Manifesto della Coalizione contro ogni nocività

La nocività è il sistema

In una società tecnologica-industriale, cercare dove inizino e eventualmente finiscano le nocività rimane un’ardua impresa. Se qualcuno si ostinasse a intraprendere un simile lavoro di ricerca e catalogazione, si renderebbe ben presto conto di come elementi dannosi scaturiscono da tutti i nodi che legano la tecnologia al vivente.

Ma il significato che vogliamo dare al termine nocività, supera quello di pura capacità di interferire con la salute di un organismo o di un ecosistema. Abbiamo sotto gli occhi nocività culturali, politiche, sociali, ma quelle che in questo frangente ci interessa identificare e attaccare, sono i processi che caratterizzano il rapporto tra potere, tecnologia e manipolazione-distruzione del vivente, gli interessi dell’eredità, raccolta dall’industria scientifica, di migliaia di anni di pensiero autoritario e antropocentrico. Qualcosa che va ben oltre un problema sanitario, coinvolgendo gli aspetti fondanti di una civiltà tecnologica che si nutre del tempo e delle vite di miliardi di individui umani e non, che setaccia e suddivide gli esseri viventi in razze, in specie, in categorie inchiodate su una scala gerarchica ordinata in base alle sue necessità.

In un contesto di crisi globale, è fondamentale osservare come questo sistema ricorra alla tecnologia per prolungare la propria esistenza. Dopo aver consumato un pianeta, ridotto a risorsa per i voraci appetiti di poche elite umane, dopo averlo scavato, sventrato e avvelenato, si continua a ricorrere alla scienza, principale forza in grado di mantenere intatti gli attuali rapporti di dominio, arrivando a offrirle in sacrificio anche le intime parti che rendono biologicamente possibile la vita.

Tecnici e politici architettano rimedi palliativi per rassicurare sulla possibilità di prolungare all’infinito gli attuali livelli di sviluppo. Ma le conseguenze inevitabili di questa alleanza sono sempre più irreversibili: le alterazioni del clima ne sono gli aspetti più evidenti, come evidente è l’immobilità di un sistema le cui parti si compiacciono con un rapporto sul clima, un trattato o una soglia di emissioni, e il cui unico dogma è lo sviluppo. Uno sviluppo che si è sempre alimentato a qualunque costo, incurante delle nocività prodotte, convinto che la progressione tecnologica avrebbe posto rimedio ai suoi “eccessi”.

Le conseguenze del progresso, le ferite inferte all’ecosistema, non spaventano le potenze economiche, le ricche nazioni che ospitano le cattedrali della ricerca, le finanziarie, le multinazionali, e ancor meno quei paesi in gara per accaparrarsi i seggi del banchetto celebrato sulle ceneri del pianeta. Inoltre, in molti hanno capito che la gestione delle nocività può diventare un settore estremamente vantaggioso, nella misura in cui il loro trattamento costituisce un’attività economica redditizia: dalla grottesca compravendita di crediti di CO2, allo stoccaggio di rifiuti tossici o radioattivi, all’incenerimento dell’immondizia.
Intanto altre nocività, meno evidenti e in attesa di qualche eco-business che se ne occupi,  proseguono nell’ombra il continuo logorio di quei residui di natura che consentono la sopravvivenza su questo pianeta.

L’aspetto più terrificante nell’attività tecno-scientifica, cioè nell’artificializzazione continua della vita, è il suo essere diventata incontrollabile. Proprio quando essa si propone di correggere le nocività e i disastri generati dagli stadi precedenti del suo sviluppo, non fa che produrne altri, più variati, complessi, imprevedibili e ricombinabili.

Il sistema, con il tempo, ha imparato ad amministrare i propri disastri: se la gestione ambientale delle nocività, inscindibile dai suoi imperativi economici, sta affinando i propri filtri e strumenti, la loro gestione politica inizia a raccogliere i suoi frutti. Gli altalenanti toni apocalittici si traducono in un catastrofismo interessato, teso a preparare ed educare le popolazioni atomizzate, deprivate di qualunque strumento di intervento e di pensiero autonomo. Popolazioni che devono essere intimidite e responsabilizzate, crocifisse sul patibolo del consumismo “intelligente”, mondando il sistema delle sue colpe e innalzandolo al di sopra degli sguardi sospettosi, troppo concentrati a pianificare i propri consumi.

