molto bene tutte le critiche ideologiche che faccio da tempo alla sinistra e a certi anarchici, lasciandomi l’impressione generale che sia necessaria una rottura completa. Ovviamente, non si tratta di lasciare la sinistra per unirsi alla destra, perché è proprio questo inquadramento e limitazione della possibilità politica che bisogna sfuggire. Le stesse questioni che rivelano l’incompatibilità del nostro pensiero con quello della sinistra generale ci indicano anche i pilastri su cui possiamo costruire quella che deve essere una nuova forza storica di resistenza: il rifiuto del potere e della Technik. Questo progetto di decentralizzazione, deindustrializzazione, riconnessione e riumanizzazione si baserà sui modi naturali di essere e di pensare derisi come “reazionari” dai nostri oppositori vitafobici. Per permettere a questo nuovo movimento di realizzare il suo vero, vasto, potenziale, dovremo abbandonare il vocabolario politico esistente, che è sovraccarico di confusione e non è una lingua in cui possiamo esprimerci nel modo necessario. Il nostro terreno dovrà anche essere molto più ampio e profondo dell’attuale discorso politico, comprendendo tutte le forme attraverso le quali l’anima umana trova la propria espressione (poesia, arte, musica, danza, rituale, mito, narrazione…) e includerà regni molto al di là della comprensione attuale di ciò che la “politica” è e potrebbe mai essere. Dovrà essere immaginativa, spirituale, olistica, gioiosa, triste, umoristica, arrabbiata, provocatoria e, soprattutto, visionaria: vivendo e agendo nel presente, troverà le sue radici nel passato e fisserà il suo sguardo sul futuro.

Marzo 2022
Paul Cudenec: www.winteroak.org.uk
www.network23.org/paulcudenec/
Resistenze al nanomondo:
www.resistenzealnanomondo.org

Pubblicata in L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2020

1Controlling the left: the impact edgenda, 2021, https://winteroak.org.uk/2021/02/10/controlling-the-left-the-impact-edgenda/

2Rebellion extinction a capitalism scam to hijack our resistance, 2019, https://winteroak.org.uk/2019/04/23/rebellion-extinction-a-capitalist-scam-to-hijack-our-resistance/

3The healthyones, the fighters, 2021, https://winteroak.org.uk/2021/05/28/the-healthy-ones-the-fighters/

4Unleashin the spirit of life, 2021, https://winteroak.org.uk/2021/06/17/unleashing-the-spirit-of-life/

5R is for Resistance, in Yhe Acorn, n.69, 2021, https://winteroak.org.uk/2021/11/22/the-acorn-69/#3

6Unleashin the spirit of life, 2021, https://winteroak.org.uk/2021/06/17/unleashing-the-spirit-of-life/

7The French resistance will prevail, 2021, https://winteroak.org.uk/2021/08/29/the-french-resistance-will-prevail/

8Resistence: rupture and rebirth, 2022, https://winteroak.org.uk/2022/02/21/resistance-rupture-and-rebirth/

9Resistence: rupture and rebirth, 2022, https://winteroak.org.uk/2022/02/21/resistance-rupture-and-rebirth/

L’inevitabile assedio dell’essere umano è pronto da tempo. Dalla presa dei corpi alla presa dello spirito. Leggendo Ernest Jünger.

L’inevitabile assedio dell’essere umano è pronto da tempo.
Dalla presa dei corpi alla presa dello spirito.
Leggendo Ernest Jünger.

«L’orbe terrestre è coperto dalle macerie di immagini in frantumi. Noi assistiamo a un declino paragonabile soltanto alle catastrofi geologiche»1.

Nel 2016, nella presentazione di Resistenze al nanomondo, scrivevamo:

«L’ingegneria genetica va di pari passo con l’ingegneria sociale, dove il vivente viene snaturato della sua stessa essenza e dove questo “uomo nuovo” deve essere il miglior custode della gabbia».

Le tecnoscienze sono già da tempo penetrate nel vivente e nella materia producendo modificazioni a livello genetico e atomico, giungendo al tentativo di ricostruire la vita in laboratorio attraverso biologia sintetica e Intelligenza Artificiale. Gli ultimi arrivati sono gli Xenobot: cellule staminali di rana composte dai ricercatori seguendo le indicazioni degli algoritmi. Una vita non vita: non creata dai ricercatori – la vita non si crea in laboratorio – ma da loro assemblata secondo i calcoli dell’Intelligenza Artificiale.

Adesso, i tecnocrati eugenisti e transumanisti, dopo aver modificato geneticamente i corpi degli altri animali e aver reso possibile l’idea della modificazione genetica dell’umano, dopo aver innestato circuiti elettronici negli altri animali e aver reso possibile l’idea di innestarli nell’umano, dopo aver costruito attorno all’umano un’architettura sociale tecnica e una rete algoritmica, si apprestano a realizzare definitivamente un loro obiettivo di sempre: la completa estirpazione del senso di identità, la lacerazione e la soggiogazione dello spirito più profondo dell’essere umano, verso la cancellazione del senso stesso di umanità.

Dall’ingegneria genetica e dall’ingegneria sociale arriviamo a un’ingegneria dell’anima: un’anima scalfita, lacerata, violata porta unicamente a un essere umano che non è più tale. Illuminante in tal senso il discorso di Iosif Stalin a casa di Maxim Gorky pronunciato il 26 ottobre del 1932: «La produzione di anime è più importante di quella dei carri armati. […] Spetta agli ingegneri di anime forgiare il nuovo uomo sovietico»2.

Jünger aveva già intuito quel processo che dalla presa dei corpi sarebbe arrivato alla presa dello spirito per il definitivo assedio dell’essere umano: «L’inevitabile assedio dell’essere umano è pronto da tempo, e a disporlo sono teorie che tendono a una spiegazione logica e completa del mondo, e avanzano di pari passo con il progredire della tecnica»3. E osservando uno scarabeo spagnolo ricorda che: «Tutto ciò che è estimabile e valutabile vive dell’inestimabile, così come tutto ciò che è visibile vive dell’oscurità, ogni misura vive dell’incommensurabile, ogni sentiero vive della foresta selvaggia, e di silenzio ogni parola»4.

Mondo macchina, mondo laboratorio, transumanesimo, ingegnerizzazione di ogni dimensione del vivente: tutto ciò che da sempre abbiamo combattuto, che sottendono la medesima ideologia e il medesimo paradigma di pensiero a cui si può contrapporre solo un’opposta visione di mondo.

Due opposte visioni di mondo, di vivente, di natura, di essere umano si scontrano e in questo scontro non è possibile dialogo, compromesso, confusione, dubbio, indecisione. Ed è necessaria una scelta di campo. Ci sono dei nodi attorno cui non è possibile discussione, così come non è possibile discutere in merito alla possibilità della vivisezione animale e umana o alla possibilità di modificare geneticamente un essere vivente. Esistono degli a priori: a prescindere dalle conseguenze, a priori ci opponiamo a queste pratiche, a prescindere ci opponiamo alla visione di mondo che queste pratiche portano e comportano.

Jünger intuisce il paradigma del laboratorio che prevede di imbrigliare la vita e di ridurla al regno del quantificabile: «nell’impulso museico si dimostra l’elemento morto implicito alla nostra scienza, e cioè a sistemare nell’ambito dell’immobile e dell’invulnerabile ciò che è vivo, e forse anche di formare un enorme catalogo materiale, penosamente ordinato, che dia fedele specchio alla nostra vita»5.

Le Api di vetro, romanzo di fine anni ‘50, è una lucida anticipazione dei tempi moderni. Il protagonista è uno degli ultimi testimoni di un’epoca ormai passata, un mondo antico con altri significati che stava scomparendo. Il mondo nuovo è popolato da congegni meccanici, con una robotizzazione e una automazione dell’esistenza stessa, un’artificializzazione del vivente e il delirio transumano di correggere, riprogettare e ottimizzare la natura: «Non era l’azzurro del cielo, non era l’azzurro del mare, non era l’azzurro delle pietre: era un azzurro sintetico, escogitato in luoghi molto lontani da un maestro che voleva superare la natura»6.

Le api robot che con violenza meccanica predano tutto il nettare dei fiori sono il simbolo dello sviluppo tecnoscientifico che non lascia possibilità di scampo per l’umano e la natura.

«Il colpo fu assestato da molto tempo, e dove lo si ritiene un progresso della scienza, fosse pure sulla luna, esiste una lesione. La perfezione umana e il perfezionamento tecnico non sono conciliabili. Se vogliamo l’una, bisogna sacrificare l’altra; a questo punto le strade si separano. Chi di questo è convinto, sa quel che fa in un senso o nell’altro. Il perfezionamento mira al calcolabile, e il perfetto all’incalcolabile. Intorno a meccanismi perfetti irraggia perciò uno splendore orrido, ma anche affascinante. Provocano lo sgomento, ma anche un orgoglio titanico, che soltanto la catastrofe e non il discernimento può piegare. Lo sgomento, ma anche l’entusiasmo che suscita in noi lo spettacolo di perfetti meccanismi, sono il contrario esatto della soddisfazione con cui ci rasserena lo spettacolo di un’opera d’arte perfetta. Intuiamo la minaccia alla nostra integrità, alla nostra simmetria. Che braccia e gambe vengano messe in pericolo, non è ancora il peggio»7.

Da sempre mettiamo in guardia dai falsi oppositori. Oggi, più che mai, è essenziale riconoscere i falsi critici o chi, con una critica parziale è di fatto funzionale al grande resettaggio in corso. E non è possibile critica alcuna all’esistente macchina transumana e transnatura se ci si colloca nel suo stesso orizzonte di senso e di valori. Una fascinazione per le tecnoscienze e per le modificazioni dei corpi può solo riaffermare quel paradigma di laboratorio da cui è prodotta.

«I pensatori del nulla constatano una sfilza di demolizioni di tutto ciò che è umano e se ne rallegrano»8, spianano la strada all’invasione tecnoscientifica e «annunciano con gioia l’avvento dell’uomo in frantumi, di un essere vuoto e superficiale la cui esistenza frivola e meccanica è vista come l’espressione stessa della creatività e della libertà»9.

Da tempo notiamo che alcune chiavi di lettura non sono in grado di comprendere le trasformazioni in corso, le loro conseguenze e le mete che transumanisti ed eugenisti vogliono raggiungere. La lente interpretativa che si focalizza su un maggiore controllo da parte degli apparati statali risulta quanto mai riduttiva, non solo nella comprensione del ruolo dello Stato, subordinato ai poteri delle Big Tech e dei padroni universali, ma anche incapace di cogliere il piano della gestione e programmazione algoritmica dell’esistenza e il piano dell’artificializzazione di ogni dimensione del vivente. La lente interpretativa materialista che si focalizza sui dati, sui calcoli, sulle previsioni risulta non solo riduttiva, ma incapace di cogliere un più ampio piano di assoggettamento e le sue conseguenze che non si possono ridurre a un mero calcolo e a un piano prettamente materiale.

Ai loro calcoli non si possono contrapporre altri calcoli – nel medesimo regno della quantità – in un’ottimistica previsione in cui non ce la faranno mai a realizzare i loro progetti. In tutto questo sfugge quello che, nel mentre, irrimediabilmente si trasforma, che irrimediabilmente si perde.

Con queste lenti di interpretazione sfugge l’attacco ai corpi tutti, alla loro dimensione di indisponibilità e inviolabilità, sfugge l’attacco alla dimensione del sacro e al senso stesso di umanità, allo spirito più profondo di quello che significa restare umani.

Con sacro intendo quella dimensione del vivente, dei suoi tempi, dei suoi equilibri non totalmente decifrabile, controllabile e imbrigliabile nella razionalità prima meccanicistica e poi algoritmica. Un senso diverso dalla presunzione dello sguardo razionale e tecnico sul mondo che mira a piegare a sé, a proprio uso e consumo, ogni manifestazione del vivente.

La linea da tracciare netta deve essere etica, per quanto riguarda le Scienze della vita non è possibile applicare il criterio dell’utile. Innanzitutto bisognerebbe chiedersi Utile a chi? E con che prezzo per la Terra, gli altri animali e per altre popolazioni? Ma, in ogni caso, il ragionamento da fare è: se anche fosse utile, a priori, ci opponiamo a tale pratica senza una discussione, perché non è possibile una discussione. L’affermare che in una società diversa spetterà alla comunità decidere se utilizzare ad esempio l’ingegneria genetica non per il profitto, ma per il bene dell’umanità, presuppone – oltre a un’estrema ingenuità o a una fascinazione per le tecnoscienze che trasuda di transumanesimo – che si possa discutere in merito a ciò che riteniamo indiscutibile. Si potrebbe mai discutere sulla possibilità di aprire il cranio a un macaco? Anche se fosse utile per l’umano, noi ci poniamo comunque fuori da questo criterio di utilità e affermiamo con forza che siamo contro tale pratica di tortura per motivi prettamente etici. Inoltre non si comprende un punto centrale: la nostra visione di mondo non può essere essenzialmente altra rispetto a quella che sottende il mondo delle tecnoscienze e del transumanesimo.

Un tempo dicevamo che qualsiasi individuo, posto spalle al muro come un animale braccato, avrebbe reagito tirando fuori le unghie. Ma, come scrive Jünger, «La condizione dell’animale domestico si porta dietro quella della bestia da macello»10.

Da tempo, la vita è ridotta non solo a mera sopravvivenza, ma a una non vita, a un simulacro di esistenza. Nell’ordine cibernetico la continua e spasmodica automisurazione di sé rende la vita mera funzione perennemente monitorata dagli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale. La vita entra così in un altro orizzonte, in un altro ordine di senso, di significato, di temporalità. Intrappolata nelle previsioni algoritmiche in tempo reale si sgancia dal passato, da una continuità storica, da «un’ereditarietà e tradizione»11, le stesse, seguendo il pensiero del filosofo coreano Byung-Chul Han, in grado di reggere la vita e renderla autentica. Il significato di una tradizione non è nella sua espressione specifica, ma nel suo contenuto oltre la superficie che si ricollega ad altre tradizioni e a significati altri, una sotterranea radice comune che, nelle differenze, accomuna tutte le comunità.

L’essere umano, ridotto a spettro, può solo vagare tra le rovine, le macerie e i deserti. Come evoca Zarathustra: «il deserto cresce, guai a colui che in sé cela deserti»12, ripreso da Jünger, che a sua volta ci mette in guardia: «guai a chi non porta con sé, anche solo in un’unica cellula, quel tanto di sostanza originaria che assicura continuamente nuova fertilità»13.

Oggi assistiamo a una desertificazione del pensiero e a un deserto della stessa critica: una società di mere opinioni che rimangono sulla superficie senza la volontà, e senza la capacità, di addentrarsi in una profonda comprensione. In ambito critico le riflessioni parziali e cieche scivolano senza la forza di radicarsi e di permanere, senza riuscire a porre un freno all’avanzata del mondo macchina.

Siamo di fronte all’ultimo uomo.

Un essere umano che ha paura della vita, dei suoi imprevisti e di quello che può sfuggire dai calcoli degli algoritmi, che cerca solo ciò che sarà concepito come benessere e sicurezza, cullato dal comfort. Un tale siffatto essere umano non si potrà più assumere nessun rischio, nessuno sforzo, nessun impegno duraturo. A cosa serve sforzarsi se la via da seguire la indicano gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale?

Un essere umano immerso e attraversato da una cultura della morte e della cancellazione. Un essere poroso, che assorbirà in sé l’odio per la vita in ogni sua manifestazione, ma innalzerà la salute tecnomedicalizzata a nuovo paradigma, con un’ossessione per la morte e un’isteria della sopravvivenza in una società di non morti. E nella preoccupazione rivolta unicamente alla sopravvivenza l’individuo diventa come il virus, questa creatura non morta che si limita a sopravvivere senza vivere.

Un individuo che, come ogni fluido, può assumere qualsiasi forma che gli si vorrà far assumere. Non è un caso che il fluido rappresenti l’antitesi della densità, di ciò che dura, che permane, che non muta, che resiste e che fornisce appiglio.

L’essere umano, fluido che scivola e al contempo superficie levigata su cui tutto scivola, non è in grado di afferrare e trattenere più nulla. Senza punti fermi, senza appigli e senza quei valori a cui ritornare e da contrapporre al mondo macchina.

Promessa, fedeltà, vincolo, legame oggi sono parole vuote quando in realtà «essere liberi non significa essere privi di legami e di vincoli. Non è l’assenza di legami e di radici a rendere liberi, ma la presenza di legami»14.

Viviamo il tempo della desacralizzazione dell’esistenza. La cancellazione del sacro, del suo spazio e della sua dimensione inviolabile rende il vivente, nella sua totalità, disponibile. La sinistra progressista ha sostituito la sacralità del vivente con la dignità della persona, che comporta il dare valore non al vivente in sé, bensì a ciò che viene di volta in volta determinato dal paradigma tecnoscientifico ed eugenista. Una desacralizzazione del vivente che trasuda di transumanesimo in cui l’umanità e l’intero vivente devono essere continuamente riconfigurati: il fine del transumanesimo è un fine che si sposta sempre più in là, un immaginario che porta l’umano a concepirsi come un organismo eternamente incompleto.

Altri animali vengono imprigionati, torturati, vivisezionati, ingegnerizzati, riprodotti in serie per essere uccisi in un sistema industriale di morte. Giunti a questo punto di degradazione morale e di insensibilità verso un altro vivente, cosa potrà arrestare la trasposizione di questo stesso processo dagli altri animali non umani agli animali umani? Si predano corpi vivi definiti morti15, si acquistano bambine e bambini, si commerciano gameti, si utilizzano feti umani, si sperimenta su embrioni, si creano embrioni chimera. A questo punto perché i corpi dovrebbero essere ancora considerati un valore in sé? E perché il vivente, in ogni sua dimensione, espressione, manifestazione e fase di sviluppo dovrebbe essere considerata un valore in sé?

«E ditemi se resta ancora qualche tortura, per questo vecchio corpo senz’anima, morto fra i morti»16.

Il senso di sacralità fonda un legame tra il sé e la comunità, tra sé e il mondo.

«I riti sono processi dell’incarnazione […] vengono iscritti nel corpo, incorporati, cioè interiorizzati mediante il corpo. Così i riti creano una conoscenza e una memoria incarnate, un’identità incarnata, un legame incarnato»17. Ogni comunità ha una dimensione corporea e una dimensione spirituale, e tesse un legame corporeo e spirituale con il luogo in cui vive. Attraverso i riti la comunità si riconosce e riconosce il proprio posto nel mondo oltre al momento contingente.

I riti concorrono a radicare e a far perdurare un’esistenza singola in un tempo, in un territorio, in una comunità. Creano lo spirito di una comunità radicata. Creano un legame oltre alla contingenza, un riconoscimento di ciò che permane oltre il nostro tempo. Creano un ritmo comune in rapporto alle cose, al tempo, al mondo naturale, agli altri esseri viventi, permettono una risonanza.

Il silenzio che accompagna i riti fonda una «comunità senza comunicazione»18, a differenza dei tempi di oggi contraddistinti da una «comunicazione senza comunità»19. Oggi il silenzio è assordante e vuoto, il silenzio di una comunità tradizionale è denso di significati e di risonanze.

I riti corrispondono a una diversa esperienza del tempo e aprono a un diverso sentire del tempo: un tempo ciclico con i suoi riti di passaggio e di chiusura. Un ritmo che si compone di periodi e cicli, ciascuno con un significato. Un tempo ciclico, un eterno ritorno, una «danza circolare del mondo»20 di «terra e cielo, divini e mortali»21, con un «accordo silenzioso delle stagioni»22 e la loro «risonanza che perdura»23, un «andirivieni»24 che genera una durata, che permette un poter trattenere le cose perché anch’esse trattengono i «riferimenti duraturi del mondo»25. Nulla svanisce, nulla si frammenta. Non era possibile una dissociazione dalla realtà, non era possibile perdere sé stessi nel mondo: la propria identità era ancorata al mondo denso di significati.

In una non vita l’umano è oggi attorniato da non cose in un tempo che non è più un tempo, un tempo vuoto da riempire compulsivamente, un tempo leggero come la non vita. Solo la densità del tempo con i suoi legami è in grado di reggere il peso dell’esistenza.

