Il corpo di genere nello specchio delle nuove tecnologie – Game Over

Contenuti:
1. Introduzione
2. Il corpo di genere (gendered body)
3. Un breve ma necessario sguardo indietro
4. Modifiche e cambiamenti
5. Lo specchio
5.1 Produttività, velocità, aggiornamento
5.2 Consumo, desiderio, feticismo
5.3 Internet, rappresentazione, mondi in connessione
5.4 Riepilogo
6. Alcuni importanti commenti e pensieri per il futuro/ Abbastanza fantasmi dal passato 6.1 Parlando dal margine
6.2 La lotta per l’uguaglianza nello sfruttamento
6.3 La parte della svalutazione femminile nel nuovo paradigma tecnologico
6.4 Gli invisibili di questa società
6.5 Posizioni di battaglia al giorno d’oggi

Ricorda il corpo…
Corpo, ricorda non solo quanto fosti amato
non solo i letti sopra cui giacesti,
ma anche quei desideri che per te
brillavano chiaramente negli occhi tremavano nella voce – resi vani
da qualche impedimento casuale.
Ora che tutto è parte del passato,
è come se ti fossi concesso anche a quei desideri – ricordali brillare
negli occhi che ti guardavano
come fremevano nella voce, per te, ricorda,
corpo.

Costantino Kavafis

  1. INTRODUZIONE
    Qualcuno, un tempo, ha detto che tutte le storie dell’umanità si possono scrivere come una sola e con solo soggetto: il corpo umano. Il corpo vulnerabile con i suoi bisogni, forze, ferite, con la rispettiva identità e i segni di questa. Dalla scultura antica fino alle biotecnologie contemporanee, il corpo come un tutto organico visto all’interno della società, porta specifiche delimitazioni e divieti, come quelle di classe, di genere e la categorizzazione razziale imposte ormai secoli fa.

    All’interno di questo vasto oceano di teorie sul genere, il corpo e la sessualità, seguendo la nuova ondata di narrazione sul corpo secondo la teoria femminista del mondo post moderno capitalista, ci hanno particolarmente interessato le posizioni di molti movimenti femministi della terza ondata [1] per quanto riguarda il genere e la sua relazione con il mondo della tecnologia e alle nuove macchine. Leggendo gli apripista di questa ondata è arrivato nelle nostre mani il “Manifesto Cyborg” di Donna Harraway, scritto nel 1983, riguardo al quale abbiamo fatto un piccolo evento-discussione lo scorso aprile sul tema del cyberfemminismo, tecnofemminisimo e al loro significato al giorno d’oggi. La discussione si è mossa intorno alle posizioni della Haraway rispetto alla natura liberatrice della tecnologia, ovvero una narrazione del corpo e delle questioni femminili incentrate sulla natura deperibile del corpo in contrasto con la perfezione della macchina, nonché sulla speranza che la diffusione della tecnologia e l’unione tra uomo e macchina porteranno il superamento del genere. Alla fine dell’analisi ci siamo soffermati su tre punti. Il primo riguardava il fatto che i corpi, per secoli incriminati dalla religione e dal patriarcato, continuano ancora ad essere sottovalutati con l’ascesa della macchina e, contemporaneamente, il sessismo rimane diffuso e si intensifica nei momenti di crisi. Il secondo punto riguarda l’idealizzazione e il feticismo nei confronti di ogni nuovo strumento tecnologico che si lega all’aspettativa che questo permetterà di superare o risolvere problemi di natura principalmente relazionale. Il terzo punto è stato una critica della tendenza postmoderna della decostruzione del passato, di una negazione della storia e della nostra memoria di classe che alla fine termina in un confronto miope con le stesse.

    Nella discussione seguita era diffusa la distanza e l’incapacità di assimilazione o comprensione delle posizioni della Haraway ed il forte contrasto con la realtà era chiaro. Nel nuovo paradigma tecnologico è indubitabile come l’aumento dell’uso delle macchine ha facilitato le donne sotto diversi aspetti e il cyberspazio ha aperto un nuovissimo campo di comunicazione, negazioni e rivendicazioni. Questa nuova tendenza rende il mondo della tecnologia come un regno glorificato e idealizzato. Un regno che si trova tanto vicino (dalla prospettiva di accessibilità per le società occidentali) e allo stesso tempo tanto lontano dal mondo materiale.

    Di tutte le verità basate sull’esperienza che abbiamo ascoltato e letto, dalle storiche narrazioni radicali sul corpo, fino allo sguardo fugace del mondo non virtuale, l’unico punto concreto a cui siamo arrivati nella conversazione, è stato che i nostri corpi, oggi come ieri così come domani, rappresentano la linea rossa e siamo chiamati a difenderli sostenerli costantemente in maniera materiale contro la barbarie del mondo capitalista e dalla quotidiana e multiforme svalutazione che viviamo. Questo pensiero ci ha guidati nell’organizzare questo evento, cercando di analizzare le contemporanee forme di svalutazione dei nostri corpi e di trovare dove esistono punti di intersezione tra realtà e teoria. Una parte di queste suggestioni per qualcuno risulteranno delle ovvietà, basi di cui è già a conoscenza o che forse ha già superato. Tuttavia, da quello che abbiamo constatato attraverso la mancanza di discussioni su questo tema, quando le ovvietà non vengono discusse per tanto tempo, alla fine cessano di essere evidenti.

  2. IL CORPO DI GENERE
    La teoria rispetto al corpo di genere è introdotta nell’era postmoderna principalmente dal movimento femminista. Già dall’epoca di Simone de Beauvoir, con il suo libro «Il secondo sesso» (1949) [2] e la famosa frase, «donna non si nasce si diventa», si creano le prime crepe e dubbi rispetto alla visione imperante della percezione del corpo, un’ideologia principalmente legata al corpo maschile bianco, definendolo chiaramente come la “normalità” e declassando o escludendo tutto ciò che si trova “al di fuori” di esso. Fino a quel momento, soprattutto attraverso la biologia del 19° secolo, la normalità era identificata con ciò che la scienza riteneva “naturale” in base alle misurazioni e la diversità fisica era collegata con la devianza sociale. Le teorie femministe del 20° secolo, soprattutto dalla seconda ondata in poi, spostano il dibattito, e tra le altre cose, rendono evidente che la normalità o la devianza sono concetti che vengono costruiti intorno a molti assi, come la razza, il genere, la classe o la disabilità fisica e in nessun modo biologicamente definiti. Il corpo è intrecciato e modellato da fattori sociali e politici del potere.

    Contemporaneamente ciò che viene chiamato sesso, ovvero le caratteristiche anatomiche che si collegano al sistema riproduttivo e ormonale di ciascun corpo, si distinguono dal genere sociale e gradualmente dalla sessualità. Il genere sociale, ovvero l’insieme dei comportamenti che impariamo a corrispondere ad ogni corpo, si scaricano del peso del corpo biologico diventando malleabile nelle mani dei vari soggetti. L’identità di uomo o donna non si manifesta in modo evidente con una serie di caratteristiche imposte che determinano il loro comportamento e le loro pratiche quotidiane. Questo cambiamento libera così un enorme potenziale di emancipazione, autodeterminazione reclamata dai corpi oppressi e allo stesso tempo declina con molti toni intermedi le diverse sfumature di oppressione, le quali dipendono dalla posizione del soggetto nella griglia e gerarchia delle relazioni sociali. Infine così il genere sociale acquisisce così tante espressioni che le categorie di uomo e donna si decostruiscono e tendono a scomparire nella teoria contemporanea queer-femminista [3].

    Secondo Judith Butler, una delle maggiori rappresentanti della terza ondata femminista e della teoria queer contemporanea, l’apparente coerenza dei comportamenti che costituiscono il genere dal punto di vista sociale, il quale crea la percezione che per davvero esista un nucleo biologico specifico che definisce e caratterizza i due sessi, non è altro che una sequenza di esibizioni continue, una genealogia di imitazioni sull’essere uomo o l’essere donna, che hanno a che fare con il modo in cui veniamo educati socialmente. Questo processo di imitazione del genere sociale, insieme alle pratiche che lo accompagnano, eccetto il fatto che crea chiaramente i limiti comportamentali di ogni genere, fa anche dell’altro: ri-modella le caratteristiche biologiche/anatomiche dello stesso corpo biologico. Il corpo, nella teoria femminista contemporanea, cessa di essere un luogo solido e materiale, ma si trasforma in un luogo fluido di contingenza. Un materiale che può essere ridefinito da ciascuno, senza essere limitato dalle già esistenti caratteristiche sociali e anatomiche. La sostanza fisica del corpo sembra smaterializzarsi, disincarnarsi e scomparire all’interno delle sue molteplici rappresentazioni [4].

  3. UN BREVE MA NECESSARIO SGUARDO INDIETRO
    Qui apriamo una parentesi. Le teorie femministe contemporanee e il costruttivismo sociale [5] sono una parte della tendenza postmoderna che ha cercato di decostruire quella che era chiamata teoria cartesiana del corpo. E questa opposizione, come tutte le altre, ha una sua storia. Dal momento che la religione ha dato le redini dell’occupazione del corpo umano alla scienza, Descartes gettò le basi per la percezione meccanicistica del corpo e la sua separazione dalla mente, dal momento che il corpo è diventato “civilizzato” e le sue funzioni sono state testate e categorizzate, molta acqua è passata sotto il ponte dell’ interiorizzazione delle ideologie dominanti su “come siamo fatti”.
    Non andiamo però troppo lontano. Nell’epoca della rivoluzione industriale, la biologia del 19° secolo, continuando la tradizione del pensiero cartesiano, consolida la biologizzazione assoluta del corpo-, il cosiddetto approccio naturalistico. Le disuguaglianze sociali e l’accesso alla ricchezza, i diritti legali e politici sono considerati come dati di fatto e fissi in base alle caratteristiche biologiche del corpo e non vengono considerati in nessun modo come risultato della posizione sociali di ognuno. È l’epoca in cui il corpo è soggetto a continue misurazioni con lo scopo di definire scientificamente cos’è normale o deviante e quindi la posizione chiara di ogni soggetto nella gerarchia della società industriale. La medicina pone forti fondamenti “oggettivi” per ri-creare la disuguaglianza e la gerarchia sociale, questa volta con la scusa della scientificità e non della religione. Per esempio, le prove dei luminari della metodologia medica si basano sulle misurazioni craniche su uomini e donne, o su bianchi e neri, con lo scopo di sostenere l’inferiorità dei secondi sulla base delle dimensioni o dello schema cranico e quindi del cervello. Da queste ricerche i crani dei cervelli femminili sono stati visti come più piccoli e questo si collegherebbe alla passività e alla mancanza di esperienze attive. Si è cercato di provare clinicamente delle forme di sottosviluppo delle donne rispetto a quello dell’uomo bianco civilizzato. Le mestruazioni sono state ritenute controproducenti in quanto l’aggressività delle donne, durante il periodo mestruale, sarebbe il risultato del fatto che non possono seguire il loro ruolo, ovvero quello riproduttivo. L’educazione e il lavoro spirituale sono ritenuti responsabili della diminuzione della capacità riproduttiva femminile e, di conseguenza, per tutti i loro problemi ginecologici; per questo bisogna che questi insegnamenti vengano dati o con parsimonia o per niente. In poche parole, gli uomini lavoreranno e parteciperanno alla vita sociale e le donne saranno madri e casalinghe, visto che sono nate per questo.

    La misurazione e il confronto delle caratteristiche anatomiche, in accordo con gli standard meccanici dell’epoca industriale ha intensificato la loro crescente segmentazione in singoli componenti, la categorizzazione e la loro oggettivazione. Il corpo è diventato chiuso e strettamente controllato e questo ha coinvolto tutte le parti che è stato possibile classificare. La totalità del corpo è stata completamente disintegrata, dissolta, ma allo stesso tempo bisognava anche creare delle grandi categorie della normalità, che ha impegnato la scienza occidentale, per prima la medicina. Questo approccio naturalista sul corpo è stato rafforzato principalmente con la teoria darwinista della
    selezione naturale, nel mezzo del 19° secolo, e con le teorie dei sociologi e biologi rispetto ai geni. L’eugenetica, insieme ad altre teorie moderne e l’applicazione della genetica si basano su questo concetto e alla sue origine cartesiana.

    Per contrastare questo modello di uomo si sono sviluppate le teorie post moderne, con la corrente principale del costruttivismo sociale il quale, come le teorie femministe, ha posto il corpo all’interno del contesto sociale. Il corpo sociale quindi, come il genere, sono diventati campi sotto configurazione della cultura prevalente e delle sue istituzioni. Un ruolo chiave in questa visione, principalmente alla fine del 20° secolo, è stato lo sviluppo di nuove tecnologie in relazione alla medicina e alla biologia, le quali hanno portato improvvisamente grandi possibilità di modificare le caratteristiche anatomiche. E così, il corpo cartesiano è diventato di nuovo attuale, come una macchina che può e deve essere modificata e migliorata sulla base del desiderio. Un’acquisizione imperfetta, un piano di lavoro.

  4. MODIFICHE E CAMBIAMENTI
    Tornando a quanto detto rispetto alle teorie femministe contemporanee potremmo notare una contraddizione. Abbiamo detto che la relativizzazione e la decostruzione del sesso arrivano a destabilizzare consciamente il modello cartesiano, principalmente con i movimenti degli anni ‘70, ponendo la questione del corpo e del genere, sostenendo che sono definiti dal sesso, dalla classe, dalla razza e non sono biologicamente predeterminate dai geni. Questo pensiero, nel momento in cui è stato espresso, conteneva un’intera guerra contro l’establishment scientifico del 19° secolo, che come abbiamo detto prima, sosteneva la biologizzazione del corpo e del sesso, insieme ai comportamenti sociali associati a quest’ultimo. Lo stesso pensiero conteneva anche un grande contrasto alla violenza e al controllo imposto sulle donne con la crescente medicalizzazione e con le tecnologie riproduttive, inoltre si poneva in un’opposizione generalizzata con il concetto di normalità e devianza.

    Con il passaggio alla piena epoca del consumo, dagli anni ‘80 in poi – ovvero più o meno fino ad oggi – le dinamiche che erano state aperte con questo cambio di visione, furono abbracciate e recuperate dal mercato. E il corpo stesso, inteso come fluido, diventa riconfigurabile e modificabile, aprendosi a queste
    dinamiche e venendone catturato. Prigioniero di continui cambiamenti, prigioniero del proprio desiderio di autodeterminazione. La tecnologia sembra poter offrire tutte queste affascinanti opzioni di modifica, delle scelte personali di intervento sul corpo biologico e sociale. Ci sembra assolutamente normale questa continua fluidità, questa imposizione della nostra volontà (manteniamo una riserva sul “nostro”), ma questo non sarebbe stato possibile se non fosse maturata dentro di noi la teoria che effettivamente il corpo è separato dalla mente, se davvero il corpo è un macchina sul quale possiamo intervenire attraverso la scienza. Il cyborg di Donna Haraway assomiglia all’uomo-macchina cartesiano, illuminato con soddisfazione dalla tecnologia contemporanea. Il corpo contemporaneo è come piano di lavoro, è un corpo che rimane frammentato senza essere ricomposto in una salda normalità, poiché la normalità contemporanea sembra essere il flusso stesso. E i dipoli del passato, che si è tentato di superare, tornano in prima linea attraverso il cavallo di Troia della scienza occidentale e la sua accattivante tecnologia che produce.

    Ancora una volta l’uomo produce e dopo misura con i suoi nuovi strumenti. Ma con una differenza essenziale: la tecnologia moderna e i suoi strumenti hanno conquistato così grandi pezzi della vita pubblica e privata, che sembrano essere ovunque e da nessuna parte. Sembrano invisibili e allo stesso tempo risflettono costantemente noi stessi nel nostro ambiente, come se fossero pre-esistenti, come una nuova versione di ciò che è considerato naturale. Quello che definisce più o meno il tutto, quello che si trova nelle nostre vite, nelle pratiche più semplici o personali, sembra alla fine evidente.

    Certamente la tecnologia e la scienza che la produce, non sono affatto sistemi astratti, per nulla “fittizzi”. Esiste nelle regole, esiste materialmente e in modo definito. Le loro applicazioni possono essere governate da un superficiale pluralismo, caratteristica necessaria per diffondersi in una società spettacolare, ma le costruzioni umane per come le conosciamo hanno dei principi fondamentali, hanno disegni di montaggio e istruzioni per l’uso. Il nuovo paradigma tecnologico è quello che configura la nuova normalità, nella quale si adattano i nostri corpi e questa è una realtà che ha forti legami con il passato del dominio che molte volte pensiamo facilmente di aver superato.
    Nel seguito proveremo di identificare le caratteristiche principali di questa normalità, le quali costituiscono le contemporanee ideologie dominanti sul corpo e delimita il campo della contemporanea forma di oppressione.

    5. LO SPECCHIO
    Prima di dire qualsiasi cosa riguardato alla normalità che stiamo provando a descrivere, dobbiamo chiarire qualcosa di fondamentale. In una società con un sessismo permeante e attraverso una scienza storicamente al servizio del potere, la tecnologia prodotta non può essere e non è neutrale. Pensiamo quindi che, tra le altre cose, la determinazione del sesso, con le sue caratteristiche, sono sicuramente più aggressive rispetto a corpi non-bianchi e non-maschili. Basta guardare ancora una volta la ragione medica che viene prodotta rispetto ai corpi femminili, insieme alle pratiche che la accompagnano, per capire la visione maschile che si trova profondamente radicata nel nucleo della scienza occidentale [6].

    5.1 PRODUTTIVITÀ, VELOCITÀ, AGGIORNAMENTO
    Tra gli elementi chiave delle nuove tecnologie vi è l’aumento della produttività e il tasso di intensità che è riuscito a penetrare sia nel lavoro che nella vita di tutti i giorni. Le macchine possono trovarsi in una situazione di operatività ininterrotta, mostrando un alto grado di complessità. Dalle macchine pesanti delle lamiere, vapori ed ingranaggi, siamo passati a versioni più ristrette, ma alla fine sono ancora accessibili per poter essere modificate, e siamo arrivati alle macchine complesse, i cui interni e lavorazioni rimangono sconosciuti e irraggiungibile per l’utente medio e comprensibili solo agli specialisti. La possibilità del costante aggiornamento di ogni singola parte, dall’hardware al software che lo accompagna, è un processo evidente. Non è più necessario ricostruire l’intera macchina ma ogni singola parte che potrebbe avere un problema.

    Notiamo con facilità come i corpi seguano questo modello. Dagli anni ‘80 in poi, con il rapido sviluppo della scienza medica, della biologia e delle tecnologie intorno ad esse, il corpo continua a perdere tutti gli elementi della sua interezza e viene concepito sempre più come una macchina moderna, frantumato in parti che le moderne tecnologie possono individualmente controllare, anatomizzare, riutilizzare o riparare. Anche nel nostro vocabolario, come parliamo di noi stessi, le espressioni che rimandano alle macchine che utilizziamo hanno prevalso. Il mio cervello non comanda, “ho fatto restart ” (un riavvio), “hai bisogno di un update ” (aggiornamento),“si è riempito il mio disco rigido” e molte altre, tutte queste frasi dimostrano quanto la percezione che si ha di sè sia connessa con la struttura degli strumenti che giornalmente si usano.