Un’umanità, da ogni punto di vista, sempre più alienata. Se la principale forma di alienazione percepita dai marxisti era riconducibile ai rapporti di produzione, è fondamentale osservare come anche i nostri processi fisiologici, cognitivi, edonistici, vengano progressivamente ceduti e raccolti dalla tecnologia biomedica, informatica, psichiatrico farmaceutica, e centinaia di altre sue declinazioni.

Costruita un’identità sociale sullo stampo dell’ideologia del progresso, la realtà che viviamo si riproduce a discapito della pluralità di pensiero e distrugge progressivamente ogni capacità di orientamento. La cultura dello sviluppo che ne deriva, determina che ognuno di noi perda i propri punti di riferimento: non si sa più chi si è, da dove si proviene e dove si sta andando, non si distinguono bisogni fondamentali da desideri effimeri, con il risultato che nel bombardamento massmediatico nessuno sa più a cosa aggrapparsi. E’ stata aperta la porta al pensiero unico ed inconsapevole, ed è così che si è alimentata l’ascesa del potere totalitario. Le persone sono diventate facile preda di più o meno astuti “imprenditori di identità”.

Si parla di ideologia del progresso quando l’idea di progresso cessa di essere un obiettivo per l’uomo, una mèta da raggiungere, e diventa invece una “fede”, la convinzione che comunque la storia porterà al progresso collettivo, superando ogni privilegio sull’onda della produttività; si parla di ideologia del progresso quando si ostenta la pregiudiziale deduzione che l’umanità sia stata insignita del ruolo di gestore del mondo naturale e delle specie animali rese subalterne alla specie umana; in tal modo si tende a giustificare ogni cosa in nome del progresso, a condannare o cancellare tutto ciò che appare come un ostacolo al cammino della storia così interpretata, a svalutare le esperienze fallimentari e discriminatorie di un recente passato di disastri ecologici e sociali, considerati alla stregua di semplici danni “collaterali”.

La ricerca scientifica-tecnologica diventa una verità inconfutabile al punto da divenire insindacabile criterio di crescita suprema, in confronto al quale le altre attività umane e non umane e gli altri modi di ricercare libertà e felicità sono giudicati secondari, inferiori, retrogradi, quando non dannosi o superficiali.

Abbiamo a che fare con il teorema del materialismo meccanicistico che tende a non essere svelato nemmeno dalle svariate anime antagoniste, incapaci di pronunciarsi in una critica radicale che non si limiti all’anticapitalismo. La concezione “materialistica”, secondo la quale non esiste altra realtà che quella materiale, e quella “meccanicistica”, secondo la quale tutto l’universo è un enorme meccanismo mosso da forze spiegate da leggi fisiche. Idee fondanti di quella corrente di pensiero fiduciosa nella tecno-scienza, tanto dura a morire perchè tanto compatibile e tanto utile ai padroni per comandare uomini, donne e animali come fossero macchine che si comportano essenzialmente secondo leggi biologiche, economiche, psicologiche e sociali. Leggi funzionali a indurre attitudini conformate omologanti in un ambiente anch’esso piegato, ma assolutamente fuorvianti per spiegare i molteplici e inclassificabili aspetti della vita intellettiva ed emotiva.

Senza oltrepassare “l’oggi”, ma osservando ciò che avviene nei laboratori e nelle università, fucine che contribuiscono continuamente alla forgia del “domani”, si comprende come biotecnologie, nanotecnologie, scienze cognitive, informatica, stiano unendo le proprie capacità di penetrazione per permeare fisicamente gli individui, rendendo sempre più inscindibili i legami tra organismi e sistema produttivo, energetico, economico. Interfacce uomo-macchina, sostanze in grado di plasmare l’identità, un elettronica e un’informatica sempre più intuitive, DNA personalizzabile  e una medicina sempre più meccanicista e genetizzata, sono alcuni dei “prodotti” pronti per essere accessibili ai consumatori, o meglio che attendono di accedere ai consumatori vista la sproporzione tra la capacità manipolativa dei primi e l’impotenza dei secondi.