Si dovrebbe sentire il peso delle conseguenze del mondo macchina, come una costante, che è sempre li, come un crampo allo stomaco, che produce la giusta angoscia, la giusta rabbia. Per sentire sempre, davanti agli occhi e dentro la carne, la via da percorrere per contrastare questo esistente con lucidità e determinazione.

Un’esistenza in grado di resistere deve essere ancorata, radicata, durevole, definita. Caratteristiche che non trovano significato e corrispondenze nei tempi di oggi caratterizzati dalla fluidità, in cui tutto è scorrevole, effimero, momentaneo, instabile, indefinito e nebuloso. L’ordine cibernetico che non ammette perturbazioni è la società del positivo in cui ogni cosa deve essere livellata, senza spigoli e senza scosse. Tutto è esposto, trasparente, pornografico; tutto è compulsivamente consumato ed istantaneo; tutto è scomposto, volatile, rarefatto e inconsistente.

L’universo tecnologico è un unico orizzonte di senso in cui l’unica verità è quella tecnica: «È un universo fatto di assurdità lanciato a piena velocità verso nuove assurdità»26. L’ossessione del cambiamento continuo in cui nulla è fatto per durare, la spinta a fare sempre più velocemente, la standardizzazione e universalizzazione attraverso gli sviluppi tecnici al fine di controllare, gestire, indirizzare e modellare ogni cosa: questi paradigmi descritti da Jacques Ellul non sono dei prodotti delle rivoluzioni industriali, ma sono il motore operante della tecnicizzazione totale della società e dell’essere umano.

La scienza moderna e la tecnicizzazione hanno portato al disincanto del mondo, a un mondo e a un essere umano disincantato e in ultima istanza disumanizzato. Reincantare l’umano significa restituirgli la dimensione del pensiero, della consapevolezza di quello che si sta perdendo e di quello che si trasformerà irrimediabilmente. E come ci insegna Simone Weil: «Il passato distrutto non torna mai più. La distruzione del passato è forse il delitto supremo. Ai nostri giorni, la conservazione di quel poco che resta dovrebbe diventare come un’idea fissa»27.

Una visione spirituale dell’esistenza portava ad avere un senso diverso di questa, a valutare diversamente gli eventi, a dare importanza a ciò che per i più è senza valore e a ignorare ciò che per i più è considerato importante. Il cambio di prospettiva porta a un cambiamento esistenziale di fronte alla stessa esistenza.

Il mondo moderno è una società senza dolore, ma il dolore regge l’esistenza.

«Il dolore regge la felicità. […] Ogni intensità è dolorosa. La passione unisce il dolore e la felicità. […] Se il dolore viene soffocato, ecco che la felicità si appiattisce riducendosi a un apatico torpore. La felicità resta inaccessibile a chi non è aperto al dolore»28.

«Il dolore viene respinto ai margini per fare spazio a un benessere mediocre»29.

Il dolore, la sofferenza, la malattia, la morte non possono far parte dell’ordine cibernetico, rappresentano dei disturbi. I calcoli degli algoritmi producono un’anestesia verso i nostri corpi e verso la stessa realtà: una cancellazione della sensibilità, della coscienza e del dolore. Il dolore deve rientrare in un paradigma medico, deve essere medicalizzato ed estirpato.

L’anestesia del dolore corre parallela alla perdita di significato del sacrificarsi per un’idea, per un mondo altro, per una lotta, anche se disperata, anche se senza scampo, con quel coraggio che contraddistingue un vivere ostinatamente contro.

Il dolore cede il passo alla paura, a un particolare modo di avere paura che contraddistingue l’uomo moderno. L’essere umano è sempre più impaurito: «La grande solitudine dell’individuo è uno dei segni che contraddistinguono il nostro tempo. Egli è circondato, anzi, assediato dalla paura»30 ci insegna Jünger.

La storia delle società potrebbe essere anche la storia delle paure che la caratterizzano e su come l’umano si rapporta ad esse, ma soprattutto di come il potere produce e gestisce la Paura, cosa alquanto diversa dalle paure che da sempre contraddistinguono l’umano. Le paure oggi non vengono comprese, ascoltate, attraversate, trasformate, affrontate, vengono medicalizzate e psichiatrizzate. La Paura diventa fobia. E il potere crea ed alimenta una Paura irrazionale che viene continuamente alimentata dall’essere posti in uno stato di perenne confusione.

In tempi lontani si aveva paura degli animali selvatici, delle forze naturali o delle punizioni degli dei. La paura, il dolore, la malattia, la morte erano parte organica del mondo. Una visione spirituale della vita collocava l’individuo in una dimensione che gli permetteva di comprendere e accettare il dolore e la morte come parte essenziale per il ciclo della vita. L’individuo sentiva di far parte integrante di un destino più ampio, quello della sua famiglia, della sua comunità e della natura stessa in un eterno ciclo di vita-morte.

La morte medicalizzata è estromessa dai cicli della natura di cui un tempo l’essere umano ne aveva quotidiana esperienza: il ciclo seme-pianta-vita si collegava al ciclo della vita e della morte. I cicli delle stagioni erano come i cicli della vita, oggi invecchiare è segno di debolezza e malattia nel delirio transumano di voler rimanere eternamente giovani e di poter decidere chi voler diventare.

In assenza di un destino collettivo la morte diventa intollerabile e l’essere umano muore solo.

Non si è più padroni della propria vita, ma nemmeno della propria morte. Un tempo l’essere umano presiedeva alla sua morte, accompagnato dai suoi cari e dalla comunità, oggi si muore soli in un’asettica stanza di ospedale e il morente, intubato e monitorizzato, è espropriato della sua morte. Una morte che è nelle mani dei tecnici.

Oggi non si muore, si perisce intempestivamente: «se la vita è privata di ogni forma di compiutezza di senso, finisce in modo intempestivo»31.

In un mondo completamente materialista la paura più forte è quella della morte e più la vita è mera sopravvivenza più si ha paura della morte. Con estrema lucidità Jünger aveva intuito che «Nessuno è più facile da terrorizzare di chi crede che tutto sia finito quando il suo fugace fenomeno si spegne. I nuovi schiavisti se ne sono accorti, e questo spiega l’importanza per loro delle teorie materialistiche…»32 e mette al centro il timore che attanaglia l’umano: «In questo vortice, la questione fondamentale è se sia possibile liberare l’uomo dal timore. Obbiettivo di gran lunga più importante che rifornirlo di armi o provvederlo di medicinali. Forza e salute sono prerogativa degli impavidi. Il timore invece, stringe d’assedio anche – anzi soprattutto – chi è armato fino ai denti»33.

Una vita autentica è quella vita che non fugge dalla morte e, aggiungo, che non fugge davanti alla storia, che non fugge davanti alla perdita di libertà. Vivere senza sapere quanto tempo rimane con la possibilità di perdere tutto è una dimensione che si apre alla consapevolezza della morte e della perdita, è un vivere in modo autentico. Sono necessari donne e uomini che sappiano poter perdere tutto, ma solo in pochi portano avanti una lotta che è la loro stessa vita e che non concepiscono altro modo di vivere se non quello di lottare.

Per la completa realizzazione dei progetti transumanisti un’obbedienza a parole non è sufficiente: l’individuo deve crederci e deve desiderarla. «Il mondo storico in cui ci troviamo ricorda una nave che muove velocemente mostrando ora il lato del comfort, ora quello del terrore»34. L’obbedienza oggi deve diventare corporale e biomolecolare. L’individuo deve essere disposto a barattare il proprio corpo per un’illusione di libertà in una progressiva e inesorabile perdita del significato stesso di libertà.

All’orizzonte nuove ricombinazioni e mutazioni genetiche: le prossime generazioni Crisp saranno selezionate e modificate prima di nascere e poi inoculate con inserti a DNA ricombinante e a mRNA e sottoposte a terapie geniche nel corso dell’intera vita. L’affinarsi del paradigma di ingegneria genetica con terapie geniche a livello preventivo rende l’umano potenzialmente malato ancora prima del manifestarsi della malattia. Un umano rinchiuso nei parametri algoritmici che stabiliranno la probabilità di predisposizione genetica a una patologia.

Le prossime generazioni Crispr rappresentano una denaturazione dell’umano. La denaturazione chimica è un processo che consiste nell’aggiunta di piccole quantità di sostanze chimiche – i denaturanti – a un prodotto che porta a una sua alterazione o perdita di una o più delle sue proprietà. Cellule e corpi terranno memoria della mutagenesi e dell’artificiosità, una memoria incarnata che precederà il simbolico, una memoria incarnata che permeerà lo spirito. L’umano modificato dal suo interno sarà un umano denaturato.

«L’uomo si trova al centro di una grande macchina ideata per distruggerlo»35, «Ribellarsi. Questo sarebbe il primo passo per uscire da un mondo di sorveglianza e controllo statistico»36.

Per Jünger il Ribelle è individuo d’azione, azione libera e indipendente, è il singolo, l’individuo concreto che agisce nel concreto: «il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata». «Per sapere cosa sia giusto non gli servono né teorie né leggi, ma attinge alle fonti della moralità non ancora disperse nei canoni delle istituzioni, supponendo che qualcosa di incorrotto viva ancora in lui. Il Ribelle ha bisogno di un’integrità personale che attinga alle profonde sorgenti della libertà umana, del rispetto di sé e della tradizione»37.

È necessario ritornare a concepire l’essere umano come inviolabile e indisponibile, un fondamento da cui si genera la propria identità e, nel riconoscersi, la comunanza tra spiriti liberi. «Abbiamo già visto che la grande esperienza della foresta è l’incontro con il proprio Sé, con il proprio nucleo invulnerabile […]. Questo incontro, che aiuta in modo così potente sia a tornare in salute che a bandire la paura, è anche della massima importanza in senso morale. Ci conduce a quello strato che sta alla base di tutta la vita sociale e che è stato comune a tutti fin dalle origini». «È effettivamente importante che chi pretende di compiere ardue imprese abbia un’idea precisa di sé. […] L’uomo […] deve fare i conti con la propria essenza immodificabile, sovratemporale, che s’incarna e si trasforma nel corso della storia»38.

«Ciascuno deve sapere quale peso intende dare alla libertà – se attribuire più valore al modo di essere o alla pura sopravvivenza. Il vero problema è piuttosto che una grande maggioranza non vuole la libertà, anzi ne ha paura. Bisogna essere liberi per volerlo diventare»39. E per Jünger «La libertà nuova è quella antica, assoluta […] è una libertà decisa alla lotta»40.

«La resistenza richiede un grande sacrificio, il che spiega perché la maggioranza preferisce accettare la coercizione. Eppure la storia genuina può essere fatta solo dal libero; la storia è l’impronta che la persona libera dà al destino»41.

«La resistenza del Ribelle è assoluta, non conosce neutralità, né remissione, né reclusione in fortezza. Il Ribelle non si aspetta che il nemico accetti i suoi ragionamenti né, tanto meno, che si comporti secondo le regole di cavalleria. Oltretutto egli sa che, per quanto lo riguarda, la pena di morte non verrà sospesa». «Compito del Ribelle è definire una misura di libertà che sia valida per un’epoca futura a dispetto del Leviatano. Di quell’avversario non può aver ragione con semplici argomentazioni concettuali». «Questo tipo di uomo entrerà nella scena storica anche senza volerlo, perché vi sono forme di tirannide che non lasciano scelta»42.

«Al Ribelle non è permessa l’indifferenza. Il passaggio al bosco induce decisioni più gravi». «Per quel che riguarda il luogo il bosco è dappertutto: in zone disabitate e nelle città, […], nel deserto, il bosco è nella macchia. Ma il bosco è soprattutto nelle retrovie del nemico stesso. […] Il Ribelle non dispone di grandi mezzi di combattimento, ma sa mettere a segno un colpo audace per distruggere armi che valgono milioni: ne conosce le debolezze tattiche, i punti di minore resistenza, l’infiammabilità»43.

Nel passaggio al bosco «c’è un incontro dell’uomo con se stesso nella sua sostanza indivisa e indistruttibile. Questo incontro scaccia la paura della morte. […] Vincere la paura della morte è subito vincere ogni altro terrore, perché tutti hanno senso solo in relazione a questo problema fondamentale. Il passaggio nel bosco è, quindi, soprattutto un passaggio attraverso la morte. Il sentiero conduce sull’orlo della morte stessa, anzi, se necessario, lo attraversa»44.

«Sulla strada di Mory avevo già sentito la mano della morte, ma questa volta essa stringeva più forte e più decisa. Mentre crollavo pesantemente sul fondo della trincea, ebbi la certezza di essere definitivamente perduto. Eppure, cosa strana, quel momento è stato uno dei rarissimi nei quali possa dire di essere stato davvero felice. Compresi in quell’attimo, come alla luce di un lampo, tutta la mia vita nella sua più intima essenza»45.

Ciò che dà senso alla vita è il saperla perdere, il saperla sacrificare, senza il timore di sottrarsi a ciò che la storia ci pone davanti. Andare incontro al rischio della morte – o della perdita della libertà – dà valore alla vita e a ciò per cui si combatte. Sottrarsi, scansarsi, mettersi di fianco, stare perennemente ai margini – per paura di perdere la vita, la libertà o, più mediocremente, i propri comfort e la propria misera quotidianità – non è vivere, ma sopravvivere. Per vivere bisogna saper morire. Una vita autentica non fugge dinanzi alla morte e mantiene salda dentro di sé quell’angoscia indispensabile alla lotta.

«L’essere umano è ridotto al punto che da lui si pretendono le pezze d’appoggio destinate a mandarlo in rovina»46. Jünger anticipa così quello che è stato strutturato in questo periodo di emergenza pandemica dichiarata: «Non è casuale la funzione che da qualche tempo la maschera ricomincia ad avere nella vita quotidiana. Essa appare in molteplici sembianze, nei luoghi in cui fa irruzione lo specifico carattere di lavoro: può essere la maschera antigas, con la quale si tenta di equipaggiare intere popolazioni, o la maschera a casco per gli sport e le alte velocità, come quella dei motociclisti e degli automobilisti, oppure la maschera protettiva per il lavoro in ambienti minacciati da radiazioni, esplosioni o diffusione di narcotici. È da supporre che alla maschera saranno assegnati ancora altri e diversi compiti, oggi intuibili – per esempio, nell’ambito di un’evoluzione in cui la fotografia acquisti il ruolo di un’arma offensiva applicata in politica». «In tutte le epoche ci saranno poteri che cercheranno di imporgli una maschera», ma «da tempo immemorabile, si ripete anche lo spettacolo dell’uomo che si toglie la maschera, e la felicità che ne segue è un riflesso della luce della libertà»47.

Abbiamo visto il ruolo della maschera nel rendere l’individuo anonimo e omologato, nel creare la paura dell’altro per poter meglio isolarlo dagli altri. In questo contesto di paura irrazionale e confusione generalizzata le uniche informazioni di propaganda sono contraddittorie e confuse, cosicché anche se emergeranno delle verità, non ci sarà più un individuo in grado di coglierle e di agire di conseguenza. Uno scenario di costruzione di una crisi per fare in modo che le soluzioni a questa crisi siano volute dalle stesse persone e che siano percepite come un bene per l’umanità.

Attuali anche queste sue parole: «Siamo proprio certi che il mondo delle assicurazioni, delle vaccinazioni, dell’igiene scrupolosa, della vita media più lunga sia un vantaggio? […] Quando la nave affonda cola a picco anche la sua farmacia. Ma in simili frangenti contano di più altre cose, per esempio la capacità di sopravvivere diverse ore nell’acqua ghiacciata. L’equipaggio vaccinato e rivaccinato, depurato dai microbi, aduso alle medicine e di età media avanzata ha minori probabilità di sopravvivere di un equipaggio che non sa nulla di questo»48.

Jünger si chiede: «Come reagisce l’essere umano in mezzo a una catastrofe? È in grado di rendersi conto che la storia lo sta ponendo davanti all’abisso? È in grado di percepire il pericolo?»49 e ci indica una strada: «Le catastrofi provano fino a quale profondità uomini e popoli sono radicati nel terreno originario. È importante che almeno un fascio di radici attinga ancora direttamente a quel terreno – poiché è da questo terreno che dipendono la salute e le sue prospettive di sopravvivenza». «Ma se il pericolo aumenta, la salvezza sarà cercata più in profondità, presso le Madri, al cui contatto si sprigiona l’energia primigenia che le semplici forze del tempo non sono in grado di arginare»50. Il legame originario con la Madre – tutte e tutti siamo figlie e figli – porta al principio che deve reggere e guidare ogni comunità: il principio femminile di colei che in potenza può generare, un sapere ancestrale che deriva dai corpi delle donne.
«Nel ribelle sopravvivono tracce di un sapere che ha radici più profonde dei luoghi comuni dell’epoca presente»51. «Ciascuna delle nostre azioni contiene in sé stessa un seme a noi sconosciuto»52.

«L’anarchico nella sua forma pura è colui che riesce a risalire con la memoria a estreme lontananze: a tempi preistorici, anteriori anche al mito. Egli crede che in quel tempo l’uomo abbia realizzato la sua determinazione autentica. Egli vede questa possibilità anche per l’esistenza attuale dell’uomo, e ne trae le sue conseguenze. In tal senso l’anarchico è il conservatore originario, il radicale, colui che ricerca alle radici la salvezza e i mali della società»53.

Senza punti di riferimento saldi tutto diventa confuso e tutto crolla, si è travolti dagli eventi e dalla non comprensione delle attuali trasformazioni. Si è sempre indietro e si è solo in grado di reagire con affanno e sfiancamento ancora prima di un inizio. Un agire che è solo una mera reazione.

Abbiamo sempre affermato «siamo in un passaggio epocale»: per le biotecnologie, la biologia sintetica, la clonazione, le nanotecnologie, la riproduzione artificiale. Erano tutti passaggi epocali, irreversibili, totali e pervasivi. Quello che stiamo vivendo oggi è uno degli ultimi passaggi per trasformare l’essere umano e il vivente tutto in quel mondo artificiale, cibernetico e ingegnerizzato che verrà ridefinito e così percepito come naturale e come l’unico mondo possibile e immaginabile. Uno degli ultimi passaggi per chiudere il cerchio, per distruggere ciò che rende l’umano tale e non macchina, per la completa e definitiva dissoluzione dello spirito dell’umano e dello spirito del mondo.

«Che sia un pezzo di materiale sul campo di battaglia o un ingranaggio nella macchina dell’economia di guerra, l’età moderna ha l’abitudine di ridurre l’essere umano a un oggetto funzionale. Tutto ciò che è “non essenziale” – tutto ciò che ci rende umani – viene allegramente scartato»54.

Non abbiamo più tempo. È questo lo spirito con cui affrontare l’esistente: non c’è più tempo. Ed è così che va sentito in ogni passaggio ed evoluzione degli sviluppi tecnoscientifici. Poi, certamente, arriveranno presto altri passaggi epocali: la rete 6G per il concretizzarsi dell’Internet dei corpi comunicanti in cui l’umano microchippato e irrorato di grafene diventerà un server dell’Internet of NanoThings, l’avvio del Metaverso, i primi hamburger sintetici, l’estensione su larga scala delle terapie geniche a mRNA, della tecnologia Crispr/Cas 9 e della nanomedicina, i primi impianti neurali per persone sane, l’editing genetico della linea germinale (modificazione genetica ereditaria del genoma umano), l’utero artificiale per i nati prematuri… In un testo che scrissi nel 2006, Il futuro è già qui, anche se non ha l’aspetto di una mostruosa chimera, in merito a terapie geniche, clonazione, analisi genetiche prenatali, procreazione, prospettive eugenetiche già si prospettava quello che si sarebbe concretizzato. Al tempo, chi non voleva comprendere la centralità degli sviluppi delle tecnoscienze e chi non voleva opporsi alla loro avanzata, respingeva queste analisi come futuristiche, apocalittiche, distopiche. Oggi tutto è evidente. Non ci sono più scuse. Non possiamo più attendere chi non vuole capire, chi porta avanti progetti marginali, chi non avanza una critica totale e netta contro ogni aspetto e contro ogni tassello posto a fondamento del progetto transumanista.

«Ciò che facciamo sarà necessariamente minuscolo, invisibile, derisorio forse, ma se ci rifiutiamo di contemplare di farlo, è meglio entrare subito nella tomba o avere il coraggio di riconoscere che siamo passati dall’altra parte»55.

