Francia – Alle fiamme turbina eolica

A Limouzinière (Loire-Atlantique) nella notte fra mercoledì e giovedì 3 gennaio 2019, verso mezzanotte, il motore di una turbina eolica industriale è stato distrutto da un incendio. La navicella a 80 metri da terra ha preso fuoco, ma non è stato l’unico elemento colpito: anche le pale della turbina eolica così come la parte appena sotto la navicella sono state avvolte dalle fiamme. «Possiamo già dire che i danni ammontano a diverse centinaia di migliaia di euro», ha valutato il vice direttore generale di Engie Green, che gestisce tre delle sei turbine del sito.
Le turbine eoliche industriali sono in genere dotate di sistemi di allarme a distanza. Engie Green, che ne gestisce 750 in tutto il paese, ha situato a Châlons-en-Champagne il suo centro di monitoraggio a distanza, il quale riceve di continuo «tutti i dati e tutti gli allarmi» (24 ore su 24, 7 giorni su 7). Tra l’inizio di un incendio e l’attivazione dell’allarme, esiste per fortuna un ritardo di diverse decine di lunghi minuti — il tempo che il fuoco compia la sua opera e la turbina eolica si fermi — e ad esempio, nel caso di Limouzinière, sono stati i residenti ad avvertire i pompieri.
Se per il momento le autorità, per non dare cattive idee, hanno classificato come «sconosciute» ed «oscure» le cause di questa distruzione incendiaria, si può rimarcare comunque che secondo il database istituzionale Aria ci sono stati finora solo 18 casi di incendi dal 2003 su oltre 10.000 turbine eoliche installate fino ad oggi in Francia. Ad eccezione dei fulmini da cui sono protette o delle tempeste, per la maggior parte sono stati «atti dolosi» a privare questo mondo dell’essenza di cui ha disperatamente bisogno. A meno di credere nel miracolo della combustione spontanea o di pensare che una turbina eolica possa suicidarsi, e tra l’altro proprio verso mezzanotte…
Il giorno dopo in un posto chiamato Rouvray, a Lanouée vicino a Ploërmel (Morbihan), nella notte da giovedì a venerdì 4 gennaio 2019, verso l’1 del mattino, questa volta è andato in fumo il trasformatore elettrico da 20.000 volt appartenente alla compagnia Steag New energia e situato in un campo di 4 turbine eoliche. «La porta dell’edificio è stata scardinata ed è scoppiato un incendio all’interno causando danni», secondo il giornale locale, causando l’arresto totale di tutte le turbine eoliche. Ancora una volta l’incendio viene definito «sospetto», in modo da non dare cattive idee su come privare questo mondo dell’elemento di cui ha disperatamente bisogno. Certamente il secondo curioso fenomeno di combustione spontanea o di suicidio di turbine eoliche in meno di 24 ore, e già che ci siamo verso l’una del mattino…
In questo inizio del nuovo anno 2019, con questi due piccoli calorosi miracoli di origine «sospetta» e «sconosciuta», la parte occidentale del paese ci tiene decisamente a giocarsi con fervore la sua reputazione di terra storica del cattolicesimo. A meno di fidarsi di un famoso filosofo di origine tedesca, il quale all’annuncio di questa buona notizia avrebbe dichiarato laconicamente: «Umano, troppo umano». Secondo i portavoce del potere, ovviamente…

fonte: tiltap.noblogs.org

Sardegna – Tagliate le basi di un traliccio

Riceviamo da mail anonima e diffondiamo:
“In una notte di stelle cadenti i tralicci non fanno eccezione.

A Chia, una delle zone più turistiche della Sardegna, sono state tagliate le basi di un traliccio.

Contro lo sfruttamento turistico del territorio che devasta le spiagge e deturpa i paesaggi, contro i resort e villaggi turistici, dove trovano ristoro e relax i ricchi turisti e che riservano solo sfruttamento e lavoro nero per i lavoratori stagionali.
Contro la base di Teulada il secondo più grande poligono militare che affligge la nostra terra.
L’interruzione di energia è solo uno dei tanti modi per mettere i bastoni fra le ruote di questi meccanismi di oppressione e guerra contro i quali bisogna opporsi usando ogni mezzo ritenuto necessario, il sabotaggio è solo uno di questi.
Abbiamo scelto quella linea elettrica per disturbare gli affari turistici e le esercitazioni militari, ma anche per dare una scossa a un sacco di altra gente, per provare a svegliarli per qualche ora dal torpore delle loro vite che col tempo li rende complici di quello che hanno a fianco.