Sottoposta ad una progressiva disumanizzazione, dal  momento che ci affidiamo  più ad una macchina che ai nostri sensi, la nostra quotidianità viene scandita dal tick tack delle inesorabili novità tecnologiche venduteci per sopravvivere a questa vita alienata. Dall’ennesimo gadget indispensabile per stare al passo dei tempi, all’ennesima protesi di controllo, che anche se presentata come esterna e non invasiva, ne garantisce l’interiorizzazione ed introduce le successive sempre più invasive, così da mantenere vivo quel circolo vizioso dove di pari passo all’aumento del controllo aumenta la necessità di essere controllati attraverso quella sicurezza propostaci dal sistema poliziesco. Se internet e la telefonia mobile hanno aperto le porte delle nostre “tane”, bio e nanotecnologie stanno schiudendo quelle dei nostri corpi.

Le strutture di controllo sociale sono destinate ad accostarsi sempre di più alle strutture mediche, anzi avranno sicuramente un ruolo prioritario nel preparare la nuova società e “l’uomo nuovo” dove una nuova forma di sorveglianza molecolare andrà a categorizzare e delineare gli individui come sani, patologici, a rischio, con una predisposizione sulla base del loro genoma.

La genetizzazione imperante nel contesto sociale, non ha altro scopo che accelerare quel processo di medicalizzazione totale che sta portando  gli individui ad avere sempre meno potere sulla propria vita e le proprie scelte, trasferendo tutto nelle mani degli specialisti. Le nuove svolte del dominio rappresentano l’aspetto estremo con cui la scienza fa da apripista nell’intervento e manipolazione chimerica della vita.

La lotta contro le nocività non può prescindere dal contesto sociale che le produce e le rende necessarie. Questo significa portare una critica radicale all’economia mortifera e al progresso  tecno-scientifico, senza fermarsi su aspetti parziali tecnici, ma nella loro totalità, partendo dalla produzione di merci come produzione di nocività, passando per la produzione di bisogni indotti, in una sempre maggiore mercificazione e reificazione del vivente, per arrivare al sistema stesso come nocività assoluta che controlla tale produzione, programmando le soglie di tolleranza e regolandone la percezione e l’accettazione.

Biotecnologie, nanotecnologie, nucleare

Se nanotecnologie e biotecnologie rappresentano scelte strategiche del sistema, i mattoni e le armature con cui stanno costruendo e solidificando la società di domani, il nucleare incarna la necessità energetica a cui affidarsi per sostenere i consumi e lo sviluppo della tecnica e dell’industria. Una caratteristica che contraddistingue e accomuna queste tecnologie è l’irreversibilità rappresentata dalla logica che le sottende e dai loro effetti sul mondo.

Come tutte le tecnologie di uso comune, entreranno a far parte della quotidianità senza stravolgimenti traumatici. Rapidamente si moltiplicheranno assoggettando gli individui e il sistema-natura, di cui volenti o nolenti fanno parte, al controllo delle oligarchie tecnologiche. Come la graduale perdita di libertà che ci somministra la sorveglianza elettronica, il dominio che sfrutta queste tecnologie sta avanzando silenziosamente, senza destare scalpore, interiorizzato come una naturale evoluzione del distacco dell’essere umano dalla “natura-pianeta” per essere accolto dalla “natura-tecnocapitalista”.

La presenza di nuove specie animali e vegetali create in laboratorio, le foreste distrutte per la produzione di biocarburanti, nanomateriali estranei agli ecosistemi e agli organismi viventi, scorie e contaminazioni delle centrali nucleari, aria e acqua saturate dalle esalazioni e dagli scarichi di un’industria senza controllo, saranno percepiti come “naturali”, diventando l’unica dimensione delle nostre esistenze.

Non ci sarà più spazio per il vivente come lo intendiamo oggi, e parallelamente scomparirà lo spazio per attaccare l’avanzata di queste necrotecnologie. Se è ancora possibile identificare nei laboratori di ricerca, nei campi sperimentali, nelle fasi di autorizzazione all’emissione di una nocività, dei possibili obbiettivi per una campagna, un domani questo avrà contorni meno definiti. Il fulcro del potere tecno-scientifico si sta decentralizzando, molecolarizzandosi in una rete di interessi e progetti interconnessi, dove sarà sempre più difficile capire dove poter intervenire.