    Inoltre l’individuo si sente responsabile di com’è costituita ogni singola parte, visto che le può migliorare e questo è ciò che è stato ordinato di fare. In questo modo, anche se il corpo sia apparentemente libero dalla sua vecchia demonizzazione riguardante all’anima pura, vediamo esattamente un nuovo modo del suo controllo sociale attraverso questa sua segmentazione. I corpi dovrebbero essere perfetti e uniformi, interiorizzando i modelli più intensi, come quello di un modello perfetto o del super atleta. Chiunque sfugge a tutto questo sarà indicato, socialmente puntato e con un pò di immaginazione possiamo arrivare a dire che le sue funzioni fisiche arrivano ad essere definite anormali. Il continuo aggiornamento della funzionalità e dell’aspetto diventano una preoccupazione quotidiana. Interventi medici, metodi chimici per mantenere costante la produttività sul lavoro e continui controlli sono ormai una routine. I corpi vengono dopati per continuare questa interminabile produzione, per la loro incessante operatività. In una società con ampie e diffuse caratteristiche sessiste, questa segmentazione dei corpi, la loro meccanicizzazione, non potrebbe avere avuto un impatto diverso se non con un’ulteriore imposizione sopra il corpo della donna e sui corpi con una sessualità diversa da quella maschile.

    Questo è evidente se guardiamo ai modi in cui la medicalizzazione e il benessere sono diventati parti integranti della vita quotidiana. Ogni persona deve essere responsabile del proprio aspetto e della propria salute, per essere più controllabile, compatibile con i contesti sociali e produttiva. In questo contesto esistono diversi rami della medicina, i quali sono puramente o principalmente femminili, come la ginecologia. Anche se le malattie veneree non sono limitate dal sesso le donne sono obbligate a sottoporsi a controlli frequenti, un controllo che parte dall’inizio della loro vita sessuale e non finisce mai. Rispetto a queste questioni le donne vengono lasciate alle raccomandazioni degli specialisti e nello stesso momento si crea una tremenda inconsapevolezza su ciò che potrebbe accadere all’interno dei loro corpi, una voce che ha come unico scopo quello di generare del panico con la conseguente assunzione di ciò che è considerato scientificamente corretto e normale. Inoltre, attorno alla medicina, si sono sviluppate le varie industrie farmaceutiche del consumo, come per esempio, da anni i ginecologi prescrivono ancora a ragazze molto piccole le pillole anticoncezionali per ogni possibile ragione. Mentre negli anni ‘70 la pillola anticoncezionale era considerata come una vittoria del movimento femminista e modo di determinazione del corpo dalle stesse donne, nella nuova intensiva normalità della macchina, la pillola è arrivata ad essere uno strumento medico per regolare la gravidanza, gli ormoni e per mantenere il corpo femminile in costate produttività [7].

    5.2 CONSUMO, DESIDERIO, FETICISMO
    La seconda caratteristica che vedremo è la relazione tra desiderio e consumo, con la feticizzazione delle nuove macchine e la loro rappresentazione nei corpi umani. Le nuove macchine come merce, sono diventate parte integrante della vita, dal posto di lavoro fino alla comunicazione di ogni cosa attorno a noi. Il desiderio è la valuta di questo mercato. È quello che opprime i corpi, il desiderio incriminato e allo stesso tempo glorificato che deve essere costantemente soddisfatto. Le nuove macchine fanno questo lavoro, partecipano al ciclo infinito della produzione e alla realizzazione di nuovi desideri, che sono inestricabili dalla costruzione dell’identità di ogni singolo individuo, ecco perchè hanno un così grande impatto sia sul piano materiale sia sul piano emotivo. Ecco perché sono nella situazione dell’ideale così come nella contraddizione del temporaneo. Sempre nuovi desideri, costantemente consumati e pronti per la sostituzione, in un primo momento desiderabili e subito dopo obsoleti.

    I modelli di progettazione e funzionamento di queste macchine stanno inevitabilmente plasmando la loro estetica dominante. Un’estetica del perfetto, del non deperibile, della standardizzazione e della sterilizzazione, del semplice e del morbido, dell’eterna giovinezza. Come scrive Haraway “Quanto sono pure e leggere le nuove macchine! I loro ingegneri sono mistici del sole che mediano per una nuova rivoluzione scientifica connessa al sogno notturno della società post-industriale.” L’estetica della purezza della macchina è perfettamente compatibile con la loro breve durata. Le interfacce che creano sono corrispondenti, standardizzate o di fantasia e hanno sicuramente nascosto la funzionalità sotto una superficie spogliata, per il minimo intervento umano e la massima automazione.

    I corpi entrano nel processo di adattamento alle nuove interfacce secondo questa estetica. Nessuno può immaginare una vecchia donna in un villaggio che accarezza il suo Iphone senza mettersi a ridere di quest’immagine. Il tratto umano sembra inadeguato di fronte alla perfezione dei nuovi materiali “intelligenti” e delle loro superfici lisce. Quanto più sofisticato è il dispositivo tanto più modernizzato deve essere l’utente. L’esercizio continuo e le diete per ogni individuo per essere perfetti, insieme all’investimento in vestiti e cosmetici -soprattutto per le donne- al fine di essere moderni e compatibili con tali modelli. Non dimentichiamo che nella società moderna la donna non ha mai smesso di essere l’oggetto dello spettacolo; deve essere sempre impeccabile, bella e attraente per l’occhio dell’uomo, il quale può venire influenzato dall’industria del consumo rispetto all’aspetto, ma che rimane comunque il soggetto attivo. La chirurgia plastica e i trattamenti di bellezza appartengono alle pratiche di genere definite che contribuiscono all’espansione della diseguaglianza. Come donna bisogna essere pronta a ricostruire ogni pezzo del proprio corpo, per farlo diventare perfetto: il seno perfetto, il sedere perfetto, il naso perfetto e così via. Non è infatti casuale che le maggior parte di interventi di chirurgia plastica siano quelli al seno.

    Ovviamente tutto questo perché è un dovere essere giovane. Il corpo invecchiato è un problema, sembra una rottura sul delicato schermo LCD, come la sfilacciata superficie patinata del portatile. I segni del tempo e chi li indossa, creano avversione e paura, la paura dello spiazzamento, della propria sostituzione con il nuovo. Qualsiasi donna che abbia la possibilità economica alle prime rughe ricorre al botox e al lifting, cercando così di innalzare il livello del proprio capitale corporeo. I volti e i corpi plastici, impeccabili sono visti come naturali, mentre i corpi naturali con le loro scelte, i loro piaceri e difficoltà sono fuori dal normale e non socialmente compatibili.

    5.3 INTERNET, RAPPRESENTAZIONE, MONDI IN CONNESSIONE
    Come ultima caratteristica ci siamo interessati alla tematica di internet, dei social media e della digitalizzazione. Le nuove macchine sono connesse ad un mondo parallelo e apparentemente tangibile e la connessione dell’individuo con il suo proprio mondo reale avviene tramite la digitalizzazione. La persona è permanentemente iscritta in questa realtà parallela ha l’illusione di essere esentata dal suo corpo fisico. È concessa, per la prima volta con così tanta facilità, la possibilità di avere svariate personalità o anche di configurare la personalità scelta. Attraverso i social media si crea la sbagliata impressione della possibilità di estromettersi dal corpo e dalle proprie caratteristiche fisiche. Dal sesso, peso, età, aspetto fisico e dalla miseria della quotidianità. Anche se nella vita e nel tempo reali l’individuo non riuscisse a raggiungere la perfezione come descritto precedentemente, basta pensare che ci sia la soluzione pratica di una realtà che è possibile ricostruire più e più volte. E facilmente la persona dimentica che scrive, vede, accetta ed esprime commenti, sperimenta con le sue dita reali, i suoi veri occhi, i suoi veri sentimenti, il suo stesso corpo materiale. La persona da quando usa internet lo vive come se fosse dentro esso con anima e corpo, come se ci fosse dentro per davvero. E mentre le tecnologie di simulazione si sviluppano questa sensazione diventa più intensa. Ancora una volta si vede la separazione tra lo spirito, il quale riprende di nuovo il suo valore metafisico e il corpo, il quale essendo sbagliato, imperfetto, rimane prigioniero del mondo materiale.

    Sempre più i limiti tra il privato e il pubblico si assottigliano. Le macchine costantemente connesse e i corpi costantemente connessi, sono perforati, sono costantemente esposti. Le informazioni sono lì per essere condivise e il sé digitale è lì per interagire. Il significato del silenzio o dell’assenza non esiste. Le donne sono i più principali oggetti esposti, come abbiamo già detto, si trovano maggiormente in una posizione difficile su internet, un campo in cui il valore è prodotto principalmente dall’aspetto. Prima di tutto perché le donne sono chiamate costantemente ad apparire e a rappresentare la loro disponibilità e prontezza alla socializzazione. Sono quasi obbligate a pubblicare come hanno passato la serata precedente o cosa fanno in ogni momento e anche come si sentono – sempre rappresentato dal rispettivo emoticon. Nei profili personali vengono caricate fotografie, quelle “riuscite”, in incredibili luoghi del divertimento, riprese dall’angolatura giusta per sembrare più femminili, per conformarsi al modello di bellezza femminile. E se qualcosa non va bene, comunque, c’è sempre Photoshop, il quale si è trasformato in uno strumento popolare.

    Come abbiamo riportato nel precedente paragrafo, agli inizi degli anni ‘90, il mondo di internet era ritenuto di fatto liberatorio ed amichevole verso il movimento femminista, essendo ancora agli esordi. Le cyber-femministe hanno sostenuto con grande entusiasmo la ragione dell’anonimato e dell’invisibilità del genere o della razza, intendendo internet come uno strumento per oltrepassare la diffusione del sessismo e i problemi che una donna affronta quotidianamente. Non possiamo dubitare che questa libertà di selezione della personalità sia nei social media sia nei videogiochi abbia permesso a molti di sperimentare standard queer o femminili, oltre a dare il potenziale per creare spazi sicuri di espressione e scambio di opinioni. Non si poteva prevedere però il fatto che i modelli dominanti non sono quelli delle donne, per così dire, reali, con le loro imperfezioni, quanto il prototipo in stile Lara Croft e della sexy cyborg visto che, come abbiamo detto, i modelli che esistono nelle società sono rappresentati nei videogiochi e nel mondo digitale in generale; altrettanto non potevamo prevedere il fatto che l’anonimato funziona anche a rovescio, ricordando cosa succedeva alle donne che hanno provato a porre la questione in un’epoca lontana. Nel 2011-2012, Annita Sarkeesian, femminista canadese e Zoe Quinn, sviluppatrice di videogiochi, con la pubblicazione di qualche video e la creazione di un gioco, hanno posto la questione del sessismo all’interno dei videogiochi, con il risultato di ricevere attacchi attraverso internet, contro la loro vita reale e digitale. I loro telefoni ed indirizzi venivano fatti girare all’interno del web, i loro profili sono stati violati, i loro video personali rubati, a cui sono seguite minacce di violenze fisiche, stupri e minacce di morte. In qualche modo quindi, così bruscamente e crudamente, è stato reso evidente quale deve essere la posizione delle donne all’interno di internet e quale è il modello virtuale, e non solo, che dominerà.

    5.4 RIEPILOGO
    Questa è la nuova normalità, realtà che va creando. Corpi meccanizzati, dopati, drogati e frammentati. Corpi che aspirano a raggiungere i tassi produttivi della macchina, che si esauriscono per lo sforzo e allo stesso tempo si angosciano per rimanere giovani. Essi incriminano e idealizzano i loro desideri, sono autocontrollati, hanno paura di vivere gli alti e bassi della vita perché hanno imparato a mantenere stabili le loro misurazioni. Umore stabile, risultati dei test stabili, socialità stabile, efficienza stabile. Soddisfano l’impossibile di questi obiettivi attraverso mondi paralleli e digitali dove possono apparire come vogliono, dove vogliono e con quello che sembra loro giusto, in un mondo dove nessuno invecchia e nessuno muore.

    Questa è la nuova normalità in cui una grande parte rimane ancora inesplorata, ed è molto importante per noi riconoscere questa nuova “normalità” e capire come funziona, se non vogliamo diventare ancor più identità per il consumo in questo mondo spettacolare. Se vogliamo proteggere i nostri corpi, come donne e come lavoratrici dobbiamo prendere sul serio la loro corporeità, apprezzando i nostri corpi e imparando a proteggerli dalle intercessioni insidiose e dalle illusioni fantasiose. Come ciò sia possibile ha tante risposte quante sono le battaglie individuali e collettive che si fanno quotidianamente. E abbiamo alcuni primi pensieri in questa direzione, influenzati dalle nostre esperienze come donne e dalla nostra memoria di classe.


    6.ALCUNI IMPORTANTI COMMENTI SUL PRESENTE/ DIVERSI FANTASMI DAL PASSATO
    6.1 PARLARE DAL MARGINE
    In questo mondo impeccabile e molto efficiente del nuovo paradigma tecnologico – come abbiamo sostenuto diverse volte in passato come assemblea – l’umano con il suo corpo imperfetto e deperibile è l’unico produttore e amministratore della memoria. È un punto nello spazio e nel tempo che, volendo o no, funge da ricevitore e trasmettitore di informazioni. Il modo in cui trattiamo e difendiamo il nostro corpo nel contesto del biopotere contemporaneo è determinato da ciò che viene chiamato coscienza di classe, conoscenza e coscienza situate e somatizzate. Per quanto avvincenti siano le teorie sugli umani cyborg o la logica del continuo aggiornamento/ modifica del corpo umano, esattamente questo pensiero commovente è il principale strumento di critica per la difesa del corpo e per l’affermazione delle attuali posizioni di battaglia. Pertanto, nel contesto di ciò, sembra che vi siano due prospettive dell’imposizione generalizzata e forzata sui corpi. Da un lato questa nuova idea di normalità che abbiamo descritto e dall’altro l’azione invisibile dell’oppressione contemporanea, la quale sembra appartenere al passato come qualcosa di obsoleto.

    Parlando delle relazioni di genere è impossibile che qualcuno non percepisca l’idea di come funziona il mondo della mercificazione, un mondo che è costruito e si nutre delle divisioni sociali e di classe. Il genere di per sé si dimostra quindi uno strumento di comprensione insufficiente, visto che i nostri corpi sono sottoposti quotidianamente a una composizione di diverse forme di oppressione razziale, sociale, religiosa. Ha dunque importanza per noi evitare ogni narrazione assistenzialista del primo mondo e ricostituire le parti frammentate della nostra classe, specialmente quando parliamo della difesa dei nostri corpi.

    Parlare come donne dai margini della cultura dominante trincerata, guardando fuori da ogni identità privilegiata, non si pone solo come esperienza di vita, ma allo stesso tempo comprende un campo scelto, non per ragioni di mitezza o di vittimizzazione, ma per ragioni di coscienza della nostra classe. Comprendere chi vive le nostre stesse pressioni così in famiglia come a scuola, al lavoro, per strada ci fa vedere anche più in là dell’attimo e dall’Io, e ci fa guardare al “noi”, in questa apparentemente ingannevole realtà delle nuove tecnologie che immagina il mondo a due velocità.

    6.2 LA LOTTA PER L’UGUAGLIANZA NELLO SFRUTTAMENTO
    Abbiamo iniziato l’attuale discussione dal fatto che l’uso e l’integrazione dei nuovi strumenti da parte delle donne – come sostenevano le rappresentanti teoriche del femminismo – non hanno raggiunto la liberazione e il raggiungimento dell’uguaglianza, al contrario, erano e rimangono lontani dal mondo materiale e dai nostri stessi corpi, come dicono Silvia Federici e George Caffentzis nella loro descrizione dell’utopia capitalistica: “un mondo di lavoro senza salario, dove le ore lavorative e l’oppressione rappresentano una ricompensa per sé stessi”. Certamente finché si parla da una posizione privilegiata è facile non rendersi conto di questo disintegrazione del corpo, del passato e delle caratteristiche di classe, che serve solo a una modernizzazione della classe operai che viene continuamente offerta per lo sfruttamento. E questa condizione nasconde molta più intensità e violenza di quanto si possa capire attraverso i salti logici e le discontinuità delle fantasie tecnofile. In poche parole, le opportunità di eguaglianza attraverso la familiarità coi nuovi mezzi tecnologici, molto spesso, finiscono solo per essere diritti ineguali in un mondo di diseguaglianza di classe.

    6.3 LA PARTE DELLA SVALUTAZIONE FEMMINILE NEL NUOVO PARADIGMA TECNOLOGICO
    Dalle macchine da guerra alle telecamere termiche installate sui confini fino ai social media, le nuove tecnologie non saranno mai neutrali ma sempre definite dalla classe e dal genere. Tanto il postfordismo quanto le tecnologie informatiche e altrettanto le trasformazioni nei rapporti di genere, non portano ad una separazione della relazione lavoro-capitale, piuttosto a un’estensione e alla produzione di derivati di relazioni di classe che si basano sulla sistematica svalutazione del proletariato.
    In mille modi i nostri corpi nel nuovo paradigma tecnologico sono nella linea del fuoco.
    Le nuove macchine al servizio della merce sono il modello di produttività, perfezione e funzionalità e tutti quelli che hanno accesso a questi strumenti sono diventati il nuovo bisogno del capitale, il quale si impone non solo nel processo di adattamento dei soggetti alle macchine, o all’obbedienza, ma anche a far sì che queste vengano amate.

    “La guerra contro la fabbrica della memoria scritta e audiovisiva, contro i rapporti sociali di riproduzione e circolazione, per un altro tipo di memoria, è un processo estremamente decisivo.”

    Scriveva Renato Curcio nell’80. Parte di questa guerra per la difesa di questa “altra memoria”, del proletariato fino ad oggi è, in poche parole, la gestione critica e dialetti dei nuovi strumenti tecnologici. Il modello di donna cyborg, sia con la fantastica descrizione della Haraway, sia con le caratteristiche di cui abbiamo parlato nel testo, creano una nuova visione del mondo che è arrivata a respingere queste tensioni ed imperfezioni dolorose del mondo materiale. Questa è la barbaria contemporanea, con i suoi multipli volti e diverse sfaccettature, orientati verso la visione di un futuro tecnologico/culturale alla quale noi ci confrontiamo.

    6.4 GLI INVISIBILI DI QUESTA SOCIETÀ
    Dall’altra parte, il sessismo e la violenza di genere continuano ad esistere in tutto il mondo materiale nella loro forma tipica. Non può avvenire in nessun modo il parlare del nuovo paradigma sociale, di classe e delle coercizioni di genere, senza inserire quelle parti della nostra classe che continuano ad essere sottovalutate con la stessa intensità e crudezza, perché per quanto riteniamo il sessismo, e l’oggettivazione che fa del corpo femminile, qualcosa di sorpassato, tanto questa sottovalutazione rimarrà invisibile e produttiva per i padroni; perché il progresso della tecnologia sui nostri corpi, come descritto riguarda un salto tecnologico -che coincide con un certo rigore di vita- che poggia sulle spalle di alcune “altre” lavoratrici che hanno carne, ossa e memoria, così ben incise su di loro che non gli permette di disintegrare il loro corpo e la loro storia. Questa memoria significa sapere che cosa significa oppressione in qualsiasi aspetto della vita di tutti i giorni; per affrontare commenti misogini in strada, per potersi farsi belle e vestirsi femminili ma non per essere“provocante”, per essere produttiva al lavoro come un robot ma sempre anche disponibile sessualmente, per il dover servire con il sorriso che nasconde il disgusto, per evitare di essere cordiale con i commenti e sguardi maschili disgustosi. Nel rimanere disoccupate a causa della gravidanza o delle preferenze sessuali, nel vedere, a causa del lavoro, le tue membra, il volto e la forma del corpo cambiare col tempo. Nell’odiare il tuo corpo perché lo guardi con lo sguardo degli altri, come spettacolo, oggetto, macchina da soldi o come devianza.