A si biri kitzi”

fonte: nobordersard.wordpress.com

Azione all’Istituto di medicina legale di Basilea

“L’Istituto di medicina legale di Basilea (IRM) si occupa dell’analisi delle tracce del DNA e della creazione di profili DNA. Questi profili sono inoltrati al database nazionale del DNA per il confronto. 
L’IRM lavora a stretto contatto con vari pubblici ministeri ed esegue i loro ordini. 
L’IRM non è quindi solo una parte delle autorità repressive, ma in particolare è responsabile dell’applicazione repressiva e disciplinare di questa tecnologia. 
Per questi motivi, abbiamo lavorato la notte del 16 novembre, l’ingresso in vetro dell’IRM con martelli.

Alcune persone con geni cattivi …

PS: Solidarietà con Basel18!”

info da: https://barrikade.info/Angriff-auf-das-Institut-fur-Rechtsmedizin-in-Basel-1702

Azione all’Istituto italiano di tecnologia

“Alle prime ore del 24 Dicembre abbiamo attaccato l’Istituto italiano di tecnologia (Iit).
La vigilanza H24 alla receptions e la sicurezza privata in macchina non sono stati un buon deterrente; eravamo decisi ad attaccarvi e lo abbiamo fatto!

La Iit è il fiore all’occhiello dello stato italiano è una fondazione per lo sviluppo tecnologico e delle politiche nazionali a favore della scienza e della tecnologia. Lavora al potenziamento dei mercati e delle politiche di saccheggio e devastazione ogni giorno commesse dal capitale e dai governi.

Porta avanti studi di neuroscienze, “brain thecnologies” e ricerche genetiche per la manipolazione del vivente. Attiva nell’ambito delle nanotecnologie, porta avanti ricerche sui nanomateriali ed il loro impiego, nonché sullo sullo sviluppo di materiali per convertire e stoccare l’energia, di cui il sistema di produzione odierno ha bisogno in enormi quantità per mantenere la velocità della folle corsa del progresso.

Oltre agli Icub, nell’ambito della robotica e dell’intelligenza artificiale, perfeziona robot per la produzione industriale.

Al servizio del capitale e dello stato di polizia che la assicura, è impegnata nella realizzazione di sistemi di “computer vision” per sistemi utili all’identificazione e al controllo sociale.

In linea a questo, nella ricerca delle scienze computazionali approfondisce lo studio dei “big data”, realizzando programmi e strutture per queste vaste raccolte dati (video, audio ed immagini) necessarie alla società tecnoindustriale. Questi algoritmi producono la ricchezza delle grandi lobbies che dominano il mondo capitalista perché applicati a informatica, IA, biotecnologie, industria bellica e ricerca militare; realizzano esponenziali possibilità a questo ordine mortifero di dominazione e sfruttamento, di depredazione dei territori per le risorse pagate col sangue che scorre nel mediterraneo e quello di tutti gli sfruttati.

Non professiamo nessun atto di fede alla dottrina tecnoscientifica, anzi, evidenziando le sue oppressive applicazioni abbiamo deciso di attaccarla. Il comparto tecnologico sempre più fluido e inserito nella vita quotidiana e nella vita in ogni sua forma è in avanzamento costante. Va dai beni a cui siamo dipendenti all’industria civile, militare e aerospaziale, dal transumanesimo all’intelligenza artificiale, dallo sviluppo delle telecomunicazioni alle case intelligenti, in città intelligenti, alle guerre intelligenti ed una umanità sempre più stupida. Le conseguenze sono devastanti sui territori depredati e sulla vita di tanti oppressi, la cui esistenza garantisce la ricchezza dei tanti oppressori.

A questa società viene calato tutto sulla testa, poi è la gestione dell’opinione di massa a creare il consenso. A noi non interessa il consenso. A noi interessa combattere l’oppressione. Questa è la coscienza che opponiamo alla scienza.