Oggi assistiamo al tracollo dell’economia petrolifera e ai continui tentativi di sostituire questa risorsa in via di esaurimento con nuove energie più economiche e “sostenibili”.

In questo contesto avanza minaccioso lo spettro del nucleare, propagandato un po’ da ogni parte e criticato in maniera sempre più debole e fallace. Il solo appiglio di critica all’energia nucleare è sempre stata la paura del disastro. Paura nell’utilizzare elementi estremamente dannosi per l’ambiente, paura di una tecnologia non ancora abbastanza sviluppata da garantire la totale sicurezza, paura del cosiddetto “errore umano” sempre in agguato dietro l’angolo. Oggi, a decenni di distanza dalle prime lotte contro il nucleare, questi appigli si fanno sempre meno consistenti. La tecnologia progredisce, le nazioni occidentali tentano di costruirsi una facciata verde e in una continua guerra tra esperti si cerca di affermare l’idea della quasi assoluta sicurezza dei nuovi impianti.  A noi tutti, da sempre fermi avversari di queste mostruosità, occorre adesso ridiscutere i motivi del nostro dissenso, riconoscere gli errori di base della critica portata avanti sin ora ed allargare il discorso a tematiche più ampie.

Focalizzare la critica sulla paura del disastro, è un metodo di lotta inefficace per non dire dannoso. In primo luogo si tratta di un approccio fondamentalmente egoistico ed antropocentrico che pone l’interesse del singolo al di sopra di ogni considerazione e che subordina l’impegno personale di agire contro questo tema al timore di subire in prima persona degli effetti negativi. In secondo luogo pone i promotori del nucleare nella condizione di spingere maggiormente per lo sviluppo tecnologico e la messa in sicurezza degli impianti esistenti e in progettazione. Questo porterà presto o tardi alla condizione in cui il rischio di problemi derivanti dalla tecnologia diverrà talmente ridotto da essere trascurabile.  Supponiamo che ogni impianto sulla terra sia completamente al di fuori di rischi. Supponiamo che si possa avere la certezza assoluta di evitare incidenti e dispersione di scorie. In questa  ipotetica condizione il genere umano potrebbe quindi disporre di una enorme quantità di energia  da impiegare per gli usi più svariati. Questo porterebbe inevitabilmente a un esponenziale aumento dei consumi con conseguente impatto sull’ambiente. Lo scopo della lotta contro il nucleare non è rendere gli stati più potenti e sicuri, con centrali all’avanguardia e la possibilità di continuare a perpetrare la spirale di sviluppo e distruzione all’infinito. Il problema dell’utilizzo dell’energia nucleare non sta tanto nella pericolosità immediata di questi impianti, quanto nel pericolo che deriva dalla continua produzione di energia.

Bio e nanotecnologie corrispondono alle necessità di materiali con nuove proprietà e nuovi ambiti da sfruttare e trasformare in merce. Alcuni settori di mercato saturi, come quello medico, hanno bisogno delle innovazioni di farmaci biotech e delle terapie geniche, altri come quello informatico di processori sempre più piccoli e veloci. Queste tecnologie sono la base e la struttura con cui ogni settore si sta riprogettando, sono le maglie su cui si estenderanno tutti i rapporti di dominio: come l’invenzione del pistone a vapore degli albori della rivoluzione industriale.

Con bio e nanotecnologie il potere entra in un livello ancora più profondo: il controllo dei processi biologici dalla nascita alla morte, dalle applicazioni neurali delle nanotecnologie alle pretese della genetica di intervenire su attitudini e scelte individuali.

In un mondo atomizzato dove ogni forma vivente viene scomposta nelle sue più piccole parti, ridotta a meri componenti funzionali, un mondo dove stanno scomparendo i confini tra corpi, tra specie, tra organico e artificiale, l’integrità e l’individualità di un organismo verrà completamente frantumata e distrutta, ridotta a materia da utilizzare e da modificare.