    È importante, quando parliamo del genere, il comprendere quelle donne che non hanno accesso al magico mondo delle nuove tecnologie, questo lato volutamente invisibile e sottovalutato della società in tempi di crisi, della diminuzione della produzione e della diversa organizzazione del lavoro a livello globale, che spinge all’assunzione dei ruoli tradizionali (moglie-madre-casalinga) del modello patriarcale [8].

    Le contraddizioni che circondano “la riproduzione della forza lavoro”, come hanno definito le femministe autonome italiane (che i marxisti ortodossi hanno ignorato e in gran parte ignorano ancora) continuano ad esistere. Con alla base la divisione del lavoro negli stati occidentali, questi ruoli sono stati in gran parte ripresi da lavoratrici immigrate “invisibili”. La cura dei bambini e degli anziani, il lavoro domestico e l’obbligo di soddisfazione sessuale, non sono diventate condivise e uguali come sostenevamo i movimenti degli anni ‘60 e ‘70. Piuttosto sono diventate istituzioni tipiche della costituzione metafisica, sono diventati merci e le donne proletarie dalle zone di produzione di nuovi gadget tecnologici fino alla loro tratta (traffiking) nel territorio greco e come madri surrogate nel Terzo Mondo che affittano il loro ventre ai paesi del primo mondo costituiscono la parte più sottovalutata della nostra classe, che deve soddisfare questi bisogni del primo mondo occidentale, civilizzato e tecnologicamente avanzato.

    6.5 POSIZIONI DI BATTAGLIA AL GIORNO D’OGGI
    Questo è l’esempio più materiale della svalutazione di classe e di genere di oggi, in combinazione con il modello imposto della donna cyborg, che definisce la realtà del doppio livello di cui abbiamo parlato nella presentazione.
    Sia nel vecchio sia nel nuovo paradigma, che prende di mira i nostri corpi, il non dimenticare che parliamo da una prospettiva di classe è quello che riteniamo essenzialmente importante. È l’elemento vitale che è sopravvissuto anche nelle più potenti società patriarcali e crea la base dell’esistenza, della forza e del valore sociale di quella che, la definizione contemporanea chiamerebbe “rete di donne”. Un mondo femminile di relazioni affitate che è sempre stato liquidato come irrilevante ma anche estremamente pericoloso, un mondo che ha raggiunto alcune delle più grandi vittorie nella storia dei movimenti delle donne. Dalle donne della Comune di Parigi, fino alle insurrezionaliste zapatiste, all’interno della questione femminista sono nate e nascono modi di lotta e di creazione di basi radicali per la nostra liberazione e spesso affermate in classi sempre più ampie. Queste relazioni, vittorie e sconfitte del passato, l’esperienza di vita e la coscienza della svalutazione di genere, dei rifiuti e della nostra classe sono i nostri strumenti e barricate per la continua lotta di difesa del nostro corpo.


    Game Over _ για τη διάσωση της αμήχανης σκέψης
    Atene 17 Aprile, 2016, www. gameoversite.gr

Pubblicato sul giornale L’Urlo della Terra, numero 7, luglio 2019



Note:
1. La terza ondata del movimento femminista è l’insieme delle teorie e pratiche che si sono sviluppate intorno al femminismo, e in generale al tema del genere, il quale si è sviluppato principalmente dagli inizi del 1990 in poi. Questa terza ondata continua a discutere molte delle questioni della seconda ondata, come l’uguaglianza della donna con l’uomo nel mondo del lavoro, oppure il tema della pornografia e delle sex workers insieme al tema dell’abuso sessuale, e anche la questione della riproduzione (contraccezione, aborto); ma ciò che la distingue dalla seconda ondata è la proliferazione di nuovi concetti rispetto al sesso, centrati sulla teoria queer, e l’incorporazione dei cambiamenti proposti dalla tecnologia e dalle nuove macchine.
2. Il libro di Simone de Beauvoir “Il secondo sesso” (1949), è stato scritto al limite della prima ondata femminista, ponendo per la prima volta il tema nel suo tempo. Mentre la prima ondata del femminismo, in cui l’obbiettivo principale era l’”emancipazione”, incentrandosi maggiormente sul diritto di voto e più in generale dei diritti politici delle donne, il libro “Il secondo sesso” affronta la questione del sesso socialmente e biologicamente definito, in pratica se i vari atteggiamenti e posizioni dei due generi, all’interno della gerarchia sociale, sono qualcosa di definito dalla nostra nascita, oppure se è qualcosa che si impara e costruisce all’interno di ogni cultura. La forza di questo pensiero è stata rivalutata e apprezzata più tardi, nella seconda ondata del femminismo, il cosiddetto movimento “Liberatorio”, rafforzando il dubbio sull’esistenza dei due sessi per quanto riguarda l’atteggiamento, il profilo sentimentale e la preferenza sessuale.
3. La teoria queer è nata nella terza ondata del femminismo dei primi anni ‘90, rispetto a una serie di campi di studio sulle e delle donne, vale a dire basandosi ed evolvendosi dalla “vittoria istituzionalizzata” per la partecipazione delle donne nel lavoro e nell’istruzione. Questa teoria arriva ad incorporare una vasta gamma di identità e pratiche discrepanti rispetto al sesso biologico, genere e orientamento sessuale. Nella teoria queer, questi tre poli formano una rete con infinite combinazioni intermedie, eliminando sostanzialmente il concetto stesso di sesso e abbracciando l’identità marginale di “bizzarro” e “strano”, che non si adattava facilmente categorizzazioni femministe del passato.
4. Tuttavia, una tale lettura del corpo, come ad esempio la teoria sulla performatività, non aveva lo scopo di decostruire il corpo, ma piuttosto di costruire una linea critica verso l’eterosessualità su cui il femminismo si era mosso fino a quel momento. In particolare, in un’intervista, la Butler dice, a proposito del primo e molto popolare libro “Gender Truble”, su cui si fonda la teoria queer: “Una delle interpretazioni fatte circa i Gender Trouble è stata: non v’è alcun sesso biologico, c’è solo il genere e il secondo è performativo. Le persone poi continuano a pensare che se il genere è performativo, deve essere libero in maniera radicale. È ormai chiaro a molti che la materialità del corpo è diventato oggetto di ignoranza, rifiuto e abbandono – persino ripudio. (C’è anche una lettura sintomatica di questa come somatofobia. È interessante “patologizzare” il testo di qualcuno). Ciò che ci è sembrato importante nella stesura di Bodies that Matter era ritornare alla questione del sesso biologico e al problema della materialità e chiedersi come il sesso stesso può essere interpretato come una norma.”
5. Il costruttivismo sociale riguarda un insieme di teorie che si sono sviluppate principalmente negli ultimi decenni del XX secolo e che si sono poste come critica al carattere indiscusso, fino a quel momento, di conoscenza empirica, collocandola invece nei loro contesti sociali, politici e culturali.
Rappresentanti tipici della tendenza sono Mary Douglas, Michel Foucault, Erving Goffman.
6. Il tecnofemminismo, con la sua principale portavoce, la sociologa Judy Wajcman, ha criticato il genere sociale della tecnologia dovuto alla genealogia patriarcale della scienza, ma anche a causa del ridotto accesso delle donne alla produzione e al consumo. Anche se non siamo d’accordo su molti punti con i prototipi del tecnicismo, citiamo l’estratto dell’articolo della Wajcman intitolato “From Women and Technology to Gender Technology”, che afferma: “Le tecnologie hanno un’immagine maschile, non solo perché sono dominate dagli uomini, ma perché hanno incorporato i simboli, modi e valori maschili. La riluttanza delle donne ad entrare in questo mondo ha a che fare con la definizione della tecnologia definita dal genere e dagli stereotipi, come attività adatta agli uomini. Come per la scienza, il linguaggio della tecnologia stessa, il suo simbolismo, è maschile. La questione quindi per noi non è solo di acquisire competenze, perché queste abilità sono incorporate in una cultura maschile che confina con una vasta gamma di culture tecnologiche.”
7. Qui è importante fare riferimento al problema delle gravidanze artificiali e in vitro. Ogni donna sa che nel mondo del lavoro dalla parte dei padroni la gravidanza è un problema, in quanto in questi nove mesi, più i giorni per il parto e di convalescenza, diventano terribilmente controproducenti. Meglio non reclutare preventivamente donne sui posti di lavoro (perché può rimanere incinta allora come ci si occuperà il vuoto che lascerà?), oppure, se si viene scelte, si deve sottostare ad una serie commenti sprezzanti e domande indiscrete come “sei sposata?” e “prevede di avere figli?” e se sì, licenziamento durante o subito dopo la gravidanza, questo era ed è tuttora il trattamento delle donne sul posto di lavoro. Vediamo di nuovo come si sia invertita, in favore dell’intensificazione del lavoro, la provocatoria priorità di una parte del movimento femminista radicale degli anni ‘60, che si rifiutava di rappresentare il ruolo di macchina riproduttiva volendo mostrare come la tecnologia della riproduzione, attraverso le gravidanze artificiali, avrebbe potuto alleggerire la donna dal suo ruolo e dal peso sociale dettati dal suo sesso. Eccetto a quanto sembra traumatica l’idea di una società alla Matrix, il fatto che gli uomini possano nascere all’interno di macchinari non sembra essere studiato scientificamente ai nostri giorni per poter superare le diseguaglianze tra donne e uomini, ma forse per allontanare il controllo della riproduzione dalle mani delle donne e per farle lavorare ininterrottamente, senza interruzioni indesiderate. Come questo si sia trasformato in una merce che porta al paradigma delle madri surrogate è un altro grande problema. Quanto facile e interessante diventa così per la cultura contemporanea il processo sperimentale per sviluppare tali tecnologie rispetto al pagare la classe operaia impoverita per fare il lavoro (in questo caso il bambino in questione)?
8. Bell Hooks, nel suo libro “Feminism is for Everybody” scrive per il periodo dopo gli anni ‘70: “Dal momento che le donne privilegiate stavano ottenendo un maggiore accesso al potere economico degli uomini nella loro classe, le discussioni femministe sulla classe non erano più comuni. Invece, le donne sono state incoraggiate a vedere i benefici economici delle donne ricche come un segno positivo per tutte le donne. In realtà, questi benefici raramente stavano cambiando la vita delle donne e delle donne povere della classe lavoratrice. E poiché gli uomini privilegiati non diventavano equivalenti nella cura della famiglia, la libertà delle donne della classe privilegiata richiedeva l’intensificazione della sottomissione delle donne della classe operaia e delle donne povere. Negli anni ‘90, la collaborazione con la struttura sociale esistente era il costo della “liberazione delle donne”. In definitiva, il potere di classe si dimostrò molto più importante del femminismo. E questa collaborazione ha contribuito alla destabilizzazione del movimento femminista.

Ringraziamo Cristiana Pivetti per i suoi disegni

…o verso una civilizzazione post-umana? Conoscenza contro sapere, scienza contro mondo sensibile: progressione del disumano – André Gorz

L’intelligenza è un insieme di facoltà indissociabili l’une dalle altre, e non riducibili le une alle altre: quelle d’imparare, di giudicare, di analizzare, di ragionare, di anticipare, di memorizzare, di calcolare, d’interpretare, di capire, d’immaginare, di far fronte agli imprevisti… Si sviluppa e acquista un senso solo quando la messa in opera di queste facoltà è richiesta per il perseguimento di un obiettivo: per un progetto, un desiderio, un bisogno. È inseparabile dalla capacità di affrontare le sollecitazioni, le resistenze, le minacce dell’ambiente di vita, dallo sviluppo delle abilità, dei saperi corporali, delle curiosità e delle sensibilità che compiono il mondo sensibile, organizzando e differenziando la spazialità, la temporalità, l’inesauribile diversità delle qualità sensoriali e formali. E’ inseparabile anche dalla facoltà di confrontarsi e comunicare con gli altri, di comprendere intuitivamente le loro intenzioni e i loro sentimenti. La psicologia ha finito per dimostrare questa evidenza intuitiva: l’intelligenza è inseparabile dalla vita affettiva, ossia dai sentimenti e dalle emozioni, dai bisogni e dai desideri, dai timori, dalle speranze e dalle aspettative del soggetto. In loro assenza, le facoltà di giudicare, di anticipare, di interpretare mancano; restano soltanto le facoltà di analisi, di calcolo e di memorizzazione – insomma, l’intelligenza-macchina.
Il fatto di presentarsi e di rappresentarsi come una “società di conoscenza” ha un significato pesante quanto la povertà dei sensi della civiltà che si crea. La conoscenza, in effetti, non implica necessariamente l’intelligenza. E’ molto più povera di quest’ultima. Ignora l’importanza, essenziale dal punto di vista politico, della domanda che una società ha bisogno di chiedersi: che cosa bisogna far proprio e cosa no della conoscenza? Che cos’è conoscere e che cosa desideriamo o abbiamo bisogno di conoscere?
Tanto il concetto di intelligenza copre tutto il ventaglio di facoltà umane e può di conseguenza servire come base per una concezione della società come società di cultura, altrettanto il concetto di conoscenza esclude questa possibilità.
Dobbiamo ritornare qua, ancora una volta, sulla differenza fondamentale tra conoscere e sapere. Conoscere è sempre, per definizione, conoscere un oggetto – materiale o no, reale o no – come oggetto esistente in sé, fuori di me, distinto da me e dotato di autosufficienza (il selbständigkeit, nel vocabolario fenomenologico). Il conosciuto non è ritenuto tale solo se è posto come un oggetto la quale esistenza non mi deve niente. Non dipende da me. Non devo rispondere.
L’oggetto ha lo statuto di conosciuto solo se le sue determinazioni identificano come lo stesso oggetto tutti gli oggetti che gli corrispondono. In questa identificazione di un oggetto da e per determinazioni è evidentemente una costruzione sociale astratta. La scienza conosce della natura solo quello che è capace di cogliere in virtù dei principi e delle leggi secondo le quali la analizza. Forza la natura, diceva Kant, a rispondere alle domande ‘’che la Ragione gli pone” e può apprendere da lei solo quello che i sui principi la preparano a cercare. Le determinazioni che identificano l’oggetto della conoscenza sono dunque culturalmente e socialmente qualificate. Conferiscono all’oggetto un’identità che non ha la prova di una verità vissuta. La conoscenza è il risultato di un apprendimento sociale nel quale è prima di tutto conoscenza delle determinazioni socialmente costituite che serviranno a fondare un’intellezione socialmente validata del reale. È la conoscenza delle determinazioni convalidata nella società e in una data epoca che è insegnata dalla scuola, mentre la conoscenza intuitiva della realtà sensibile delle cose stesse viene acquisita principalmente dall’esperienza extra-scolastica e censurata o declassata in parte almeno dall’insegnamento. Si esprimerà eventualmente sul piano artistico.
Il nostro primo rapporto, originario, col mondo, non è la conoscenza; è il sapere intuitivo, precognitivo. Impariamo il mondo originariamente per esperienza, nella sua realtà possibile, e lo “capiamo” attraverso il nostro corpo, lo sviluppiamo, lo informiamo, lo mettiamo in forma attraverso l’esercizio delle nostre facoltà sensoriali che, a loro volta, sono “formate” da esso.
Impariamo il mondo attraverso il nostro corpo e il nostro corpo attraverso le azioni grazie alle quali sviluppa il mondo sviluppandosi. È un “mondo sensibile”, conosciuto anche dal corpo, “vissuto” da esso, che, notava Husserl dal 1906, “è il solo mondo reale, realmente percepito come esistente, il solo mondo del quale abbiamo e possiamo fare esperienza – il nostro mondo vissuto quotidiano” [1]. Senza questo sapere precognitivo, niente, per noi, sarà comprensibile, intellegibile, dotata di senso. È ”l’unica delle nostre certezze” (Husserl), il serbatoio di evidenze sulle quali la nostra esistenza si costruisce. Ingloba tutto quello che sappiamo e che possiamo senza averne mai fatto dei temi di conoscenza, per esempio il potere di camminare, di orientarci, di parlare, di maneggiare gli oggetti, di capire il metalinguaggio delle espressioni del viso e delle intonazioni della voce. Abbiamo imparato il linguaggio del mondo sociale vissuto e il modo di usare i suoi oggetti attraverso il loro uso. L’insieme dei nostri saperi precognitivi e informali costituisce come la trama della nostra coscienza, la base sulla quale si compirà lo sviluppo sensoriale, affettivo e intellettuale della persona o in mancanza del quale non si compirà.
La qualità di una cultura e di una civilizzazione dipende dall’equilibrio dinamico che riesce a creare tra i saperi intuitivi del mondo vissuto e lo sviluppo delle conoscenze. Dipende dalla sinergia, della retroattività positiva che s’instaura tra lo sviluppo delle conoscenze e dei saperi vissuti. Dipende dalla capacità che avrà lo sviluppo delle conoscenze a aumentare la qualità del mondo vissuto, la “qualità della vita”. Dipende da un ambiente sociale e naturale che sollecitano lo sviluppo delle nostre facoltà attraverso la ricchezza delle sue forme, dei colori, dei sensi, delle sue materie, attraverso la sua organizzazione spaziale, la conce delle abitazioni e degli attrezzi, grazie alla facilità e alla materialità degli scambi e delle comunicazioni, attraverso i modi di cooperazione.
Le conoscenze, che permette di pensare cosa non può essere intuitivamente compreso, completano, correggono e prolungano gli averi vissuti, allargano la portata e l’orizzonte, cercano di essere accessibile e assimilabili per tutti? Il loro sviluppo – quello delle scienze- si lascia guidare e orientare dai bisogni, i desideri, le aspirazioni provenienti dal mondo vissuto? Si articola con i saperi in un problema di sinergie o lo escludono rivendicandone per la scienza il monopolio della vera conoscenza? Queste questioni sono i temi fondatori della critica culturale, sociale e politica all’origine del movimento ecologista. Ho mostrato altrove che questo movimento non è nato inizialmente da un problema di ‘’difesa della natura” ma da una resistenza all’appropriazione privata e alla distruzione di questo bene comune per eccellenza che è il mondo vissuto [2].
Questa resistenza sempre meglio organizzata si oppose tanto alle mega tecnologie quanto alla speculazione fondiaria o alle amministrazioni che privavano gli abitanti del loro ambiente di vita a causa dell’inquinamento chimico e acustico, la cementificazione, la rarefazione delle ricchezze primarie gratuite come la luce, l’aria, l’acqua, il silenzio, lo spazio, la vegetazione, etc. Queste resistenze e queste proteste d’apparenza essenzialmente culturali e locali si sono rapidamente politicizzate nel corso degli anni 1970 dopo che un gruppo di scienziati britannici e poco dopo, un equipe americana comandata dal Club di Roma dimostrarono che il tipo di crescita delle economie industriali distruggeva le basi naturali della vita sulla terra e conduceva a vivere sempre più male con un costo sempre più elevato. Il legame tra “più” e “meglio” si era rotto. Il divorzio tra “valore” e “ricchezza” il quale è stato la questione del capitolo precedente appare ora legato al divorzio tra “conoscenze” e “saperi vissuti”.
Gli apparecchi mega tecnologici, tenuti a controllare la natura e a sottometterla al potere degli uomini assoggettano gli uomini agli strumenti di questo potere. Il soggetto, sono loro: questa mega macchina tecno-scientifica che ha abolito la natura per dominarla e che costringe l’umanità a mettersi al servizio di questo dominio.
Lo sviluppo delle conoscenze tecno-scientifiche, cristallizzata nei macchinari del capitale, non ha generato una società dell’intelligenza ma, come dicono Miguel Benasavag e Diego Sztulwark, una società dell’ignoranza [3]. La grande maggioranza conosce sempre di più delle cose ma ne sa e ne capisce sempre di meno. Dei frammenti di conoscenze specializzate vengono imparati da degli specialisti che ignorano il contesto, la portata e il senso e, sopratutto, il “combinatorio indipendente che orienta la tecnica” [4]. Le evidenze comuni, i saperi intuitivi, sono esclusi da una folla di “conoscitori” professionali che rivendicano il monopolio della vera conoscenza. Ivan Illich chiama “professioni invalidanti’’ queste professioni che suggellano l’incapacità degli individui di prendersi a carico in un mondo incomprensibile.
La tecno-scienza ha prodotto un mondo che oltrepassa, contraria, viola il corpo umano attraverso le condotte che esige, attraverso l’accelerazione e l’intensificazione delle reazioni che sollecita. La contraddizione tra i saperi e i bisogni corporali, da una parte, e i “bisogni” della mega macchina tecnico-economica, dall’altra, è diventata patogena. Il corpo umano, scrive Finn Bowring, “è divenuto un ostacolo alla riproduzione delle macchine. Secondo l’ingenua descrizione di George Dyson, gli umani sono diventati “strozzature” per la circolazione ed il trattamento delle informazioni e delle conoscenze: “noi possiamo assorbirne solamente una quantità limitata e ne produciamo addirittura meno dal punto di vista delle macchine” [5].
L’uomo è “obsoleto”, bisogna dotarlo di protesi chimiche per ‘’tranquillizzare” il suo sistema nervoso stressato dalle violazioni che subisce e delle protesi elettroniche per aumentare le capacità del suo cervello.
La scienza e il capitale si sono alleati in questa azienda comune, anche se i loro obbiettivi non sono identici. Solo l’ecologia, in senso largo, cerca di sviluppare una scienza al servizio dello sviluppo della vita e di un medio di vita (ambiente) che permette e stimola questo sviluppo. Ma ci ricordiamo del manifesto attraverso il quale una quarantina di celebri scienziati accusavano l’ecologia di essere un’anti scienza. È quello che avvia, attraverso i suoi prolungamenti ecosofici, un approccio ostile dei sistemi complessi. È sola a voler comprendere i viventi non per dominarli ma per salvaguardarli.
È sola, in questo problema, a volersi una componente della cultura, integrata e assimilata nei saperi vissuti, che illumina la ricerca della saggezza e della buona vita [6].