Il fiume è in piena, per arrestare l’acqua prima che ci travolga bisogna trovare un argine saldo, quella linea di resistenza per coloro che non devono sempre iniziare da capo, senza memoria, ma che proseguono un percorso affinando lo sguardo per vedere le direzioni e le diramazioni del Potere, comprendendo nel profondo le trasformazioni che ne derivano. Una linea di resistenza per coloro i quali, malgrado tutto, rimarranno in piedi senza farsi travolgere dagli eventi.

È in arrivo la tempesta, che si alzino gli spiriti liberi per combattere senza attese, senza calcoli, senza giustificazioni.

«A che cosa si riduce ormai l’esame della condizione dell’uomo, se non all’enumerazione, stoica o atterrita, delle sue perdite? […]

Spezzati gli specchi, poteva l’uomo non rimanere privo di volto? Non serve ricordare fino a che punto una folla moderna atterrisca per la totale cancellazione, nel numero, del volto umano e di quelle pure, laceranti figure che i volti umani sanno talvolta comporre»56.


Silvia Guerini, Marzo 2022, Bergamo
da L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022

1E. Jünger, L’Operaio, Guanda, 2000.

2F. Westerman, Ingegneri di anime, Iperborea, 2020.

3E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990.

4E. Jünger, Lo scarabeo spagnolo in Il contemplatore solitario, Guanda, 2021.

5E. Jünger, Sulle scogliere di marmo, Mondadori, 1945.

6E. Jünger, Le api di vetro, Guanda, 2020.

7Ivi

8M. Amorós, ¿Dónde Estamos?, Algunas consideraciones sobre el tema de la técnica y la manera de combatir su dominio, Varias editorial, 2011

9Ivi

10E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

11B. Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, 2022.

12F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1976.

13E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

14B. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e pensiero, 2017.

15Per approfondimenti: Lega Nazionale Contro La Predazione Di Organi e la Morte a Cuore Battente, www.antipredazione.org

16C. Baudelaire, I fiori del male, Edoardo Sonzogno Editore, 1893.

17B. Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, 2021.

18B. Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, 2021.

19Ivi

20M. Heidegger, Saggi e discorsi, cit. in B. Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, 2021.

21Ivi

22M. Heidegger, Il sentiero di campagna, cit in B. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e pensiero, 2017.

23B. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e pensiero, 2017.

24M. Heidegger, Il sentiero di campagna, cit in B. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e pensiero, 2017.

25B. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e pensiero, 2017.

26J. Ellul, Le bluff technologique, Pluriel, 2012.

27S. Weill, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, SE, 1990.

28B. Han, La società senza dolore, Einaudi, 2021.

29E. Jünger, Sul dolore, in Foglie e Pietre, Adelphi, 1997.

30E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

31B. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e pensiero, 2017.

32E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

33Ivi

34Ivi

35E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

36Ivi

37Ivi

38Ivi

39Ivi

40Ivi

41Ivi

42 Ivi

43 E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

44Ivi

45E. Jünger, Nelle tempeste d’acciaio, Guanda, 2007.

46E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

47Ivi

48E. Jünger, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990 (prima edizione in lingua 1951).

49Ivi

50Ivi

51Ivi

52E. Jünger, Sulle scogliere di marmo, Mondadori, 1945.

53E. Jünger, Lo stato mondiale. Organismo e organizzazione, Guanda, 1998.

54E. Jünger

55Maurice Blanchot

56Cristina Campo, Il flauto e il tappeto in Gli imperdonabili, Adelphi, 1987.

Dalle mutazioni alla “riprogrammazione”: il progresso dell’ingegneria genetica

Dalle mutazioni alla “riprogrammazione”: il progresso dell’ingegneria genetica

Può essere che le mutazioni avvengano in tutti i tipi di organismi in modo casuale dall’inizio del tempo. Ma le mutazioni ingegnerizzate, il fiore all’occhiello della biotecnologia negli ultimi decenni, hanno rapidamente ottenuto una pessima fama. I movimenti radicali negli Stati Uniti e in Europa hanno chiesto che tutte le ricerche di questo tipo siano fermate fino a quando il rilascio di organismi geneticamente modificati (mutati) nell’ambiente naturale verrà vietato. Non senza motivo. L’ingegneria genetica interferisce con la struttura delle cellule per creare organismi la cui evoluzione è sconosciuta e, in ogni caso, imprevedibile. Mutazione progettata significa manipolazione genetica progettata – ma anche il più saggio tra i genetisti non metterebbe la mano sul fuoco che non si tratti di un nuovo Frankenstein.

Il primo (micro)organismo geneticamente mutato fu introdotto nel 1987, ed era il batterio p. syringae, che si mise subito al lavoro: fu rilasciato nelle coltivazioni di fragole e patate negli Stati Uniti, con il compito di impedire alle piante di congelare durante l’inverno. Allo stesso tempo, sono iniziati gli esperimenti sulle piante geneticamente modificate, a partire dal tabacco, per rendere le piante di tabacco “resistenti” ai pesticidi chimici spinti dall’industria agrochimica.

Nonostante l’opposizione (più pronunciata in Europa), a partire dagli anni ’90 la coltivazione industriale di piante geneticamente modificate come materia prima per l’industria alimentare ha cominciato a prendere piede, soprattutto negli Stati Uniti. Mais, riso, soia, patate, pomodori e grano geneticamente modificato coprono già milioni di acri, quasi il 16% della superficie coltivata negli USA. Per le aziende di specie geneticamente modificate (che sono diventate un oligopolio dell’agricoltura industriale e, in misura simile, dell’allevamento industriale) i profitti sono ovvi e pazzeschi. Per la specie umana sono incerte, poiché non si sa (di fatto, non si riconosce) quali sono (e saranno in futuro) le conseguenze. In pratica, il capitalismo non ha problemi: crea le crisi e poi appare come la “soluzione”…

Un modo comune di intervento/mutazione genetica è la rimozione di un gene (una parte della sequenza del dna) o l’interferenza diretta con la sequenza. Un altro modo comune è l’introduzione di dna artificiale, “sintetico”, nelle cellule genetiche originali di un organismo (nel caso dei mammiferi superiori questo intervento può essere fatto in una cellula uovo/sperma nell’inseminazione artificiale). I retrovirus sono utilizzati per eseguire questa invasione/aggiunta genetica. È in linea di principio al retrovirus che viene aggiunta la sequenza extra di DNA. Il virus è posto vicino alle cellule bersaglio, e impianta il nuovo DNA nel loro nucleo…

La collaborazione tra virus e genetisti risale a qualche decennio fa – non quello che ci si aspetta di imparare dai media di massa e anti-sociali. Né ci si aspetterebbe di conoscere in questo modo una “rivoluzione biotecnologica”, una “scoperta” fatta per caso da un genetista canadese nel 2010. Derek Rossi ha scoperto un modo per “riprogrammare” le molecole che portano le informazioni genetiche per lo sviluppo delle cellule, comprese quelle umane – e, di conseguenza, “riprogrammare” le loro funzioni.

Queste molecole sono chiamate acido ribonucleico messaggero (messenger ribonucleic acid/mRNA). La capacità di “riscrivere” le istruzioni che portano allo scopo di mutare qualsiasi tipo di cellula vivente all’interno di un organismo (per modificarne la funzione) ha cambiato il corso della biotecnologia in Occidente – e anche questo non si impara guardando uno schermo. Secondo Rossi: “La cosa veramente grandiosa di questa scoperta era che ora potevamo fare mRNA e metterlo nelle cellule, e quindi forzare il loro mRNA a produrre qualsiasi proteina che volevamo”.

“Mutazione”, che era/è il nome dell’intervento direttamente sul dna, un intervento che aveva causato tante polemiche e mentre avanzava nelle sue applicazioni commerciali incontrava ancora ostacoli e serie obiezioni, ha acquisito un “fratello”: la modifica genetica via mRNA, che non “tocca” il dna, e può essere chiamata “riprogrammazione”. In un’epoca di rappresentazioni digitali universali dove l’idea astratta di “programmare” (macchine) è diventata familiare al punto da essere amichevole, la “riprogrammazione” potrebbe essere una buona copertura per far avanzare la ricerca e diffondere le applicazioni delle mutazioni senza provocare gravi opposizioni…

Così grande era la scoperta, così grande il colpo, e così ampia la strada aperta ai genetisti, che Rossi ha formato una società nel 2014, con il finanziamento di (tra gli altri) uno dei tanti fondi di private equity (di origine sconosciuta) che fioriscono nel mondo capitalista occidentale, Flagship Pioneering.1 Questa società si chiama Moderna…

I militari in “prima linea”…

Non si sa cosa Rossi sapesse e non sapesse nel 2014 da anni di ricerche precedenti del braccio tecnologico dell’esercito americano in campi simili al suo. Se c’è un meccanismo che può essere pubblicizzato come “protettore della salute umana” è la DARPA statunitense. La risposta alla domanda quali sono gli interessi generali dell’esercito americano in questo campo della salute e delle malattie è ovvia: la guerra biologica.

Nel 2006 la DARPA ha annunciato un programma di “previsione di salute e malattia” (PHD). Un anno dopo, nell’ottobre 2007, la nota rivista Wired ha commentato:2

“La maggior parte di noi prima starnutisce, tossisce, ha il raffreddore – e poi va da un medico per prendere qualcosa per l’influenza. Il dipartimento di scienze pazze del Pentagono vuole fare il contrario: monitorare costantemente la salute dei militari in modo che la malattia possa essere individuata prima del primo starnuto. È come avere un medico con uno stetoscopio infilato in gola. e una sfera di cristallo nelle sue mani”.

Il progetto di previsione della salute e delle malattie generalizzerà i metodi per identificare se una persona svilupperà una malattia trasmissibile prima che compaiano i sintomi. Mentre i metodi attuali fanno la diagnosi e formulano il trattamento dopo che una persona va dal suo medico, il programma PHD vuole cambiare il modello rilevando i cambiamenti nello stato di base della salute umana attraverso la sorveglianza continua. L’obiettivo è quello di raggiungere il 100% di prontezza del soldato attraverso l’identificazione, l’intervento e il trattamento della malattia prima della comparsa dei sintomi.

DARPA non dice come raggiungerà questo obiettivo – dice solo che ciò richiederà “come minimo metodologie analitiche innovative potenziate da modalità diagnostiche tradizionali e non tradizionali”. Ma questa agenzia sa che tipo di malattie è interessata a rilevare.

È principalmente interessata alle infezioni virali, patogeni delle vie respiratorie superiori che hanno il potenziale di ridurre la prontezza di combattimento dei soldati durante una guerra, e che possono occasionalmente portare a cancellazioni di missioni e alta morbilità nelle caserme. Gli agenti patogeni presi di mira sono i virus dell’influenza, i virus parainfluenzali, i virus parainfluenzali, gli adenovirus, il virus respiratorio sinciziale e altri simili.

Quindi, dato che i militari non possono aspettare, l’agenzia vuole una diagnosi rapida. “L’obiettivo finale di DARPA è quello di creare le innovazioni tecnologiche necessarie per creare un sistema portatile, capace di combattere sul campo di battaglia, altamente accurato, che possa fare un grande volume di test (100 o più) in poco tempo (entro 3 ore) a basso costo.

Si potrebbe considerare questo orientamento “innocente”. Dopo tutto, anche per i militari, si tratta di salute! Ma non lo è. La “diagnosi precoce” in un ambiente militare/guerresco non richiede un’astratta “sorveglianza sanitaria continua”, il tipo di rapporti regolari su come si sente ogni marine. Richiede invece un qualche tipo di “segnalazione” continua da parte dell’organizzazione a un qualche tipo di “centro di test e certificazione” – se possibile automaticamente. Inoltre, anche la diagnosi più precoce è di utilità limitata se non ci può essere una cura rapida. Ovviamente accelerando la diagnosi prima dei sintomi, i ricercatori militari americani vorrebbero prevenire la diffusione di un virus nelle caserme. Ma a seconda della velocità e della frequenza dei controlli/segnalazioni, il male potrebbe diffondersi prima di essere notato e contenuto. Il che significava questo fin dall’inizio: la sorveglianza, la diagnosi e il trattamento avrebbero dovuto tendere verso un unico meccanismo d’azione, quello che avrebbe garantito la massima “efficienza” nel minimo tempo… In altre parole, soddisfare le specifiche militari richiedeva fin dall’inizio – almeno a lungo termine – tecnologie per integrare tutti questi processi. Non più una squadra medica che corre di qua e di là, in condizioni “da campo”, per diagnosticare e curare, ma un’automazione meccanica integrata. Corpi che “emettono” la loro condizione, e sono “riparati” a distanza…

Nel 2010 DARPA, in collaborazione con i ricercatori della Duke University finanziati da DARPA, ha presentato un metodo di analisi genetica del sangue che potrebbe rilevare se qualcuno era stato infettato dai virus/target prima di mostrare i sintomi. Ma una tale analisi dovrebbe ancora essere fatta in un laboratorio; non, come dicevamo, all’interno del corpo stesso

Nel 2014, l’anno in cui Rossi stava costruendo Moderna per sfruttare la sua scoperta dell’mRNA e la mutazione delle cellule, DARPA ha annunciato la creazione del “Biological Technologies Office” (BTO). L’auto-presentazione del dipartimento ha dichiarato esplicitamente:

“L’Office of Biological Technologies sviluppa capacità che riuniscono le caratteristiche uniche della biologia – modifica, replicazione, sintesi – e le applica per rivoluzionare il modo in cui gli Stati Uniti proteggono il loro territorio, e preparano e proteggono soldati, marinai, piloti e marines. BTO aiuta il Dipartimento della Difesa ad espandere le capacità tecnologiche nel rilevare nuove minacce e proteggere la prontezza dell’esercito americano, applicando interventi fisiologici per ripristinare i vantaggi operativi, sostenendo le prestazioni dei warfighter e concentrandosi sulla biotecnologia operativa per il successo operativo”.

È sicuramente un termine gergale. Quindi dobbiamo sottolineare quanto segue, che nel 2014 sono obiettivi biotecnologici dichiarati, obiettivi di ingegneria genetica per l’esercito americano:

Α) La “protezione del territorio”. DARPA estende i suoi obiettivi a tutti i soggetti, implicando almeno la “guerra biologica”.

B) “Interventi fisiologici”. Questo può significare niente meno che interventi biologici sui membri dell’esercito americano.

C) “Sostenere le prestazioni dei guerrieri”. Si può facilmente ipotizzare il potenziamento genetico e biotecnologico dei corpi umani (certamente in ambito militare).

D) Il “focus sulla biotecnologia operativa per il successo operativo”. Cos’altro potrebbe includere questa “biotecnologia operativa” se non armi biologiche?

Dato che DARPA per sua natura non annuncia i suoi programmi di ricerca se non quelli che impressionano o quelli che si assicurano ulteriori finanziamenti, è interessante notare l’annuncio, sempre nel 2014, di un sottoprogramma intitolato “Nanopiattaforme su organismi viventi” (“In Vivo Nanoplatforms” / IVN). Il project manager non lascia spazio a fraintendimenti su ciò che si tratta:

“Il programma In Vivo Nanoplatforms supporta la prontezza militare attraverso lo sviluppo di tecnologie di sensori e terapie che possono essere installate in organismi viventi per garantire la salute e le prestazioni ottimali di ogni singolo guerriero…. Il progetto ha due filoni complementari.

IVN Diagnostics (IVN:Dx) intende sviluppare una piattaforma generica in vivo [cioè in organismi viventi] che fornirà una sorveglianza fisiologica continua del guerriero. In particolare, IVN:Dx sta studiando tecnologie che includeranno nanopiattaforme impiantabili fatte di materiali biocompatibili e non tossici; localizzazione in vivo di piccole e grandi molecole di interesse biologico; rilevamento di composizioni complesse quando si trovano in concentrazioni rilevanti per le conseguenze cliniche; e gestione esterna delle nanopiattaforme senza l’uso di elettronica impiantata per comunicare [ndr: con loro].

IVN Therapeutics (IVN:Tx) è alla ricerca di nanopiattaforme miniaturizzate per trattare rapidamente le malattie nei guerrieri. Questo progetto mira a terapie che aumentino la sicurezza e riducano le dosi necessarie per l’efficacia clinica [ndr: dei farmaci]; ridurre gli effetti collaterali; ridurre l’immunogenicità; aumentare l’efficacia assicurando il targeting di tessuti e/o cellule specifiche; aumentare la biodisponibilità… Se si dimostrano efficaci, queste piattaforme permetteranno la prevenzione e il trattamento delle malattie che preoccupano i militari, come le infezioni da organismi multi-farmaco resistenti”.

Qui nel 2014 il braccio tecnologico dell’esercito americano ha potuto annunciare la possibilità tecnica di “impiantare” (nel corpo) singoli meccanismi (“nanopiattaforme”) per la diagnosi e il trattamento – alla scala di (questo è sicuramente il punto) cellule. Una pubblicazione puramente economica (il business insider) stava già festeggiando in anticipo: questo progetto militare avanzato (insieme ad altri 19) cambierà la vostra vita…

Nel 2014, quando Moderna si preparava ad andare avanti per migliorare e commercializzare l’mRNA e DARPA si preparava a “cambiare le nostre vite”, mancava la cosa fondamentale: l’opportunità (e la sua corretta gestione). “l’ultimo vagabondo americano” ha scritto nel suo blog il 4 maggio 2020:3

“Dalla sua creazione, il programma IVN di DARPA è riuscito a farsi finanziare [dal governo degli Stati Uniti] e ha prodotto ‘idrogel morbidi e flessibili che possono essere inoculati appena sotto la pelle per fare sorveglianza sanitaria, che si sincronizzano con un’applicazione mobile per trasferire istantaneamente i dati sanitari’, un prodotto realizzato dall’azienda Profusa, finanziato da DARPA e dal National Institute of Health (NIH). Profusa, che ha successivamente ricevuto milioni da DARPA negli ultimi anni, sostiene che le informazioni raccolte dal suo biosensore iniettabile possono essere ‘condivise in modo sicuro’ e accessibili a ‘individui, medici e coloro che sono coinvolti nella salute pubblica’. Così, l’attuale spinta per un ‘sistema di tracciamento dei contatti’ nazionale basato sui dati sanitari privati dei cittadini è probabile che espanda questa condivisione di dati, abbinandosi molto bene con l’obiettivo dichiarato da tempo da DARPA di creare un database nazionale online per la diagnostica preventiva.

Profusa è anche sostenuto da Google, che è stato pesantemente coinvolto in queste iniziative di sorveglianza di massa chiamate ‘contact tracing’, e ha l’ex leader della maggioranza del Senato William Frist 4nel suo consiglio di amministrazione… Lo scorso marzo (del 2020) Profusa è stato ri-finanziato da DARPA per vedere se i suoi biosensori iniettabili possono prevedere future pandemie, compresa la prevista ‘seconda ondata’ di covid-19, e identificare quelli infettati fino a 3 settimane prima che mostrino i sintomi. Profusa si aspetta di ottenere l’approvazione della FDA per i suoi biosensori da utilizzare per questo scopo all’inizio del prossimo anno, circa lo stesso tempo in cui un vaccino per il coronavirus dovrebbe essere disponibile”.

Incontri.

Chi altro sarebbe interessato a finanziare la ricerca di Moderna per commercializzare la scoperta dell’mRNA di Rossi? Avete indovinato: DARPA. Nell’ottobre 2013, il braccio tecnologico dell’esercito americano ha dato a Rossi 25 milioni di dollari per far progredire la sua tecnologia di produzione di RNA sintetico. Un rappresentante ha spiegato: “Stiamo finanziando lo sviluppo di tecnologie chiave che possono essere distribuite rapidamente e in modo sicuro per dare alla popolazione degli Stati Uniti una protezione quasi istantanea contro le epidemie di malattie infettive e le armi biologiche progettate.

L’incontro tra DARPA e Moderna era inevitabile. Così come era (e rimane) inevitabile che quando sono necessarie spiegazioni (per qualsiasi ricerca militare biotech) entri in gioco la “protezione della popolazione”.

Nel 2015, la ricerca della DARPA sui vaccini anticorpi sintetici e sul materiale genetico sintetico è stata ampliata, poiché 45 milioni di dollari sono stati assegnati a una società di ricerca sul vaccino del DNA, la Inovio Pharmaceuticals. Allo stesso tempo, tutta questa ricerca (e le corrispondenti promesse entusiastiche e i rapporti dei media) ha cominciato a essere servita con parole scelte. Il corpo umano (cominciarono a pubblicizzare) sarebbe diventato un bio-reattore.