Bio e nanotecnologie si incontrano, si alleano e si legano in un progetto di totalizzante antropizzazione del pianeta.

Un’efficace percezione del dominio incarnato dalle nano e biotecnologie non si può soffermare all’immediata nocività di alcune attuali applicazioni. Se nanotubi e fullereni sono in grado di attraversare ogni filtro del nostro corpo, dalla placenta alla barriera emato-encefalica, smart dust ed etichette a radio frequenze si preparano a ricoprire ogni centimetro delle nostre dimore, in un mondo cosparso e infiltrato da nocività invisibili, un mondo consegnato irreversibilmente alle catene perpetue della casta tecno-scientifica.

Dalla pannocchia di mais fino alla linea germinale umana, la manipolazione porterà verso un irreversibile distruzione della biodiversità, mentre il modello della monocoltura si trasferirà dai campi agricoli alle comunità viventi.

Il nostro stesso corpo e quindi la nostra mente, nell’unità inscindibile di essi, diventeranno un centro dove far confluire queste tecnologie atte a produrre nuovi organismi, nuovi corpi: ingegneria genetica, cibernetica, animali transgenici, intelligenza artificiale, mondi virtuali, microchip sotto pelle, spaccano i confini dell’unità e individualità di ogni singolo, li oltrepassano per arrivare a un corpo e una mente sempre più reificati dove il biopotere si cristallizza, viene esercitato e viene vissuto. Un potere che non si occuperà più solo di gestire e controllare i processi vitali, ma arriverà a riprogettarli, plasmarli e modificarli, un potere sulla vita stessa concepita in termini di proprietà molecolari, di sequenze di geni codificabili nelle quali tutto è racchiuso.
Le necrotecnologie verranno così assicurate e legittimate, naturalizzate e quindi riprodotte.

Una “salute” inserita in un  paradigma di medicalizzazione assoluta, dove una patologia è il risultato del circuito medico di esami e farmaci in cui una volta inseriti è difficile uscire, una malattia che è il risultato di un mondo dove non c’è più spazio per una concezione olistica del corpo e della mente, dove non c’è più spazio per conoscere i propri ritmi biologici. Dove la pillola non è una cura, ma in realtà solo un facile palliativo per un problema che ha radici ben più profonde. Dove nuove generazioni di psicofarmaci ci consentono di modificare il nostro umore e nascondere il vuoto delle nostre vite, dove droghiamo i bambini con il Ritalin e dove la paura della morte ci fa vivere una vita di orrori, in cui non siamo altro che cavie e  i nostri organi pezzi di ricambio.

È importante trasmettere un’opposizione non solo verso ciò che potrebbe raggiungere facili consensi, come il transgenico negli alimenti, tralasciando gli altri campi di applicazione e sviluppo di queste tecnologie, come il settore medico. Un campo in cui il potere fa leva sul ricatto della salute; un ricatto morale attuato, per esempio, da fondazioni come Telethon.

Nel riduzionismo genetico imperante l’entità gene si incarna nell’individuo, diventa lettura del suo corpo, è dotata di una capacità predittiva e al tempo stesso la chiave della soluzione per la cura.
Tutto è racchiuso nei geni senza considerare le miriadi di interrelazioni tra i geni stessi, le cellule, l’ambiente, gli organismi, tutto viene appiattito ad un qualcosa di decifrabile, o presunto tale, e universalmente valido tra organismi della stessa specie e specie diverse.
L’ingegneria genetica non ha solo la pretesa di “scoprire le cause”, di “curare” e “prevenire” le patologie, ma pretende di modificare ciò che significa essere un organismo biologico.

Un’era biotecnologica, dove gli sviluppi della genomica collegati alle tecnologie riproduttive delle indagini pre-impianto, gettano le basi delle terapie geniche dove lo spettro dell’eugenetica non è mai scomparso. Dove ancora prima di modificare la biologia di un organismo, intervenendo sulla linea germinale, ancor prima di clonazioni e mostruose chimere, avremo interiorizzato la possibilità di eliminare in origine ciò che di volta in volta il potere avrà interesse a definire malato, anormale, deviante, pericoloso. Al miglioramento di una razza, con la conseguente eliminazione delle razze considerate impure, si è sostituito quello di tutto il genere umano. Davanti allo specchio avremo esseri umani svuotati del loro più intimo significato, marionette tirate dalle eliche del DNA nelle mani dell’industria del vivente.