Scienza e odio del corpo
Il divorzio tra la conoscenza e il sapere, la scienza e il mondo vissuto, ha la sua fonte nella “matematizzazione della natura”. È quello che Husserl ha dimostrato per primo, nel 1936, in La Crisi della scienza europea [7]. La matematizzazione, meglio di tutte le altre tecniche, permette l’emancipazione più radicale della conoscenza in rapporto all’esperienza del mondo sensibile. Attraverso di essa, l’intelletto si dà i mezzi di astrarsi dalle evidenze delle esperienze vissute. Si obbliga a limitare le sue iniziative a delle operazioni rigorosamente determinate da delle leggi e delle regole rigorosamente definite. Libera il pensiero dalla “prigione del corpo”, secondo l’espressione di Cartesio, formula ripresa da allora, fino ai nostri giorni, in molteplici varianti, come il “pensare senza il corpo” dei pionieri dell’intelligenza artificiale.
Ma il pensiero “liberato dal corpo’’ se ne emancipa chiudendosi nei limiti altrimenti vincolanti di una prigione immateriale che, come un corsetto, l’obbliga a- e gli permette di funzionare in maniera meccanica, mettendo “fuori circuito (ausschalten), dice Husserl, tutte le maniere di pensare e tutte le evidenze che non sono indispensabili alla tecnica del calcolo’’ e compresi, evidentemente, i bisogni, i desideri, i piaceri, i dolori, i timori o le speranze che formano il tessuto perpetuamente rimaneggiato della coscienza. L’intelletto così distaccato dalla vita affettiva, e la cui sola intenzione è di funzionare secondo le leggi e le regole del calcolo, considerate come le leggi e le regole del pensiero liberato dall’irrazionale, scopre allora degli strati di realtà inaccessibili all’esperienza e ad altri modi del pensare. Fa la sorprendente scoperta che le leggi, che sono le leggi proprie dell’intelletto liberato dalla pesantezza del corpo, sono anche le leggi che regolano l’universo.
Questa scoperta si esprimeva già con Keplero e Galileo, Leibniz e Cartesio. I primi erano convinti che le leggi matematiche attraverso le quali erano giunti a comprendere i movimenti degli oggetti celesti erano il linguaggio nel quale Dio aveva creato l’universo. George Boole, nel 1854, ne forniva una prima dimostrazione decisiva: le leggi del pensiero erano di essenza matematica, della stessa essenza delle leggi dell’universo. Dio, altrimenti detto, aveva operato nello stesso linguaggio dei matematici. Da cui questa conclusione: il pensiero matematico può generare dei dispositivi funzionanti secondo le sue leggi; può materializzare in delle macchine pensanti attraverso le quali quello che c’è di specificatamente divino nell’uomo si sorpasserà verso delle forme nuove e superiori di vita [8].
Cento anni più tardi, nel 1956, Newell e Simon forniscono la prima verifica pratica alla previsione di Boole: realizzano un computer che dimostrerà un teorema dei Principa Mathematica di Russel e Whitehead, altrimenti detto una macchina a pensare che, agli occhi dei pionieri dell’intelligenza artificiale, provava che l’uomo può creare delle macchine che funzionano come il suo spirito e che, come dirà Alan Turing nel 1963, “l’anima degli uomini può essere trasferita alle macchine”. [9]
Ma tutto questo si può anche formulare in senso inverso, dicendo non che lo spirito può generare delle macchine che funzionano come lui ma che, al contrario, il pensare macchinico attraverso il quale lo spirito matematizzante pone il reale come pura esteriorità può generare l’esteriorità macchinica di questo pensare. Invece di generare delle “macchine spirituali’’ [10] che saranno il trionfo dello spirito in “quello che a di più specificamente divino”, il pensare matematizzante genera il trionfo delle macchine sullo spirito che ha scelto di funzionare come una macchina.
Al fondamento delle teorie e dei convincimenti in materia di intelligenza artificiale si trova dunque la convinzione che lo “spirito’’ è essenzialmente “pensiero’’, che il pensiero è di essenza matematica e che non si equivale alla sua essenza “divina” che se si stacca dal corpo, si libera delle “passioni”, dei sentimenti e delle sensazioni di essenza corporale. Il pensiero così disincarnato sarà capace di conoscere al di là di quello che l’esperienza del mondo sensibile ci svela. Abolirà la finitezza che deriva dalla fattualità naturale della vita, dalla nostra inerenza corporale alla natura. Sarà protetto contro gli errori e le illusioni per il fatto che, operando nella conoscenza delle sue proprie leggi, ci esonererà dal nutrire delle nostra soggettività le operazioni del nostro intelletto. Non dovrà più né assumersi né rispondere a esso stesso. Non sarà più motivata né da qualche interesse né da qualche obbiettivo determinato. Perseguirebbe la conoscenza per la conoscenza e vedrebbe nell’indifferenza ai contenuti, agli interessi e alle passioni la condizione dell’accesso alla verità.
Non si tratta più, da allora, di trasformare il mondo né di dominarlo, non più di quanto si tratti per l’”uomo” di prodursi in una esistenza determinata piuttosto che ad un’altra. Si tratta secondo l’espressione di Paul Valèry, di accedere alla “suprema povertà della potenza senza oggetto” [11]. In questo testo ammirabile, scritto nel 1919, Paul Valèry fa, a sua insaputa, la prima analisi attraverso riduzione fenomenologica dell’essere della coscienza. Ha descritto come non-coincidenza con se qualunque cosa faccia; creazione continua; coscienza acuta della contingenza della sua facoltà (“lei osa considerare il suo “corpo” ed il suo “mondo” come delle restrizioni quasi arbitrarie all’estensione della sua funzione”) e della contingenza dell’esistente (“la sorpresa, non è che le cose siano, è che siano tali e non altre”; “rifiuto indefinito di essere qualcosa “esteso a tutto quello che è percettibile”) per la quale tutta l’esistenza determinata è “decadenza” [12]. La scienza è la sola impresa che ha come oggetto esplicito di liberare lo “spirito” della sua facoltà e di uguagliare Dio. Il rifiuto dell’esistenza corporale, della finitezza, della morte, esprime il proggeto d’essere fondamenti di se (ens causa sui) attraverso l’odio sprezzante della natura e della naturalità della vita; attraverso d’essere nati dal corpo di una donna e di essere stati concepiti dal caso dell’incontro di un ovulo e di uno spermatozoo. Quest’odio per la facoltà naturale della vita e quindi, per conseguenza, della maternità ha trovato come esprimersi di maniera particolarmente cruda negli sforzi che dispiega la “scienza” per sostituire un utero artificiale all’utero femminile. Il pretesto invocato per realizzare l’”ectogenesi” è il problema di “liberare la donna dalla schiavitù della gravidanza”. Ma questo problema si rivela rapidamente come il rivestimento trasparente di un altro problema; quello della realizzazione tecno-scientifica della riproduzione umana.
Joseph Fletcher, professore a Harvard ed esperto in etica biomedica, dice di esprimere l’avviso de “la più parte degli embriologi, placentologi, fetologi che occupano delle posizioni di responsabilità” al momento che dichiara; “Noi realizziamo che l’utero è un posto oscuro e pericoloso (a dark and dangerous place), un luogo pieno di pericoli. Dobbiamo augurarci che i nostri figli potenziali si trovino là dove possono essere sorvegliati e protetti quanto più possibile”.
Fecondazione in vitro, uteri artificiali trasparenti, sorveglianza medica della gestazione, la riproduzione deve diventare un affare di uomini, di specialisti; deve essere razionalizzata, normalizzata, denaturalizzata e, sopratutto, la donna – che le società hanno sempre considerato come essere irrazionale, governato dai sentimenti e dalle passioni – deve essere spodestata definitivamente dei poteri che la maternità conferisce alla madre sui suoi figli e dei poteri che rischia di affidarle nella società. Questa privazione, l’abolizione pura e semplice della gravidanza e della maternità, sarà terminata, aggiungeva Fletcher, “quando il clonazione degli esseri umani diventerà pienamente realizzabile e che l’ectogenesi potrà rimpiazzare vantaggiosamente lo stadio di reimpiantazione”. [13]
Sul carattere apertamente anti-femminino (“maschilista”) della scienza, vedere “The Masculine Millenium” in David Noble, The Religion of Technology. (The divinity of Man and the Spirit of Invention. Londres, Penguin, 1999.)
Il problema che fa notare Fletcher, tra l’altro, di eliminare il caso (più fondamentalmente: la contingenza) eliminando la natura, mette in evidenza l’affinità che esiste dall’inizio tra lo spirito della scienza e lo spirito del capitalismo. [14] Per l’uno e per l’altro, la nature è innanzitutto una fonte di insidie, di rischi, di disordine. Deve essere addomesticata, dominata, soppressa se possibile da una messa in ordine razionale del mondo che ne eradica le incertezze, le imprevedibilità. Ostilità al caso, ostilità alla vita, ostilità alla natura, “Ordine e Progresso” (Auguste Comte): si deve eliminare la “natura interiore” come la natura esteriore e rimpiazzarle con degli uomini-macchina e delle macchine umane in seno di una macchina-mondo programmata e autoregolata. Era, nel XIXe secolo, l’ideale di alleanza della scienza e del capitale in seno ad una civilizzazione di ingegneri. L’ideale si è radicalizzato – si tratta adesso di (ri)creare il mondo, non di metterlo in ordine – ma le basi dell’alleanza, l’affinità tra lo spirito del capitale e quello della scienza, restano e permettono a quest’ultimo di continuare la sua autonomizzazione.
Il progetto di realizzare l’ectogenesi – e in seguito, le vedremo, l’intelligenza artificiale e la vita artificiale – è paradigmatica a questo riguardo. Si tratta niente meno che d’industrializzare la (ri)produzione degli umani nella stessa maniera che la biotecnologia industrializza la (ri)produzione delle specie animali e vegetali per finire per sostituire delle specie artificiali, create attraverso l’ingegneria genetica, alle specie naturali. L’abolizione della natura ha come motore non il progetto demiurgico della scienza ma il progetto del capitale di sostituire alle ricchezze primarie, che la natura offre gratuitamente e che sono accessibili a tutti, delle ricchezze artificiali e venditori: trasformare il mondo in merce di cui il capitale monopolizza la produzione, ponendosi così come padrone dell’umanità.
Abbiamo già un mercato dello sperma, un mercato dell’ovulo, un mercato della maternità (l’affitto dell’utero delle madri portatrici), un mercato dei geni, delle cellule staminali, degli embrioni, e un mercato (clandestino) degli organi. Il prolungamento della tendenza condurrà alla messa sul mercato dei bambini di tutte le età, geneticamente “migliorati” (falsamente), poi di esseri umani o “post-umani”, cloni o interamente artificiali, e delle nicchie ecologiche artificiali, in questo pianeta o in un altro. Il capitale e la scienza si servono l’uno dell’altro nel perseguimento dei loro rispettivi obbiettivi che, benché differenti, hanno molto in comune. L’uno e l’altro perseguono la pura potenza nel senso aristotelico senza altro scopo che essa stessa. L’uno e l’altro sono indifferenti a qualsiasi fine, a tutti i bisogni determinati, perché niente vale la la potenza indeterminata dei soldi, da una parte, della conoscenza teorica, dall’altra parte, capaci di tutte le determinazioni perché le rifiutano tutte. L’uno e l’altro si sbarrano attraverso le tecniche desoggettivanti del calcolo contro la possibilità del ritorno riflessivo su di sé. Ma l’alleanza del capitale e della scienza presenta dopo poco delle fessure. Perché se è fuori discussione per il capitale di emanciparsi dalla sua dipendenza nei confronti della scienza, la prospettiva si apre alla scienza di potersi emancipare dal capitalismo.
È la posta in gioco che sorge all’orizzonte delle ricerche sull’intelligenza e la vita artificiale che, virtualmente, aprono ad una civiltà post-naturale, post-biologica e post-umana.
Questa nuova era si annuncia, senza prima attirare l’attenzione, alla meta del XXe secolo, con l’invenzione, di Shannon e Turing, delle prime “macchine capaci d’imitare il cervello” e, pensavamo, suscettibile di superarlo. Si è annunciata, d’altra parte, con la scoperta quasi simultanea della struttura del DNA, della quale Robert Sinsheimer dirà: “Possiamo affermare che abbiamo scoperto la lingua nella quale Dio ha creato la vita.” [15] La storia naturale doveva avvicinarsi alla sua fine: “l’uomo doveva diventare il co-creatore, al lato di Dio, dell’universo”, e incluso della vita e di lui stesso. La scienza, dice Elvin Anderson, è sul punto “di eseguire il mandato che Dio ci ha dato”. [16]
La scienza si dirigeva al momento di prendere coscienza del senso originale del suo progetto e osava esprimere in maniera cruda il suo disprezzo, o meglio il suo disgusto verso la vita biologica e la natura. Uno dei libri più significativi su questo rapporto è l’opera di J.D. Bernal, biologo e pioniere britannico della cristallografia a raggi X, che contribuirà in maniera decisiva a capire la struttura molecolare del DNA. In The World, the Flesh and the Devil, [17] Bernal spiega che la natura, il corpo, i desideri e le emozioni sono nemici dell’”anima razionale”. “La tendenza cardinale del progresso, scrive, è la sostituzione di un contesto deliberatamente creato. (…) L’accettazione ed anche la conoscenza della natura saranno sempre meno necessarie. Al loro posto verrà il bisogno di determinare la forma desiderabile dell’universo governato dagli uomini.” Non tutti gli uomini, evidentemente, che formano l’umanità attuale. Bernal considera la formazione di un elite scientifica “di uomini trasformati le cui capacità sorpassano di molto quelle dell’umanità non trasformata” e che, “lasciano lontani dietro di loro i loro corpi’’, sarebbero degli spiriti disincarnati, praticamente immortali, che si dotano di “corpi meccanizzati”. “L’uomo normale è uno stallo dal punto di vista dell’evoluzione. L’uomo meccanico, che in apparenza è una rottura con l’evoluzione organica, si situa meglio, in realtà, nella vera tradizione di un perseguimento dell’evoluzione.” Ma la “nuova vita, che non conserva niente della sostanza e tutto dello spirito dell’antico”, non sarà che una tappa. “Alla fine, la coscienza stessa potrà spegnersi in un’umanità completamente eterizzata, che perde il
suo organismo consistente, diventando delle masse di atomi comunicanti nello spazio per irraggiamento e finalmente si risolvono in luce.” [18]