Seguirono i fallimenti. I vaccini a DNA e RNA finanziati da DARPA e le loro rispettive aziende, vale a dire Moderna, Inovio e la tedesca CureVac non sono riusciti a ottenere l’approvazione per i loro prodotti perché essi (i “prodotti”) non hanno indotto l’immunità negli esperimenti umani. Moderna, per esempio, ha cercato e fallito di creare un vaccino contro il virus Zika…

Perché falliamo? I genetisti si sono chiesti. Le ragioni potrebbero essere molte. Ne hanno preferito uno considerato tecnologicamente gestibile: perché il materiale genetico sintetico (RNA e/o DNA) non arriva dove deve andare correttamente. Cosa dobbiamo fare? Guidare noi stessi. Come? Per mezzo delle nanoparticelle… I tecnologi della DARPA avevano già esperienza sul campo!

Un tale lancio tecnologico è diventato ancora più attraente. Dal 2016 il finanziatore di Moderna (e di Inovio) è diventato il medico più potente del mondo. Bill Gates. Almeno 100 milioni di dollari sono stati investiti nella ricerca di Moderna. Tutto sembrava andare bene, tranne due problemi. In primo luogo, queste tecnologie di mutazione delle cellule umane non erano mai state testate, non avevano un valore medico provato, e d’altra parte, la miriade di cose potrebbe essere portata contro. In secondo luogo, non c’era stata nessuna emergenza sanitaria tale che queste conquiste dell’ingegneria genetica potessero essere considerate la “salvezza” – da testare, finalmente, con l’obbligatorietà.

E poi è “apparso” il covid-19: la tempesta perfetta!!!

È a prima vista inconcepibile supporre che tali progressi tecnologici (abbiamo presentato solo una minima parte delle ricerche pertinenti della DARPA e dei suoi “partner” commerciali) potessero rimanere a lungo nei cassetti, mentre i genetisti che sono pagati per farli si limitano a pregare per la salute e la longevità delle popolazioni. La costruzione della bomba atomica potrebbe rimanere un progetto teorico; o potrebbe essere costruita ed esposta nei musei senza essere utilizzata?

Eppure è il buon senso, per lo più, che è stato avvelenato – aiutato da grandi dosi di ignoranza. Da un lato, i mostri, che non capiscono né vogliono capire come “funziona” il capitalismo, sosterrebbero certamente che il covid-19 è un virus fabbricato – scatenato per “ridurre la popolazione umana” (!!!!). D’altra parte, i “soldati della guerra al nemico invisibile”, profondamente timorosi e disciplinati, denuncerebbero qualsiasi operazione capitalista come un prodotto della “cospirazione”.

Ancora. La rivoluzione biotecnologica nella “gestione delle malattie/salute” non ha bisogno di un virus fabbricato per svolgersi! Può sfruttare uno qualsiasi delle migliaia di virus esistenti! Ci ha provato con il virus dell'”influenza aviaria”, ci ha riprovato con il virus dell'”influenza suina”. Hanno fallito e poi fallito ancora, gli esperti nel terrore, nella costruzione di “emergenze” per un uso specifico, ma la ragione non era che quei virus erano “naturali”, per cui ne serviva uno artificiale. Mancavano alcuni elementi: né nel 2005 né nel 2010 era possibile imprigionare centinaia di milioni di occupanti del pianeta nelle loro case ma allo stesso tempo “comunicare”, “lavorare”, “allenarsi”, “divertirsi”. Nel 2020 questo era tecnicamente e socialmente fattibile. E così fu.

D’altra parte, le operazioni capitalistiche e gli sviluppi tecnologici sono, per la maggior parte, così accessibili a chiunque (a chi interessa…) che la tesi di Debord che “non ci sono più segreti strategici del sistema” è un vero e proprio truismo. È una prova di bassa intelligenza per chiunque considerare come “nascosto” tutto ciò che non conosce; e completare la sua ignoranza considerando come “cospirazione” il suggerimento di tutto ciò che potrebbe e dovrebbe conoscere ma a cui è indifferente. Per tali menti, il più grande “teorico della cospirazione” degli ultimi due secoli è Karl Marx: ha mostrato in dettaglio come “funziona” il capitalismo, qualcosa su cui ancora oggi c’è un sacco di gente ignorante che lo considera una ricerca sofisticata…

Il fatto è questo: il punto di sviluppo della base tecnologica del capitalismo nel XXI secolo ha raggiunto un punto tale che le crisi virtuali sono assolutamente necessarie (anche) per fare i veri salti nelle applicazioni. La ristrutturazione capitalista e la quarta rivoluzione industriale non sono letteratura!

Questo punto è ben noto: si producono molte più innovazioni tecnologiche e applicazioni di quante se ne possano assorbire in modo “normale”, al ritmo del mercato e del consumo!

Nel corpo

È giusto da una prospettiva storica attribuire a DARPA la generalizzazione e la manipolazione dell’idea di “asintomatico”. La sua origine è l’HIV: chi è stato infettato può non aver avuto sintomi (e in effetti, anche dopo decenni, molte persone sieropositive non hanno mostrato alcun sintomo, cioè non si sono ammalate). Lo abbiamo sottolineato altrove:5 l’esperienza sociale e medica della sindrome da immunodeficienza acquisita ha cambiato completamente e per sempre la percezione di cosa sia la malattia. Prima dell’HIV, malattia significava sicuramente sintomi. Dopo l’HIV la malattia significava la possibilità di ammalarsi.

Il modo in cui questo rovesciamento del concetto di salute/malattia è stato assimilato dalle popolazioni è complesso. In ogni caso, per la DARPA gli “asintomatici” (cioè: potenzialmente tutti) sono diventati un’arma. Questo perché si adattava perfettamente, cioè legittimava, il suo orientamento verso la sorveglianza continua, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dello stato di salute dei marines, marinai, piloti, ecc. degli Stati Uniti. Potremmo parlare di “igienismo militarista” – ma non è solo ideologia. E, soprattutto, non si affida ad ogni individuo l’autocontrollo della propria forma fisica. No. DARPA ha progettato – e si è dato molto da fare diversi anni fa – un centro di test continui di fitness in linea di principio per i militari. In nome della guerra.

Il monitoraggio continuo nell’era della bio-informatica cos’altro potrebbe significare se non che ad ognuno è richiesto di essere un costante “trasmettitore” di informazioni sulla sua condizione; e “ricevitore”, quando necessario, di un presunto trattamento appropriato?

Si tratta del passaggio dal regime online al regime onlife secondo la terminologia che abbiamo usato da queste pagine. Tra molti altri scritti analitici di cyborg nel giugno 2017 6 sotto il titolo “Dall’online all’onlife: ingegnerizzare tutto” abbiamo scritto:

“Zeynep Tufekci [un turco-americano] scrive tra le altre cose [nel suo articolo “Engineering the public: big data, surveillance and computational politics”]:

“L’impatto dei big data sulla sfera pubblica attraverso le politiche informatiche si diffonde attraverso dinamiche multiple e interconnesse …

In primo luogo, la crescita della mediazione digitale nelle relazioni sociali, politiche ed economiche ha portato a un aumento esponenziale del volume e del tipo di dati disponibili, a disposizione specificamente delle grandi imprese e organizzazioni che sono in grado di gestirli.

In secondo luogo, l’emergere di metodi computazionali permette di passare dall’analisi di insiemi vagamente definiti alla profilazione di individui specifici.

In terzo luogo, questa profilazione permette di porre domande sull’individuo senza porre domande all’individuo; aprendo così la strada a nuove tecniche di occultamento e opacità.

In quarto luogo, lo sviluppo delle scienze comportamentali ha portato a uno spostamento dai modelli dell’‘uomo razionale’ a modelli più accurati, elaborati e realistici del comportamento umano. Combinati con gli sviluppi in altri campi, questi nuovi modelli permettono un miglioramento attraverso le reti di ingegneria sociale.

Quinto, le reti digitali permettono a questi metodi di ingegneria sociale di essere testati sperimentalmente in tempo reale, e applicati immediatamente, aggiungendo un livello di dinamismo precedentemente sconosciuto al controllo della sfera pubblica.

Sesto, i dati, gli strumenti e le tecniche che compongono questi metodi richiedono l’accesso a dati costosi e brevettati, e ‘lavorano’ attraverso algoritmi invisibili. Sono una sorta di ‘scatola nera’, algoritmi che sono la ‘proprietà intellettuale’ di, e utilizzati da, un piccolo numero di aziende internet. In altre parole, un qualsiasi utente ordinario non è a conoscenza della loro esistenza”.

DARPA aveva i presupposti per dare alla generalizzazione dell’onlife uno scopo specifico (“la protezione della salute”…) e una metodologia specifica (“installazione di microcircuiti nel corpo”). La concezione del corpo come organismo in guerra, come “fili viventi” di singole macchine-uomo, non poteva essere limitata solo alla manipolazione di macchine digitali/elettroniche esterne, separate dal corpo umano. Il fine del processo di fusione dell’umano e dell’elettromeccanico, o più precisamente l’inizio di uno stato completamente nuovo, è indicato dai progetti di ricerca di tipo IVN. Che “salute” e non, eventualmente, altri titoli popolari di campagne del sistema (come, ad esempio, “politica pubblica”) sia diventato il vessillo proveniente da DARPA è la prova di ciò che il militarismo americano (e non solo) ha visto come la porta d’ingresso delle relazioni sociali: l’igienismo (sociale) di massa…

L'”ultimo vagabondo americano” nello stesso articolo (citato prima), nota:

“Un altro programma DARPA di lunga durata, ora supervisionato dal BTO, è noto come Living Foundries. Secondo il sito web della DARPA, il programma Living Foundries “mira a creare molecole sintetiche su richiesta versatili, scalabili e fabbricabili programmando i processi metabolici fondamentali dei sistemi biologici per produrre un gran numero di molecole complesse che altrimenti non potrebbero esistere. Attraverso Living Foundries, DARPA sta trasformando la bioingegneria sintetica in una pratica di ingegneria prevedibile che sosterrà una vasta gamma di obiettivi di sicurezza nazionale…

Qui DARPA si aspetta una pura “capacità produttiva” della confluenza vivente/ingegnerizzato alla microscala dei “processi metabolici fondamentali dei sistemi biologici”, cioè la vita – e aggiunge una spiegazione astratta e generalizzata di “sicurezza nazionale”. Ma la “salute” ha dimostrato di essere lo slogan più vantaggioso per il più feroce attacco dell’ingegneria genetica e dell’ingegneria di ogni cosa fino ad oggi. Questo perché nel mondo capitalista sviluppato, sembra che ogni altro concetto di salute si sia estinto, tranne quello promosso dai vari rami dell’industria della salute.

Questo è l'”ideale” per i fans dell’”Umano aumentato”!!!! Il post-umanesimo che, dopo essere stato annunciato qualche anno fa sembrando una fantasia futuristica di qualche spettacolo (ma anche di imprenditori del complesso bio-informatico-assicurativo) sta ora entrando massicciamente nell’agenda attraverso i vaccini mRNA.

Perché ciò che DARPA (e molti altri “istituti”, “centri di ricerca”, università, imprese, ecc.) sta cercando è ben oltre i campi di battaglia e le guerre è forse facile da capire. Come per il “lavoro di distruzione” (la guerra) così per il “lavoro di creazione”, le forme di lavoro che chiamiamo abitualmente produzione, sono le macchine a determinare la velocità, l’intensità e l’efficienza; nella misura, sempre, in cui si impongono sul lavoro vivo. Lo stesso è avvenuto negli ultimi quattro decenni per il consumo: la mediazione meccanica lo intensifica, riducendo drasticamente il ciclo di riproduzione di qualsiasi capitale.

Quindi, se diventasse tecnicamente possibile ridurre le distanze temporali e spaziali tra le macchine e la materia prima della vita (le cellule), cioè se diventasse possibile avere macchine molecolari all’interno delle cellule (il muscolo, il nervo, anche il cervello) per dirigere i processi vitali alla loro fonte, ciò sarebbe perfetto dal punto di vista capitalista!

Questo è il salto strategico che i vaccini mRNA promettono di avviare! Va da sé che mutano le cellule umane… Tuttavia, gli ideologi di Human plus l’avevano dichiarato per tempo: l’evoluzione della specie umana, che finora si è svolta in modo estremamente lento e naturale, è stata completata; d’ora in poi la continuazione dell’evoluzione sarà tecnicamente mediata!

Quindi guardate gli ultimi 10 mesi al contrario. Se non si gonfiasse al massimo la minaccia di un virus che sarebbe difficilmente distinguibile, in altre circostanze, dal solito virus influenzale; se non si fabbricasse intensamente e spietatamente la paura della morte; se non si mettesse in pratica la politica di morte del controllo violento della vita quotidiana; se non si creassero le condizioni ideologiche e istituzionali per dichiarare l’ingegneria genetica (senza, naturalmente, citare minimamente né quel nome né altri simili) come “salvatore dell’umanità”; se questa “guerra contro un nemico invisibile” non fosse, in fondo, una vera e propria guerra per il controllo dei rapporti sociali e delle soggettività, allora che ne sarebbe dell’attuale tendenza capitalista a ingegnerizzare tutto?

Ziggy Stardust
Tradotto dal greco dalla rivista Cyborg, numero 19, Atene

Pubblicato in L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022


Note

1 – Flagship Pioneering è specializzata nel finanziamento di aziende biotech. I suoi “beneficiari” includono AstraZeneca, il braccio della scienza della salute di Nestle, e il braccio agri-biotech di Bayer…

2 – Darpa Goal: Phychic Doctors, 11/10/2007, Noah Shachtman.

3 – Coronavirus gives a dangerous boost to DARPA’s darkest agenda (Il Coronavirus dà una spinta pericolosa all’agenda più oscura della DARPA).

5 – Sarajevo.pdf 147a, 148a.

6 – Cyborg n. 9.

Identità digitale: dimostrare di esistere – PMO

Identità digitale: dimostrare di esistere

La Commissione europea sta preparando il suo “Portfolio europeo dell’identità digitale”. Roma e Bologna stanno adottando il “credito sociale digitale” in stile cinese. La digitalizzazione dello Stato e il suo corollario, l’identificazione digitale, procedono con l’indifferenza degli smartiani, grazie alle fasi acute della crisi (epidemia, guerra, collasso ecologico). Ci sono voluti meno di vent’anni perché si realizzassero le nostre peggiori aspettative di una società di vincoli. Per i nuovi arrivati e i nostalgici, abbiamo tirato fuori alcuni archivi. Vi ricordate di Libertys?

L’estate sarà secca. Le falde acquifere sono al minimo, le temperature al massimo. Ci si abitua, ogni anno è sempre peggio. Così come ci abituiamo al trattamento tecnocratico della catastrofe, proprio quella che abbiamo cercato di anticipare e descrivere concretamente negli ultimi vent’anni: società della costrizione; tecno-totalitarismo; selezione dei cittadini “buoni” e “cattivi” (il nuovo nemico). Non ci sorprendono quindi le notizie provenienti dall’Italia nella primavera del 2022.

Sabato 7 maggio i nostri amici di Resistere al Transumanesimo hanno manifestato a Bergamo “contro la transizione digitale, il 5G e il credito sociale digitale”. Protestano contro il lancio del “portafoglio intelligente del cittadino” a Bologna, dopo una fase di test a Roma. Secondo le autorità locali, questa applicazione è un “portafoglio virtuoso del cittadino” (sic) progettato per migliorare la mobilità nella città macchina, per informare gli utenti (e il sistema di controllo centrale) in tempo reale su trasporti, servizi pubblici, negozi e strutture per il tempo libero, e per incoraggiare comportamenti che rendano più fluida la gestione degli stock e dei flussi di persone e merci. In breve, il programma smart planet – la rete elettronica – che IBM promuove dal 2008:

Ciò significa che le infrastrutture digitali e fisiche del mondo stanno convergendo. Stiamo inserendo la potenza di calcolo in oggetti che prima non avremmo mai riconosciuto come computer. Di fatto, quasi tutto – sia esso una persona, un oggetto, un processo o un servizio, per un’organizzazione, pubblica o privata, grande o piccola – può diventare digitalmente consapevole e parte di una rete.

Non avendo mai chiesto di “diventare digitalmente consapevoli” o di “far parte di una rete”, siamo costretti a farlo dalla tecnocrazia. Per le potenze e i loro ingegneri, un branco umano collegato alla macchina centrale – intrappolato nelle sue reti elettroniche – è più facile da controllare, monitorare, costringere: da guidare.

Gestione automatizzata del comportamento

I bolognesi sono invitati a scaricare l’applicazione per registrare le loro abitudini: uso dei mezzi pubblici, consumo energetico, raccolta differenziata, frequenza delle multe, ecc. Quanto tempo ci vorrà prima che siano costretti a farlo? Il sistema assegna punti per il “buon comportamento”, che danno diritto a sconti sui trasporti o sulle attività culturali. Come le ricompense per i topi da laboratorio. Quello che i nostri amici bergamaschi chiamano “amministrazione automatizzata del comportamento”. E noi, l’incarcerazione degli uomini-macchina (Smartians) nel mondo-macchina (smart city).

Questo è il vincolo elettronico: modellare il comportamento individuale e collettivo in base alle esigenze della Macchina e allo stato delle risorse, attraverso il controllo delle reti cibernetiche. Senza dubbio molti lettori pensavano che stessimo esagerando vent’anni fa. Chi ci ha detto “non ci siamo ancora” potrebbe non aver fatto il collegamento con il pass per la vaccinazione 2021 e il suo codice QR che distingue tra cittadini buoni e cattivi. La sua adozione senza emozioni da parte della maggioranza della popolazione ha preparato i cervelli alla sua estensione. In uno stato di emergenza permanente, gli strumenti sperimentati durante la crisi sono destinati a consolidarsi. I turisti di Marsiglia stanno già scaricando i loro codici QR in previsione di una gita alla cala Sugiton quest’estate.

I tecnocrati italiani stanno prendendo spunto dalla Cina, che dal 2014 ha lanciato il suo “Master Plan for Building a Social Credit System”. Nessuno ignora che i cittadini cinesi vengono valutati in tempo reale grazie alla tracciabilità elettronica delle loro azioni: geolocalizzazione, riconoscimento facciale, big data. Gli studenti bravi ottengono sconti, come a Bologna. I non virtuosi (i cattivi pagatori, coloro che si rifiutano di essere confinati o di indossare una maschera, coloro che sputano per strada, coloro che attraversano con il semaforo rosso, i critici del regime, ecc.) sono inseriti in una lista nera e privati del diritto di viaggiare, di accedere al credito, a determinati lavori, all’alloggio e al tempo libero. La loro foto viene mostrata su schermi giganti, puntando il dito contro di loro per l’attuazione di nuove misure restrittive. La stessa strategia del capro espiatorio viene utilizzata per coloro che si rifiutano di fare il vaccino, accusati di impedire “il ritorno alla normalità”.

L’Italia ha subito l’influenza cinese a partire dagli investimenti in aziende pubbliche e private (soprattutto nel settore energetico) che hanno fatto seguito alla crisi del 2008. I pneumatici Pirelli, tra l’altro, sono di proprietà di una società statale cinese. La penisola ha firmato un memorandum d’intesa sulle “nuove vie della seta” nel 2019 e Pechino le ha inviato aiuti durante la pandemia con grande propaganda. Con il “portafoglio intelligente del cittadino”, Roma e Bologna diventano un po’ più cinesi.

Ma non c’è sinfobia. Più vicino a noi, un Paese è a buon punto in termini di informatizzazione dei cittadini, con un’applicazione lanciata nel 2020 che riunisce documenti d’identità, registri delle vaccinazioni, assicurazioni, prestazioni sociali e accesso digitale a numerosi servizi pubblici. Si apre al “credito sociale” durante la pandemia di Covid, con un programma “soldi per il vaccino”: due iniezioni = 30 euro. O meglio, 1000 grivna, visto che siamo in Ucraina.