Sono state spese tante parole contro la tecnologia e le nefandezze della società tecnoindustriale. Per quello che ci riguarda, chi la produce, chi la finanzia, chi la sviluppa, non sono temi da opinione ma obiettivi da colpire.
L’opinionismo e il consenso sono armi della democrazia. Contro lo stato, maestro nella gestione delle necessità del capitale con la violenza, l’unica risposta possibile è l’iniziativa rivoluzionaria.

La tecnologia non è neutrale. Infatti dietro alle facciate “green” e alle proposte del mercato ecologista che riesce a recuperare anche il dissenso, i governi di destra e di sinistra aprono i rubinetti dei finanziamenti ai laboratori e ai centri di ricerca, mantenuti dai ministeri dell’economia, delle finanze e realizzati in reti fra istituti, privati ed università. Tramite i suoi brevetti e i suoi progetti la ricerca è da tempo entrata nel comparto politico dello stato ed in quello economico del capitale. Presidenti, ministri e luminari a braccetto nei “programmi di sviluppo” e nelle manovre finanziarie.

La tecnologia è profitto. Il suo livello è uno dei cardini che regola i rapporti globali fra gli stati. Nell’interesse del potere, nonostante le presunte antipatie e le reali minacce di guerra nucleare. Lo dimostrano le recenti “guerre commerciali”.

La critica alla tecnologia ed ai suoi profeti passa attraverso l’azione contro di essa. Questo concetto si può allargare a tutti i contesti di lotta che vogliano realizzare conflittualità.
L’offensiva contro lo stato e il capitale sta nell’azione rivoluzionaria che cerca di abbatterli.

Abbiamo attaccato.
Accompagniamo questo gesto con questa rivendicazione perché sentiamo necessario che le nostre parole trovino gli spazi per non essere censurate, deviate, storpiate di significato, così come i nostri atti. Nei tempi della libera opinione dell’ignoranza, la propaganda anarchica, che la democrazia reprime, censura, controlla e colpisce, si deve esprimere anche attraverso l’azione. L’attacco è una costante che se messa da parte significa resa, significa insabbiarsi nella sola analisi, nella riflessione, nella teoria. Senza l’azione l’anarchismo perde la sua forza.

Con queste parole accompagnate dai fatti lanciamo l’invito all’offensiva.
Finchè non accresceremo il connubio indissolubile fra pensiero e azione non avremo idea di cosa affrontiamo.
Non avremo la migliore “alternativa di vita” finché davanti non ci saranno le macerie di questo mondo di oppressori.
Questo è solo un buon punto di partenza.

F.A.I./F.R.I.
GRUPPO DI AZIONE IMMEDIATA”

Info da: www.autistici.org/cna

Comunicato de La Piralide

Ciao a tutti/e,
dopo che alcuni/e di noi hanno avuto modo di confrontarsi con parte della redazione di “Round Robin” si è deciso di riportare qui ciò che ne è uscito: “Round Robin”, un sito internet che dovrebbe rappresentare tutto ciò che circola nel movimento anarchico ed è riconosciuto come un riferimento, di fatto è un sito dove ciò che viene messo è varato e giudicato da chi lo gestisce in base a criteri propri.
Un sito dove le iniziative pubblicate devono essere in linea con ciò che gli stessi amministratori ritengano abbia agibilità politica o no.
Un sito che si rivendica la pratica della censura in base a criteri a nostro avviso parecchio opinabili ed in netta contraddizione con le righe di presentazione del sito stesso.
Non intendiamo dilungarci ulteriormente, anche perché non riteniamo che abbia senso: di fatto ognuno/a nel proprio sito personale mette ciò che vuole, inutile dibattere su questo. Al massimo possiamo solo dispiacerci e un pò preoccuparci del fatto che non esista nessun’altra alternativa.
Detto ciò, scegliamo di non assoggettarci a certe dinamiche e di conseguenza abbiamo deciso che a prescindere dalle decisioni di “Round robin” noi non vogliamo che le nostre iniziative vengano pubblicate su quel sito. Detto ciò, chi volesse tenersi informato sulle iniziative future che verranno proposte dallo Spazio di documentazione “La Piralide” potrà farlo scrivendo alla nostra mail (avvelenate@anche.no) ed essere inserito nella mailing list, oppure tenendo d’occhio questo blog: lapiralide.noblogs.org