Dall’intelligenza artificiale alla vita artificiale
Ritroveremo questo fantasma di uno spirito eterico e immortale trent’anni più tardi nei pionieri dell’intelligenza artificiale (IA), in particolare in Hans Moravec. Le prime ricerche tendenti allo sviluppo delle macchine capaci di imitare il pensiero umano e di sorpassarlo essendo stati effettuati al MIT e alla Rand Corporation, e finanziati dall’Agenzia dei progetti di ricerca avanzata (DARPA) del Pentagono. Il lancio ufficiale del programma d’IA ha avuto luogo alla conferenza del Darthmouth College, nel 1956. La conferenza proponeva di “prendere come base delle ricerche l’ipotesi che tutti gli aspetti dell’apprendimento e tutti gli altri tratti dell’intelligenza possono, in principio essere descritti con una precisione così grande che una macchina che li simula può essere realizzata”. La conferenza e gli ulteriori lavori furono dominati dalla personalità di Marvin Minsky. Mostrava il suo disprezzo e il suo disgusto per questa meat machine (macchina di carne) che sono il cervello e questa “sporcizia sanguinolenta” (bloody mess) che è il corpo umano. Lo spirito, secondo lui, può essere separato dal corpo e dal “sé” (self): “La cosa importante nell’affinamento del vostro pensiero, è cercare di de-personalizzare la vostra interiorità.” Proprio come Newell e Simon, non vedevano la differenza tra la macchina informatica “che fabbrica del pensiero” e lo spirito umano: l’uno e l’altro appartengono “alla stessa specie”: quella delle macchine a programma. “I cervelli sono delle macchine… La nostra capacità a fabbricare dello spirito potrebbe permetterci un giorno di costruire degli uomini di scienza artificiali, degli artisti, dei compositori, dei compagni personali.” [19]
L’idea che lo “spirito” o l’”anima” immortali possano essere scaricati per vivere eternamente nel cyber-spazio, che il corpo carnale è sul punto di diventare obsoleto e che “siamo come degli dei”, appare in California dalla fine degli anni 70. Nel 1984, Sherry Turkle pubblica un libro d’incontri con dei ricercatori che diventerà una pietra miliare. [20] La maggior parte sono convinti che l’intelligenza delle macchine sorpasserà quella degli uomini, che le macchine si emanciperanno della dipendenza dagli uomini e che quest’ultimi non potranno conservare la loro supremazia che vivendo in simbiosi con esse. Uno dei ricercatori della DARPA dichiara: “Ho sempre sognato di creare il mio robot, dotato del mio spirito. Di farne il mio spirito. Di vedere me stesso in lui… È la cosa più importante che un uomo può fare.” Un altro eminente pioniere dell’IA, presidente di Thinking Machines Inc., sogna che il suo doppione robotico gli dica in occasione della sua nascita: “Hai lavorato bene. Sono fiero di te.”
Credere nella possibilità di trasferire lo spirito umano in un supporto inorganico di micro-circuiti si è sviluppata infatti come un sotto-prodotto della ricerca militare. All’inizio, si trattava di creare un centro che decodifica le informazioni del sistema di sorveglianza radar (chiamato SAGE) che, nel Grande Nord americano, deve segnalare l’avvicinamento di aerei nemici. In seguito, il caccia F14 (ed evidentemente i suoi successori) è stato dotato di un sistema d’armamento così avanzato, e di un flusso d’ informazioni così rapido di localizzazione dei bersagli, che l’esercizio di queste informazioni superava le capacità umane. I piloti dovevano “aumentare” le loro facoltà grazie alla loro simbiosi con dei computer.
L’idea, non tanto dell’assistenza del computer all’intelletto, ma del trasferimento di quest’ultimo nell’altro, raggiunge la sua maturità fantasmatica in Hans Moravec che sviluppa dei robot avanzati per la NASA. In Mind Children [21], poi in Robot: Mere Machine to Trascend Mind, considera la possibilità di “trapiantare” lo spirito collegando dei fasci neurali del cervello ai cavi di un computer che permetterebbe, scrive, “allo spirito di essere salvo dalle limitazioni di un corpo mortale”, di essere conservato in un computer, copiato ad un numero illimitato di esemplari, e resuscitato a volontà.
Questa ingenua credenza che il cervello “contiene” tutto lo spirito sotto forma d’un programma atto ad essere trasformato e copiato come un programma, non è specifica di Moravec. La troviamo già in Bernal per cui “il cervello è tutto quello che conta” (“the brain is all that counts”) e potrebbe funzionare staccato dal corpo. La troviamo in Fredkin (MIT e Stanford) che crede nella possibilità di concepire un “algoritmo planetario” che assicura “la pace e l’armonia sulla terra”, e per cui la creazione dell’IA è, dopo quello dell’universo e quello della vita, è il terzo ed ultimo stadio dell’evoluzione: quello in cui o spirito si separa dall’universo fisico e dove “il creatore ed il creato sono in completa sintonia”.
Dall’inizio, i pionieri dell’IA avevano definito lo spirito umano come essere, allo stesso modo del computer, una “macchina a programma”. Avevano definito il pensiero come una sequenza di operazioni del quale Bernal prevedeva, dall’inizio degli anni 1950, che potrebbe essere analizzata e trascritta dall’aritmetica binaria, ovvero dalle sequenze del si/no che costituisce il programma di un computer. Hanno dimostrato in seguito che, praticamente, tutti i problemi potevano essere risolti a condizione di essere trascritti (e trascrivibili); che le “macchine pensanti” potevano classificare, coordinare, memorizzare, trattare un più grande flusso d’ informazioni più rapidamente e in modo più affidabile dell’intelletto umano; che le loro capacità di calcolo e di previsione erano o potevano essere molto superiori, e anche la loro capacità d’interpretazione – a condizione, ovviamente, che le connessioni sensoriali siano state predefinite senza equivoci.
Ma non si erano mai posti la domanda principale: quella della capacità di definire i problemi da risolvere; di distinguere quello che è importante da quello che non lo è, quello che ha un senso e quello che non lo ha; di scegliere, di definire e di perseguire un obbiettivo, di modificarlo alla luce di eventi imprevisti; e, più fondamentalmente, la questione delle ragioni e dei criteri in virtù dei quali gli obbiettivi, i problemi, le soluzioni sono scelte. Da cosa dipendono dunque queste scelte, questi criteri? Se l’intelligenza funziona come una macchina a programma, chi definisce il programma?
I pionieri dell’IA avevano semplicemente ignorato queste domande che restituiscono all’esistenza un soggetto cosciente, vivo, che pensa, calcola, sceglie, agisce, persegue degli obbiettivi perché prova dei bisogni, dei desideri, dei timori, delle speranze, dei dolori, dei piaceri – in breve perché è un essere di bisogni e di desideri ai quali manca sempre qualcosa che non è o non ha ancora e che, in ragione del suo sentimento di mancanza, del suo sentimento d’incompletezza, è sempre prossimo a se stesso, incapace di coincidere con sé nella pienezza immobile dell’essere che è quello che è. [22]
Questo sentimento d’incompletezza abita chiaramente i pionieri dell’IA. È una struttura ontologica della coscienza. Ma bisogna aggiungere: della coscienza come indissociabile dalla fattualità del suo corpo, di questa coscienza che, dalla nascita, ha provato la fame, la sete, il bisogno d’affetto, di protezione. Il sentimento di mancanza, il bisogno di superarsi verso la soddisfazione di questa mancanza sono costitutivi della coscienza viva. L’intelligenza si sviluppa su questa base e ne trae l’impulso primario di vivere. La concezione macchinica dell’intelligenza la presuppone come essere sempre già qua, programmata nel cervello, pronta a essere mobilizzata. Ma l’intelligenza non è precisamente un programma già scritto: esiste viva solo come capacità di prodursi secondo le sue proprie intenzioni; e questa capacità di farsi mancanza, che è al fondamento della capacità di creare, d’immaginare, di dubitare, di cambiare, in breve di autodeterminarsi, non è programmabile in un software. Non è programmabile perché il cervello non è un insieme di programma scritti e trascrivibili: è l’organo vivo di un corpo vivo, un organo che non smette di programmarsi e de riprogrammarsi da solo.
Hans Moravec a scoperto tutto questo alla sua maniera. Dall’inizio la sua ipotesi era, come per altri pionieri dell’IA, che l’intelligenza trascritta in linguaggio numerico sarà liberata dal suo corpo, dalla sua fattualità, dalla sua finitezza. Ma il suo sforzo per pensare una tale intelligenza dimostrava, suo malgrado, che un’intelligenza “liberata” dalla via corporale è un’intelligenza senza desiderio, senza intenzionalità, senza emozioni, senza temporalità, pura potenza senza oggetto “differente dal nulla di quanto poco lo vorremmo”, diceva Valery. [23] Questa intelligenza non vive, non esiste.
Anche Hans Moravec, in Mind Children, l’immaginava come una sorta d’irraggiamento cosmico, fuori dal tempo, che si diffonde nell’universo, “convertendo la non-vita in spirito”, “suscettibile di convertire tutto l’universo in un’entità pensante, un’eternità di pura celebrazione”. [24]
Ora, se l’intelligenza deve esistere, evolvere nello spazio e nel tempo, essere capace di imparare, di arricchirsi attraverso l’esperienza, ha bisogno di un corpo vivo. Meglio: ha bisogno di dotarsi, di creare il suo corpo, di creare la sua vita, alla sua misura. Per creare l’intelligenza artificiale, si deve dunque creare la vita artificiale (VA). La ricerca dei pionieri dell’IA, in particolare di Moravec, [25] ma anche di Kurzweil, dunque si orienterà progressivamente verso la robotica, verso la progettazione di macchine che presentano tutte le caratteristiche dell’intelligenza viva e della vita: la capacità di auto-mantenersi, di auto-ripararsi, di crescere, di evolvere, di auto-generarsi, di auto-riprodursi o di auto-crearsi. Tutte cose che fanno che – come le faceva emergere Edgar Morin [26] – la vita è prima di tutto auto-poiesis, non riducibile a nient’altro e spiegabile da nient’altro si spiega da sola.
All’origine del programma di vita artificiale si trova la teoria degli automi cellulari autoriproduttori di John von Neumann. La NASA se ne era interessata a partire del 1980. Il suo obbiettivo era di sviluppare delle fabbriche capaci di auto-riprodursi, d’ingrandirsi, di ripararsi da sole e di evolvere.
Queste fabbriche interamente autonome e polivalenti dovevano eventualmente essere installate in altri pianeti da dove avrebbero la possibilità di “conquistare l’universo”. Nel 1985, la US Air Force decise di creare il suo proprio centro di ricerche sulla VA a Los Alamos, dove von Neumann aveva passato l’ultima parte della sua vita a progettare delle armi nucleari. La prima conferenza di Los Alamos sulla VA, nel 1987, definì la missione in questi termini: “La Vita Artificiale è lo studio dei sistemi viventi naturali. La microelettronica e l’ingegneria genetica ci renderanno presto capaci di creare delle nuove forme di vita in silicio così come in vitro.” L’ambizione dei pionieri dell’IA e della VA si rivelerà altrimenti più grande: si tratta per loro di abolire la natura e il genere umano per creare una “super-civiltà” robotica, un “al di là dell’umanità” che plasmerà l’universo a sua immagine e “trasformerà l’essere umano in qualcosa di completamente differente”. [27]

Dall’obsolescenza del corpo alla fine del genere umano

Dall’uomo-macchina alle macchine umane
Poco importano qua la fattibilità e la serietà delle visioni futuriste che espongono i pionieri della VA. Conta solo il senso del loro progetto, lo spirito della scienza che lo riflette. Lo ha apparentemente riflesso in maniero così convincente che dei rappresentanti illustri dell’elite intellettuale americana hanno discusso seriamente le questioni filosofiche e i problemi etici che pone la visione di una civiltà (se osiamo chiamarla così) post-biologica e post-umana, dominata da dei robot in tutti i punti superiori agli umani.
Presentati da dei membri delle migliori università, leader incontestati delle loro discipline, i progetti che legano IA a VA, ingegneria genetica e nanotecnologie si presentano come l’ultimo stadio del progetto fondamentale della scienza : emanciparsi dalla natura e dalla condizione umana. I protagonisti di questo progetto lo presentano in uno spirito neo-hegeliano, nietzchiano, o spiritualista. Si devono contestualizzare le loro formulazioni nell’epoca presente per comprendere che il progetto fondamentale (o “spirito”) della scienza è riuscito a (e osato) prendere coscienza di sé. In tutte le sue formulazioni e implicazioni, in effetti, questo progetto è inseparabile dall’iper spirito – e post-moderno, per il quale l’autodeterminazione, l’uguaglianza, la libertà, i diritti e la dignità della persona umana sono deprecabili sopravvivenze giudeo-cristiane-kantiane. L’impresa che mira a liberare l’intelligenza dalle sue limitazioni biologiche e dalla contingenza del patrimonio genetico non è una violazione delle leggi della natura ma, secondo i pionieri, tutto il contrario: la natura si è dotata nell’uomo dell’essere attraverso il quale prende coscienza di lei stessa e si rende capace di (ri)crearsi e di diventare fondamento di sé. La creazione della vita artificiale e dell’intelligenza artificiale non è nient’altro, ci viene detto, che l’atto finale dell’evoluzione attraverso il quale la natura prende possesso di lei stessa attraverso l’uomo al quale ha dato il potere di questa presa di possesso. La tecnica (technology) deve essere compresa come la natura che si crea da sola attraverso l’intermediazione dell’uomo. La natura sta diventando conoscenza, e la conoscenza natura. La differenza tra l’Essere e il Pensiero (tra essere e pensare) scompare.
Queste teorie non sono gli ornamenti ideologici di un’azienda scientifica che persegue degli obbiettivi terrestri. Si dicono che il senso, è la prima competenza di questa azienda. Delle domande come: “A cosa serve tutto questo?”, “Che benefici l’umanità può ricavare?”, “Che civiltà, che società propone la scienza?”, “Secondo quali criteri vuole ricreare l’uomo, la vita, la natura” sono delle meschinità che screditano i questuanti. I pionieri dell’IA e della VA si situano fin dall’inizio al di sopra di questa umanità che striscia a livello del suolo. Considerano che l’evoluzione biologica dell’uomo è un vicolo cieco (Kurzweil) e che lo sviluppo dell’intelligenza su base tecnologica è imposto dalle leggi dell’evoluzione. Quest’ultima si serve in qualche modo dell’uomo per trascendere l’intelligenza umana. “Il cammino è segnato, non abbiamo scelta”, dice Kurzweil. E Moravec considera esplicitamente i robot dell’avvenire come i portatori di uno spirito che trascende quello dell’uomo. Hugo de Garis si considera come il “quarto cavaliere dell’Apocalisse, il più oscuro, quello della guerra” che guideranno contro il genere umano i robot che si emanciperanno. [28]
Tutti si dicono convinti che il mondo sarà dominato, nella corrente del XXIe secolo, dalle macchine intelligenti e che “gli umani, se esisteranno ancora, si troveranno in una posizione subalterna”. Tutti si dicono convinti che in virtù della legge di Moore, la potenza di calcolo dei computer sarà stata moltiplicata da un fattore 10 potenza di 6 verso il 2020 o il 2030 e che “i robot che usciranno dai laboratori domineranno quelli che li hanno concepiti” (de Garis).
Circa nella stessa data, le nanotecnologie avranno permesso, assicura Kurzweil, di creare dei “nanobot” della dimensione di una molecola, che, “inviati nel cervello attraverso il flusso sanguigno, lo copieranno sinapsi dopo sinapsi, neurotrasmettitore dopo neurotrasmettitore”. Sarà allora possibile, dice Kurzweil, creare delle copie esatte del cervello umano e aumentare la sua intelligenza attraverso l’immissione “di miliardi di neuroni artificiali”.
E mentre l’intelligenza dell’uomo biologico evolve molto lentamente, “l’intelligenza macchina cresce esponenzialmente”, le macchine “saranno rapidamente molto più intelligenti degli uomini”, e gli uomini, per non essere dominati da esse, saranno obbligati a incorporare al loro sistema nervoso delle quantità crescenti di neuroni artificiali.
“Alla lunga, la componente non biologica della nostra intelligenza diventerà dominante. Avremo degli esseri macchine che saranno interamente non biologici ma che daranno l’impressione di essere umani.” [30]
Insomma, per poter controllare i loro robot dotati di un’intelligenza molto superiore, gli uomini saranno obbligati a trasformarsi anche loro in robot. La differenza tra robot e umani tenderà a scomparire. Tutta questa “evoluzione” è presentata da Kurzweil e i suoi colleghi come inevitabile e naturale. Provocherà la fine delle società umane ancora esistenti. Nel suo libro, Kurzweil cita lungamente un passaggio del Manifesto di Theodore Kaczynski (alias Unabomber).
Questo dimostra attraverso un’argomentazione stretta che, nolens volens, gli umani saranno portati ad abbandonare tutto il potere decisionale e d’iniziativa alle macchine, poco a poco, senza rendersene conto. Perché un mondo nel quale dei grandi sistemi di macchine intelligenti assumono delle funzioni sempre più estese diventerà così complesso che le macchine saranno le sole capaci di gestirlo. Il controllo delle macchine intelligenti detentrici dei poteri di coordinazione, di gestione, di regolazione dei flussi materiali e immateriali sarà ancora possibile? La cosa non è per niente sicura. Quello che è certo, è che solo una “minuscola eilit” avrà, può essere, le competenze necessarie a controllare e orientare i grandi sistemi d’intelligenza meccanica. Il potere di questa elite sulla “massa” sarà totale. Perché il lavoro umano sarà diventato superfluo. La “massa” degli umani sarà diventata un fardello inutile per il sistema. L’elite avrà la scelta sia di esaminarla, che di “ridurla allo stato di animali domestici”, occupandola con dei divertimenti insignificanti, scrive Kackzynski. Ma ancora, aggiunge Kurzweil, controllando i pensieri attraverso l’invio di “nanobot” nel cervello di un’umanità inutile. Ray Kurzweill concepisce da parte sua, la “tecno-elite” come una “guardia pretoriana”, una casta di “grandi preti high-tech” che guidano il resto degli umani.

L’evoluzione della società, della civiltà, è così interamente subordinata all’evoluzione delle macchine pensanti. De Garis si dice certo che queste ultime elimineranno gli umani dopo aver vinto la guerra contro di loro. Sceglie il loro campo. Hans Moravec predice che, nella competizione per il controllo delle risorse naturali, l’”umanità biologica” sarà vinta in dei conti. “Le specie biologiche non sopravviveranno mai al loro incontro con dei concorrenti superiori”. Solo i cyborg post-umani hanno la possibilità di sopravvivere ai quali le loro protesi non biologiche avranno permesso di uguagliare le macchine. In una maniera o nell’altra, la fine del genere umano è programmata. L’”evoluzione” destina l’uomo a fabbricare il contro-uomo che lo condanna. La scienza realizza il suo progetto originale: si emancipa dal genere umano. Il piacere sadico con il quale i membri della tecno-elite annunciano l’Apocalisse è pieno di senso. Non avrei osato inventarlo per illustrare lo spirito della scienza: avrei avuto il sentimento di esagerare grossolanamente il suo odio verso la natura e la vita. E’ probabile che una gran parte delle profezie post-biologiche e post-umane si rivelerà essere solo un fantasma infantile e che l’intelligenza e la vita artificiale non manterranno le “promesse” distopiche che i loro pionieri vi situano. Ma non c’è maniera di essere rassicurati per questo. “La via è segnata”, diceva Kurzweil. Atri la seguiranno attraverso altri mezzi.

Riprogrammazione genetica: di chi e da chi?
Il progetto progetto di migliorare la specie umana è già antico. Sono cambiate solo le ragioni invocate per promuovere l’eugenismo. Van Packard cita riguardo questo soggetto un opera di sir Francis Galton, uno dei primi avvocati, del secolo XIXe, dell’eugenismo: “È ormai diventato sicuramente necessario procedere al miglioramento della specie umana. L’individuo medio è divenuto troppo inferiore ai compiti quotidiani che richiede la civiltà moderna.” [31] Kurzweil dice la stessa cosa in altro modo: “Nel corso del XXIe secolo, l’economia avrà raggiunto un punto dove le facoltà di un individuo medio non saranno più sufficienti (per dominare la quantità di conoscenze richieste). Per poter prendere parte alla vita economica, dovrà aumentare il proprio cervello con l’intelligenza artificiale.” [32] La tecnoscienza associata al capitale a prodotto un mondo invivibile per l’uomo. Bisogna cambiare l’uomo. Le macchine sono insomma diventate le sovrane, gli uomini, i loro sudditi.
Nel loro Cristian Ethic for Biology, Elvin Anderson e Bruce Reichenbach dichiarano: “Noi abbiamo l’enorme potere di rimodellare gli esseri umani che desideriamo sulla terra… Noi potremo programmare geneticamente le generazioni future perché corrispondano a certe specifiche generali.” [33] Ma chi è “noi”? Chi rimodella chi e secondo quali criteri? Per il momento, il re-engeneering genetico risponde alle domande di un mercato grigi, alimentato dalle illusioni che mantiene la “scienza” sul potere determinante dei geni. [34]
Queste domande hanno un’apparenza abbastanza normale e plausibile per essere silenziosamente accettata o tollerata dalla società. L’ingegneria genetica occupa il terreno a piccoli passi e anche la clonazione di esseri umani si presenta sotto una luce innocua: perché proibire una discendenza biologica a delle persone che, altrimenti, ne potrebbero avere una? Perchè quelli o quelle che lo desiderano non avrebbero diritto al loro doppio? (Nota 35. Nei sondaggi realizzati negli Stati Uniti, il desiderio infantile di avere un doppio è frequentemente invocato dai partigiani della legalizzazione della clonazione.) Non è “normale” che i genitori desiderino dotare i loro figli di un migliore “capitale genetico” possibile? Indoviniamo senza fatica che la “performance” verrà messa in cima ai caratteri ereditari (?) da potenziare con l’ingegneria genetica e che il darwinismo sociale vi troverà una leva potente.