Come il virus, la guerra sta accelerando la gestione digitale dell’ordine pubblico. L’app (chiamata Diia) è stata arricchita con una funzione “E-enemy” che permette a ogni cittadino di informare l’esercito sull’avanzata e le esazioni delle truppe russe. Pratico. Allo stesso modo, il Ministero della Difesa ucraino utilizza il software di riconoscimento facciale di Clearview AI, un’azienda americana finanziata dal transumanista Peter Thiel, per identificare rifugiati, morti e soldati russi. Clearview AI raccoglie foto da tutte le reti per alimentare il suo gigantesco database e quindi “identificare tutti”. Gli spazzini non hanno perso l’occasione di una buona guerra per stendere le loro reti digitali. I russi probabilmente stanno facendo lo stesso. – Il riconoscimento facciale è come qualsiasi altra cosa, dipende dall’uso che se ne fa.

Ecco perché le fasi acute della crisi permanente sono così utili ai tecnocrati. Ricordiamo il rapporto su “crisi sanitarie e strumenti digitali” che la delegazione del Senato francese per gli studi prospettici ha pubblicato nel giugno 2021, e le sue proposte innovative:

Quanto più grande è la minaccia, tanto più le società saranno pronte ad accettare tecnologie invasive e maggiori restrizioni alle loro libertà individuali – e questo è logico. […] Nelle situazioni di crisi più estreme, gli strumenti digitali potrebbero consentire di esercitare un controllo efficace, esaustivo e in tempo reale sul rispetto delle restrizioni da parte della popolazione, con sanzioni dissuasive se necessario, e basandosi su un uso ancora più spregiativo dei dati personali. [Il passo decisivo di un’identità digitale universale e obbligatoria deve ancora essere compiuto […].

Ci stiamo lavorando. Il modello dei senatori è l’Estonia, “leader europeo nell’amministrazione elettronica”. Il sogno di un ingegnere: il 96% delle procedure amministrative si svolge online (votare, presentare un reclamo, consultare le pagelle o le cartelle cliniche, dichiarare una nascita o un decesso, ecc. La maggior parte della popolazione possiede un documento d’identità digitale. Il sistema è virtuoso perché ognuno può sapere chi o quale amministrazione ha consultato quali dati sul proprio “spazio personale”. I senatori sarebbero lieti di scambiare il loro mandato con uno smartphone:

I servizi pubblici sono stati originariamente concepiti come “applicazioni”, disponibili su una piattaforma, come App Store o Google Play, dove ogni utente ha un identificativo unico.

Lo Stato piattaforma, la “macchina di governo” cibernetica

Il concetto di “Stato piattaforma” è stato rilanciato non dai nostri tecnocrati francesi, ma dall’imprenditore americano Tim O’Reilly, autore nel 2011 di un articolo intitolato “Government as a platform”. Questa idea è stata promossa, tra gli altri, dagli accelerazionisti Michael Hardt e Antonio Negri, che vedono in questo “connessionismo” istituzionale un’opportunità per il loro progetto di una “moltitudine” decentrata, deterritorializzata e “rizomica”.

In breve: lo Stato deve ispirarsi al Gafam, sfruttare i big data e fare da intermediario tra domanda e offerta, per offrire servizi pubblici innovativi, cooperativi, inclusivi e, naturalmente, quasi autogestiti – anzi, automatizzati.

L’idea sta circolando, dalle multinazionali alle società di consulenza e all’Unione Europea. Dimenticate l’ospedale pubblico e le sue équipe mediche al capezzale, fate spazio agli algoritmi dell’Health Data Hub. Questa piattaforma francese, come suggerisce il nome, raccoglie in massa tutti i dati sanitari digitalizzati (da qui lo spazio della salute digitale) per alimentare le sue “intelligenze” artificiali e automatizzare le cure.

Lo stesso vale per l’amministrazione, che è stata ridotta ai servizi online e a “FranceConnect”, l’applicazione di autenticazione per gli utenti di Internet. Se avete recentemente immatricolato la vostra auto o dichiarato le tasse, sapete di cosa stiamo parlando. Non c’è nessun essere umano che vi informi, vi consigli, vi sgridi o scherzi con voi. Inserire il proprio login. La situazione non migliorerà con “FranceConnect+”, che verrà esteso ai servizi bancari e alle cartelle cliniche condivise. Le procedure non sono più semplici – lo impone il genio amministrativo francese – ma più complicate e disumanizzate.

Lo “Stato piattaforma” è il centro di controllo centralizzato della smart city. Poiché la “dematerializzazione” ha eliminato i corpi dei cittadini e degli agenti pubblici, la cittadinanza sta evaporando in usi, anzi in consumo di servizi. E il confronto diretto – per non parlare dell’equilibrio di potere – si dissolve in procedure virtuali. Il risultato è la derealizzazione delle relazioni sociali e umane che molte persone osservano con diversi gradi di frustrazione. È questa la “macchina governante” annunciata nell’entusiasmo degli inizi della cibernetica, nel 1948, dall’editorialista scientifico di Le Monde, Dominique Dubarle.

Il ritorno di Libertys

Noi parliamo, parliamo e i tecnocrati agiscono. La Commissione europea sta preparando il suo “portafoglio europeo di identità digitale”. Ciò consentirà alle persone di utilizzare i servizi pubblici, aprire un conto bancario, compilare la dichiarazione dei redditi, iscriversi all’università, registrare le prescrizioni mediche, dimostrare la propria età, noleggiare un’auto con una patente digitale, effettuare il check-in in un hotel, ecc.

Come faranno coloro che non hanno uno smartphone? Questo non è specificato nell’invito a presentare progetti. Ma la loro esclusione da tutta la vita sociale e civile sembra la soluzione più razionale.

Il progetto europeo si basa sulla soluzione Thales denominata “Digital ID wallet”. Thalès, un gruppo nato nel 2000 dalla fusione delle attività di difesa di Thomson-CSF, Alcatel e Dassault Électronique, promuove da due decenni l'”identità digitale” basata sui suoi strumenti biometrici. Il suo sito si rallegra del fatto che la pandemia di Covid offra “un’opportunità di cambiamento sistemico” – in altre parole, l’accelerazione della macchina generale. Come l’ex capo di IBM, Thales si batte per “avvicinare il mondo digitale a quello fisico”. L’interfaccia tra i due, che vi collega ai vostri documenti digitali, al vostro conto bancario, ai vostri “spazi personali” di amministrazione online e a tutto il resto, è costituita dai vostri dati biometrici (riconoscimento facciale, impronte digitali) memorizzati nello smartphone. Si tratta di un salto di qualità: non dovrete più sottoporvi a un’umiliante telecamera “intelligente” o a un terminale di identificazione, ma sarete voi stessi a effettuare la lettura biometrica.

Il “portafoglio di identità digitale” non è una novità. Nel giugno 2005, l’Isère è stato designato come “dipartimento pilota per la futura carta d’identità e di servizi unica” denominata Libertys. Secondo Le Monde all’epoca :

Il Libertys contiene, digitalizzati e criptati nel suo chip, gli identificatori biologici del suo titolare: impronte digitali, iride dell’occhio e immagine del volto. Sostituirà “vantaggiosamente tutti i documenti attuali”: carta d’identità, patente di guida, libretto di circolazione, tessera elettorale, tessera sanitaria, tessera dei trasporti, ecc.

Il visionario André Vallini, allora presidente del Consiglio generale dell’Isère, lo spiegò nell’opuscolo “Libertys, la vostra nuova carta di vita” distribuito nelle cassette delle lettere dei grenopolitani:

La carta Libertys è pienamente in linea con lo sviluppo dell’amministrazione elettronica, per migliorare l’efficienza dei servizi pubblici e semplificare la vita degli utenti.

Grenopolis è sempre un passo avanti. O meglio, le sue radici tecnologiche – ingegneri, industriali, funzionari eletti – sono tutte coinvolte nella corsa all’innovazione. Nel 2005, “Grenoble-Isère” è stato etichettato come “cluster di competitività per le tecnologie digitali” con il nome di Minalogic (Micro-Nano-Logiciel).

Tra le aziende e i laboratori che fanno parte di questo cluster finanziato dallo Stato ci sono Thales e Atmel, esperti di biometria e identificazione elettronica. Che, come si legge nel numero 10 della nostra newsletter Aujourd’hui le nanomonde (novembre 2005), sono anche membri di Gixel, la lobby dell’industria elettronica e digitale.

Ti ricordi, lettore, di Gixel e del suo Blue Book del 2004 sul futuro del settore? Per divertimento, e per chi ha meno di 20 anni, ricordiamo l’estratto più famoso del documento:

Nelle nostre società democratiche la sicurezza è spesso vissuta come una violazione delle libertà individuali. La popolazione deve quindi accettare le tecnologie utilizzate, tra cui la biometria, la videosorveglianza e i controlli.

Le autorità pubbliche e gli industriali dovranno sviluppare diversi metodi per far accettare la biometria. Dovranno essere accompagnati da uno sforzo per renderli facili da usare, riconoscendo la persona e fornendo funzioni attraenti:

– L’istruzione a partire dalla scuola materna, con i bambini che utilizzano questa tecnologia per entrare e uscire da scuola, per pranzare in mensa e i genitori o i loro rappresentanti che si identificano per ritirare i figli.

– Introduzione nei beni di consumo, comfort o giochi: telefonia mobile, computer, auto, domotica, videogiochi.

– Sviluppare servizi “senza carta” in banca, al supermercato, nei trasporti, per l’accesso a Internet…

Non è possibile adottare lo stesso approccio per far accettare le tecnologie di sorveglianza e controllo; probabilmente sarà necessario ricorrere alla persuasione e alla regolamentazione, dimostrando il contributo di queste tecnologie alla tranquillità delle persone e riducendo al minimo i disagi causati. Anche in questo caso, l’elettronica e i computer possono dare un importante contributo a questo compito.

Gli archivi sono preziosi. All’epoca ci si indignava soprattutto per l’educazione “da scuola materna” alle tecnologie biometriche. Due decenni dopo, possiamo misurare l’efficacia dei tecnocrati. Hanno reso accettabili queste “violazioni delle libertà individuali” attraverso “beni di consumo e comfort” e “elettronica” – di fatto, lo smartphone. Il riconoscimento facciale, in fin dei conti, non è altro che un selfie, che lo smartiano medio scatta senza nemmeno pensarci. La diffidenza nei confronti della polizia biometrica è un ricordo sbiadito.

***

La stampa ha rivelato che Libertys era “una bufala”. Abbiamo corretto: “un’anticipazione, piuttosto”. Un’anticipazione dannatamente buona. All’epoca, la vicenda suscitò vivaci dibattiti sui “forum” di Internet (eravamo prima dei social network, la preistoria).

C’è motivo di essere preoccupati, 17 anni dopo, quando i “portafogli di identità digitale” vengono diffusi ovunque senza opposizione. I nostri amici di Bergamo sono molto coraggiosi nell’arringare i passanti indifferenti con il naso sullo schermo.

La scorsa settimana siamo stati in un liceo savoiardo per un colloquio-dibattito con gli studenti dell’ultimo anno. Abbiamo discusso dell’influenza della tecnologia sulle nostre vite, del suo ruolo nella distruzione dei legami umani e della natura e della dipendenza degli Smartiani dal regno della meccanica. Uno studente ci chiede: “È nostalgia pensare che era meglio prima, quando eravamo giovani”. Forse c’è del vero in questo luogo comune. Ma la cosa principale è altrove: quando sei nato nell’anno di Libertys, nella Macchina programmata da Thales, Gixel e i loro simili, non sai come vivere senza uno smartphone o una connessione. Questa conoscenza è andata perduta. Non soffriamo di dipendere dalle macchine e di scambiare la nostra autonomia con l’assistenza digitale. Non vediamo ciò di cui dobbiamo preoccuparci, né ciò che dobbiamo rimpiangere. Ciò che non conosciamo non fa male.

Spetta ai vecchi e ai nostalgici conservare la memoria di ciò che ha reso le vite libere e umane. Per oggi, mettiamola così: il controllo delle macchine, questo comodo totalitarismo, non attacca solo la libertà civile o politica, come denunciano i pochi oppositori della “società del controllo” o della “sorveglianza generalizzata”. Distrugge un’altra libertà intima e fondamentale: quella di sentirsi responsabili di se stessi e quindi di sperimentare la sensazione di esistere.

Pièces et Main d’Oeuvre
Grenopolis, 14 maggio 2022

Tradotto per L’Urlo della Terra, numero 10, Luglio 2020.

Perché la transizione è verde

Perché la transizione è verde

“Sebbene sia piuttosto vero che ogni politica radicale di applicazione delle teorie eugenetiche sarà impossibile per molti anni a venire (ragioni politiche e psicologiche lo impediranno), è importante che l’UNESCO continui a esaminare l’eugenetica con la massima attenzione, informando nel miglior modo possibile l’opinione pubblica sull’argomento e sulle sue possibili implicazioni. In questo modo, quello che oggi è considerato impensabile  potrà in futuro almeno cominciare a essere preso in considerazione senza tabù di sorta.” Julian Huxley, 1946.

Nel programma di resettaggio e di Grande Trasformazione in corso tanti gli aspetti che vengono toccati, sia per trasformarli irrimediabilmente, sia per renderli obsoleti e quindi da destinare nel dimenticatoio della storia. Esiste però un aspetto che non solo è chiamato a comprendere tutti gli altri, ma ha anche origini più antiche: l’ecologia. Su questo tema vi sono questioni ampiamente denunciate e dibattute, a volte anche dagli stessi responsabili dell’ecocidio in atto. Nel tempo, denunciare il rischio ecologico e poi portare a risolverlo si è rilevato molto remunerativo per tutta l’industria, da quella chimica ed energetica a quella farmaceutica. Tutti parlano di ecologia, evidentemente a sproposito, per poi adottare strategie commerciali o politiche che rappresentano tutto l’opposto.
L’ecologia è talmente considerata che anche a Davos tra aguzzini della finanza e delle multinazionali gira una giovane ragazza in treccine che li riporta alle loro responsabilità in merito al cambiamento climatico, tanto da far percepire quasi un po’ di bonomia etica, ma è solo un attimo perché uno sguardo attento mostrerebbe subito gli artigli assassini di tutti costoro. Ormai sembra essere evidente ai più che tutta la ristrutturazione del comparto tecno-industriale si basa su retoriche ambientaliste, tanto che è stato coniato un termine specifico per evidenziare e denunciare questo fenomeno, ovviamente con un inglesismo: green wasching.
L’industria, nelle sue multiformi vesti, adotta lo stile ecologico per continuare, non solo quello che ha sempre fatto a discapito di terre e corpi, ma per continuare a farlo ancora meglio, soprattutto con la possibilità di un nuovo rivestimento che mimetizza le nefandezze in una cornice di ecosostenibilità. Il verde sta quindi colorando tutto, anche le terre rare e rarissime che sono la base energetica per le batterie di tutti i nuovi dispositivi che andranno ad arricchire il guardaroba della transizione ecologica.
Da una visione superficiale sembrerebbe di trovarsi di fronte a un qualcosa di positivo, l’ecologia, che ad un certo punto ha subito una degenerazione. Le ragioni per cui questo cammino ha avuto un’involuzione o delle prassi di tradimento rispetto l’idea originaria sarebbero da ricercare nel solito profitto, nell’avidità senza scrupoli dell’industria. L’avidità economica sembra dunque essere sempre il motore che tutto muove. Noi sosteniamo che certamente il lato economico è importante, ma, ancora una volta, vorremmo sottolineare come questo sia già appagato da molto tempo, considerando che queste élite di potere stanno a capo delle stamperie del denaro con il potere di aprire e chiudere i rubinetti a seconda del progetto in corso.
Quando parliamo di ecologia in questo contesto ci riferiamo a quella promossa dalle compagnie, dagli Stati, portata avanti dalle grandi corporazioni ambientaliste, ONG, fondazioni e dall’associazionismo ascoltato nei grandi forum internazionali.
Questo tipo di ecologia che potremmo definire senza alcun dubbio scientifica ci riporta all’opera di razionalizzazione della natura. In questo testo vorremmo occuparci di quest’ecologia scientifica che da decenni accompagna il potere nella sua presa della natura, dell’umano e degli altri animali. Siamo convinti che il vero motore di questa ecologia del potere sia stato sempre quello di trasformare il mondo naturale secondo determinate visioni tanto care a precise élite di scienziati del secolo scorso e dei tempi presenti.
Se questa precisa concezione di ecologia nei suoi grandi programmi ha sempre rappresentato lo sviluppo del dominio nei suoi vari aspetti, non stupisce oggi vedersela puntare contro quale arma di ricatto per la nostra irresponsabilità nei confronti del pianeta, non avendo noi avuto un giusto “stile di vita”,come si chiamava una vecchia campagna del WWF Italia.
Siamo fortemente convinti che questa visione estesa oggi a livello mondiale abbia origini molto lontane. A livello teorico deriva da determinate correnti di pensiero ecologista che dettero vita al transumanesimo di cui il clan Huxley era il più rappresentativo. Julian Huxley, che coniò il termine transumanesimo, gettò le basi sulle quali si edificò il pensiero eugenetico e transumanista e a seguire anche il pensiero cibernetico. Una razionalizzazione, un controllo e gestione, al fine di riprogettare tutto il vivente dirigendo la sua evoluzione. Ma la “maggior parte del lavoro” secondo Huxley sarebbe stata fatta sull’umano.
Risaliremo alle origini di questa ecologia scientifica e transumana, alla sua idea di conservazione della natura e ai suoi campioni di natura, tracciando i punti cardine di questo pensiero che nell’organizzazione cosciente e sistematica del mondo – espressa nel testo chiave di Julian Huxley Ciò che oso pensare  del 1931 – rappresenta quel pensiero che vediamo oggi prendere drammaticamente forma in tutte le sue molteplici espressioni in questa transizione verde.

