Genova: sabotato ripetitore RAI

Il comunicato:
“Genova – Sabotato ripetitore RAI con due incendi. Ogni regime ha bisogno della sua propaganda e delle sue infrastrutture. E’ necessario agire per interrompere la falsa contrapposizione “cittadino regolare” contro “profugo/clandestino”. Sfruttati, esclusi, oppressi di tutto il mondo: i veri nemici sono lo Stato, il Capitale e l’alienazione mass-mediatica. Un pugno chiuso per Marco, Gimmy, i detenuti in AS2 a Ferrara e Alessandria. Un saluto a Vincenzo, Pola e Gabriel, ovunque siate.”

info da: www.informa-azione.org

Appello della procura di Torino contro Silvia, Billy e Costa

La Procura di Torino, nelle vesti del procuratore Arnaldi Di Balme, non contenta della sentenza di improcedibilità per il “Ne bis in idem”, il non poter condannare per lo stesso reato, quindi non dover procedere per difetto di giurisdizione per Silvia, Billy e Costa, ritorna alla carica ricorrendo in appello con tutta la giurisprudenza del caso riportandoli verso un nuovo processo.
Ancora una volta il procuratore insiste sul fatto che una parte del tentativo di attacco alla multinazionale IBM da compiersi in Svizzera sarebbe stato pianificato in Italia con il relativo trasporto di materiali esplodenti. A dimostrazione del tutto ci sarebbe la partecipazione di Silvia, Billy e Costa alla Coalizione contro le nocività, esperienza di lotta che, negli anni della sua attività, ha creato un’attiva progettualità contro le biotecnologie e le nanotecnogie.
Di questi tentativi repressivi niente di che stupirsi, la giurisprudenza è costruita appositamente per reprimere contesti critici e di lotta verso questo sistema di sfruttamento.
Per noi resta invece ben chiara la necessità di disfarsi di questo sistema ecocida con i suoi bracci armati chiamati scienza e ricerca.
Per chi volesse approfondire rimandiamo alla lettura della pubblicazione “Solidarietà e complicità”, raccolta di testi intorno al tentativo di sabotaggio del centro IBM sulle nanotecnologie in Svizzera e sulla solidarietà espressa quando la repressione ha avuto la meglio.

www.silviabillycostaliberi.org

Sentenza processo Billy Silvia Costa

Questa mattina presso il Tribunale di Torino c’è stata la lettura della sentenza per Silvia, Billy e Costa, già condannati in Svizzera per possesso, trasporto e ricettazione di esplosivo per il tentativo di attacco al centro di ricerche nano-tecnologiche IBM a Zurigo a firma Earth Liberation Front Switzerland. Il processo elvetico si concluse con la condanna tra i tre anni e quattro mesi e tre anni e otto mesi.
La procura di Torino, imbastendo un caso tutto italiano, aveva chiesto pene fino a 5 anni e 6 mesi per i medesimi reati. Il tribunale si è espresso con
l’improcedibilità per il “Ne bis in idem”, non poter condannare per lo stesso reato, quindi il non dover procedere per difetto di giurisdizione.

www.silviabillycostaliberi.noblogs.org

Tra-pianti di chi riceve e pianti di chi dona o vende

È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo?”
Fёdor Dostoèvskij, L’idiota, Feltrinelli, Milano 1998, p. 478