Spazio di documentazione “La Piralide”

E’ uscito il numero 8 della rivista “i giorni e le notti”

INDICE:

Editoriale
Quando il fango si mette a ragionare
Ancora sulla mobilitazione reazionaria in corso
Parole senza idee. Riflessioni sul sovranismo
Il nostro bisogno di sicurezza
Mettiamoci del peso

DALLA QUARTA DI COPERTINA:

Da giugno ad oggi la propaganda e la pratica del razzismo di Stato si sono fatte ancora più esplicite. Dal lato sociale – l’unico lato che ci interessa – non si può non registrare un ampio consenso alle politiche anti-immigrati, tutt’uno con gli applausi verso le forze dell’ordine sguinzagliate a sgomberare occupazioni abitative e a sorvegliare le entrate delle scuole. Chi subisce il maglio dello Stato fatica a uscire dall’angolo – un angolo in cui sono confinati tanto lo straniero povero quanto l’”antinazionale”, due figure d’altronde sempre più intercambiabili.
Ci è parso utile soffermarci sia sulle tesi sovrarniste sia, riprendendo alcuni spunti del passato, sul rapporto fra tecnologizzazione della vita e razzismo, aspetti che secondo noi vanno pensati insieme. Nell’analizzare il mondo che ci circonda parliamo sempre, direttamente o indirettamente, di noi, di ciò che vogliamo fare, della vita per cui ci battiamo. Anche il nostro bisogno di sicurezza fa parte del gioco, e non bastano alcune parole magiche – magari una bella poesia sull’ignoto – per uscire dalla tana. Serve leggerezza, ma anche peso (quello della responsabilità, ad esempio).
Il razzismo è sempre una parodia reazionaria della critica rivoluzionaria.
Per separare il grano dal loglio servono idee, e mani risolute.

Per richiedere copie: rivistaigiornielenotti@autistici.org

Che giri il vento!

«L’eolico industriale non è altro che la prosecuzione della società industriale con altri mezzi. In altre parole, una critica pertinente dell’elettricità e dell’energia in generale non può che essere la critica di una società per la quale la produzione di massa di energia è una necessità vitale. Il resto è solo un’illusione: un’approvazione mascherata della situazione attuale, che contribuisce a mantenere nei suoi aspetti essenziali»
Le vent nous porte sur le système, 2009

Una notte di tempesta. Le scariche elettriche illuminano il cielo mentre i fulmini sembrano annunciare la fine del mondo. Se non è arrivata il 1° giugno 2018 a Marsanne (Drôme), quella notte è comunque successo qualcosa, o meglio due cose, che hanno finito per incontrare un destino insperato: due turbine eoliche sono state attaccate. Una si è incendiata completamente, la seconda è rimasta danneggiata. Le pandora indispettite e il gruppo RES non hanno potuto che constatare le tracce di effrazione sulle due porte di accesso alle colonne giganti, su cui sono appollaiate la turbina e le ali di questi mostri industriali di energia rinnovabile. Due in meno, tra le migliaia impiantate in Francia nel corso dell’ultimo decennio. O meglio tre, se contiamo l’incendio di quella dell’altopiano di Aumelas, non lontano da Saint-Pargoire (Hérault), quattro giorni dopo, per una di quelle coincidenze temporali che a volte fa la cosa giusta.