Determinati interventi e programmi che vediamo oggi nella cosiddetta conservazione della Natura hanno origini antiche, come quelle principesche che dettero i natali al Fondo Mondiale Per La Natura (WWF) dove figurava come primo presidente il principe Bernardo dei Paesi Bassi simpatizzante del Terzo Reich e organizzatore dei primi incontri del Club Bilderberg. Negli anni ’60 tra i fondatori di questa organizzazione e lobby ambientalista figurava anche Julian Huxley.
Huxley nei suoi scritti, in particolare La biologia e l’ambiente fisico dell’uomo, esprime in maniera molto chiara la necessità di controllare i sistemi naturali, per evitare quello che descrive come caos, disordine e sviluppi che lasciati a sé stessi potrebbero rivelarsi, a suo avviso, nocivi. Si rende quindi necessario controllare e stabilire nuovi equilibri che siano convenienti agli scopi dell’essere umano. Il punto di partenza per tale controllo e gestione dell’intero vivente è proprio la conservazione della natura, che diventerà la politica centrale del WWF e di tutti i vari organismi governativi che verranno dopo.
Per la salvaguardia della natura selvaggia e in particolare degli animali in estinzione Huxley osserva come l’essere umano si è reso responsabile della scomparsa di tante specie e, nel suo significativo libro Ciò che oso pensare, scrive: “Dobbiamo sapere dove e quando procreano, quanti piccoli mettono al mondo, e quanto tempo questi impiegano per crescere, quale è la loro mortalità naturale; poi sulla base di tali cognizioni predisporre il nostro sfruttamento in modo che esso incida soltanto la superproduzione”. Il tutto se “vogliamo che le specie selvagge continuino a fornire olio, pellicce, concimi, carni e sport dobbiamo regolare la loro situazione come regoleremmo un affare”. In questo elenco sembra proprio che Huxley stia pensando alla propria classe agiata e influente di cui fa parte da generazioni. Più che di un naturalista sembra essere in presenza di un allevatore coscienzioso e lungimirante che prodiga buone cure perché sa che queste permetteranno un mantenimento e una buona produzione nel tempo. Per aumentare le rese di cibo per gli animali da allevamento Huxley scrive: “se è migliorata la macchina animale per utilizzare l’erba, bisogna in corrispondenza migliorare la macchina vegetale cui è affidato il primo stadio del processo, cioè la elaborazione di materiali greggi della terra e dell’aria. Perciò le ricerche proseguono alacri per scoprire i migliori fertilizzanti dell’erba, ma anche per produrre nuovi tipi vegetali che per efficienza siano superiori  all’erba ordinaria quanto una moderna mucca da latte lo è rispetto alla mucca primitiva”.
Viene enunciato con chiarezza come si dovrebbe attuare questa trasformazione ed emerge con forza il legame tra ecologia e genetica: “L’ecologia qui si congiunge con la genetica… perché essa offre la prospettiva delle trasformazioni più radicali del nostro ambiente. Mucche e montoni, alberi della gomma o barbabietole, rappresentano sotto un certo aspetto altrettante macchine viventi, designate a trasformare materiale greggio in prodotti finiti, valevoli per gli usi dell’uomo”.
Si arriva anche a fare quelle che all’apparenza sembrano semplici speculazioni filosofiche o più probabilmente dei sogni di un’eugenista: “Se volessimo, potremmo infliggere ad altri felini ciò che abbiamo inflitto a numerose specie di gatto domestico, cioè la placida amabilità invece della ferocia truculenta, e così ottenere tigri che fossero realmente, e non soltanto nei versi di Belloc, vezzose e miti”.Tutto può portare ad esiti sorprendenti, ma solo se si “riesca a perfezionare la scienza ecologica che sola può fornirci le cognizioni necessarie”. 
Oltre alla conservazione delle singole specie l’interesse si è spostato presto verso l’intero ambiente, tanto che il WWF attualmente usa ancora le stesse affermazioni del suo storico fondatore.
Secondo Huxley è molto facile mescolare natura e civiltà in modo tale che l’essenza di una è distrutta e quella dell’altra non del tutto realizzata con il risultato finale di un’insoddisfacente compromesso. “Diversi sono l’equilibrio della natura e quello della civiltà: ognuno di essi è mirabile nel suo genere, e di entrambi possiamo progettare la conservazione”. Per far fronte all’insoddisfacente compromesso è necessaria un’organizzazione cosciente.
Nella sua idea conservazionista Huxley intendeva che “certe aree dovrebbero essere messe a parte come campioni della natura, nello stesso modo che nei musei conserviamo esemplari interessanti di animali e piante. Esse sarebbero dei santuari della natura, ai quali bisognerebbe concedere con parsimonia accesso, e soprattutto a scopo di studio scientifico. In aggiunta a queste categorie principali, si potrebbero stabilire riserve per usi speciali: per la vita degli uccelli, per la conservazione di piante rare o belle, o anche di strani esseri umani, quali i pigmei”.
La necessità di mantenere delle zone non immediatamente ad uso umano hanno portato alla creazione di quei progetti che oggi chiamiamo parchi o oasi naturali, ma è possibile intendere anche particolari zoo o bioparchi.
Cosa intende quindi Huxley con conservazione della natura? Una sua catalogazione e organizzazione sistematica, al fine di renderla illimitatamente disponibile. Una parte di essa dovrà conservare le sue proprietà naturali e originarie che potrebbero sempre servire, come quando oggi viene conservato il germoplasma dei semi antichi nella Banca del seme, un’altra parte di essa servirà come bacino di materia prima da sfruttare, ma la parte più grande, o, meglio l’intera natura per come viene concepita, diventerà spazio di controllo, gestione, intervento e modificazione da parte dell’umano. Conservare la natura per averla disponibile da modificare in base alle proprie esigenze e da riprogettare in base alla propria idea di evoluzione e progresso. Una conservazione e una gestione anche degli ambienti selvaggi sotto la mano dell’organizzazione cosciente. L’ecologia, intesa come conoscenza dei processi naturali, è fondamentale per raggiungere questi scopi. Ben presto Huxley arriva a toccare il punto cardine del suo pensiero: “per preservare la natura noi dobbiamo conoscere il meccanismo che ne assicura l’equilibrio, ci aiuta in ciò la ben sviluppata scienza che è detta ecologia”. Un’ecologia scientifica che da sempre ha avuto un’ossessione non solo per il controllo, ma per regolare e dirigere il corso della natura, di tutti gli esseri viventi e degli stessi fenomeni, perché è necessario, ricorda ancora il fondatore del WWF, sfruttare la natura in modo “cosciente e sistematico” e stabilire “nuovi equilibri” funzionali ai nostri scopi.
Una riorganizzazione e produzione della natura che necessita di sopprimere tutto ciò che esiste in modo autonomo e spontaneo. Non potrà esistere manifestazione vivente fuori da razionalizzazioni e da previsioni, il principio razionale scientifico-ecologico decreterà nuove norme necessarie per il buon andamento di ogni cosa.
Huxley con dispiacere afferma che l’umano non riuscirà forse mai ad avere un completo controllo dell’ambiente perché non riuscirà a impedire tutti quei fenomeni come terremoti, alluvioni e non riuscirà a cambiare il clima, ma rimane fiducioso nelle future possibilità a cui condurranno gli sviluppi scientifici. Nel frattempo, in attesa di giungere a un totale controllo l’umano potrà comunque intervenire nei processi naturali al fine di regolarli e guidarli. Il controllo totale sarà necessario al fine di irrompere nei processi naturali per stravolgerli e modificarli. Ovviamente fin tanto che tutto ciò non sarà ancora possibile la natura continuerà ad essere sfruttata in modo sistematico.
Questo modo di intendere l’ecologia e la conservazione della natura non è stato uguale in ogni parte del mondo anche se il modello proposto da Huxley con il suo WWF ha avuto la meglio, soprattutto nel permeare di scienza qualsiasi visione, anche in ambito sociale. Dal controllo e gestione dell’ambiente naturale alla scienza del controllo e della gestione delle condotte, alla gestione coordinata e pianificata degli spazi, alla gestione ordinata e ottimale del mondo grazie al potere razionalizzante della tecnica e in particolar modo della cibernetica.Controllo e pianificazione totali saranno possibili grazie alla scienza. Questa natura addomesticata avrà bisogno del controllo efficace operato dalla scienza, “unica vera guida” che potrà portare l’umano al suo possibile “destino evolutivo”. Senza questo accompagnamento scientifico la società andrebbe incontro ad un “crollo e ad un ristagno”. 
L’umano viene posto all’interno di un “gigantesco esperimento evolutivo” che deve essere controllato e guidato dalla scienza ed ora, grazie alle tecno-scienze e alla biologia sintetica anche modificato e riprogettato dal suo interno permettendo così la massima realizzazione delle loro iniziali aspirazioni e dei loro fini.
Tra vetrini, provette e colture di cellule nei loro laboratori, effettuando esperimenti minuziosamente descritti in Ciò che oso pensare, questi scienziati non erano mossi da una morbosa o folle curiosità e non giocavano a diventare dio, ma si stavano dotando delle conoscenze e degli strumenti per loro necessari  a intervenire poi sull’intero vivente, umano incluso, al fine di governarne l’evoluzione. Esperimenti durante lo sviluppo embrionale di alcuni animali cambiando la temperatura, introducendo sostanze tossiche o durante il successivo sviluppo esportandone le ghiandole endocrine per osservare come si sarebbe modificata la crescita di alcuni organi affermando che tutto questo era molto interessante dal punto di vista teorico, ma chiedendosi come applicarlo all’umano.
In quella conservazione della natura Huxley sembra intravedere quindi una possibilità non solo importante, ma irrinunciabile. Il campo di intervento è la biologia infarcita di eugenismo che andrà a dare corpo al suo “umanesimo scientifico”: “alla vita umana si può applicare il procedimento già applicato con tanto successo alla materia inerte, agli animali, alle piante”.
In più di un’occasione – forse non per caso, e forse nemmeno come semplice megalomania di chi sa di far parte di un’élite chiamata a svolgere compiti superiori – Huxley confonde i ritmi di un’evoluzione naturale con un determinismo tecno-scientifico, proprio quello che chiamerà come il nuovo “umanesimo scientifico”.
Leggiamo queste sue parole: “La maggior parte di noi vorrebbe vivere più a lungo, godersi una vita più sana e felice, poter controllare il sesso dei figli quando sono concepiti, e poi modellare il proprio corpo, intelletto e temperamento nel miglior modo possibile, ridurre le sofferenze non necessarie  a un minimo; stimolare al massimo le proprie energie senza poi risentirne effetti nocivi. Sarebbe piacevole creare a nostro talento nuove specie animali e di piante, così come si preparano tanti composti chimici, raddoppiare il rendimento di un ettaro di grano o di un gregge, mantenere la bilancia della natura in nostro favore, bandire dal mondo parassiti e i germi delle malattie. Sin dai tempi di Platone, e anche prima, vi sono stati utopisti che sognarono di controllare il flusso della razza umana, non soltanto nella quantità, ma anche nella qualità, affinché l’umanità potesse fiorire con caratteri nuovi”.
Anche in queste righe quasi recitate in seconda persona, come un qualcosa di collettivo sicuramente condiviso dai più, sta pensando al proprio di programma, a quello del suo clan familiare e a quello di tutta un’élite di cui lui era un ottimo rappresentante.
È molto importante seguire questo filone di pensiero, comprendendo che l’ecologia per questa élite transumanista non era un mero involucro dove nascondere altri intenti e obiettivi, ma era ed è parte dello stesso discorso. Fuori dall’ambiente selvatico, che costoro allora – come ancora adesso –  percepivano come un qualcosa di simile ad una teca da museo che si può ammirare in un fine settimana o in gita scolastica con il professore di scienze, vi è l’allevamento per gli animali e la coltivazione per i vegetali. Le persone più capaci sono chiamate ad essere i selezionatori dei più adatti.
Impregnati di Malthusianesimo e di Darwinismo sociale – tutto rimane in famiglia a quanto pare -sono sfociati nei più ampi programmi di eugenetica che nei decenni sono sopravvissuti a tutte le turbolenze, anche a quelle degli orrori dei campi di sterminio, o forse sono sopravvissuti proprio grazie a questi. Nel pieno della propaganda nazista durante la Galton Lecture del 1936 presso la Società di Eugenetica Huxley afferma: “Gli strati più bassi, presumibilmente meno dotati geneticamente, si riproducono relativamente troppo velocemente. Per questo motivo è necessario insegnare loro i metodi di controllo delle nascite; non devono avere un accesso facilitato all’assistenza o alle cure ospedaliere, per evitare che la rimozione dell’ultimo riscontro della selezione naturale renda troppo facile la produzione o la sopravvivenza dei bambini; una lunga disoccupazione dovrebbe essere un motivo di sterilizzazione”. Costoro, che a Norimberga da vincitori avrebbero dettato le regole morali ai vinti nazisti, non erano altro che arrivati alle stesse conclusioni, tanto da far dichiarare a degli imputati in quel processo che si erano ispirati agli Stati Uniti d’America, dove da anni si portavano avanti politiche eugeniste regolamentate da leggi democratiche.
Quella che è evidente, ieri come oggi, è che si vuole arrivare ad un’“umanità scientifica”, usando la definizione di Huxley. Questa praxis scientifica si vuole universale, ma ovviamente solo un’èlite ne conoscerà i più segreti meccanismi. Huxley mette in guardia dal possibile crearsi di una dittatura, ma ne propone una su base biologica e si sbizzarrisce nel parlare di esperimenti evolutivi dove la vita può raggiungere “nuovi livelli di realizzazioni e di esperienze”. Il tipo di società desiderata è bene esposta da Aldous, fratello maggiore di Julian. Aldous Huxley era un altro noto eugenista che nel suo romanzo Il Mondo Nuovo in realtà non aveva voluto lanciare un allarme, il libro è da interpretare come un manifesto del clan Huxley, da sempre promotori di certe teorie. Solo realizzando un’ “umanità scientifica”, ci ricorda Julian Huxley, l’umano potrà affermare il suo privilegiato diritto: quello di “diventare un primo organismo che eserciti un controllo cosciente sul proprio destino evolutivo”.
Nel loro immaginario il mondo “sarà suddiviso in modo razionale, secondo i bisogni delle messi, delle foreste, dei giardini, dei parchi, della caccia, della conservazione della natura selvaggia; ciò che crescerà in qualsiasi parte della superficie terrestre sarà dovuto ad una precisa idea dell’uomo; molte specie di animali dovranno al controllo umano non soltanto il fatto della loro esistenza e crescita, ma anche le loro caratteristiche e la loro stessa natura”.
Questa idea di conservazione viaggia strettamente in parallelo con quella che era, ed è tuttora, la filantropia: fondazioni miliardarie con poteri smisurati piene di buone intenzioni, ovviamente quelle che loro ritengono buone intenzioni. C’è la povertà nel mondo? Costoro da sempre si prodigano a controllare e gestire la popolazione nella sua alimentazione, ma soprattutto nella sua riproduzione con precise politiche che hanno sempre condizionato nei paesi del Sud del mondo le decisioni più importanti in ambito sociale e sanitario.
Sono passati decenni da quando questi pensieri vennero non solo elaborati, ma poi concretizzati attraverso strumenti operativi per agire nel reale. Lo stesso Huxley, oltre ad aver fondato il WWF, fu presidente dell’UNESCO per circa due anni per poi dimissionare in modo non del tutto chiaro. In quegli anni si parlava della povertà in Africa e del grave flagello della febbre gialla elogiando coloro che al tempo erano i filantropi per eccellenza essendo i promotori della Rivoluzione Verde: la famiglia Rockfeller. Significativo che Huxley affermò: “la febbre gialla sta perdendo terreno nella guerra che le ha dichiarato il signor Rockfeller”.
Huxley si interroga sul fatto se tutti questi risultati potessero essere considerati buoni: “Perché eliminando una malattia, la necessità biologica della resistenza andrebbe a sparire e i meno resistenti sopravviveranno al pari dei più resistenti, e la resistenza della media della popolazione scemerà gradualmente. E, se molte malattie fossero bandite da un paese, lasciando per il resto le cose al loro andamento, è quasi certo che ne conseguirebbe un abbassamento della vitalità generale, essenza menomata della popolazione dalla sproporzionata sopravvivenza degli individui deboli che le malattie avrebbero spietatamente eliminato. In altre parole, la popolazione sarebbe più sana per quanto riguarda quelle determinate malattie, ma come razza avrebbe messo i piedi nella pericolosa china della degenerazione”.
Dietro apparentemente tanti dubbi e interrogativi trasuda una ben chiara visione di mondo, che affronta una questione tanto cara a quell’élite di allora come a quelle di oggi: la sovrappopolazione. I numeri delle bocche da sfamare, ma anche i più adatti a esserlo. Se Huxley si differenzia da alcuni suoi contemporanei come Galton, Spencer e Mendel – a quest’ultimo gli toccò di smettere di torturare animali per passare ai piselli per non irritare le autorità ecclesiastiche –  dichiaratamente razzisti, non lo fa per buonismo o perché la pensasse diversamente. Semplicemente ritenne più efficace la sua formula dell’ecologia che, a quanto pare, gli aveva permesso di innestare il suo pensiero nel tempo, assicurandogli una durata che gli è sopravvissuta.
Queste visioni ecologiste, almeno quelle del clan Huxley, avranno un’enorme peso nel consolidare le politiche ambientali nei vari decenni, sicuramente quelle del conservazionismo di Stato e soprattutto del WWF. Questa organizzazione è stata la più rappresentativa di quella visione di mondo, tanto da spostare, sterilizzare, reprimere e uccidere popoli originari indigeni per preservare specie in estinzione, arrivando a promuovere lo sviluppo di tecnologie invasive pur di far rientrare le proprie cornici di vita selvatica degna o non degna di sopravvivere. Una piccolissima percentuale di vita selvatica ingegnerizzata e costantemente monitorata rinchiusa in ristrettissimi parchi per il sollazzo di quella che con il tempo si restringerà in una piccola élite pagante che vorrà sentire da vicino il gusto del selvatico arricchito magari da performance multimediali.
La storia di questi filantropi-naturalisti che hanno portato le loro teorie e i loro sogni transumanisti fino ai nostri tempi è ricca di sorprese. Non si può considerare una generosità verso i poveri il loro costante impegno per debellare gravi malattie del Sud del mondo come la malaria. Costoro odiavano i poveri e il loro mondo, tutto ciò che questo poteva rappresentare, considerato come uno spreco e più spesso come una minaccia per la loro sopravvivenza, essendo loro i portatori di privilegi unici, ovviamente su base biologica.
Parlando del flagello della mosca tse-tse e la conseguente diffusione del morbo Huxley sostiene la necessità di intervenire in modo diretto o indiretto non solo sulla mosca, ma su tutto l’ambiente, in modo che gli insetti sgraditi non trovino più le condizioni favorevoli per la loro diffusione. Prosegue poi ritornando a quel legame tanto caro con la genetica: “possiamo affrontare il problema secondo un’altra prospettiva, si può modificare l’essenza stessa della Natura, alterando l’equilibrio col mutare delle qualità congenite degli organismi in questione, per esempio, invece di assalire un flagello inserendo il suo nemico o modificando l’ambiente in cui esso opera, possiamo di proposito allevare una specie che resista direttamente ai suoi assalti. Così ora si produce grano che è relativamente immune dalla ruggine; gli Olandesi ci hanno dato un esempio suggestivo di ciò che si può compiere applicando a fondo i metodi mendeliani”.
Pochi anni dopo tutte queste speculazioni sarebbero diventate la Rivoluzione Verde: il più grande flagello sociale per i popoli del sud del mondo espropriati della loro autonomia e spesso minacciati nella loro stessa sopravvivenza. Ma anche la natura avrebbe pagato il suo prezzo con una degradazione ed erosione di cui ancora oggi si contano le conseguenze. Queste visioni di mondo sono sopravvissute nel tempo e hanno permesso ad altri affini di mettere in pratica i progetti di costoro. Dopo la Rivoluzione Verde è arrivata la Rivoluzione biotecnologica, fino a quella del Crispr/Cas9. In Africa assistiamo a progetti ancora una volta di natura filantropica, ancora una volta per i poveri e ancora una volta per debellare malattie come la malaria. Qui troviamo all’opera la Fondazione Gates che ha finanziato progetti come il Gene Drive che consiste nell’immissione in natura di zanzare geneticamente modificate in grado di portare all’estinzione l’intera specie ritenuta nociva. Ovviamente la zanzara è solo l’inizio perché è evidente che si vuole fare ben altro con queste tecnologie, lo spettro di nocività per questi neo malthusiani è molto ampio.
A questo punto viene da porsi la domanda: che naturalisti erano questi Huxley passati alla storia proprio come grandi scienziati ed estimatori del bello naturale? Basta andare ancora un po’ indietro nel tempo al “nonno Thomas H. Huxley” che così si definiva e, riferendosi alle scienze naturali che erano il suo particolare mestiere: “ho paura che in me ci sia ben poco del vero naturalista. Non ho mai fatto raccolte, e la sistematica è sempre stata una seccatura per me. Nel mio campo di studio mi interessava quel che vi era di architettonico, e quel che poteva essere studiato da un ingegnere, il riconoscere quella meravigliosa unità di piano in migliaia di diverse costruzioni viventi, e le modifiche di apparati simili a scopi diversi”. Forse fanno più chiarezza altre sue parole che trasudano distanza verso le categorie più svantaggiate o semplicemente verso gli sfruttati: “Pensavo allora, come mai questa gente non facesse massa e non cercasse di mangiare bene e saccheggiare secondo il proprio gusto, magari per poche ore finché la polizia non riuscisse a fermarli, e ad impiccarne qualcuno. Ma questi poveri rottami non hanno più cuore nemmeno per questo”.
Ci sono stati altri naturalisti che hanno dato un fondamentale contributo per diffondere un senso altro di conservazione della natura con visioni non paragonabili a quelle transumaniste ed eugeniste. Uno di questi pionieri dell’ecologismo di tipo conservazionista è sicuramente l’americano John Muir che ci ha lasciato tra le più belle pagine scritte attorno alla storia naturale dedicata alle montagne Americane come lo Yosemite, allora ancora poco esplorate. La sua creatura, il Sierra Club, presente ancora oggi, fa parte della cloaca dell’ambientalismo governativo, antropocentrico e produttivista, ma in principio era altra cosa. Il suo fondatore non ha concepito la sua idea di natura selvaggia discutendone nelle sedute della Royal Society tra gentiluomini che avevano in odio qualsiasi cosa che non rappresentasse la loro categoria e soprattutto il loro metodo scientifico, abituati a camminare nei lunghi e austeri corridoi del Britisch Museum ad osservare nelle teche gli ultimi saccheggi effettuati nella natura selvaggia. Muir può benissimo essere considerato uno dei fondatori dell’ecologia e nulla in lui, nel suo pensare e soprattutto nel suo agire, può avvicinarlo anche solo di poco a quell’ecologia scientifica fatta di calcoli, razionalizzazioni e pericolosissime manipolazioni.
Quando, in tempi recenti, l’alibi per far accettare l’inaccettabile – travestito da un’aurea pura ed ecologica – irrompe con il suo volere con il dogma tecno-scientifico, personaggi come Muir – instancabili ammiratori e difensori della natura che ben poco avevano di scientifico – ridanno speranza a quelle idee e a quelle lotte che hanno compreso l’importanza di proteggere la natura selvaggia allo stesso modo in cui proteggiamo noi stessi, perché gli squilibri di uno cadranno irrimediabilmente sull’altro, ma non solo, come scrive John Muir descrivendo le distese selvagge dell’Alaska: “Non ci sarà felicità in questo mondo per chi non è capace di gioire in un posto simile”.