Cuore che batte, sangue che circola, un corpo vivo in coma, intubato, sottoposto a farmaci paralizzanti e anestetici, squarciato per i suoi organi.
morte = cessazione della vita
morte cerebrale = condizione creata e definita per legalizzare l’espianto di organi a cuore battente
Nella società delle falsificazioni e dei profitti, laddove tutto è arbitrario e in mano al potere, la morte vera è la cosa meno arbitraria in tutti noi animali, mortali.
L’essere vivi è ridotto a un segnale su uno schermo, a dei parametri, è nelle mani di medici, di esperti in camice bianco che in sei ore decretano la morte cerebrale.
Predazione mascherata dalla più becera propaganda del dono, della vita, dell’aiutare il prossimo, la stessa propaganda che utilizza bambini affetti da qualche malattia rara per raccogliere consensi e soldi destinati alla ricerca e a sempre nuove terapie geniche.
Non c’è pietà nella concezione utilitaristica che usa il più debole e apre le porte ad orrori.
Gravidanza portata avanti al fine di far espiantare dopo il parto il figlio anencefalico [1], “morti cerebrali” che potranno essere tenuti vivi in ospedali e università per due anni come oggetto da sperimentazione, il proprio corpo che potrà essere donato alla scienza… [2]
L’aberrazione dell’inganno, l’aberrazione di consegnare se stessi alla ricerca in una società mortifera che produce malattie, con un biopotere che si infiltra in tutti i processi vitali dalla nascita alla morte.
L’autodifesa è minata, il silenzio equivale all’assenso. [3] Pensiamo al padre che salvò il figlio dall’espianto armato di pistola in ospedale… [4]
Il corpo è nostro, non siamo pezzi di ricambio. Non siamo macchine funzionali al sistema di produzione.
Silvia

 

E infine quel punto di straordinaria, mirabile,“avveniristica” intuizione che è nel paragone che sorge in Ivan Il’íč * tra il giudice – se stesso giudice – e il medico. […] E così come il giudice può dar torto o ragione facendo astrazione dal torto o dalla ragione, poiché quel che conta è l’affermazione della legge comunque interpretata, il medico fa astrazione dalla malattia e dalla salute, poiché quel che conta è l’affermazione della medicina, cioè della “medicalisation dell’idée de la vie””

L. Sciascia, “La medicalizzazione della vita” in: Cruciverba, Einaudi, Torino 1983, pp.253-4

Connaturati al trapianto di organi appaiono l’uso, l’abuso, la manipolazione, la strumentalizzazione, lo sfruttamento di coloro che si trovano in situazione di debolezza, di difficoltà, di fragilità economica, culturale, psicofisica. Connaturati al trapianto di organi sono l’uso, l’abuso, la manipolazione, la strumentalizzazione, lo sfruttamento dei corpi tutti.

Talvolta vien da pensare che le brutture siano palesemente tali e lo sarebbero intuitivamente e istintivamente per i più, e i più le rifuggirebbero con orrore, se non si provvedesse, anzi, forse meglio sarebbe dire, se coloro che detengono potere, il potere di farlo, gli strumenti per farlo, l’interesse per farlo, non provvedessero celermente a creare degli orpelli per ammantarle, mascherarle, imbellettarle e non provvedessero altrettanto celermente a deviare l’attenzione altrove rispetto al cuore della faccenda. Altrove. Magari là, dove appare l’utilità.

Utilizzo e utilità. Apparente utilità. Che si contrappone alla bellezza. E Dostoèvskij fa dire al principe Mỳškin, l’ “idiota verosimilmente epilettico”, che ‘la bellezza’ salverà il mondo. La dimensione salvifica, o meglio sarebbe dire liberatrice, libera e liberatrice, profonda e complessa, percepita ed espressa da un “idiota” epilettico. Uno sguardo sul mondo diverso, incomprensibile nei ranghi dell’ “utilità”.

Lo sforzo atto a teorizzare, argomentare e giustificare filosoficamente, razionalmente, moralmente, risulta estremamente pericoloso. Il rischio appare quello della falsificazione e di ciò che da essa deriva. E così la mente mente pericolosamente. Ha dato origine, non scordiamolo mai, a Cartesio e alle aberranti conseguenze pratiche del suo argomentare, alle Crociate e ai lager e ai gulag e allo schiavismo e ai laboratori di vivisezione.

È altrove, non nelle parole, non nel raziocinio. Non ha posto nella disputa dialettica, irrispettosa e volgare quando si tratta di vita e di morte e di dolore, né nell’arroganza della razionalità e dell’intelligenza. Alberga altrove, questa convinzione o forse solo questo sentire. La convinzione, o forse solo questo sentire, prepotente, che il trapianto di organi, così come l’energia nucleare, la sperimentazione sugli animali, l’affitto di uteri, siano orrendi abomini.