Che queste turbine eoliche non abbiano nulla a che fare con i pittoreschi mulini a vento del passato – che, a proposito, erano nella maggior parte dei casi importanti fonti di accumulazione per il notabile più o meno locale che si attirava spesso l’ira della rabbia contadina – dovrebbe essere abbastanza ovvio. Ma allora, perché gli Stati di tanti paesi incoraggiano la creazione di «parchi eolici» sulle alture delle colline, delle valli e fin dentro il mare? Forse non è esclusivamente frutto di un calcolo matematico, perché neppure gli ingegneri possono modificare tutte le cifre, e devono ammettere che le turbine eoliche non girano più del 19% del tempo in un anno (un fattore di capacità ben più basso delle centrali nucleari che raggiungono il 75% o delle centrali a carbone, tra il 30 e il 60%). Né può dipendere dalla volontà di trasformare l’intero settore energetico in «rinnovabile», perché ciò sarebbe semplicemente impossibile mantenendo lo stesso tasso di elettricità che si divora (per la Francia, bisognerebbe impiantare una turbina eolica ogni 5 chilometri quadrati). Non può essere per il bene dell’«ambiente», a meno di farsi buggerare dai discorsi smart di una tecnologia pulita, dato che niente come la produzione e l’installazione di turbine eoliche (per non parlare della rete elettrica centralizzata a cui devono essere collegate) comporta l’estrazione di materie molto rare e molto tossiche, navi mangia-petrolio per trasportare i minerali, enormi fabbriche per fabbricarle, autostrade per dirottare le varie parti e via di seguito. Infine, ciò non servirebbe a mettere i bastoni tra gli ingranaggi delle grandi multinazionali dell’energia che hanno accumulato una fortuna soprattutto col petrolio e col gas, essendo queste le stesse imprese che investono notevolmente nelle energie rinnovabili. No, in questo modo non ne veniamo a capo, dobbiamo trovare un’altra spiegazione.
Eliminiamo sin dall’inizio tutte le fanfaronate ambientaliste ed ecologiste, ormai brandite non solo dai cittadinisti di servizio, ma anche da quasi ogni azienda, ogni Stato, ogni ricercatore. Non c’è alcuna «transizione energetica» in corso, non c’è mai stata nella storia. Checché ne dicano gli adorabili dipendenti delle start-up tecnologiche, lo sfruttamento della forza muscolare dell’essere umano non è mai stato abbandonato… La generalizzazione dell’utilizzo del petrolio non ha provocato l’abbandono del carbone. L’introduzione forzata del nucleare non ha portato in nessun luogo alla scomparsa di centrali «classiche» funzionanti a gas, gasolio o carbone. Non ci sono transizioni, ci sono solo addizioni. La ricerca accelerata di nuove risorse energetiche corrisponde unicamente ad interessi strategici, non certo etici. In un mondo non solo dipendente, ma iper-dipendente dall’energia elettrica, è necessario diversificare i modi per produrla. Per aumentare la resilienza dell’approvvigionamento, di fondamentale importanza in un mondo connesso che funziona per flussi Jit [Just-in-time] a tutti i livelli, la parola d’ordine è diversificare e moltiplicare le fonti, anche per far fronte ai noti «picchi di consumo» i quali, per ragioni tecniche, non possono essere affrontati con un solo tipo di produzione elettrica (come l’energia nucleare, ad esempio). Quindi, non solo lo sviluppo dell’eolico e del solare, ma anche delle centrali a biomassa, della colza geneticamente modificata usata come biocarburante (che acrobazie permette il linguaggio del tecnomondo!), di nuovi tipi di centrali nucleari, di materiali conduttori nanoprodotti che promettono di ridurre di infime micro-percentuali la perdita di calore nel corso del trasporto dell’elettricità, e l’elenco non finisce qui.
Non è perciò sorprendente che dei tre settori indicati dai programmi di ricerca europei finanziati nell’ambito di Horizon 2020, uno sia proprio quello dell’energia.