André Gorz da L’immatèriel, editions le Galilée, 2003

Pubblicato sul giornale L’Urlo della Terra, numero 7, luglio 2019

Note:
1. Edmund Husserl, Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie, cours donné en 1906-1907, Gesammelte Werke, XXIV, p. 182. Cité et commenté par Rudolf Boem dans son essai sur «la question de la topique», Maurice Merleau-Ponty zum Gedächtnis, 2001, inédit. Cet ouvrage prolonge Critique des fondements de l’époque (Kritk der Grundlagen des zeitalters), tr. Fr. Benoît Thaddée Standaert, Paris. L’Harmattan, 2001 2. André Gorz, «L’écologie politique entre expertocratie et autolimitation», Actuel Marx, n°12, 1992
3. Dans Du contre-pouvoir, op. Cité, p. 110-111.
4. Ibid., p. 111.
5. Finn Bowring, Science, Seeds and Cyborgs, Londres, Verso, 2003, ch. 11. La citation de G. Dyson est tirée de son ouvrage Darwin Among the Machines, Londres, Penguin, 1997, p.209.
6. Ce souci d’une fécondation de la culture par la science est le programme originaire du périodique Transversales Science Culture, dont les fondateurs, groupés autour de Jacques Robin, étaient liés aux pionniers de la théorie des systèmes.
7. La première partie de cet ouvrage de Husserl a paru en 1936, dans le premier volume, fasc. 1_4, de la revue Philosophia, publiée à Belgrade, p. 77-176.
8. Cf. George Boole, An investigation in the Laws of Thought on which are founded the Mathematical Theories of Logic and Probabilities, Douvres, 1854.
9. Cf. A. Turing, «Computing Machines and Intelligence», dans E. Feigenbaum (ed), Computers and Thought, New York, McGraw-Hill, 1963.
10. Ray Kurzweil, The Age of Spiritual Machines, Londres, Phoenix, 1999.
11. J’emprunte cette formule à la « Note et Digression » qui, dans Variété 1, précède l’« Introduction à la méthode de Léonard de Vinci ».
12. La coïncidence avec soi comme indétermination totale, « absence de projet » au regard duquel toute détermination est « déchéance » est le thème central de ces exercices spirituels que sont L’Expérience intérieure et Le Coupable de Georges Bataille. Paris, Gallimard, 1943 et 1944.
13. Joseph Fletcher, The Ethics of Genetic Control : Ending Reproduction Roulette, Buffalo (NY), Prometheus Books, 1988 ; cité par Finn Bowring, Science, Seeds and
Cyborgs, op. Cit., ch. 10.
14. J’emploie « l’esprit de la science » dans un sens weberien et non au sens d’« esprit scientifique»
15. Robert Sinsheimer, The Strands of Life, Berkeley (cal), University of California Press, 1943, p.3.
16. Elvin Anderson est professeur de génétique à l’université du Minnesota, auteur avec Bruce Reichenbach de On Behalf of God : A Christian Ethic for Biology, Grand Rapids (Mich.), William Eerdman, 1995; cité par David Noble, The Religion of Technology, op.cit.
17. Avec en sous-titre: An Enquiry into the Future of the Three Ennemies of the rational Soul, Bloomington, Indiana University Press, 1969, p. 42 sq.
18. Cf. Hans Moravec, Robot: Mere Machine to Transcend Mind, New-York, Oxford University Press, 1999
19. Marvin Minsky, «Thoughts about Artificial Intelligence», dans Raymond Kurzweil (ed), The Age of Intelligent Machines, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1990; cité dans David Noble, The Religion of Technology…, op.cit.
20. Sherry Turkle, The Second Self, New York, Simon and Schuster, 1984; tr. Fr. Claire Demange, Les enfants de l’ordinateur. Un nouveau miroir pour l’homme, Paris, Denoël, 1986.
21. Hans Moravec, Mind Children: The Future of Robots and Human Intelligence, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1988; tr. Fr. Rémy Lambrechts, Une vie après la vie. Les robots, avenir de l’intelligence. Paris, Odile Jacob, 1992.
22. Cf. Jean-Paul Sartre, «L’Être-Pour-Soi», L’Être et le Néant, Paris, Gallimard, 1943, p.115147. 23. Paul Valéry, Variété 1, op. cit. 24. Op. cit., p. 116.

25. Hans Moravec est directeur et co-fondateur du Mobile Robot Laboratory de la CarnegieMellon University, le plus grand centre mondial de recherche en robotique.
26. La Vie de la vie, Paris, Le Seuil, 1980
27. Earl Cox et Gregory Paul, Beyond Humanity: Cyber-Revolution and Future Mind, Cambridge (Mass.), Chs. River Media, 1996, p. 1 sq.
28. Hugo de Garis, entretien paru dans Le Monde interactif du
27 décembre 2000. 29. Kevin Warwick, In the Mind of the Machine: The Breakthrough in Artificial Intelligence, cité par Finn Bowring, Science, Seeds and Cyborgs, op. cit.
30. Ray Kurzweil, «Was bleibt von Menschen?», interview recueillie par Christian Tenbrock dans Die Zeit, 16, cahier Leben, p. §-7, 11 novembre 1999.
31. Cité par Vance Packard, L’Homme remodelé (The people Shaper), tr. Fr. Alain Caillé, Paris, Calmann-Lévy, 1978, ch. 17, «La fabrication d’êtres humains de type supérieur». L’amélioration de l’espèce ne répond donc pas à un besoin humain mais au besoin des machines. Comme le note Finn Bowring, la constitution biologique des humains est «devenue un obstacle à lever du point de vue des machines». (Note 31. Finn Bowring, Science, Seeds and Cyborgs, op. cit.
32. Ray Kurzweil, «Was bleibt von Menschen?», interview citée.
33. On Behalf of God…, op. cit
34. Cf. la magistrale démystification du rôle des gènes dans la transmission des caractères héréditaires par J. J. Kupiec et P. Sonigo, Ni Dieu ni gène, pour une autre théorie de l’hérédité, Paris, Le Seuil, 2000 (voir aussi Finn Bowring, Science, Seeds and Cyborgs, op. cit., ch. 6: «Health, Disease, and Social Change: The Limitations of Genetic Determination».)

Un resoconto equilibrato del mondo: uno sguardo critico alla visione del mondo scientifico – Wolfi Landstreicher

Le origini della scienza moderna nei secoli XVI e XV sono contemporanee alla nascita del moderno capitalismo e del sistema industriale. Sin dall’inizio, la visione del mondo e i metodi della scienza si integrano perfettamente con la necessità del sistema capitalista di dominare la natura e la vasta maggioranza degli esseri umani. Francis Bacon fu molto chiaro sul fatto che la scienza non è un tentativo di comprendere la natura così com’è, ma di dominarla e piegarla fino ai fini dell’umanità, che significa agli attuali governanti dell’ordine sociale. In questa luce, la scienza deve necessariamente essere sottoposta ad una analisi critica sociale da chiunque pretenda di mettere in discussione la presente organizzazione sociale.

La scienza non è semplicemente una questione di osservazione del mondo, sperimentare e trarre conclusioni ragionevoli. Altrimenti dovremmo riconoscere i bambini, i cosiddetti primitivi e un buon numero di animali come eccellenti scienziati. Ma gli esperimenti pratici condotti da molti di noi nella vita quotidiana mancano di alcuni fattori necessari, il primo e più importante di questi è il concetto dell’universo come un’unica entità che opera sotto leggi universali, razionali e conoscibili. Senza questa base, la scienza non può operare come tale.

Naturalmente, l’idea delle leggi naturali universali esisteva già nell’antica Grecia, e si era creata più o meno nello stesso periodo in cui si crearono leggi scritte per governare le città-stato e il commercio basato sulla moneta. Ma la prospettiva greca antica differiva in modo significativo da quella della scienza moderna. Le leggi naturali universali della filosofia greca erano fondamentalmente relazionali, parallele alle istituzioni politiche ed economiche della società greca antica. Quindi questa concezione tendeva a promuovere la moderazione – il “mezzo d’oro” di Aristotele – e l’evitare la
hubris , qualcosa di molto diverso dalla prospettiva scientifica dei nostri tempi. Tra il tempo degli antichi filosofi greci e quello in cui si originò la scienza moderna, due importanti eventi storici hanno influenzato la visione occidentale del mondo. Il primo di questi fu l’avvento della religione cristiana come un fattore centrale dominante nel pensiero occidentale. Questa visione del mondo sostituì ad una molteplicità di dei che erano parte del mondo con un unico dio esterno all’universo che lui stesso aveva creato e che controllava. Inoltre dichiarò che il mondo era stato creato per l’uso della creatura prediletta di Dio, l’essere umano, che doveva sottomettere e governare tutte le altre creature. Il secondo evento significativo fu l’invenzione della prima macchina automatica che svolse un ruolo significativo nella vita sociale pubblica: l’orologio. Il pieno significato dell’invenzione dell’orologio nello sviluppo del capitalismo, in particolare nella sua forma industriale, meriterrebbe una storia a sé, ma il mio interesse qui è più specifico. Con la materializzazione del concetto di una creatura non vivente che poteva comunque muoversi da sola, l’orologio forniva una base comprensibile alla nuova concezione dell’universo. Insieme all’idea di un creatore esterno all’universo, ha fornito la base per percepire l’unità dell’universo come un meccanismo creato dal grande orologiaio. In altre parole il mondo era essenzialmente meccanico.

Quindi la religione e lo sviluppo tecnologico hanno gettato le basi per lo sviluppo di una visione meccanicistica dell’universo e con essa della scienza moderna. Riconoscendo l’importanza della religione nel fornire questo contesto ideologico, non dovrebbe sorprenderci perché la maggior parte dei primi scienziati erano ecclesiastici e che le sofferenze di Galileo e Copernico sono state eccezioni alla regola, utili per sviluppare la mitologia della scienza come forza della verità, contro l’oscurantismo della superstizione e del dogma. In realtà, i primi scienziati lavoravano generalmente per l’uno o l’altro dei vari poteri statali, essendo parte integrante della struttura di potere e seguendo lo stesso percorso di uno dei più noti tra loro, Francis Bacon, che non ebbe scrupoli a denunciare persone come Giordano Bruno alle autorità ecclesiastiche per espressione idee “eretiche”.

Ma gli scandali della scienza, come quelli della chiesa, dello stato o del capitale, non sono la sostanza del problema. La sostanza sta nelle fondamenta ideologiche della scienza. Le visioni fondamentalmente relazionali dell’universo – sia quella legalistica dell’antica Grecia o le più fluide visioni di persone che vivevano al di fuori della civiltà – implicano che una comprensione dell’universo verrebbe dal tentativo di vederlo nel modo più olistico possibile per osservare il relazioni tra cose, connessioni e interazioni. Un tale punto di vista funziona bene per coloro che non desiderano dominare l’universo, ma vogliono solo determinare il modo migliore di interagire con il proprio ambiente per soddisfare i propri desideri e creare la propria vita. Ma il bisogno capitalista per lo sviluppo industriale richiedeva una visione del mondo diversa.

Se l’universo è una macchina e non un’interrelazione tra una miriade di esseri, allora non si riesce a comprenderla attraverso la semplice osservazione e la sperimentazione diretta, ma attraverso una forma specializzata di sperimentazione. Non si può capire come funziona una macchina semplicemente osservandola mentre funziona nel suo ambiente. È necessario scomporla nelle sue parti – gli ingranaggi, le ruote, i fili, le leve… – per capire come ogni singola parte funziona. Quindi, un aspetto fondamentale del metodo scientifico è la necessità di rompere tutto nelle sue parti, con l’obiettivo di arrivare all’unità di base. È in quest’ottica che si può capire perché gli scienziati pensano che sia possibile imparare di più sulla vita aprendo in due una rana nel chiuso di un laboratorio piuttosto che sedendosi sul bordo di uno stagno osservando rane e pesci, zanzare, ninfee nella loro vita reale. La scienza della conoscenza persegue la conoscenza quantitativa, la conoscenza matematica, la conoscenza utilitaristica – un tipo di conoscenza che trasforma il mondo in una macchina che afferma di essere. Questo tipo di conoscenza non può venire da un’osservazione libera del mondo. Richiede la dimensione del laboratorio in cui parti possono essere sottoposte a esperimento al di fuori del contesto globale e all’interno del quadro delle basi ideologiche della matematica e di una visione del mondo meccanicistica. Solo le parti che sono state separate in questo modo possono essere ricostruite per soddisfare le esigenze di chi domina.

Naturalmente, i primi che si devono separare da questo insieme meccanicistico sono gli stessi scienziati. Il fattore che rende non scientifici gli esperimenti di animali, bambini, popoli non civilizzati e persone non specialiste nel mondo moderno è la mancanza della cosiddetta obiettività; siamo troppo coinvolti, ancora in intima relazione con ciò con cui sperimentiamo. Lo scienziato invece è stato addestrato a porsi al di fuori di quello su cui sperimenta, a usare la fredda razionalità della matematica. Ma questa obiettività non è in realtà diversa dalla separazione di un re, un imperatore o un dittatore dal popolo che domina. Lo scienziato non può realmente uscire in senso fisico dal mondo naturale in modo da vederlo dall’esterno dei suoi confini (anche perché questo universo non ha confini). Eppure, come un imperatore dalle vette del suo trono, dal suo laboratorio lo scienziato proclama all’universo: “Ti sottometterai ai miei comandi”. La visione scientifica del mondo può essere realmente compresa solo in questi termini. La concezione della natura dell’universo che è stata avanzata dalla scienza moderna non è stata tanto descrittiva quanto prescrittiva, editti che proclamano ciò che il mondo naturale deve essere costretto a diventare: parti meccaniche con movimenti regolari e prevedibili che possono essere fatti funzionare secondo gli scopi della classe dominante che finanzia la ricerca scientifica. Non dovrebbe sorprendere quindi che il linguaggio della scienza sia lo stesso del linguaggio dell’economia e della burocrazia, un linguaggio privo di passione e qualsiasi connessione concreta con la vita, il linguaggio della matematica. Quale linguaggio migliore si potrebbe trovare per governare l’universo – un linguaggio che è allo stesso tempo assolutamente arbitrario e assolutamente razionale?

Così la scienza moderna si è sviluppata con uno scopo specifico. Questo scopo non era la ricerca della verità o persino della conoscenza se non nel senso più utilitaristico, ma piuttosto l’atomizzazione e la razionalizzazione del mondo naturale in modo che potesse essere scomposto nelle sue componenti di base per poter ricomporle in nuove, regolarizzate, misurate relazioni utili allo sviluppo di sistemi tecnologici in grado di estrarre sempre più componenti per la riproduzione di questi sistemi. Dopotutto,
questo era quello che volevano i sovrani, ed erano i finanziatori (e quindi finanziariamente i fondatori) della scienza moderna. Con la matematica di tutte le cose, ciò che è singolare in ogni cosa scompare, perché ciò che è singolare è al di là dell’astrazione e quindi oltre la matematica. Quando ciò che è singolare negli esseri e nelle cose scompare, scompaiono anche le basi per le relazioni appassionate, per le relazioni di desiderio. Come si calcola una passione? Come può essere quantificato il desiderio? Il dominio della ragione strumentale ha poco spazio per qualsiasi passione oltre a quella deformata sorta di avidità che cerca di accumulare sempre di più oggetti standardizzati, mercificati disponibili sul mercato e il denaro che li rende tutti uguali nel senso più stretto della matematica.

I vari sistemi di classificazione della scienza – in quanto sistemi paralleli utilizzati dalle burocrazie statali – certamente hanno svolto un ruolo significativo nell’escludere il singolare dal regno della scienza Ma la scienza usa un altro metodo più insidioso e irreparabile per distruggere il singolare. Cerca di ridurre ogni cosa nei suoi componenti più piccoli possibili: prima quelle unità che sono condivise da ogni entità di un particolare tipo, e poi quelle che sono condivise da ogni entità che esiste – perché la matematica può essere applicata solo a unità omogenee, unità che possono essere equivalenti. Se i primi scienziati avevano la tendenza a sperimentare frequentemente con animali morti, compresi gli umani, era perché nella morte un cane, una scimmia o un essere umano sono molto simili. Quando sono inchiodati su una tavola in un laboratorio con i loro corpi aperti, non sono tutte uguali le rane? Ma questo non è un distruggere adeguato. Certamente tale sperimentazione, con organismi morti o con materia non organica, ha permesso alla scienza di scomporre il mondo in componenti che possono essere ben misurate, modellate, calcolate per adattarsi alla sua prospettiva meccanicistica, un passo necessario nello sviluppo della tecnologia industriale. Ma la matematica e la corrispondente visione del mondo meccanicista erano ancora solo idee che venivano imposte a un contesto riluttante e resistente – in particolare (o forse solo più visibilmente) il contesto umano, il mondo degli sfruttati che non volevano le loro vite misurate in ore di lavoro cronometrate dagli orologi industrialmente accurati del padrone, sfruttati che non volevano passare tutti i giorni negli stessi ripetitivi compiti portati avanti nello stesso modo da altri centinaia – o migliaia – nello stesso edificio o in un altro che è identico ad esso per guadagnare il generico equivalente per la sopravvivenza.
La fisica è sempre stata la scienza all’avanguardia nello sforzo di rendere la matematica la base intrinseca della realtà. Se si deve credere al mito, quando la mela colpì Newton sulla testa, gli fece venire l’idea di equazioni per spiegare matematicamente l’attrazione e la repulsione tra gli oggetti. Per qualche ragione, questo ci porta ad immaginarselo come un genio invece che come un calcolatore con una mente meschina da uomo d’affari.
(Newton era un azionista della famosa Compagnia delle Indie Orientali che forniva la base finanziaria per molte delle imprese imperialistiche britanniche e per un certo periodo fù anche a capo della Banca d’Inghilterra.) Ma la legge di gravità di Newton, la legge di inerzia di Galileo, le leggi della termodinamica ecc., si presentano come costrutti matematici della mente umana che sono imposti all’universo, proprio come i loro risultati tecnologici – il sistema industriale del capitalismo – erano un’imposizione di questa visione del mondo razionalista nella vita quotidiana delle classi sfruttate.

Dovrebbe essere chiaro da ciò che il metodo scientifico non è mai stato il metodo empirico. Quest’ultimo è basato solo sull’esperienza, l’osservazione e l’esperimento nel mondo senza preconcetti, matematici o di altro genere. Il metodo scientifico, al contrario, si origina dalla necessità di ricondurre l’universo ad una logica razionale e matematica. Per svolgere questo compito, doveva separare componenti specifici dal loro ambiente, spostarli nella sterilità del laboratorio e lì sperimentarli per capire come conformarli a questa logica strumentale e matematica. Molto lontano dall’esplorazione con i sensi del mondo che rappresenta l’autentica investigazione empirica.

La scienza moderna è stata in grado di continuare a svilupparsi e imporsi non perché apre la strada ad una maggiore conoscenza, ma perché ha avuto successo nello svolgere il compito che lo stato e la classe dominante le hanno assegnato e per il quale l’hanno finanziata. La scienza moderna non ha mai avuto lo scopo di fornire una conoscenza reale del mondo – che avrebbe richiesto l’immersione nel mondo, non la separazione da esso – ma piuttosto di imporre una specifica prospettiva sull’universo che lo trasformerebbe in una macchina in funzione dell’utilità della classe dirigente. Il sistema industriale è la prova del successo della scienza nel compiere questa funzione, ma non significa che la sua visione del mondo sia la verità. È in quest’ottica che possiamo esaminare i “progressi” che costituiscono la “nuova fisica” – la fisica della relatività, fisica atomica e fisica quantistica – perché è questa fisica post-newtoniana che riesce a imporre la concezione matematica sull’universo a tal punto che i “due” vengono visti come “uno”. Nella fisica newtoniana l’universo è una realtà materiale, una macchina composta da varie componenti le cui interazioni possono essere “spiegate” (anche se, in realtà, nulla è realmente spiegato) matematicamente. Nella “nuova” fisica, l’universo è un costrutto matematico costituito da bit di informazioni in cui la materia è solo una parte dell’equazione. In altre parole, la “nuova” fisica ha una visione cibernetica dell’universo.