Resistenze al nanomondo, Giugno 2022, Bergamo
da L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022

Resilienza: adattarsi a un mondo tossico

Resilienza: adattarsi a un mondo tossico

L’ultimo uomo è l’umano resiliente in perfetta sintonia con i dettami di Davos: dinamismo resiliente era una frase lanciata dal WEF nel 2013. Schwab delinea una società più inclusiva, resiliente e sostenibile. Non è un caso che il piano nazionale per l’economia approvato nel 2021 in Italia dopo la pandemia dichiarata al fine di velocizzare la transizione ecologica e digitale sia stato chiamato Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La parola resilienza entra così a pieno titolo nel leitmotiv di inclusività e sostenibilità. In perfetta sintonia con la fluidità che deve contraddistinguere ogni cosa e diventare una caratteristica di ogni individuo.

La resilienza in ingegneria si riferisce alla proprietà dei metalli di assorbire un urto seguendo il corso delle deformazioni senza spezzarsi. Così, come per i metalli, all’umano nelle nuove geometrie del mondo tecnomorfo viene chiesto di diventare poroso per assorbire ogni tipo di tossicità e di diventare plastico in grado di deformarsi senza più tenere memoria del suo stato originario. Dalla meccanica dei corpi alla meccanica dello spirito per una sopportazione dell’insopportabile.

In ambito psicologico la resilienza rappresenta la capacità di attraversare e superare dei traumi, per riuscire a far fronte a delle situazioni immodificabili come l’avvento di un tumore o la morte di una persona cara.

Quando alcune parole vengono fatte proprie dal potere chiediamoci cosa andranno poi a significare e cosa andranno a rappresentare nelle trasformazioni e metamorfosi messe in atto dal potere stesso. La resilienza, da qualità che può essere considerata positiva in ambito strettamente psicologico, viene resa modus operandis, ideologia, imperativo dominante.

Per esserci resilienza deve esserci un trauma, questo già dovrebbe bastare per rendersi conto che il fine è far sopportare alle persone un esistente traumatico. Una peculiarità della resilienza su cui fa leva il potere è il suo riferirsi a un fenomeno irreversibile. Qui sta il punto: la resilienza viene universalizzata ed estesa a un contesto sociale che invece non è irreversibile.

La resilienza si estende occupando fino a non rendere possibili e immaginabili gli spazi e le tensioni di resistenza e rivolta. Rientra così a pieno titolo nell’unico orizzonte di senso che dissolve ogni spigolo in quel livellamento globale in cui tutto deve scorrere fluido senza scosse e senza sussulti di rivolta. Ma gli spigoli, se pur piccoli, sono in grado di penetrare e creare fessure che possono allargarsi e rompere quel che si riteneva indistruttibile.

La resilienza è un’accettazione dell’esistente che non è considerato giusto, ma intrinsecamente immodificabile. Di conseguenza non si metterà in atto un agire per stravolgere l’esistente, ma si metterà in atto un agire solo per cambiare e adattare sé stessi.

Lo sguardo si sposta dalla società e dalla realtà la fuori verso l’interno del singolo individuo. Il piano dall’esterno si sposta all’interno, dalle concrete realtà alle proprie soggettività. In queste traslazioni le ingiustizie che si subiscono o che si percepiscono – ma nella maggior parte dei casi sempre e solo in riferimento a sé stessi e raramente con un sentire verso il mondo intero – vengono risolte cercando dentro di sé come sopportarle al meglio al fine di reggere una vita insopportabile adattandosi alle esigenze del sistema. Insomma, cambiare se stessi – in piena sintonia con i principi cibernetici per i quali dopo aver modificato l’ambiente non resta che modificare l’essere umano – per non lottare al fine di cambiare la società…

Non solamente quindi si accettano le ingiustizie, ma queste vengono considerate come un’importante occasione di crescita personale. Nulla potrebbe essere di più triste e anche profondamente vile nel non affrontare la realtà scontrandosi con essa.

Essere resilienti è rendersi in ultima istanza disponibili ed è una resa incondizionata all’esistente.

Se un tempo erano vivi modi altri di sentire il mondo e l’umano, anche se dominato, poteva disporre di un bagaglio di conoscenze altre, oggi l’umano è dominato fin nel suo profondo e non è più in grado di orientarsi diversamente seguendo così solo i percorsi già tracciati dal potere senza nemmeno rendersene conto. Un tempo c’era consapevolezza di essere dominati, di quello che irrimediabilmente si stava perdendo e di voler desiderare un mondo altro da quello moderno, oggi i dominati desiderano le stesse cose dei loro dominatori e sono i migliori custodi di sé stessi in una gabbia che è stata resa trasparente.

L’umano resiliente non sente nulla per cui valga la pena di rischiare tutto, nulla per cui valga la pena di lottare. Un tempo l’uomo e la donna rivoluzionari vivevano nella passione della lotta, sognando di assaltare il cielo, oggi l’umano resiliente non ha più passioni e non ha più sogni.

La resilienza diventa giustificazione per vite mediocri, per chi non ha il coraggio di mettere in discussione l’esistente, per chi cerca sempre di vedere qualcosa di positivo, per chi è sempre ottimista pensando che andrà tutto bene, pensando che sicuramente la situazione che stiamo vivendo produrrà ottime occasioni, cercando di non destabilizzarsi troppo per continuare a sopravvivere nella propria quotidianità.
Ma quando si tocca il fondo – e il fondo lo abbiamo toccato da un pezzo, ma al fondo non c’è mai fine – è bene sentire un pugno nello stomaco, se si è sempre stati abituati ad essere accarezzati dal potere o a non essere considerati nemmeno come un’espressione di dissenso, non si avrà mai la percezione di quello che il potere potrebbe fare, sia come repressione, sia come opera di distruzione. Qui si spiega anche l’incredulità nel considerare impossibile che determinati progetti vengano portati avanti dal potere stesso.

Con questo humus emotivo come sarà possibile che si sviluppi una tensione di lotta contro l’esistente, un essere ostinatamente contro?

Il fenomeno della Resilienza ha anche una versione impegnata a livello sociale in cui si crede che sia sufficiente il lavoro su di sé per poter cambiare il mondo. Ci si sente costantemente impegnati, ma di fatto l’unico impegno è un lavoro su se stessi. L’umano resiliente chiuso in sé stesso ha soffocato il proprio agire in una dimensione personale credendo che il cambiamento sociale si possa raggiungere attraverso un cambiamento individuale. L’agire è stato sostituito da una protesta che fa della testimonianza individuale il proprio centro, una mera biografia di sé che bene si accompagna all’odierna caleidoscopica frammentazione dell’azione politica nei mille rivoli di un attivismo il cui campo di intervento è il proprio desiderio individuale e la propria identità. I sogni delle donne e degli uomini rivoluzionari erano sogni di rivolta collettiva per una società libera, oggi i sogni sono stati sostituiti dai desideri personali.

Quello che viene a generarsi è anche una psicologizzazione dei moti di protesta e in ultima istanza un loro soffocamento. La rabbia – anche quella spontanea e a tratti confusa nel delineare i processi in corso e le diramazioni e i passaggi di un disegno più ampio, a tratti anche ingenua e senza sapere le strade da intraprendere, ma comunque la sana e giusta rabbia – oggi non deve avere spazio, meglio confinarla in una dimensione di disagio individuale. La resilienza aiuterà a superare questo disagio cancellando così la possibilità di trasformare in consapevolezza e opposizione tutte quelle emozioni di rabbia e insofferenza. La rabbia scoperchia i soprusi e può generare una rottura e un conflitto, oggi dalla rabbia che vuole rompere con la realtà di questi si passa alla resilienza che sposta lo sguardo dal sistema opprimente a un disagio individuale. La realtà oggettiva dei soprusi viene sostituita da un disagio soggettivo che deve essere superato facendo un lavoro su di sé e non più contrastando la realtà. Si lavorerà per cambiare la propria percezione delle cose, rendendole più sopportabili e arrivando addirittura a negare la stessa realtà.

Significative queste parole: “Non occorre più operare per costruire una società più giusta, […], poiché nonostante tutto è possibile appellarsi alla resilienza. La pressione sociale […] non è più un problema, poiché chi è resiliente riuscirà a sopravvivere e gli altri potranno appellarsi a uno psicologo, a uno psichiatra o a un tutore benevolo”1.

Un altro aspetto importante da sottolineare è che la Resilienza è usata anche nelle situazioni di disastri ecologici.

L’ONU ha festeggiato il ritorno degli animali a Chernobyl e la “terza riserva naturale più grande dell’Europa continentale” come “esempio di resilienza della natura”.

Dopo Chernobyl e Fukushima sono fiorite numerose pubblicazioni sulla capacità di resilienza di piante e animali selvatici. Questa argomentazione viene usata per sminuire gli effetti nocivi e irreversibili del nucleare al fine di sostenerne l’avanzata e si presta bene ad essere utilizzata in tutti i possibili casi di contaminazione e di danni derivanti da sostanze tossiche e mutagene.

Nella nuova normalità di convivenza con l’emergenza e il disastro resa paradigma si diventerà tutti e tutte resilienti per pesticidi, diossina, metalli pesanti, onde elettromagnetiche, nanoparticelle, ogm, sieri genici. E quando la realtà dell’irreversibilità di certi processi e della mutagenesi – che nessun vivente potrà superare con la tanto acclamata resilienza – irromperà con tragicità nelle belle speranze ci penseranno le tecnologie di ingegneria genetica con modificazioni genetiche embrionali e cliniche di fecondazione assistita. Dobbiamo prepararci a uno scenario in cui le mutazioni genetiche diventeranno la norma. Significativi dei progetti di ricerca che hanno studiato le reazioni delle specie animali selvatiche osservando come alcuni volatili (colpiti da una forte riduzione di fertilità) abbiano imparato a utilizzare gli antiossidanti in modo diverso per resistere meglio alle radiazioni. Nella nuova normalità post-umana e post-natura perché, si chiederanno i tecnocrati transumanisti ed eugenisti, non prevenire e modificare geneticamente le specie viventi facendo sì che siano più resistenti a radiazioni e contaminanti di ogni tipo?
Triste, ma significativo, che l’argomentazione della resilienza – usata dai tecnocrati e dalle varie compagnie al fine di sminuire gli effetti del nucleare – sia usata anche da contesti di sinistra per promuovere il nucleare di nuova generazione o, ugualmente grave, arrivando a considerare che la nocività del nucleare è relativa.

Il soffermarsi sulla resilienza apre nell’immaginario uno spiraglio positivo e in piena tendenza post-moderna e post-verità tutto diventa relativo, anche i danni delle radiazioni. Quando invece in contro-tendenza bisognerebbe sostenere con forza che, per certe questioni, non esistono dati opinabili o relativi… non è possibile sostenere che sono relative le molteplici nocività mortifere e le pratiche di appropriazione dei corpi, così come, di conseguenza, non potrà essere relativa l’opposizione ad esse e all’intero sistema che le rende possibili, necessarie e addirittura desiderabili. Di fatto non ci si discosta dallo stesso paradigma tecno-scientifico e di accettazione e cogestione del disastro diventando funzionali a rafforzarlo.

A Chernobyl le varie associazioni ambientaliste sono corse nell’accaparrarsi una fetta di gestione del disastro realizzando svariati progetti sul territorio. Da parte delle associazione ambientaliste le iniziali denunce sugli effetti delle radiazioni non potevano mancare per quello che comunque ancora rappresenta il nucleare nell’immaginario delle persone. Per ora è ancora vivo il ricordo dei bambini e bambine nati malformati, ma è un ricordo che man mano tenderà ad evaporare o ad essere ripreso come occasione di sviluppo di ulteriori passaggi di ingegneria genetica sui corpi. Ma, in poco tempo, dalle iniziali denunce sugli effetti sulla salute c’è stato il passaggio a un altro significativo piano. Si afferma che i danni sanitari sono enormi, ma mettendo in luce un altro effetto collaterale: le ripercussioni sociali e psicologiche. Da una lettura superficiale sembrerebbe un’importante denuncia di altre gravi problematicità non considerate. Ma se prestiamo attenzione e leggiamo come viene descritta la “sindrome Chernobyl”: “affligge chi non vede una prospettiva alla condanna di vivere in una zona radioattiva”2.

Perfetto rovesciamento. Il problema quindi non è la reale ripercussione psicologica e sociale, ma il pensare che non c’è prospettiva perché il fine è creare una possibile prospettiva di coesistenza e di sopportazione del disastro. Quando, invece, il nucleare e tutti gli sviluppi delle tecno-scienze nella loro stessa realizzazione cancellano ogni possibile prospettiva di vita libera, sana e indisponibile.

Basterebbe leggere queste dichiarazioni: “c’è da lavorare sulla parte legata al modo di vivere in un’area a rischio: il futuro di queste popolazioni passa per la resilienza, bisogna adattarsi cercando di convivere con la situazione in una maniera che crei meno danni possibile. Questo fa bene sia alla salute fisica che a quella mentale, perché permette di intravedere una speranza. […] Noi stiamo cercando di offrire una maggiore cernita nella dieta delle popolazioni che porti a una contaminazione più bassa, fornendo loro una conoscenza rispetto a quello che si può mangiare o meno. Facendo comprendere che è importante non mangiare, ad esempio, i funghi, i frutti di bosco, non bere il latte né mangiare la carne provenienti da pascoli radioattivi, ma che ci si può nutrire delle verdure e della frutta degli orti di zone meno radioattive. Dopo tanti anni, c’è la speranza che i giovani possano recepire maggiormente rispetto agli anziani un percorso di questo tipo, perché più capaci di adattarsi a una vita diversa, con uno sbocco nuovo anche in termini di minore rischio rispetto a prima. È un po’ quello che stiamo vivendo nel dramma dell’emergenza sanitaria del Coronavirus, con la quale ci stiamo abituando a convivere, nell’ottica di diminuzione del rischio”3.

Affermare che “il percorso è uno sbocco verso una coesistenza con la contaminazione” porta a considerare le popolazioni locali come un problema: queste devono essere educate su come comportarsi.

Questo stesso approccio ci riporta alla mente la gestione del dopo Fukushima. Lo Stato con la complicità delle varie ONG occidentali aveva trasformato gli abitanti di Fukushima in perfetti cogestori del disastro. Le ONG avevano diffuso dosimetri e aiutato gli abitanti a costruirseli, assistendoli nell’immane compito di una impossibile decontaminazione con molteplici iniziative cittadine, costruite dal basso con la partecipazione degli abitanti.

Le ONG invece di spingere le persone a salvare la propria vita fuggendo altrove le hanno aiutate a rimanere, allineate ai dettami dello Stato giapponese il cui obiettivo, fin dall’inizio degli avvenimenti, era di mantenere le popolazioni nei luoghi. Hanno insegnato alle persone come convivere in una società mortifera nell’attesa che i dosimetri facessero il miracolo. Le persone sono state trasformate in sensori viventi che si automisuravano da sé i propri livelli di contaminazione, ovviamente in piena autodeterminazione.

La cogestione si manifesta per quello che è: l’arte di diffondere metastasi statali, per riprendere le analisi di Jaime Semprun e René Riesel. Una volontaria incarcerazione nei protocolli del mondo macchina.
Tutte le soglie di tollerabilità – dai pesticidi alle onde elettromagnetiche – rappresentano dei parametri che non potranno mai calcolare gli effetti combinati e cumulati nel tempo di tutte le sostanze tossiche e mutagene, ma non solo, sottendono un’accettazione a una certa dose di nocività che diventa la normalità mortifera con cui convivere, in un continuo adattamento a situazioni sempre più estreme di attacco ai corpi tutti.

Un tempo si pensava che la conoscenza delle conseguenze delle nocività avrebbe portato alla generazione di moti di rivolta. La storia di Chernobyl insegna che la massa non si rivoltò nemmeno difronte a ciò che tutti sapevano, continuando a comportarsi come se non si sapesse. Dopo anni ci si trova a constatare una sottomissione partecipativa nell’adattarsi a continue e più pervasive condizioni di non vita.

In questo orizzonte si colloca la Resilienza, funzionale nella cogestione dei disastri, a tutti i processi in corso e all’adattamento a un mondo tossico.

Da parte nostra, sappiamo dove collocarci, fuori dalle geometrie del mondo tecnomorfo e fuori dalla sua neolingua, sicuri che “finchè ci sarà lo splendore delle stelle, in qualsiasi posto del mondo ci saranno sempre ribelli decisi a volare all’assalto del cielo”, contro la Resilienza per la Resistenza di spiriti liberi.

Silvia Guerini, Giugno 2022, Atene
da L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2020

Note:

1 E. Malaguti, Educarsi alla resilienza.

2https://iorestoacasa.legambiente.it/approfondimenti/chernobyl-tra-resilienza-e-semi-di-futuro-possibile/

3https://iorestoacasa.legambiente.it/approfondimenti/chernobyl-tra-resilienza-e-semi-di-futuro-possibile/

Il nuovo ORDINE GENETICO MONDIALE passa anche dalla terra. In arrivo i “nuovi” OGM.

Il nuovo ORDINE GENETICO MONDIALE passa anche dalla terra
In arrivo i “nuovi” OGM.

“È importante avviare una riflessione sulla genetica green capace di sostenere la produzione nazionale, difendere il patrimonio di biodiversità presente in Italia dai cambiamenti climatici e far tornare la ricerca italiana protagonista dopo l’emergenza Covid”. Coldiretti

In pieno clima di dichiarata emergenza sanitaria abbiamo visto, nella quasi totale indifferenza generale, sdoganare OGM in campo medico per poter assicurare l’inoculazione massiccia di sieri genici a mRNA.

In molti forse non si sono ancora accorti di quello che è accaduto o lo hanno rimosso. Mi riferisco in particolare, a coloro che dichiaravano che gli OGM non li volevano nel piatto. Chissà se in piena pandemia, tra gli scaffali semi sigillati e commessi pre-delazione, questi ambientalisti si sono soffermati sulle etichette alla caccia di quelle piccolissime righe, frutto di grandi battaglie: contiene 0 OGM, ecc…. Avvelenati a norma di legge insomma, in pochi si sono chiesti cosa avrebbero fatto tutti questi 0, 1, 2 ecc… sommati insieme? A questo le etichette non sono mai state di grande aiuto; neanche quelle del reparto alternativo, dove il costo maggiore garantirebbe l’abbassamento delle soglie anche se la filiera industriale non lo prevede.

Sarebbe stato più facile criticare gli OGM nei campi per poi mettere in guardia sulle manipolazioni genetiche rivolte ai corpi tutti e, in questo tutti, ci mettiamo ovviamente anche gli altri animali, i cui corpi da sempre rappresentano l’anticamera del mattatoio scientifico sociale. Questa critica degli OGM nei campi o nei prodotti alimentari è praticata da diversi decenni, ma è si è rivelata evidentemente debole e parziale quando era in buona fede e si è rivelata fuorviante quando invece c’era la cattiva volontà o la buona volontà di trasformare lotte radicali fondamentali come “una scelta al supermercato”. Ancora una volta siamo nel campo delle scelte, tanto nell’andare nel grottesco quando aziende OGM propongono anche linee di prodotti bio che certificano di non contenere OGM.