La necessità della resistenza

Aldilà del nemico incarnato dalla multinazionale, vi è un intreccio ben più complesso di forze, che comprende sia le spinte e le manovre di governi e aziende, sia l’inerzia con cui queste vengono raccolte, interiorizzate e rimesse in circolo dai sudditi-consumatori. Da un lato le oligarchie politiche emergono dall’apparato produttivo che contraddistingue ogni epoca, diventandone i paladini e difendendone gli interessi, dall’altro la popolazione “comune” si ritrova a manifestare pulsioni di varia natura che contribuiscono a plasmare i contorni che contengono i percorsi tollerabili dal sistema. In conclusione, sia nell’ambito economico-politico che in quello della “cittadinanza attiva”, non possono che svilupparsi anticorpi benefici per la salute dell’organismo dominante nel suo insieme.

In questo contesto, osserviamo che, per la prima volta nella storia del capitalismo, quest’ultimo si cura di mantenere in vita il pianeta che ha distrutto. Ma, come abbiamo visto, il capitalismo non è solo l’insieme dei potenti, ma l’interezza dei rapporti di sudditanza-complicità che ne garantiscono il funzionamento.

Nascono così i gruppi “istituzional-ecologisti”: il sistema concede con sollievo la cogestione delle nocività. In principio vengono stabilite delle soglie di tollerabilità, ovvero funzionali all’inquinatore, quindi ha inizio la farsa democratica per la scelta consapevole, tesa a far ricadere sui consumi e sugli stili di vita della popolazione le colpe dell’economia e l’industria.

Il rapporto tra dominio ed ecologisti di professione si stringe e contribuisce a generare le multinazionali della “protezione della natura”, come WWF, Greenpeace, Legambiente, “Amici della Terra”, largamente finanziati dal Segretariato di Stato sull’Ambiente, quando non direttamente dalle corporation. Di queste multinazionali dell’ecologismo il sistema ha un estremo bisogno. Come per i sindacati in ambito produttivo, ricorrerà a loro dove servirà mercanteggiare e mediare per alzare o abbassare i tassi di nocività.

Le stesse multinazionali ambiscono ad avere nel proprio consiglio direttivo qualche rinomato ambientalista. Gli ecologisti riformisti, dalle associazioni ai vari partitini verdi più o meno indipendenti diventano quindi funzionali al paradigma di dominio.

I riformisti delle associazioni ambientaliste portano avanti una presunta apoliticità, sia per stringere alleanza a seconda della sfumatura al potere, sia per restare al di fuori dei nodi scottanti su temi economici e sociali. Come se “l’ambiente” fosse un qualcosa di astratto e non il luogo dove tutto avviene e che da tutto è modificato. Di proposito l’ecologismo riformista rifiuta la critica sociale, preferendo piccoli aspetti normativi scontati dove sa di avere successo, oppure richiami dal grande effetto mediatico. Lavoreranno sempre sugli effetti evidenti e mai sulle cause che hanno portato a determinate situazioni, facendosi ottimi sostituti del dominio, attenti a non essere mai un reale problema, con un pensiero di fondo impregnato di condiscendente realismo economicista.

Nonostante la continua propaganda del sistema di dominio niente dell’attuale stato di cose è ineluttabile. E’ vero che la nocività è imperante, ovunque e con radici profonde, difficili da estirpare, ma questo non scoraggia chi in tutto il mondo porta avanti un attacco alla macchina civilizzatrice con proteste, occupazioni di terre, di uffici, boicottaggi, sabotaggi e azioni di ogni genere.