La fisica della relatività matematicizza l’universo a livello macrocosmico. Secondo le sue teorie, l’universo è un “continuum spazio-temporale”. Ma cosa significa ciò? Il “continuum spazio-temporale” è, in realtà, un puro costrutto matematico, il grafico multidimensionale di un’equazione complessa. Quindi, è completamente oltre la possibilità di un’osservazione empirica – stranamente simile al cyber-spazio. O non così stranamente, se si considera il primo come un modello per quest’ultimo. Ancora una volta, importa poco se questa descrizione dell’universo è vera o verosimile. Funziona sul piano tecnologico ed economico, e che è sempre stata la linea di fondo e il metro di giudizio per la scienza.

La “realtà ultima” che è il “continuum spazio-temporale” – questa “realtà” oltre i nostri sensi che gli esperti ci assicurano è più reale della nostra esperienza quotidiana (e chi ancora dubita di loro in questo mondo alienato?) – è composta di bit di informazioni chiamate quanti. Questo è il il regno della fisica quantistica, microcosmo della matematicizzazione totale dell’universo. La fisica quantistica è particolarmente interessante per il modo in cui rappresenta il progetto della scienza moderna. La fisica quantistica dovrebbe essere la scienza delle particelle subatomiche. All’inizio c’erano solo tre: il protone, l’elettrone e il neutrone. Questi spiegavano il peso atomico, l’elettricità, ecc. e permettevano lo sviluppo della tecnologia nucleare e dell’elettronica. Ma sono comparse troppe incongruenze matematiche. La fisica quantistica ha affrontato queste discrepanze usando il metodo scientifico più coerente possibile: ha formulato nuove equazioni al fine di cancellare con il calcolo le incongruenze e ha chiamato questi nuovi costrutti matematici particelle subatomiche. Di nuovo, non c’è niente che possiamo osservare attraverso i nostri sensi – neanche con l’aiuto di strumenti come microscopi. Si dipende dalle affermazioni degli esperti. Ma esperti in cosa? Chiaramente esperti nel formulare equazioni temporali che sostengono la concezione matematica dell’universo fino alla successiva incongruenza, funzionando in modo simile al capitalismo stesso.

La fisica della relatività e la fisica quantistica sono spesso spacciate come “scienza pura” (come se una cosa del genere sia mai esistita), esplorazione teorica senza alcuna considerazione strumentale. Senza nemmeno considerare il ruolo che questi rami della scienza hanno svolto nello sviluppo di armi ed energia nucleare, della cibernetica, dell’elettronica e via dicendo, questa affermazione è anche smentita dagli interessi ideologici del potere che essi stessi (i rami della scienza) servono. Insieme, queste prospettive scientifiche presentano una concezione della realtà che è completamente al di fuori della sfera dell’osservazione empirica. La “realtà ultima” giace al di là di ciò che possiamo percepire con i sensi ed esiste completamente nella sfera delle complesse equazioni matematiche che solo chi ha il tempo e l’educazione – cioè gli esperti – sono capaci di imparare e manipolare. Così la “nuova” fisica – come la vecchia, ma in modo più enfatico, ci insegna ad avere fede negli esperti, a farci accettare la loro parola rispetto alla nostra esperienza. Inoltre, promuove l’idea che la realtà è costituita da frammenti di informazioni connesse matematicamente che possono essere manipolate da coloro che conoscono i segreti, gli stregoni della nostra epoca, i tecnici-scienziati.
La relatività e la fisica quantistica sono riuscite a fare ciò che ogni branca della scienza vorrebbe fare: separare la loro sfera di conoscenza dal regno dei sensi. Se la realtà è solo un’equazione matematica complessa fatta di bit di informazione, allora gli esperimenti di pensiero sono certamente almeno altrettanto affidabili degli esperimenti sulla materia. Dovrebbe essere evidente ora che questo è stato l’ideale della scienza moderna fin dall’inizio. La separazione dello scienziato dalla sfera della vita quotidiana, il laboratorio sterile come il regno della sperimentazione, lo sfacciato disprezzo dei primi scienziati per quello che può essere imparato attraverso i sensi e ciò che si apprende attraverso i sensi sono solo chiari segnali dell’atteggiamento e della direzione della scienza. Per Bacon, per Newton, per la scienza moderna nel suo insieme, i sensi – come il mondo naturale di cui fanno parte – sono ostacoli da superare nella ricerca del dominio sull’universo. Interagire con il mondo a livello sensuale è qualcosa che può evocare la passione e la ragione della scienza è una ragione fredda e calcolatrice, non la ragione appassionata del desiderio. Quindi il mondo della sperimentazione non materiale creato dalla “nuova” fisica si adatta alla perfezione nella traiettoria della scienza.

Qualcuno ha provato a descrivere i concetti di relatività e fisica quantistica come una rottura con la visione del mondo meccanicistica tenuta dalla scienza fino a quel momento, infatti, questa “nuova” visione del mondo come pura costruzione matematica fatta di bit di informazione era precisamente lo scopo della scienza. La sua manifestazione concreta è stata lo sviluppo della tecnologia cibernetica. La visione del mondo meccanicistico industriale ha dato il via alla visione del mondo meccanicistica cibernetica di gran lunga più totalizzante, perché quest’ultima serve meglio gli scopi della scienza e dei suoi padroni. Lo sviluppo della tecnologia cibernetica e in particolare della realtà virtuale ha aperto la porta alla possibilità di sperimentazioni immateriali per quei rami della scienza per i quali questo era stato precedentemente impossibile, in particolare le scienze della vita e le scienze sociali. Questa realtà non fornisce solo un mezzo per archiviare, organizzare, classificare e manipolare numeri e informazioni raccolti durante la sperimentazione e la ricerca nel mondo materiale; fornisce anche un mondo virtuale in cui si può sperimentare su esseri e sistemi biologici virtuali, su società e culture virtuali. E se l’universo non è altro che bit intercambiabili di informazioni in relazione matematica tra loro, allora tali esperimenti sono allo stesso livello di quelli eseguiti nel mondo fisico. Di fatto, sono più affidabili, dal momento che gli ostacoli dei sensi e il possibile sviluppo di un’empatia verso quelli su cui lo scienziato sta sperimentando non entrano in gioco. Non c’è bisogno di preoccuparsi del fatto che qualcosa di matematicamente calcolabile, e quindi programmabile, può accadere nel regno virtuale; questo mostra semplicemente le infinite possibilità tecnologiche che si possono trovare nella manipolazione di bit di informazione.

È interessante notare che la “scoperta” del DNA avvenne solo pochi anni prima dell’inizio di quella che è stata definita “l’era dell’informazione”. Certamente, le tecnologie cibernetiche e informatiche esistevano già da qualche tempo, ma è stato nei primi anni ‘70 che queste tecnologie iniziarono a penetrare nella sfera sociale nella misura sufficiente per poter influenzare la visione del mondo della gente. Dal momento che siamo già stati strappati da qualsiasi tipo di rapporto profondo e diretto con il mondo naturale a causa delle esigenze del sistema industriale, la maggior parte della nostra conoscenza del mondo ci viene indirettamente. Non è affatto conoscenza, ma bit – frammenti – di informazione accettati dalla fede. Pertanto, non è così difficile convincere la gente che la conoscenza non è nient’altro che un’accumulazione di questi bit e che la realtà è semplicemente la complessa equazione matematica che li circonda. C’è un piccolo passo da questa concezione alla prospettiva genetica che vuole vedere la vita come semplicemente la relazione tra i bit delle informazioni codificate. Il DNA fornisce i bit intercambiabili precisi che sono la base necessaria per questo e, quindi, fornisce la base per la digitalizzazione della vita.

Come abbiamo visto, la scienza non è mai stata semplicemente un tentativo di descrivere ciò che esiste. Piuttosto cerca di dominare la realtà e renderla conforme ai fini di coloro che detengono il potere. Quindi, la digitalizzazione della vita e dell’universo ha il preciso scopo di frammentare tutto in bit – in parti – intercambiabili che possono essere manipolate e risistemate dagli esperti in queste complesse tecniche al fine di soddisfare le esigenze specifiche dell’ordine dominante. Non c’è posto in questa prospettiva per una concezione dell’individualità composta dal proprio corpo, dalla propria mente, dalle proprie passioni, dai propri desideri e dalle proprie relazioni in una danza inimitabile attraverso il mondo. Invece, non siamo altro che una serie di bio-bits manipolabili. Questa concezione non è priva di basi sociali. Lo sviluppo capitalista, in particolare nella seconda metà del 20 °secolo, trasformò i cittadini (già parte dell’apparato dello stato-nazione) in produttori-consumatori, intercambiabili con tutti gli altri in termini di necessità della macchina sociale. Con l’integrità dell’individuo già in frantumi, non è un grande passo per trasformare ogni cosa vivente in una semplice banca di stoccaggio per parti genetiche utili, da usare come risorse per lo sviluppo della biotecnologia.

La nanotecnologia applica la stessa digitalizzazione alla materia inorganica. La chimica e la fisica atomica hanno presentato la concezione della materia come una costruzione di molecole che sono costituite da atomi i quali sono costituiti da particelle subatomiche. L’obiettivo della nanotecnologia è la costruzione di macchine microscopiche a livello molecolare che idealmente saranno programmate per riprodursi attraverso la manipolazione di strutture molecolari e atomiche. Se si accetta la concezione impoverita della vita promossa da scienza genetica e biotecnologia, queste macchine potrebbero essere considerate “viventi”. Se si esaminano gli scopi che i loro costruttori sperano che saranno applicate, sembra che potrebbero funzionare nell’ambiente in modo molto simile ai virus. D’altra parte, alcune delle descrizioni della funzione auto-riproduttiva che deve essere programmata ci danno l’idea spaventosa delle cellule tumorali attive trasmesse per via aerea. D’altro canto, sia la biotecnologia che la nanotecnologia possono evocare visioni terrificanti: mostri di piccole e grandi dimensioni, strane malattie, manipolazioni genetiche totalitarie, dispositivi di spionaggio microscopici trasportati dall’aria, macchine intelligenti senza più bisogno di esseri umani. Ma questi potenziali orrori non colpiscono il cuore del problema. Queste tecnologie riflettono una visione del mondo prosciugato di meraviglia, gioia, desiderio, passione e individualità, una visione del mondo trasformata in una macchina calcolatrice, la visione del mondo del capitalismo.

I primi scienziati moderni erano per lo più cristiani devoti. Il loro universo meccanico era una macchina creata da dio con uno scopo al di là di se stesso, determinato da dio. Questa concezione di uno scopo divino scomparve dal pensiero scientifico molto tempo fa. L’universo cibernetico non ha altro scopo se non quello di mantenere se stesso al fine di mantenere il flusso di bit di informazione. A livello sociale, dove colpisce le nostre vite, questo significa che ogni individuo è semplicemente uno strumento per mantenere l’ordine sociale attuale e può essere regolato come necessario per mantenere il flusso di informazioni che consente a questo ordine di riprodursi, informazioni più precisamente chiamate commodity scambio.

E qui si svela la vera funzione della scienza. La scienza è il tentativo di creare un sistema in grado di presentare un conto equilibrato di tutte le risorse dell’universo, rendendole disponibili al capitale. Questo è il motivo per cui deve frammentare l’universo nelle sue parti più piccole, bit che hanno un grado sufficiente di identità e intercambiabilità per agire come un equivalente generale. Questo è il motivo per cui deve forzare l’universo a conformarsi a un costrutto matematico. Ecco perché alla fine un modello cibernetico è il migliore per il funzionamento della scienza. Il vero fine della scienza moderna fin dall’inizio è stato quello di rendere l’universo una grande macchina calcolatrice che renderà conto delle proprie risorse. Quindi la funzione della scienza è sempre stata quella di servire l’economia e il suo sviluppo è stato la ricerca continua del mezzo più efficace per farlo. Ma i ragionieri scientifici con i loro calcoli, grafici, grafici e registri sono continuamente ostacolati da una realtà refrattaria composta da entità che non si conformano ai numeri o alle misurazioni, da individui che resistono all’intercambiabilità, di fenomeni che non possono essere ripetuti – in altre parole, di cose che sconvolgono incessantemente i conti. Gli scienziati possono tentare di ritirarsi in laboratorio, nell’esperimento mentale, nella realtà virtuale, ma oltre la porta, oltre le loro menti, oltre il regno del cyberspazio, l’inesplicabile attende ancora. Così la scienza, come l’ordine sociale capitalista che serve, diventa un sistema di misure temporanee, di perenne adeguamento di fronte a un caos che minaccia di distruggere l’economia.

Quindi, la lotta contro il capitalismo è la lotta contro la scienza moderna, la lotta contro un sistema che vede il mondo semplicemente come risorse misurabili con un prezzo, come pezzi intercambiabili di valore economico. Per quelli di noi che cercano di conoscere il mondo con passione, che vogliono incontrarlo gioiosamente con un senso di meraviglia, sono essenziali diversi modi di conoscenza che non mirano al dominio, ma al piacere e all’avventura. Che sia possibile studiare ed esplorare l’universo in modi diversi da quello della scienza moderna è stato dimostrato dai ragionamenti di alcuni filosofi naturali nell’antica Grecia, dalla conoscenza del mare dei navigatori polinesiani, dalle linee di canto degli aborigeni australiani e le migliori esplorazioni di certi alchimisti ed eretici come Giordano Bruno. Ma non mi interessano i modelli ma l’apertura di possibilità, l’apertura ai rapporti con il mondo che ci circonda che sono senza misura – e il passato non è mai un’apertura; nella migliore delle ipotesi, è la prova che ciò che esiste non è inevitabile. Una ribellione consapevole di coloro che non saranno misurati potrebbe aprire un mondo di possibilità. È un rischio che vale la pena prendersi.

Wolfi Landstreicher
“A Balanced Account of the World: A Critical Look at the Scientific World View”, 2001 www.theanarchistlibrary.org

Pubblicato sul giornale L’Urlo della Terra, numero 7, luglio 2019

Amburgo – Azione contro car sharing e Smart city

Nelle ultime notti (17 e 18 dicembre), le auto di car2go e DriveNow sono state danneggiate in diverse parti di Amburgo. I pneumatici furono pugnalati, i vetri rotti e imbrattati di vernice.

“ SHARE NOW è il nome della nuova società di car sharing che unisce car2go e DriveNow sotto lo stesso tetto. La fusione dei due servizi fa di SHARE NOW il principale fornitore mondiale di car sharing mobile. Una flotta di oltre 20.000 veicoli è disponibile in 30 grandi città in Europa e Nord America. ”

CONDIVIDI ORA è una consociata del BMW Group e della Daimler AG, che beneficiano entrambi della prigione lasciando che le persone rinchiudessero il lavoro per loro. La prigione non viene utilizzata solo per intimidire e rinchiudere le persone indesiderate nella società. Il sistema del carcere è stato a lungo un’attività redditizia per molte aziende. Ad esempio, non esiste un salario minimo per i detenuti, quindi grandi aziende come Daimler e BMW vedono in essi manodopera a basso costo. Supermercati come Edeka e operatori telefonici come Teliopossono offrire i loro beni grazie alla posizione di monopolio nei rispettivi bar a prezzi completamente costosi. Inoltre, ci sono naturalmente le società di costruzione e gli architetti, le società di sicurezza e i produttori di tecnologia di sicurezza, così come molti altri che traggono profitto dalla prigione.

Se vogliamo distruggere la prigione e liberare i prigionieri, sfortunatamente non è così facile far saltare in aria i muri o bruciarli. Ma ciò che possiamo fare è attaccare quelle aziende e persone che assicurano il funzionamento del sistema carcerario e che ne beneficiano. Questo è un modo pratico di mostrare solidarietà con i prigionieri. È anche un suggerimento per combattere la prigione e la società che ne ha bisogno. È anche un atto di auto-responsabilizzazione ignorare le regole protette dagli organi repressivi come la prigione e, al contrario, non permettere che la minaccia alla prigione venga permanentemente intimidita .Se lasciamo che la nostra paura della prigione limiti le nostre azioni, notiamo che la prigione funziona nella nostra testa. Se infrangiamo la legge comunque, la prigione perderà parte della sua efficacia.

Non è solo la prigione che aiuta lo stato a reprimere la sua popolazione. La città stessa è anche progettata per controllare le persone. Questo è ottimizzato in un processo di accelerazione e soprattutto attraverso le tecnologie. L’obiettivo è un carcere all’aperto aka. Smart City, in cui viene girato ogni angolo della città e monitorato ogni passaggio dei residenti. Questa strategia funziona particolarmente bene perché le persone si offrono volontarie e sono disposte a installare le app sui loro smartphone come cavie. In questo modo, si collegano in rete con i progetti Smart City e forniscono dati che rendono notevolmente più facile per loro avere il controllo esterno sulla propria vita. I progetti Smart City includono mobilità condivisa, dove le persone possono passare da un veicolo all’altro e raggruppare i dati come quando sono dove, attraverso le loro app, e fornirli a società come Daimler e BMW. Questi sono i principali giocatori e profittatori della Smart City, tra le altre cose con le loro nuove offerte, che sono raggruppate sotto il nome YOU NOW. Queste includono le app REACH NOW, con le quali è possibile combinare diverse modalità di trasporto; PARK NOW è un sistema di coordinamento intelligente per i parcheggi in città; CARICA ORA, per caricare l’auto elettrica; GRATIS ORA, per guidare un taxi senza contanti e CONDIVIDI ORA con il quale puoi registrarti per noleggiare un’auto. Con i loro nuovi servizi, Daimler e BMW non solo smart diverse aree del traffico urbano, ma ottengono anche tonnellate di dati dai loro clienti. 

Nelle visioni delle società tecnologiche, ci sono solo auto a guida autonoma, tutte “condivise”. La guida autonoma significa che il tuo ambiente è filmato e condiviso in modo permanente, collegato a tutti gli utenti e una maggiore disponibilità tramite i tuoi dati. Le vere intenzioni di Smart City, maggiore controllo e profitto sono sempre velate da bugie verdi. Il greenwashing è stata la strategia di marketing più efficace e popolare da quando è iniziato il movimento Fridays For Future. Sosteniamo le persone che condividono amici o vicini per condividere automobili. Tuttavia, la lotta deve continuare ad essere annunciata per progetti di smart city.

Perché in una città del genere una prigione sarebbe sempre meno necessaria per privarci delle libertà che abbiamo ancora. Sarebbe sempre più difficile violare le regole che ci vengono imposte. Non andiamo così lontano. Attacchiamo e superiamo il sistema che ha bisogno di una prigione (all’aperto)!

Solidarietà con i tre della panchina del parco!
Licenzia tutti i prigionieri – libertà per tutti i prigionieri!
Attacca Smart City!