Ma allora, cos’è questa energia e in cosa consiste la questione energetica in generale? Come hanno messo in luce molte lotte del passato, specialmente quelle contro il nucleare, l’energia è un’asse-cardine della società industrializzata statale e capitalista. Se energia significa produzione, la produzione consente il profitto tramite la mercificazione. Se energia significa potenza, la potenza consente la guerra, e guerra significa potere.
Il potere concesso dal controllo della produzione di energia è immenso. Per rendersene conto, gli Stati occidentali non hanno atteso la crisi petrolifera del 1973, quando divenne evidente a tutti la loro dipendenza dai paesi produttori di petrolio intenzionati a seguire i propri piani di potere. Questo è uno dei principali motivi con cui molti Stati, tra cui la Francia, giustificarono la moltiplicazione di centrali nucleari: poter disporre di una relativa indipendenza energetica e usarla come arma per costringere altri paesi a rimanere nei ranghi. Ma una cosa è forse ancora più importante, ed è qua che la critica del nucleare e del suo mondo ci permette di cogliere in tutta la sua portata il ruolo dell’energia nel dominio: il nucleare ha confermato che solo lo Stato e il Capitale devono possedere le capacità di produrre energia, che queste capacità rappresentano un rapporto legato al grado di dipendenza delle popolazioni, che qualsiasi sussulto rivoluzionario che voglia trasformare radicalmente il mondo dovrà confrontarsi con questi mastodonti dell’energia. In breve, che energia significa dominio. Come sottolineato in un saggio critico molto documentato apparso alcuni anni fa che collegava la questione dell’energia nucleare a quella eolica: «la maggior parte dell’energia attualmente consumata serve a far funzionare un macchinario schiavizzante da cui vogliamo uscire».
Ciononostante, evocare la questione dell’energia spesso suscita ancora, anche tra i nemici di questo mondo, come minimo un certo imbarazzo. In effetti noi associamo il più delle volte l’energia alla vita, proprio come gli specialisti dell’energia i quali hanno ampiamente contribuito a diffondere una visione che spiega ogni fenomeno vitale attraverso i trasferimenti, le perdite e le trasformazioni di energia (chimica, cinetica, termodinamica…). Il corpo non sarebbe altro che un ammasso di processi energetici, proprio come una pianta sarebbe solo un insieme di trasformazioni chimiche. Un altro esempio di come una costruzione ideologica influenzi – e sia a sua volta influenzata da – le relazioni sociali, è l’associazione molto attuale tra mobilità, energia e vita. Spostarsi di continuo, non rimanere sul posto, «vedere il paese» saltando da un treno ad alta velocità ad un aereo low cost per percorrere in un baleno centinaia di chilometri, è un nuovo paradigma di «successo sociale». Viaggio, scoperta, avventura o ignoto sono parole che ormai appaiono in primo piano su tutti gli schermi pubblicitari, distruggendo attraverso un’assimilazione distorta un’intera dimensione dell’esperienza umana, ridotta a visite veloci e senza rischi di luoghi allestiti a tale scopo. Fino ad alloggiare in una stanza con sconosciuti, debitamente controllati, garantiti e gestiti dalla tracciatura e dai database di una piattaforma virtuale. Forse è per questo che le gote arrossiscono o le labbra incominciano a tremare quando qualcuno osa suggerire che si dovrebbe tagliare l’energia a questo mondo.
Superare tale imbarazzo non è facile. Tutta la propaganda di Stato ci mette in guardia continuamente, col supporto di immagini di vere guerre, su cosa significherebbe la distruzione del rifornimento energetico. Tuttavia, un piccolo sforzo per sbarazzarsi delle visioni che infestano le nostre teste sarebbe un passo necessario. E questo, senza voler sviluppare «programmi alternativi» per risolvere la questione, perché in questo mondo essa non può essere risolta. Le città moderne non possono fare a meno di un sistema energetico centralizzato, sia esso prodotto da centrali nucleari, nanomateriali o turbine eoliche. L’industria non può rinunciare a divorare quantità mostruose di energia.
Il peggio – e questo lo stanno in parte già realizzando, non solo nell’ambito delle lotte contro la gestione energetica e lo sfruttamento delle risorse, ma anche contro il patriarcato, il razzismo o il capitalismo – sarebbe che per la preoccupazione di non restare sguarniti di fronte a un futuro travagliato e incerto, la ricerca e la sperimentazione di autonomia finiscano per alimentare i progressi del potere. Le turbine eoliche sperimentali nelle comunità hippie degli anni 60 negli Stati Uniti hanno magari impiegato un po’ di tempo per entrare nella scena industriale, ma oggi sono un importante vettore per la ristrutturazione capitalista e statale. Come riassunto in un recente testo che delineava le prospettive di lotta ispirate ai conflitti in corso in diverse parti del mondo attorno alla questione energetica:
«Certo, a differenza del passato, nel terzo millennio è possibile che il desiderio di sovversione si incontri con la speranza di sopravvivenza su un medesimo terreno, quello che mira ad ostacolare e ad impedire la riproduzione tecnica dell’esistente. Ma è un incontro destinato a tramutarsi in scontro, perché è evidente che parte del problema non può essere al tempo stesso parte della soluzione. Per fare a meno di tutta questa energia necessaria solo a politici e faccendieri bisogna voler fare a meno di chi la cerca, la sfrutta, la vende, la usa. Le necessità energetiche di una intera civiltà – quella del denaro e del potere – non possono certo essere messe in discussione unicamente dal rispetto per olivi secolari e riti ancestrali, o dalla salvaguardia di foreste e spiagge già in buona parte inquinate. Solo una concezione altra della vita, del mondo, dei rapporti, può farlo. Solo ciò può e deve mettere in discussione l’energia – nel suo uso e nel suo fabbisogno, quindi anche nelle sue strutture – mettendo in discussione la stessa civiltà».
E se questa società titanica va in effetti verso il naufragio, riducendo o distruggendo lungo il suo percorso ogni possibilità di vita autonoma, ogni vita interiore, ogni esperienza singolare, devastando la terra, avvelenando l’aria, inquinando l’acqua, mutilando le cellule, pensiamo veramente che sarebbe inadeguato o troppo azzardato suggerire che per nuocere al dominio, per avere qualche speranza di aprire nuovi orizzonti, per dare un po’ di spazio ad una libertà senza limiti e freni, minare le fondamenta energetiche di questo stesso dominio costituisce una preziosa indicazione?