È altrove, nell’angoscia e nello sconcerto, nello sgomento che provocano, nell’incredulità che veramente possano essere concepiti e realizzati e considerati cose buone e belle e giuste.

E’ altrove, non nelle parole, che anzi, scompaiono, si frammentano, si intrecciano, si offuscano, laddove si resta ammutoliti.

È un’inquietudine indicibile, ma non per questo meno reale, ma non per questo meno significativa.

Sventrare. Squarciare con violenza il ventre. Squarciare i corpi. Visceri eviscerati.

Ma cosa potrà mai esserci in comune tra una montagna sventrata – dal suo ventre squarciato con violenza le viscere strappate, il corpo svuotato – una cava di marmo, una miniera di carbone, un gigantesco foro di proiettile per l’alta velocità -, le voragini scavate a Mururoa, un’esplosione atomica a Mururoa, ossa spezzate, un torace sventrato anch’esso per estrarre un cuore che ancora batte e batterà altrove, ma non più in quel corpo, un utero comprato e riempito a forza in una donna comprata e riempita a forza, un ratto immobilizzato, bloccato a forza, su un tavolo di laboratorio? Cosa potrà mai esserci in comune? Lo sgomento che suscitano. Ecco cos’hanno in comune. E un’idea. Cos’hanno in comune energia nucleare, alta velocità, trapianti d’organo, sperimentazione sugli animali? Un’idea del vivere e del morire. E cos’hanno in comune coloro che vi si oppongono? Un’idea. O forse, no, un sentire. O forse entrambi, un’idea e un sentire. Un’idea infranta del vivere. Un sentire infranto dell’esserci.

Infrangere e distruggere in forza del potere e in nome dell’utilità e della legge del più forte, ancora come allora, rinunciando alla bellezza, al desiderio, al mistero, all’accettazione gioiosa, intrisa di quella gioia austera a cui ci rimanda Seneca, all’accettazione/accoglienza del limite, della finitudine, della morte, dell’Altro. E cos’hanno in comune coloro che vi si oppongono? Un’idea. O forse un sentire. L’idea di aver facoltà e possibilità e desiderio di fermarsi. Fermarsi e urlare “NO!”. No alla legge del più forte, no alla logica dell’utile laddove la categoria dell’utile non appare inerente. L’idea e il sentire che un valore intrinseco esiste nel corpo, nell’albero, nella montagna. Dove sono le parole, dove trovarle, per spiegare, distendere queste pieghe del sentire? Ma le parole fluttuano. Idee ectoplasmiche. Il limite. La morte. Una pace. Una forza impietosa. La legge del più forte. L’utilizzo della logica, della logica dell’utile, del parametro dell’utilità. Possiamo usare e usiamo. E’ utile per chi può e allora chi può utilizza questo suo potere se gli è utile e pare tutto cosa buona e giusta. Ma forse la categoria dell’utile per tutte queste pratiche potrebbe non essere adeguata.

L’idea del possesso, dell’uso, dell’utilità. Il valore.

Perché mai dovrebbe avere più valore il marmo di una cava rispetto alla montagna che è stata devastata per estrarlo? Perché dovremmo preoccuparci che il cosiddetto progresso, indiscutibile, possa arrestarsi? Perché il progredire dovrebbe aver maggior valore del fermarsi e del contemplare? Forse perché il fermarsi ci riporta all’ineluttabilità della morte? Forse perché il progredire, che è movimento, colma di energia cinetica quell’orror vacui che non possiamo tollerare? Il progresso aumenta la quantità di possibilità. Crescita e progresso. Qual è la meta? E non si fa menzione del limite. Come fosse un tabù. Fa paura? Schernito, ridicolizzato, così da poterlo svalutare, relegare nelle vecchie e maleodoranti cantine in cui accedono vecchi dementi e nostalgici. Si può rinunciare a tutte queste possibilità? Si può non desiderarle, non considerarle desiderabili? Ci si può arrendere, o anche solo fermarsi, al limite, alla malattia, alla morte? E se invece che progredire provassimo a stare? Stare con la nostra infertilità, stare con la nostra malattia, stare con la nostra mortalità, stare con la nostra morte imminente. Così, senza saccheggiare la vita altrui, la bellezza altrui, senza approfittarci, ossia trarre profitto, più o meno apparente, dalla fragilità altrui, dalla disperazione altrui, dalla fame altrui?