Nel “sud” del mondo, dove gli OGM non sono una semplice questione di “scelta” al supermercato, ma di sopravvivenza, visto che con i brevetti le multinazionali si impossessano di varietà originarie da cui dipende la vita di intere popolazioni, queste hanno deciso come rispondere ai vari programmi di “miglioramento” agricolo dei paesi industrializzati: prima si chiamava “Rivoluzione Verde” e ora rivoluzione biotecnologica. In India numerosi contadini hanno raso al suolo e incendiato numerosi campi della Monsanto e danneggiato alcuni istituti di ricerca, in Brasile i “Sem Terra” hanno sabotato svariati campi sperimentali e dato vita a importanti esperienze di scambio di varietà originarie di semi, fuori dal circuito delle sementi industriali e OGM, pratica che si sta largamente diffondendo in numerosi altri paesi.

Nel “nord”, dove queste multinazionali hanno le proprie sedi e dove si sviluppa la ricerca, si sono rivelati altrettanto importanti gli attacchi ai campi sperimentali, diffusi un po’ ovunque: dall’Inghilterra dove una dura lotta ha respinto al momento l’avanzata degli OGM in agricoltura, dove quasi tutti i 54 campi sperimentali condotti dal 2000 sono stati distrutti, all’America, Australia, Germania, Francia, Belgio e Italia dove svariati sono stati gli attacchi incendiari e con esplosivi verso le fabbriche di sementi e centri di ricerca.

Nell’ultimo anno le distruzioni di campi OGM in Germania e in Svizzera e un attacco incendiario contro un istituto di ricerca sulle nanotecnologie in Argentina, sono stati momenti di uno scenario globale di resistenza che ha ben compreso come solo una mobilitazione dal basso può ribaltare l’attuale situazione e un futuro che vorrebbe essere già determinato.

Le lotte ecologiste radicali avranno in futuro un ruolo fondamentale per impedire o almeno contrastare l’apparente inarrestabile sviluppo biocida tecno-industriale. Preliminarmente però dovrà essere subito chiaro chi in questo sistema si sta adoperando per avere la sua parte alternativa nella nuova tecnocrazia che si sta plasmando e chi invece nella lotta vede un’unica e reale possibilità di rimettere tutto in discussione. Con la consapevolezza che determinati aspetti dello sviluppo capitalistico, quali biotecnologie, nanotecnologie, nucleare e neuroscienze, necessitano di una priorità d’intervento.

 Perchè una Coalizione di lotta

La Coalizione è un soggetto costituito da individui provenienti da differenti esperienze di lotta radicale alle nocività e da situazioni anarchiche verdi, ciò che ci unisce è la consapevolezza che gli effetti devastanti dell’impatto del sistema tecno-industriale sul pianeta e i suoi abitanti, non sono contrastabili senza individuare il terreno che li ha generati, ispirati, propagandati e voluti come l’ennesima necessità inevitabile. Allo stesso tempo, contrastare l’avanzata di una nuova strategia di sfruttamento tecno-scientifico dell’esistente, quali biotecnologie e nanotecnologie, o la ricerca spasmodica di fonti energetiche destinate ad alimentare questa macchina ecocida, rappresenta una temibile minaccia per  un sistema che vede recisi, interrotti, prosciugati i suoi canali di alimentazione tecnologica e linfatica.

Una conflittualità che necessita di una messa in atto su un ampio piano temporale e territoriale, non con un metodo da “campagna” con un obiettivo come una struttura da chiudere, che si auto-estingue con il suo raggiungimento. Questo non significa evitare degli obiettivi specifici, come il bloccare l’entrata degli OGM in Europa, ma superare i concetti di “vittoria – sconfitta – conclusione”, concentrandosi invece sulla creazione e la radicalizzazione di un tessuto di opposizione, identificando determinate priorità sulle quali agire.

Contribuendo alla nascita di un forte movimento che combatta il filone di pensiero in cui prendono forma simili aberrazioni, la logica portante di questa società, quel filo conduttore che da migliaia di anni legittima e incentiva lo sfruttamento e l’assoggettamento del mondo animale/umano e vegetale.  Con la necessità di affiancare un percorso di lotta concreto che dia “fisicità” al nemico affinché non assuma connotati di irraggiungibilità e astrazione ideologica, con una radicale messa in discussione di una visione del mondo naturale funzionale agli interessi e ai bisogni di pochi esseri umani organizzati in società tecno-industriali.