Consideriamo ciò che abbiamo di fronte e attorno a noi: in tutto il mondo, sono in corso conflitti inerenti lo sfruttamento delle risorse naturali o contro la costruzione di impianti energetici (parchi eolici, centrali nucleari, oleodotti e gasdotti, linee ad alta tensione e centrali a biomassa, campi di colza geneticamente modificata, miniere, ecc.). Tutti gli Stati considerano questi nuovi progetti e le infrastrutture energetiche esistenti come «infrastrutture critiche», cioè essenziali per il potere. Data la centralità della questione energetica, non c’è da stupirsi se si legge nel rapporto annuale di una delle agenzie più rinomate di osservazione delle tensioni politiche e sociali nel mondo (sovvenzionata dai colossi mondiali delle assicurazioni), che il 70% di tutti gli attacchi e i sabotaggi segnalati come tali sul pianeta e perpetrati da attori «non statali», e di tutte le tendenze e ideologie confuse, riguardano le infrastrutture energetiche e logistiche (tralicci, trasformatori, oleodotti e gasdotti, ripetitori, elettrodotti, depositi di carburante, miniere e ferrovie). Certamente, le motivazioni che possono animare chi lotta in questi conflitti sono le più disparate. Talvolta riformiste, a volte ecologiste, talvolta soggette a rivendicazioni indigene o religiose, a volte rivoluzionarie o semplicemente per rafforzare le basi di uno Stato – o di uno Stato futuro. Lungi da noi l’idea di trascurare lo sviluppo, l’approfondimento e la diffusione di una critica radicale di tutti gli aspetti del dominio, ma ciò che vorremmo sottolineare qui è che anche all’interno di una parte di questi conflitti asimmetrici si può diffondere un metodo di lotta autonoma, auto-organizzata e di azione diretta, introducendo di fatto le proposte anarchiche sul campo. Al di là del potenziale insurrezionale che potrebbero avere i conflitti attorno a nuovi progetti energetici, lasciando magari intravedere le possibilità di una più ampia e massiccia rivolta contro quelle nocività, è comunque chiaro che la produzione, lo stoccaggio e il trasporto di tutta l’energia di cui la società ha bisogno per sfruttare, controllare, fare la guerra, sottomettere e dominare, dipendono invariabilmente da tutta una serie di infrastrutture disseminate su tutto il territorio, cosa che favorisce di conseguenza l’azione diffusa di piccoli gruppi autonomi.
Se la storia dei conflitti rivoluzionari rigurgita di esempi molto indicativi sulle possibilità di azione contro ciò che fa funzionare la macchina statale e capitalista, dare uno sguardo alle cronologie dei sabotaggi degli ultimi anni mostra che anche il presente nelle nostre contrade non ne è privo. Liberarsi dell’imbarazzo, guardare altrove e altrimenti, sperimentare ciò che è possibile e ciò che è allettante, ecco alcuni sentieri da esplorare. Nessuno può prevedere ciò che questo può dare, ma una cosa è certa: è parte della pratica anarchica della libertà.

Avis de tempêtes, n. 6, 15 giugno 2018
avisdetempetes.noblogs.org