Perché progredire dovrebbe essere necessariamente auspicabile? Dobbiamo inchinarci di fronte a quest’ottica consumistica? Di fronte alla quantità? Dobbiamo consumare e consumarci e farci consumare, rendere utili anche i nostri corpi e anche i pezzi dei nostri corpi, di quella macchina cartesiana, di quel cane cartesiano in cui vogliono trasformarci, quella vilipesa cagna cartesiana che il pensiero ha creato e costruito dal nulla e sul nulla, distruggendo il tutto del corpo animale?

Possiamo rassegnarci. Ri-assegnarci. Possiamo darci e dare un altro segno. Un altro segnale. Un altro significato.

Quando le fabbriche imbruttirono i paesaggi e lo spirito che aveva spinto a erigerle contaminò le menti, il lamento dei poeti e dei dotti non commosse nessuno. Che profitto producono i poeti e i dotti? domandò l’industriale. Come può essere vero ciò che non rende, non serve a niente?insisté. Egli era infatti il figlio spirituale di quei filosofi che uguagliarono sapere e potenza politica. […]. L’industriale ha dovuto torturare per sottometterli i popoli savi e fieri: gl’indigeni d’America, gli Africani, gli Indù […]. L’industriale è stato forse il primo uomo nella storia a preferire il brutto al bello.”

Elémire Zolla, Verità segrete esposte in evidenza, Marsilio, Venezia 1990, pp.62-63

* Sciascia fa qui riferimento al racconto “La Morte di Ivan Il’íč” di Lev Tolstòj

Mafalda

1. “Teddy anencefalico espiantato dopo solo 100 minuti di vita”
Comunicato stampa Anno XXXI n.8, 30 Aprile 2015 www.antipredazione.org
2. “In arrivo il pacco di natale del post mortem cerebrale Al Senato DDL 1534 – esercitazioni chirurgiche, chimiche e radiologiche” Comunicato stampa Anno XXX n.25, 04 Dicembre 2014 www.antipredazione.org (Norme in materia di disposizioni del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica)
3. Legge 91 del 1° aprile 1999, detta del silenzio-assenso vedi: www.antipredazione.org
4. “Il padre che salvò suo figlio dall’espianto armato di pistola in ospedale” Comunicato stampa Anno XXXI n.1 04 Gennaio 2016 www.antipredazione.org

Per maggiori informazioni sul tema della predazione degli organi: Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente

Da L’Urlo della Terra, numero 4

Verso una stagione di consenso biotech?