Senza tornare a ripeterci su cose già dette in passato, la critica agli OGM in agricoltura e negli animali da allevamento è stata una grandissima occasione per porre dei baluardi fermi. Non principi di precauzione con la costruzione di precauzioni scientifiche stabilite dallo stesso sistema tecno-scientifco, non etichette ridicole e ingannatrici e nemmeno soglie non controllate da nessuno se non dai controllori stessi, superabili in un bel cumulo transgenico e ovviamente anche chimico. Questo gran bel principio di precauzione arresta momentaneamente le multinazionali e dà l’avvio a ricerche indipendenti con soldi pubblici e scienziati con la missione di salvare i paesi poveri. Ma se si scoprisse, durante queste ricerche finalizzate a dimostrare l’effettiva innocuità dei prodotti transgenici, che effettivamente sono innocui – almeno sul momento – e che quelle modificazioni genetiche sono ininfluenti negli organismi viventi, cosa si farebbe? Quando il verdetto arriva dal laboratorio pubblico, e ovviamente indipendente, cosa resterebbe da fare? Sicuramente questi scienziati che dubitano degli OGM spingerebbero per altra ricerca biotecnologica, alimentando proprio quei finanziamenti che, con il pretesto di tutelare il consumatore, andranno a sviluppare nuove biotecnologie. Ecco svelato l’arcano di certa indipendenza della ricerca: continuare sempre nella direzione originaria e di volta in volta fare accordi per nuovi protocolli di ricerca che passaggio dopo passaggio andranno ad aprire a qualsiasi nocività, magari cambiata di nome. Ovviamente sensibilizzando i cittadini, per i quali le scienze sono l’ultimo dei loro pensieri, ma il primo dei loro problemi.

Circa venti anni fa, in Italia, un sabotaggio plurimiliardario alla multinazionale svizzera Nestlè, con un finto avvelenamento di panettoni Motta in pieno periodo natalizio, portò l’attenzione generale sull’imminente apertura in Europa degli OGM negli alimenti, di cui la multinazionale svizzera, tra le compagnie alimentari, si era fatta promotrice per quanto riguardava i suoi prodotti.

Quello che scaturì da quel semplicissimo sabotaggio non fu un vero e proprio dibattito, piuttosto un’isteria collettiva a prendere posizione sull’argomento, facendo attenzione ognuno a restare nel proprio ambito. L’importante era dire qualcosa, nonostante fosse già ben in vista il quadro da cui cominciare a tirare i punti di quello che sarebbe diventato, nel tempo, un programma ben definito. La pannocchia OGM restava confinata nei campi, il topo transgenico nel chiuso del laboratorio e l’attivista a difesa del consumatore, come se non fossero aspetti da considerare insieme. Gli unici forse più concreti, pensando ai propri investimenti, furono i direttori della Nestlè che rividero pubblicamente il loro uso di prodotti OGM nei propri alimenti, superando in radicalità la gran parte dei contestatori che chiedevano solo l’etichettatura. Chi portò avanti quello scherzetto costosissimo per la Nestlè di più non poteva fare, e sollevata l’attenzione su quello che si sarebbe voluto passasse in silenzio non restava che prendere una posizione radicale, di indisponibilità degli organismi viventi alla manipolazione genetica. Invece, associazioni, verdi, movimenti no global e terzomondisti preferirono la prudente strada della richiesta di garanzie e sicurezze, pensando erroneamente che il prendere tempo avrebbe dato un forte vantaggio alla loro causa. Ma il tempo trascorso in attesa del momento propizio è stato funzionale solo a far sì che ogni barriera fosse invece superata. Il principio di precauzione adottato nel laboratorio non ha circoscritto o eliminato una minaccia, piuttosto l’ha conservata e affinata.

Negli anni, l’apparente stasi della situazione europea in tema di OGM deve aver fatto pensare che si potesse stare tranquilli, un po’ come la fine della guerra fredda avrebbe dovuto sospendere il rischio atomico, quando invece le maggiori proliferazioni si sono avverate dopo, con altre motivazioni e urgenze, possibilmente in tempi di pace. Negli anni, anche in Europa per alcuni paesi come Spagna e Romania, gli OGM sono diventati una realtà e per tutti i paesi europei, tra cui l’Italia, sono in circolazione mangimi OGM destinati ad arricchire i pastoni veleniferi destinati agli animali da allevamento. Mangimi OGM che in molti casi nelle piccole coltivazioni su base familiare vengono anche utilizzati come semente, mettendo quindi in natura piante manipolate geneticamente.

Le emergenze sono sempre l’alibi per far passare di tutto. Durante la guerra in Iraq la distruzione del paese con bombe a grappolo e fosforo bianco si accompagnava ad una ricostruzione fatta anche dalla disseminazione velenosa di piante OGM della Monsanto portate nel paese insieme alle armi e ai dollari dagli affaristi americani.

In Ucraina, già dal 2015, Monsanto, Cargill e Dupont compravano milioni di ettari di terre da destinare alle loro coltivazioni con Monsando e Dupont a investire anche per la costruzione di fabbriche di sementi. Queste compagnie hanno il controllo di ogni fase della catena agricola del paese: produzione di semi, trasporto, esportazioni. Come il Roundup Ready è elemento inseparabile dalla soia OGM, le guerre fanno da immancabile cornice alle invasioni delle compagnie biotecnologiche.

Nelle recenti dichiarazioni di emergenza energetica è evidente che questa transizione verde è pronta a usare tutto per i propri scopi. Stiamo imparando ad assistere all’annuncio pubblico di un problema e subito dopo alle immancabili restrizioni che lo accompagnano: dopo i lockdown sanitari si va verso i razionamenti di acqua e alimenti. Se in una emergenza sanitaria è stato possibile inoculare sieri genetici a miliardi di persone, perché in una emergenza alimentare non sarebbe possibile coltivare OGM a livello universale per imporli a tutti?

In Italia, con il pretesto di fronteggiare gli impatti della guerra in Ucraina sull’economia, è stata proposta una mozione urgente per rivedere le politiche in tema di OGM. Un intervento emergenziale sul settore agricolo per spingerlo ad adottare le nuove tecnologie di ingegneria genetica: le Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA). Un nome che rimanda alla procreazione medicalmente assistita degli esseri umani: anche nel linguaggio la biotecnologia sembra voler restringere il campo. Queste nuove tecnologie prenderebbero le “distanze” dagli OGM che tanto dettero allarme, come le fragole provviste di geni del pesce per aumentarne la conservazione. Ma non sono meno “cibo frankenstein” dei precedenti OGM. Se prima gli organismi transgenici erano ottenuti inserendo nel DNA di una specie geni estranei di un’altra specie, i nuovi OGM sono ottenuti con tecniche come la cisgenesi che utilizza geni di organismi della stessa specie o di specie affini che potrebbero incrociarsi naturalmente. L’inserimento del cisgene nel genoma avviene in modo casuale come nella transgenesi. C’è poi il metodo dell’editing genomico, come Crispr/Cas9, che consente invece di inserire il frammento di DNA in un punto specifico del genoma.

Una nuova narrazione figlia dello stesso riduzionismo e determinismo biologico della precedente, entrambe convinte di poter definire le caratteristiche di una specie in base ai suoi geni. Un sistema vivente estremamente complesso qual è ogni organismo viene ridotto alla somma dei propri geni, come singole risorse, utili per le manipolazioni dei biotecnologi e per i contabilizzatori di materie prime. La frammentazione dell’organismo vivente, prima simbolica e poi concretamente attuata nei laboratori spezza le fondamentali interazioni che determinano il funzionamento dei geni in un organismo. Il loro “taglia e cuci” solo più sofisticato del precedente non fa altro, ancora una volta, che rimetterci ai capricci degli esiti indesiderati, ma soprattutto a quelli che desiderano fortemente per ogni organismo vivente.

Come già era avvenuto con la dichiarata emergenza sanitaria l’evidenza di un sistema sanitario disastrato non ha portato a far fronte a questo problema, ma ad un salto tecnologico ancora più disastroso: “o ti vaccini o muori” dichiarava l’esecutore finanziario Draghi. I tempi di guerra attuali hanno improvvisamente evidenziato come la produzione nazionale di cereali sia stata mortificata da almeno due decenni di acquisti al ribasso sul mercato globale. Questo ha portato all’abbandono di tre milioni e mezzo di terreni agricoli che non conviene più a nessuno coltivare. E adesso che da Russia e Ucraina non arrivano più mais e grano tenero, non vi sono materie prime sufficienti per soddisfare export e domanda interna. Senza contare le enormi estensioni di terreno destinate a produrre cibo per animali: immani monocolture inzuppate di pesticidi. Qualcuno ha forse pensato di riprendere in mano quei terreni magari per adibirli a coltivazioni biologiche per uso interno, magari solo come proposta per fare una bella figura? Ovviamente no, ancora una volta a chi ha creato originariamente il disastro viene affidato il compito di continuare a crearne degli altri, possibilmente ancora più ricombinanti.

Chi sarà a dire: “senza gli OGM moriremo tutti di fame”? Sicuramente il prossimo chiamato ad eseguire l’agenda globale. Per il momento il programma è quello di far aumentare le rese per ettaro adottando, ancora una volta, nuove tecnologie, e ignorando volutamente il problema nel suo insieme, com’è avvenuto per la sanità durante la dichiarata emergenza. Mancano i letti di ospedale? Velocizziamo l’implementazione del 5G. I terreni non producono più perché degradati e impoveriti dall’ipersfruttamento? Ci penseranno l’ingegneria genetica per la produzione e i droni per il controllo.

Come già veniva detto per i “semi miracolo” durante la Rivoluzione Verde degli anni ‘60, quei semi trattati dovevano essere migliori di quelli che la natura sviluppa in millenni di cicli ed evoluzioni naturali. I laboratori hanno prodotto semi geneticamente modificati con queste ultime tecnologie di ingegneria genetiche che avvisano essere sicure per gli organismi viventi e per l’ecosistema. La cosa strana perché veniva detto anche per i precedenti OGM. Sarà che siamo destinati a scoprire sempre dopo gli esiti nefasti delle loro chimere transgeniche?

Chi vuole sdoganare in Italia questi nuovi OGM è una proposta dei 5 Stelle che, spingendo a sua volta il carrozzone della transizione ecologica, arriva a parlare di piante modificate geneticamente più sostenibili dal punto di vista ambientale, perché questa volta il “cannone genetico” si è fatto estremamente più preciso e sarebbe in grado di attivare e disattivare geni a piacimento senza conseguenze. Se a questo si aggiunge la riduzione dell’uso di fitofarmaci e ovviamente una maggiore resistenza ai cambiamenti climatici si sarebbe di fronte ad un’agricoltura a misura di clima di guerra, pandemie, disastri ecologici… insomma, quel futuro che è già un presente che stanno realizzando.

Questa proposta di legge presentata a dicembre dal pentastellato Gallinella, presidente della commissione Agricoltura, avrebbe anche altri obiettivi: trasformare l’Italia in un paese leader per le tecnologie TEA e quindi per gli OGM in agricoltura. Con questa proposta di legge viene permessa la ricerca direttamente in campo aperto con organismi prodotti tramite tecniche di editing genetico e cisgenesi, per fini sperimentali e scientifici, per arrivare ovviamente poi ad aprire queste coltivazioni a tutta la filiera commerciale, che irrimediabilmente ne verrebbe contaminata, non lasciando a spazio a nient’altro che non sia OGM. Ovviamente l’agricoltura biologica seguirà la stessa sorte.

La neutralità della ricerca pubblica è chiarita dal direttore generale del Crea, l’ente di ricerca del Ministero delle Politiche agricole: “la ricerca in campo di queste nuove tecnologie rappresenta un fattore strategico per l’agricoltura nazionale. Abbiamo bisogno di essere competitivi permettendo di salvaguardare la nostra tipicità”. Il Crea che può contare su 12 centri di ricerca e si dice “pronto a mettere sul terreno varietà già testate in laboratorio: tra queste ad esempio, vitigni che ci permettano meno trattamenti per la peronospera o pomodori maggiormente resistenti alle orobanche. Con questa proposta di legge possiamo anticipare i tempi, senza attendere l’Ue, e porci nel filone di Stati come Cina, Regno Unito e Usa. Aspettiamo, dunque, solo l’approvazione della norma, strategica forse almeno quanto il PNRR”.

Il presidente Edgardo Filippone della Società Italiana di Genetica Agraria che raggruppa oltre 300 ricercatori, per gran parte del settore pubblico, ha chiarito ancora meglio: “Le TEA ci permettono di poter agire con forbici molecolari sul singolo mattoncino di DNA come accade già in natura ma con tempi molto differenti. Mi complimento con la politica che ha ascoltato il grido di dolore della ricerca, ha compreso il valore delle nostre attività e ci auguriamo che la proposta di legge porti il nostro Paese all’avanguardia. Potremo celebrare i 200 anni della nascita di Mendel nel 2022 con una norma che permetta la ricerca in campo, imprescindibile sempre con tutte le disposizioni di precauzione”.

Nella sua conclusione alla camera il 5 Stelle Gallinella ha ribadito che lo scenario di cui si parla è completamente diverso dagli OGM: “Le TEA, infatti, rappresentano una peculiarità tipica degli agricoltori che da sempre incrociano piante sessualmente affini per potenziare determinate caratteristiche. Mi auguro che il dibattito normativo sia proficuo ma anche celere per poter dare questo strumento potente e innovativo nelle mani degli agricoltori, sotto l’egida della ricerca pubblica dell’autorevole Crea”.
Che un paese colonia statunitense come l’Italia autonomamente si voglia porre leader europeo per gli OGM è decisamente poco credibile. È più probabile invece che avvenga quello che è accaduto fino ad ora, in particolare durante la dichiarata pandemia, dove l’Italia dietro indicazione è stato un riferimento, non solo europeo ma internazionale, per la messa in campo a livello massiccio di una violenta campagna di inoculazione con l’utilizzo di sieri genici. L’Italia è stata leader a livello di medicalizzazione e di ricatto e anche a livello di pratiche di ingegneria sociale securitarie che in alcuni casi hanno provato anche a migliorare le tecniche cinesi.
Anni addietro, con la scalata dell’Europa ad opera delle multinazionali dell’agrobusiness, veniva utilizzato lo stesso linguaggio, con le stesse retoriche e falsità ma a quei tempi andava criticata la cattiva Monsanto assetata di profitti. Oggi abbiamo la resiliente ricerca pubblica che con “un grido di dolore” invita ad aprire agli OGM, in principio per permettere di spalancare la porta alla ricerca, subito dopo su vasta scala, su base emergenziale e quindi commerciale per la crisi alimentare. Se gli OGM sono entrati nei corpi entreranno anche nella Terra.
Significativa anche la neolingua utilizzata dal presidente della Società di Genetica Agraria che spende una parola sul “principio di precauzione” e lo fa diventare “disposizioni di precauzione” che apparentemente sembrano significare la stessa cosa, ma a volergli dare il senso del genetista che sicuramente non vuole perdere ancora tempo, visto che la sua società serve a questo, è da intendere come precauzione da dare in corso d’opera. Che tradotto significa: mentre sperimentiamo direttamente nei campi manteniamo l’attenzione. Come, per esempio, quella adottata durante l’inoculazione dei sieri genici. C’è un piccolo particolare che l’estimatore di Mendel non menziona. Un OGM in un campo aperto è l’avvio di una contaminazione inarrestabile con tutte le varietà naturali, qualche cappuccio sulle pannocchie e qualche metro in più sono solo soluzioni ridicole. Una volta immesso in natura un organismo geneticamente modificato non si può più ritirare, esistono precisi esempi di deliberate contaminazioni agricole, come quella del Brasile e dell’Argentina con la soia OGM.
La lobby che da decenni preme per far passare vecchi e nuovi OGM in Italia e poi nel resto d’Europa è costituita da imprese sementiere e multinazionali dell’agrobusiness, che insieme detengono la quasi totalità dei brevetti dei nuovi OGM. Queste non hanno mai mollato la presa, semplicemente negli ultimi anni hanno cambiato metodo. Con l’aiuto di nuove tecnologie come il Crispr/Cas9 l’impegno si è diretto a cambiare le carte in tavola, cercando di confondere gli astanti che si trattava di un gioco nuovo, ma fanno ancora fatica a nascondere il luogo dove si gioca con la vita: il laboratorio.
Nel 2018 una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le varietà di piante ottenute con i metodi delle NGT (nuove tecniche genomiche) ricadano all’interno della normativa europea che regola gli organismi geneticamente modificati. OGM che, in Italia, sono sottoposti a un divieto totale di coltivazione e sperimentazione in campo aperto. La proposta legislativa dei 5 Stelle sarebbe restata parte di quella pressione portata avanti su tanti livelli diversi per escludere i prodotti TEA dalla legislazione attuale sugli OGM a livello europeo e nazionale. Già nel 2020 vi fu un tentativo fallito della renziana Bellanova. Ma l’arrivo della guerra con le sue “emergenze” ha fornito l’alibi a chi aveva finora resistito all’assalto dell’agroindustria. A fronte del conflitto Russia-Ucraina hanno ribadito di volere “un decreto d’emergenza ad hoc per l’agricoltura. E nell’elenco delle proposte fatte, ci sono anche le TEA. È la base normativa per poter inserire misure che difficilmente vedrebbero la luce”, dichiara candidamente il solito onorevole Gallinella a Today. Diversamente, l’iter ordinario non vedrebbe la luce prima di fine legislatura e per quanto riguarda l’Europa non se ne sarebbe parlato prima del 2023.
La Commissione europea sta lavorando attualmente ad un quadro giuridico in materia di piante ottenute mediante mutagenesi e cisgenesi, da differenziare da quello degli OGM vecchia maniera. È evidente che si sta lavorando ad una prossima apertura, perché sappiamo bene che le “emergenze” fanno bruciare qualsiasi tappa, e che queste siano di natura etica o di sicurezza non ha alcuna importanza. Su questo solco, il solco di un terreno che si appresta ad essere contaminato irreversibilmente, la Commissione europea ha stilato su richiesta del Consiglio uno studio sugli “OGM di nuova generazione” a cui attribuisce “il potenziale di contribuire a un sistema alimentare più sostenibile nel quadro degli obiettivi del Green Deal europeo” e della strategia “dal produttore al consumatore”. È stata annunciata una grande consultazione aperta e libera, sicuramente non da OGM, per dare un nuovo quadro giuridico a queste biotecnologie. Tra i sostenitori non poteva mancare l’EFSA di Parma (Ente europeo per la sicurezza alimentare), ente che come l’omologa FDA americana dovrebbe essere imparziale, ma che nella pratica è tutto costituito da personale con forti interessi nell’industria delle biotecnologie, nella chimica e nella farmaceutica, come vale appunto per l’agenzia americana.
Questo studio, più che un’analisi complessiva del problema, sembra verificare cosa c’è di utilizzabile per il nuovo cambiamento, ovviamente è già stato deciso altrove. Resta la questione della digeribilità legislativa: in questo senso risulta significativo come lo studio abbia rilevato la lentezza della legislazione di stare al passo con gli sviluppi scientifici e tecnologici, promuovendo al contrario una legislazione resiliente e a prova di futuro, da applicare uniformemente. Il messaggio è chiaro: la Cina ha editato già due bambine geneticamente e stiamo ancora qui a discutere se il Crispr possa essere utilizzato in agricoltura? Il vero metro di valutazione d’ora in poi sarà la transizione verde, tutto quello che rientra in questo processo d’ora in poi diverrà ecosostenibile, aiuterà il clima e proteggerà la biodiversità. Il resto può essere rimosso ed escluso.
Qualcuno si è opposto a questa continuazione di ingegnerizzazione del vivente? Sono state lanciate coalizioni e petizioni, si, ma cosa affrontano e di che problemi trattano? Come potrebbero essere veramente critici questi contesti verso l’ingegneria genetica, quando la stragrande maggioranza delle loro associazioni, sindacati e organizzazioni hanno già accettato i dettami della Grande Trasformazione, tacendo miseramente o confermando una realtà poggiata su un laboratorio sperimentale dove il DNA da modificare era già quello degli esseri umani? I tempi rovesciati in cui viviamo potrebbero anche fare in modo che rinascano movimenti contro gli OGM come in passato, ma cosa potrebbero esprimere se al loro interno vi è una simile contraddizione non risolta e tenuta sospesa? Ma ogni sospensione prima o poi riporterà all’originario stato precario, restituendoci un sentire incompleto, un esserci incompleto. Non ha importanza che una lotta abbia un buon esito: la maggior parte delle lotte non arriva mai a raggiungerlo. Quello che fa la differenza è la nostra posizione in tutto questo, la nostra chiarezza, che servirà a noi per andare avanti nonostante tutto e agli altri per comprendere il senso stesso di una lotta fondamentale, come quella contro l’ingegneria genetica di ieri e di oggi.

Costantino Ragusa, Luglio 2022, Bergamo
da L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2020