L’attuale “opposizione” alle nocività è indirizzata verso mobilitazioni che sanno di avere un sicuro successo, questi paladini della coesistenza con le nocività intraprendono campagne già vinte in partenza, come l’etichettatura dei prodotti, il metodo precauzionale, prodotti e zone “OGM free” “Nano free” “Denuclearizzate”, per tutelare la propria nicchia bio di mercato a discapito della biodiversità globale. Contribuendo in questo modo, con le loro richieste di trasparenza e garanzia nella diffusione delle nocività, stanno lavorando a costruire un’“alternativa”, si stanno ritagliando un pezzetto nella futura società di dominio tecnologico. Queste richieste si basano sul concetto di “libera scelta”, ma non ci potrà essere scelta alcuna dal momento in cui tutto il vivente è sotto attacco.

Riteniamo importante la presenza e il confronto con le varie realtà di lotta, la produzione di analisi critiche e la diffusione di controinformazione. Il sito internet e successivamente un bollettino cartaceo, sono una parte degli strumenti di cui abbiamo deciso di dotarci, documenti di critica e notizie sull’avanzata delle nocività e le lotte che vi si contrappongono in Italia e  in giro per il mondo.

Partiremo a realizzare iniziative di corollario e preparazione a una successiva più grande mobilitazione contro l’entrata degli OGM in Europa, senza tralasciare l’avanzata delle nanotecnologie e il nuovo diffondersi del nucleare. Iniziative incentrate su una comprensione più generale delle questioni, una conoscenza di ciò che si muove nel loro ambiente, dei luoghi e dei momenti in cui gli interessi economici e lo sviluppo scientifico propagandano la nuova panacea tecno-scientifica. Momenti come il passaggio di un’autorizzazione, un simposio, manifestazioni dove è importante la nostra opposizione e dove non sono abituati a riceverla.

Non scenderemo sul loro terreno con un’opposizione tra esperti, con i nostri specialisti di parte contrapposti ai loro: sul loro terreno possiamo solo scendere come strenui oppositori.

Non dobbiamo porci il problema di essere immediatamente creduti dalla gente, di avere una voce autorevole: non stiamo vendendo un prodotto, ma trasmettendo dei contenuti, sfruttare il vuoto creato dalla disinformazione e riempire questa assenza per accrescere la propria autorevolezza, ispirando sconcerto nel quotidiano, ci accomunerebbe ai peggiori e più avvilenti imbonitori da fiera.

Se riusciamo a  far comprendere ciò che queste tecnologie sono e rappresentano nella loro totalità, e l’“idea di mondo” a cui portano, allora la questione di essere creduti si rivelerà un falso problema, perché avremo trasmesso conoscenza critica.

Infondere paura nelle persone per cercare di attirare facili consensi, come di fronte a un alimento geneticamente modificato possibilmente cancerogeno, può solo tornare utile al Sistema. Un Sistema che facilmente riuscirà a colmare le insicurezze dell’individuo, ridotto a consumatore, con un senso di sicurezza che insieme alla paura fugherebbe anche tutti i dubbi e che si tradurrebbe in convivenza con delle nocività più o meno al guinzaglio, con etichette e negozi alternativi. Una paura che sta portando a richiedere più controlli, regolamentazioni più rigide o più ricerche, delegando la propria esistenza a specialisti; solo superandola si rende possibile un’opposizione consapevole.

C’è poi da chiedersi cosa occuperà lo spazio lasciato, se una coscienza critica o l’assoluto della merce, se rimarranno abbastanza dubbi e le persone avranno la capacità di porsi delle domande da sé, allora sarà mantenuto in vita un margine di conflittualità pronto a farsi sentire.

Il percorso che riteniamo ancora una volta necessario percorrere è quello della lotta. Vorrebbero farci credere che ormai non c’è più speranza, che la natura è irrimediabilmente compromessa e soprattutto che dal cerchio del dominio non ci sia via d’uscita. Sta a noi ribaltare questa concezione, cercando di distinguere tra gestione delle nocività e critica radicale, sradicando completamente il progetto di fondo e quel mondo che ci sta portando verso un baratro senza ritorno. Noi abbiamo deciso che percorso intraprendere.

                                                                  Coalizione contro ogni nocività, 25 gennaio 2009