La conflittualità del sistema capitalista, che ha nella guerra alla libertà e al vivente il suo dispositivo quotidiano, si legittima in se stessa e nella valutazione del suo stato di necessità, visto che una conflittualità “necessaria” si tramuta in “mano invisibile”, cioé in meccanismo autoregolante e dispensatore di merito e valore.
Conflittualità è però una parola che spaventa; e poiché viviamo l’epoca in cui si afferma che abbia senso solo ciò che sta dentro lo spazio del mercato e poiché anche le istituzioni guardano similarmente alle persone come utenti e consumatori, che per consumare devo essere sereni e ottimisti, la complessità di questa parola viene tradita e la galassia di suoi significati viene traslata in ambiti semantici quali competitività, intesa come sistema, e competizione, intesa come tipica pratica interna a quel sistema. Ambiti che vogliono essere più morbidi e tranquillizzanti, che avvicinano a immagini sportive in cui ci si riconosce e si propone un fair play altrettanto riconosciuto, in cui si parte dalla stessa linea e alla fine ci si abbraccia e ci si complimenta; ambiti le cui architetture vogliono avere profili sicuri e sguardi al futuro e al progresso. Ambiti, in altre parole, che negano la realtà del sistema nella sua reale violenza e disparità, in cui vige e ci si nutre di volontà usurpatoria, di esodi forzati, di fame altrui e di morte. La potenza del conflitto, dunque, si stempera e si riduce nei gesti della competizione.
Competitività e competizione, per come li abbiamo descritti, legittimano la ricerca di accumulazione di capitale come unico obiettivo e diventano le forze che allargano i confini dello spazio d’azione del mercato, sia in senso geografico che in quello chimico-fisico, assumendo la ricerca di conoscenze e saperi come vettori su cui salire e farsi trasportare a piacimento. L’intensità e la potenza di questi vettori possono mutare nel corso nel tempo e ciò che finora ha suscitato attriti e resistenze potrebbe trovare strade maggiormente percorribili in futuro. E’ il ragionamento che viene fatto ogni giorno nelle sedi di ogni azienda e in ogni sede politica. E quando non si esprime in termini economici oggi si può esprimere in una sola altra parola: consenso.
Quello che in questo articolo proviamo a mettere sinteticamente in luce è dunque come, articolati come abbiamo fatto i termini di competizione e competitività, il consenso, metro di misura della accettabilità e vendibilità di un prodotto, di una proposta o banalmente di un politico, sia oggi una variabile altrettanto importante nell’ambito dell’industria, del mercato, della ricerca e delle applicazioni biotecnologiche e come questa variabile, essendo soggetta a mutamenti, si possa manipolare, prevedere e indirizzare.
Essa significa accettazione a fini sociali ed economici. Una sua assenza è un elemento rischioso per chi ha cariche di potere.
Serve però una specifica: il consenso ha una duplice veste. Un consenso vissuto come attivo si trasformerà e porterà alla resistenza, alla partecipazione e all’azione, anche quando da consenso si passi a esprimere dissenso; un consenso vissuto come passivo porterà alla delega oppure al silenzio e alla rassegnazione. Il consenso di cui qui specificatamente si parla e si critica radicalmente è il consenso che delega a una scienza antropocentrica basata sul controllo del vivente e ai suoi interpreti nella società il senso della relazione tra esseri umani, tra esseri umani e animali non umani e tra esseri umani e ambienti. Una delega che legittima tutto e allarga i confini della bramosia umana, rendendoci tutte e tutti implacabilmente più schiavi.
Volendo parlare di biotecnologie e consenso la vicenda degli OGM in Europa è paradigmatica: gli OGM hanno trovato diverse strade sbarrate in questi anni avendo un consenso basso e resistenze alte e socialmente trasversali. Tentativi di portare direttamente in agricoltura e sulle tavole di casa alimenti OGM sono falliti per le numerose e diversificate azioni di protesta messe in atto direttamente da persone che si sono sentite e si sentono intimamente toccate e minacciate da queste tecnologie. Loro e con loro gli ambienti e chi li vive. Hanno cioé interpretato la loro capacità d’azione in modo attivo.
Le istituzioni hanno recepito parzialmente e con modalità loro proprie e, anche per pressioni a carattere lobbista, hanno lasciato spiragli in cui periodicamente i medesimi settori biotech e OGM provano a inserirsi. Dunque la battaglia non è affatto vinta ed è tuttora in corso.