Ecco un elenco di altri profittatori di prigioni, idealmente solo con il browser TOR:
https://ggboberlin.blackblogs.org/clickandact/profiteurinnen/
indirizzo web: http: // www …

In tedesco, lingua originale, qui: https://de.indymedia.org/node/54456

In francese qui: https://sansattendre.noblogs.org/post/2019/12/21/hambourg-allemagne-des-profiteurs-de-la-taule-attaques-la-flotte-de-car2go-et-drivenow-sabotee-17-et-18-decembre-2019/

Berlino – Azione contro Amazon

La notte di lunedì 16 dicembre 2019 abbiamo attaccato un Amazon Locker (Amazon Paketstation) nella strada provinciale di Berlino Wedding. Abbiamo reso la fotocamera, il display e lo scanner inutilizzabili fino a nuovo avviso. Vogliamo dare seguito all’azione di un’altra cellula autonoma femminista (FAZ) nell’agosto 2019 e portare il modello d’azione a Berlino. Amazon svolge un ruolo importante in tutto il mondo come fornitore di servizi tecnologici per la polizia, i servizi militari e segreti. Amazon Locker è ovunque e ha obiettivi facili.

Come descritto in dettaglio da un FAZ nel mese di agosto i in merito ad Amazon su larga scala nei contratti che offrono soluzioni tecnologiche per le istituzioni, per la repressione e omicidi di Stato. Ad esempio, il gruppo fornisce software di riconoscimento facciale (polizia di Washington) e servizi cloud (polizia federale tedesca) per la polizia, ii iii e per l’esercito americano, tra le altre cose, una tecnologia basata sull’intelligenza artificiale per la selezione di obiettivi militari iv .
Amazon è anche noto per la sorveglianza, lo spionaggio e il trattamento generale scadente dei suoi dipendenti. v

Ma cosa sono gli armadietti Amazon?
“Amazon Locker è disponibile nella maggior parte delle regioni in Germania. Sono stazioni automatiche di prelievo per pacchi Amazon. Nella maggior parte dei casi, si trovano nei locali di aziende partner, come le stazioni di servizio OMV. A differenza di altre infrastrutture Amazon, sono facilmente accessibili e incustoditi e quindi si offrono come obiettivo semplice e a basso rischio. La maggior parte di essi si trova all’esterno dell’edificio e sono accessibili 24 ore al giorno. La stazione di raccolta è una scatola di metallo blu scuro normalmente su cui si trova la grande Amazon e in cui uno schermo è incorporato nel mezzo. C’è una telecamera sopra lo schermo e uno scanner di codici a barre sotto lo schermo. ” Vi

Dato che gli armadietti si trovano spesso in aree residenziali, abbiamo deciso di evitare il fuoco come una forma di azione per evitare di mettere in pericolo le persone. Al fine di non attirare l’attenzione, questa volta abbiamo anche deciso di evitare la devitrificazione, poiché ciò è associato a molto rumore. Invece, abbiamo reso la macchina inutilizzabile con il colore.
In generale, ci sono molti modi per rendere inutilizzabile Amazon Locker e saremo felici di ulteriori azioni creative. Proviamo ulteriormente la forma di azione a Berlino e Amazon mostra che, come Google, non sono i benvenuti in città. vii

Perché anche Amazon non è un buon vicino!

Saluti e baci da
una cellula autonoma femminista (FAZ)

https://de.indymedia.org/node/35771ii https: //aws.amazon.com/de/blogs/machine-learning/amazon-rekognition-anno …
iii https: //www.n-tv.de/politik/Polizei-speichert-Bodycam-Daten-bei-Amazon-a …
iv https://www.wired.com/story/the-line-between-big-tech-and-defense-work/
https: //www.handelsblatt.com/unternehmen/handel-konsumgueter/armbaender -…
vi https://de.indymedia.org/node/35771
vii https://www.google-ist-kein-guter-nachbar.de/
indirizzo web: http: // www …

In tedesco, in lingua originale, qui: https://de.indymedia.org/node/54265

Madrid – Azione contro la Smart city

Madrid, Spagna: Attacco contro dieci automobili del servizio carsharing e contro le smart cities

In una monotona mattinata di lavoro, alcuni amanti della smart city e dell’ipocrisia dell’energia pulita, con le loro menti intossicate dalle app, hanno dovuto camminare molto prima di poter trovare un’automobile…

Durante la notte precedente e sotto la copertura della nebbia, dieci automobili del circuito di car sharing sono state attaccate in diverse zone di un quartiere di Madrid.

Contro la tecnologia, contro lo Stato e il mondo smart-zombie!
Lunga vita all’anarchia!

Alcuni Amici di Ludd

Testo in originale in spagnolo qui: https://anarquia.info/madrid-espana-ataque-al-car-sharing-contra-la-smartcity/

Qui in inglese: https://325.nostate.net/2019/12/12/madrid-spain-attack-against-carsharing-against-the-smartcity/

Presidi contro la Rete5G e i progetti di Smart City ad Oltressenda Alta e Bianzano

A maggio 2018 sono stati selezionati 120 piccoli comuni italiani per la sperimentazione della Rete 5G alla totale insaputa degli abitanti. Tra questi troviamo i comuni bergamaschi di Oltressenda Alta (Valle del torrente Ogna) e Bianzano (tra la Valle Seriana e la Val Cavallina) in cui verranno installati nuovi ripetitori per l’irradiazione del segnale 5G firmati Telecom Italia, Vodafone e Iliad che si prefiggono di rendere operativa l’infrastruttura entro il 2022.
Così – nel silenzio – sotto la bandiera della generosità tecnologica, i piccoli paesi diventano campo di prova – e quindi di avvio – del futuro “Smart” che vorrebbero propinarci e gli abitanti involontari oggetti di sperimentazione ad alte frequenze.
Radiazioni elettromagnetiche, antenne, telecamere e sensori andranno a ridisegnare anche i territori montani sottolineando quanto la rete 5G sia espressione di un sistema pervasivo e assolutistico.

Report dei presidi contro la Rete5G e i progetti di Smart City ad Oltressenda Alta e Bianzano:
Rocce spolverate di neve, silenzio ovattato e la calma cadenza di due piccoli paesi di montagna.
Lo striscione “Smart City e 5G: controllo, biometria, tumori e radiazioni” aleggia nell’abbraccio delle Alpi Orobie e si affaccia sui pendii della valle che si intrecciano ai piedi della montagna.
Ad Oltressenda Alta nessuno sa niente. Gli abitanti non sono stati informati di essere soggetti di una sperimentazione già in corso, della svendita dei territori e delle centinaia di antenne che verranno installate a breve. Lo Stato ha già venduto i lotti di frequenza e ora Vodafone, Telecom Italia e Iliad hanno il patrocinio statale per imporre radiazioni e controllo ai nasolinensi e ai vicini bianzanesi.
Il volantinaggio va bene e le persone si fermano a parlare con noi reagendo con interesse e voglia di mettersi in campo per informarsi e capire cosa sta succedendo.
Tra la chiesa e il comune abbiamo modo di conoscerci, guardarci in volto e prenderci il tempo per parlare insieme di cos’è la Rete 5G, quali implicazioni comporta e con che modalità viene imposta dall’alto.
Osserviamo che in un piccolo comune di 170 abitanti, solo nella piazza centrale ci sono 4 telecamere. A piccole dosi ci si abitua a questa normalità scandita da fotogrammi e registrazioni.
Nel primo pomeriggio ci spostiamo verso Bianzano, passando per altri piccoli paesi e silenziose aree boschive.
E’ il paese più piccolo della valle, 600 abitanti circa, e il suo borgo medievale si affaccia sul Lago d’Endine più in basso. Riusciamo a volantinare lasciando i nostri volantini in tutto il paese scambiando qualche informazione con chi incrociamo sulla strada.
Nella Sala della Comunità troviamo un momento per confrontarci con alcuni abitanti e qui la situazione è diversa. L’informazione (non ufficiale) della sperimentazione è girata, qualcuno si è informato e già se ne parla con disappunto. C’è già chi è contrario e rifiuta l’imposizione di scegliere sulla vita propria e di tutti. La rete 5G non la vogliono né lì né altrove. Questo trattamento non dev’essere riservato a nessuno. Non tutti hanno internet e non tutti hanno voluto adeguarsi al telefonino ma la retorica della “generosità tecnologica” per installare la rete 5G qui non funziona, anzi, c’è voglia di mettersi in campo, informarsi e fermare questa corsa alla digitalizzazione dei territori e dei corpi tutti.
Il tecnototalitarismo con i suoi apparati cerca di mettere le radici negli ambienti montani e geograficamente solitari attuando una strategia differente rispetto alla classica tendenza di utilizzare le città come polo di sviluppo di progetti pilota da poi imporre su tutto il territorio, ma utilizzando piccoli paesi isolati a bassa densità abitativa per attuare sperimentazioni di ingegneria sociale nel silenzio totale.
Poca risonanza, lontananza e poca opposizione (almeno così s’immaginano) sono gli elementi per mettere in campo progetti strategici per lo sviluppo di ambienti “smart” e sorvegliati in cui gli abitanti si trasformano in mere pedine di una SimCity a cielo aperto.

FERMIAMO I PROGETTI PER LA RETE 5G A OLTRESSENDA ALTA E BIANZANONO ALLA RETE 5G NE’ QUI NE’ ALTROVE
I CORPI E I TERRITORI SONO INDISPONIBILI

Per rimanere aggiornato sui prossimi appuntamenti e iniziative, tieni controllati i nostri siti:
Spazio di documentazione La Piralide www.lapiralide.noblogs.org  –  avvelenate@anche.no
Collettivo Resistenze al Nanomondo www.resistenzealnanomondo.org
Rete 5G Fermiamola ora! https://www.facebook.com/rete5gfermiamolaora/

Smascherare fisici, svuotare i laboratori

Niente, niente di più oggi distingue la Scienza da una minaccia di morte permanente e generalizzata: il litigio è chiuso, per sapere se dovrebbe garantire la felicità o la sfortuna degli uomini, tanto è ovvio che è cessato essere un mezzo per diventare un fine. La fisica moderna ha comunque promesso, ha sostenuto e promette ancora risultati tangibili, sotto forma di cumuli di cadaveri. Fino ad allora, in presenza di conflitti tra le nazioni, o persino del possibile annientamento di una civiltà, reagiamo secondo i nostri soliti criteri morali e politici. Ma qui è la specie umana destinata alla completa distruzione, sia per l’uso cinico delle bombe nucleari, anche se sono “pulite” (!), sia per le devastazioni dovute ai rifiuti che, nel frattempo, inquinano le condizioni atmosferiche e biologiche delle specie in modo imprevedibile, dal momento che il crescendo delirante delle esplosioni “sperimentali” continuano con il pretesto di “scopi pacifici”. Il pensiero rivoluzionario vede le condizioni elementari della sua attività ridotte a un margine tale che deve ritornare alle sue fonti di rivolta e, sotto un mondo che non conosce più ma che nutre il proprio cancro, trovare le sconosciute possibilità di furore.

Non è quindi a un atteggiamento umanista che ci appelleremo. Se la religione è stata a lungo l’oppio del popolo, la scienza è in una buona posizione per prendere il controllo. Le proteste contro la corsa agli armamenti, che alcuni fisici intendono firmare oggi, ci illuminano al massimo sul loro complesso di colpa, che è in ogni caso uno dei vizi più infami dell’uomo. Il petto che viene colpito troppo tardi, la garanzia data al tetro belato del branco dalla stessa mano che arma il macellaio, conosciamo questo antifone. Il cristianesimo e i suoi specchi ingranditori delle dittature della polizia ci hanno abituato.

I nomi ornati con titoli ufficiali, in fondo agli avvertimenti rivolti a corpi incapaci di eguagliare l’entità del cataclisma, non sono ai nostri occhi un privilegio morale per questi signori, che allo stesso tempo continuano a rivendicare crediti, scuole e carne fresca. Da Gesù in croce al lavoratore del laboratorio “ansioso” ma incapace di rinunciare a fabbricare la morte, l’ipocrisia e il masochismo sono uguali. L’indipendenza della gioventù, così come l’onore e l’esistenza stessa dello spirito sono minacciati da una negazione della coscienza ancora più mostruosa di questa paura dell’anno Mil che ha fatto precipitare generazioni verso i chiostri e i cantieri alle cattedrali.

Sulla la teologia della bomba! Organizza la propaganda contro i cantanti del “pensiero” scientifico! Nel frattempo, boicottiamo le conferenze dedicate all’esaltazione dell’atomo, fischiamo i film che indugiano o indottrinano l’opinione, scriviamo a giornali e organizzazioni pubbliche per protestare contro gli innumerevoli articoli, relazioni e programmi radiofonici, dove si diffonde spudoratamente questo nuovo e colossale inganno.

Parigi, 18 febbraio 1958
Comitato per il controllo antinucleare

Prime firme: Anne e Jean-Louis Bedouin, Robert Benayoun, Vincent Bounoure, Andre Breton, J.-B. Brunius, Adrien Dax, Aube e Yves Elleouet, Elie-Charles Flamand, Goldfayn Georges, Radovan Ivsic, Krizek, Jean-Jacques Lebel, Clarisse e Gerard Legrand, Lancillotto Lengyel, Jean-Bernard Lombard, Joyce Mansour, Sophie Markowitz, Jehan Mayoux, ELT Mesens, Jean Palou, Benjamin Peret, Jose Pierre, Jean Schuster, Jean-Claude Silbermann, Toyen.

Chiunque rifiuta di farsi imporre da squartatori diplomati sarà desideroso di unirsi alla loro protesta contro la nostra. Scrivi a CLAN (Comitato per il controllo antinucleare), 25 avenue Paul-Adam, Parigi (17).

***

PS. Jean-Jacques Lebel, uno dei firmatari di questo appello, interrogato sulle circostanze della sua stesura, racconta: “(Questo manifesto) è stato scritto e distribuito alla Sorbona (con una lotta per la chiave), in occasione di una conferenza di Robert Oppenheimer, che sosteneva di essere anti-militarista e che alcuni avevano persino accusato di essere un “agente di Mosca”, ma che aveva svolto il ruolo che conosciamo nello sviluppo della bomba A di Los Alamos. I radicali anti-nucleare, nel 1958, contavano certamente sulle dita della mano ed era un’azione di ultra-minoranza. Se la parola “onore” ha un significato – che non sono sicuro – è stato l’onore dei surrealisti di essersi opposti in modo assoluto e praticamente da soli, non solo alle armi nucleari, ma a tutta l’industria nucleare.”

***

P.PS. La caratteristica di un classico è quella di raggiungere una rilevanza oltre i luoghi, il momento e le circostanze che ne determinano la scrittura. L’appello di André Breton e del Comitato per il controllo antinucleare è uno di questi classici, che, non avendo mai smesso di guadagnare rilevanza, appare 60 anni dopo la sua pubblicazione su una serie di siti antiindustriali e finisce a diventare udibile in lontananza fino alle orecchie del “branco” fino al “triste belare”.

Noi, Pièces et main d’œuvre, l’abbiamo distribuito a Grenoble, nell’agosto 2018, durante un dibattito presso la “Solidarity and Rebel Summer University”, dove ci siamo confrontati con il biologo Jacques Testart, uno dei coproduttori di Amandine, nel 1982, che è al “procreativo” ciò che sono stati i fisici allertati per l’industria nucleare. Belle anime con le mani sporche.

Il nostro volantino si è concluso così:

“Sessanta anni dopo, esercitazioni pratiche:
smascherare i genetisti, svuotare i laboratori
(piante, animali, chimere genetiche umane).

Smascherare i biologi, svuotare i laboratori
(biologia sintetica, riproduzione artificiale di animali e umani).

Smascherare i cibernetici, svuotare i laboratori
(intelligenza artificiale, macchine autonome, e-life).

Anche tu, smascherando gli scienziati, svuota i laboratori.
Abbasso i vigili del fuoco piromane. Non contiamo su coloro che creano i problemi per risolverli. “

Per vedere dove finiscono le “fini pacifiche” atomiche, vai a Bure, al centro di discarica di scorie nucleari e pensa a questi “radicali anti-nucleari”, che nel 1958 “erano contati sulle dita di “una mano” e il cui “onore” era la sola opposizione “all’intera industria nucleare”.

I 1.500 manifestanti che marciarono tredici anni dopo, contro l’apertura dello stabilimento di Fessenheim il 12 aprile 1971, si sentivano già un pò meno soli.

Gli strateghi accademici spesso ci rimproverano per la nostra opposizione “ultra-minoranza”, solitaria, “scollata” “insostenibile” (sic), in breve, prematura. È del tutto vero, ad esempio, che i firmatari dell’appello contro tutta la riproduzione artificiale dell’essere umano (1) non sono più numerosi di quelli della chiamata a smascherare i fisici e svuotare i laboratori. Almeno condividono con loro l’incerta consolazione dell ‘”onore salvifico”, mentre aspettano – chi lo sa? – vedere folle manifestare un giorno contro i laboratori eugenetici di riproduzione artificiale.

Pièces et main d’œuvre
Grenoble, 4 novembre 2019

(1) In La Décroissance , ottobre 2019 e qui

Traduzione da principiante, originale in francese qui: http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=1205

Testo in pdf:

Atene, Grecia – Attacco contro la Smart city

Riveduto il 06/12/2019

Mentre la spazzatura in uniforme occupava un’altra notte Exarchia e il centro di Atene, per realizzare i sogni del signor Chryssochidis di una città morta e sicura, i nostri modi portano a un bersaglio morbido.

L’immagine di George Orwell “1984” è già realtà. L’internet delle cose implementa televisori, frigoriferi e altre cose elettroniche nelle nostre case, al fine di raccogliere i nostri dati, sorvegliare le nostre abitudini, trasformare la vita umana in algoritmo digitale. La chiamano Smart City, la chiamiamo una società totalitaria.

Una società che vende i prodotti duri della smart city e anche la sua ideologia, è la compagnia di sicurezza “alphacom”. Alphacom non solo fornisce questo, ma anche la tecnologia CCTV e altre attrezzature per i ricchi e per le autorità, per proteggere i loro interessi. E, ultimo ma non meno importante, alphacom sta vendendo e installando i prodotti di Tyco. Tyco è una società multinazionale che produce tecnologie di sorveglianza per le carceri di tutto il mondo e altre forze di sicurezza.
Nelle prime ore del 2 dicembre, abbiamo bruciato il furgone di Alphacom davanti al loro negozio a Kaisariani.

Questo incendio è stato acceso per il prigioniero anarchico Dino Giagtzoglou, che ha scritto una lettera all’Incontro internazionale contro la Techno-Scienze in Italia (luglio 2019) *

in cui menziona molte ragioni per combattere questa parte del sistema di potere capitalistico. Diamo il benvenuto alle prossime ricerche sui giocatori in questo gioco. **

Questo incendio è stato acceso anche per Loic, ancora in prigione ad Amburgo.

Infine, questo attacco è stato fatto in solidarietà e solidarietà con quelli perseguitati per il caso di autodifesa rivoluzionaria, così come quelli perseguitati per buone intenzioni, parentela o amicizia. La nostra forza e solidarietà sono superiori alla politica e alle operazioni repressive.

Forza ai compagni Michailidis, Athanassopoulou, Chatzivasileiadis, che sono nell’illegalità.

Gli anarchici

https://anarchistsworldwide.noblogs.org/post/2019/09/17/greece-italy-contribution-to-the-international-meeting-against-the-techno-sciences-by-anarchist-prisoner-dino-giagtzoglou/
** https://325.nostate.net/2019/11/14/new-research-focus-the-surveillance-industry/

(traduzione, fonte  https://athens.indymedia.org/post/1601654/ )

Info da: https://mpalothia.net/athens-greece-attack-against-surveillance-systems-company-in-kaisariani/