Ma poiché il sistema tecnoindustriale ha trovato nel controllo del vivente e dell’estremamente piccolo un metodo per ricostruirsi dalle fondamenta1 oggi gli OGM non possono essere più considerati l’avanguardia biotech, se mai lo sono davvero stati. A questi oggi si sono affiancate ricerche e applicazioni già operanti in molteplici settori industriali, agricoli, zootecnici e sanitari, spesso nel silenzio completo per il timore di dover rivivere e subire fenomeni di contrarietà e dissenso già sperimentati con gli OGM. Parallelamente, però, verso questi settori la percezione del pericolo di buona parte della popolazione è bassa. Ricerche e letteratura attestano che si accetta con maggior grado di fiducia e apertura un involucro biotech che fa parte della filiera del controllo di qualità del cibo, che potrebbe comunicare lo stato di conservazione di un determinato prodotto, piuttosto che un qualunque alimento che poi si dovrà ingerire2. Parallelamente gli ambiti della salute e della ricerca medica sono quelli che trovano un più alto consenso tra le popolazioni umane a scapito di molte altre popolazioni -umane e non umane- che la subiscono nei laboratori e nelle loro aree di vita. E’ difficile non pensare a queste biotecnologie per la salute, le cosidette red biotech, come a un fortino da cui partono le incursioni per la conquista di nuove zone in cui la ricerca e le sue applicazioni si dotino di agibilità e consenso.
Una questione che apre scenari di riflessione incentrati sulla intimità del proprio corpo e sull’utilitarismo al cui altare sacrifichiamo vite altrui; e che ci costringe a riflettere sulla complessità del fenomeno biotech, sulla sua pervasività e sulla assenza di capacità critica che sappia estrapolare da un singolo fenomeno una considerazione generale.
Restando nell’ambito della costruzione del consenso, buona parte degli sforzi del settore biotech e dei suoi partner si è indirizzata alla creazione di tipologie di pubblico più dialogante e fiducioso, se non favorevole: da un lato si ricerca una opinione pubblica in sintonia con la ricerca scientifica e le sue applicazioni, dall’altro si presenta una scienza “buona”, indirizzata alla risoluzione di problemi sociali, sanitari e ambientali.
In un documento governativo italiano del 2005 che tratta il tema delle biotecnologie si riportano suggerimenti in merito alla necessità di “facilitare la comprensione” al di là di quelli che vengono ritenuti pregiudizi antiscientifici; e si sottolinea come sia “in età scolare che prendono forma pensieri e convincimenti”3. Perché attendere l’età adulta quando si può agire su menti plasmabili come quelle dei bambini e delle bambine? Oppure quelle di giovani studenti e studentesse, probabilmente appassionati della materia di studio? Una domanda che si sono poste diverse università scientifiche in questi ultimi anni, stando al crescente numero di corsi o di argomenti di corso incentrati sulla comunicazione scientifica, sulla sua efficacia e sulla sua capacità di annichilire in un dibattito, ad esempio, attivisti e attiviste che attentino al ruolo salvifico della scienza.
E dunque in questa direzione la galassia della ricerca e dell’industria si sta muovendo. Cercare il coinvolgimento di scuole e studenti, dentro e fuori le aule; organizzare incontri tra imprenditori, aziende e istituzioni nazionali e internazionali; stendere programmi condivisi con eventi che uniscono capitali europee e realtà di provincia; aumentare la propria presenza in ambiti pubblici o sui media, dalle piazze alla tv alla radio all’editoria: stando ai comunicati e alle pagine web sono queste alcune delle iniziative che in questi e nei prossimi mesi verranno messe in campo dalle associazioni biotech e di ricerca industriale. Un calendario fittissimo di azioni a ventaglio per una strategia chiarissima: ottenere quel consenso e quella legittimità che bramano per poter rivendicare il ruolo di protagonisti in questa fase di gestione della crisi e di rifondazione e rilancio capitalista.
Senza dimenticare che in questo periodo EXPO2015 ha un ruolo da protagonista, per il palcoscenico che ha, nella strategia che mira a sdoganare la ricerca e le applicazioni biotech, nanotech e ad alto contenuto di tecnologia.
E se le tematiche di ricerca si moltiplicano e si avviluppano e se le loro applicazioni entrano nei processi industriali e commerciali con una curva di crescita geometrica è perchè la competizione e il consenso in specifici settori offrono a ricercatori, vivisettori e a chi li paga grandi spazi di azione e ampi gradi di libertà.
Se dunque il loro fronte sta avanzando e una nuova stagione biotech potrebbe essere imminente, le numerose giornate organizzate attorno al biotech devono essere un campanello d’allarme e uno stimolo all’azione.

un gruccione, settembre 2015

1“Nanotecnologie, la pietra filosofale del dominio”, AAVV, Il Silvestre 2011
2“Quando il cibo è nano – la tecnologia servita a tavola”, Luca Leone, Mattioli 2015
3 http://www.governo.it/biotecnologie/documenti/3.comunicazione.pdf

Da L’Urlo della Terra, numero 3