Nulla di piu’ lontano dalla liberta’. Dove siamo arrivate? Dove stiamo andando? Verso un presente e un futuro alienato, artificiale e di dominio. Sul Manifesto Xenofemminista

Inquietanti e pericolose fusioni stanno avvenendo tra alcune aree antispeciste e un femminismo che porta alla ribalta la metafora del cyborg della Haraway che, tra l’altro, con le sue argomentazioni offre una copertura ideologica e una giustificazione alla sperimentazione animale, all’allevamento, addestramento, uccisione di animali per scopi di ricerca e alimentari e all’ingegneria genetica. Nello specifico consiglio di leggere il saggio “Le promesse disattese dei mostri”, nel libro “Nell’Albergo di Adamo”. 1

Il soggetto si frantuma, al suo posto emerge il/la cyborg, figura post-genere, che dovrebbe scardinare il sistema dominante fondato sulle dicotomie sè/altro, femmina/maschio, natura/cultura, mente/corpo, uomo/macchina. La macchina attira, è libera dal genere, così come attirano le potenzialità delle biotecnologie per eliminare ogni diversità di genere, andando a confondere libertà con pratiche di dominio, prevaricazione e controllo sui corpi e sulle menti.
Una vicinanza trans-xeno-femminista, queer, antispecista, una moltitudine e grande famiglia di compagni di specie: alieni, ibridi, surrogati, strumenti viventi, oncotópe, queer, cyborg. La potenzialità che vedo è quella di cancellare ogni avversione a questo mondo, di cancellare anche solo il sogno di un mondo diverso, selvatico, corporeo, in grado di cancellare l’animale che siamo. Il cyborg è una metafora che si incarna. Che ha conseguenze. Un futuro, che è già presente, fatto di cavi in silicio, di macchine, di lotte virtuali, di rivoluzioni fatte a ormoni… In tutto questo un assente, l’Animale, niente di più lontano da una macchina. Dovremmo solo riscoprirci animali e carne del mondo.

“Alleanze transfemministe e queer in vista di una liberazione tecno-scientifica dei corpi e delle relazioni – di parentela, sessuali, genitoriali – dalle catene del biolavoro globale, allora è esattamente lungo i sentieri di questi processi e di questi desideri che la scienza e la tecnologia possono, forse, trovare la propria strada.” Federico Zappino, parole emblematiche. 2

Lo Xenofemminismo è figlio di questa società alienata e ipertecnologica e mi chiedo di quale libertà stia parlando, considerando che passa attraverso le tecnoscienze, proprio quelle che hanno portato all’attuale degradazione noi e l’intero pianeta in cui viviamo.

Si percepisce una fobia del corpo, della natura fino ad arrivare a negarla, “è solo una costruzione per reprimere il diverso, è reazionaria” si sente dire da un pò di tempo e sempre più spesso. E così, al di fuori dalla natura diventiamo macchine, anzi lo siamo già, “perchè in fondo siamo già soggettività ibride, siamo già tutte cyborg” pensiero che si è originato dalla Haraway e che sta trovando un terreno fecondo in cui svilupparsi. 3

L’ideologia del cyborg e il manifesto Xenofemminista rappresentano la fine della liberazione animale così come di ogni possibile liberazione. Sono ben evidenti vicinanze, punti di contatto e sovrapposizioni con le stesse logiche e strutture di dominio che si vorrebbero scardinare.
Dovremmo respingere e combattere queste posizioni, chi le appoggia e chi le diffonde. Anche se in veste diversa, non si è mai arrivate così vicino alle istanze, ai desideri, ai bisogni di transumanisti e biotecnologi, così vicino da fondersi con gli stessi imperativi di questo sistema. Un ibrido mal riuscito di un femminsmo hi-tech che spaccia istanze liberatorie e che si pone come forza in grado di scardinare il sistema, ma che in realtà ne è sostenitore e parte integrante.

  • Il nostro destino è legato alla tecnoscienza, dove nulla è tanto sacro da non poter essere riprogettato e trasformato in modo da allargare la nostra prospettiva di libertà, estendendola al genere e all’umano. […] Non vi è nulla, sosteniamo, che non si possa studiare scientificamente e manipolare tecnologicamente.

Riconoscere che siamo circondate e pervase da protesi tecnologiche non vuol dire accettarle, il punto è che le stesse premesse delle tecnoscienze vengono assunte come proprie e rivendicate.

La riprogettazione e modificazione degli elementi vitali, strettamente interconnessi alla sopravvivenza stessa del pianeta, la modificazione e riprogettazione dei corpi tutti, è il paradigma e l’operare di questo sistema.

Lo Xenofemminismo vuole schierare strategicamente le tecnologie esistenti per riprogettare il mondo, anche tecnocrati, transumanisti, bio e nano tecnologi… mi chiedo quale idea di mondo lo Xenofemminismo porti con sé.

Mi chiedo quali sarebbero questi fini progressisti di genere quando nel manifesto si parla di riprogettare il mondo, e i corpi, ammaliate dalle potenzialità delle biotecnologie. Non sarà possibile un’emancipazione con pratiche e tecniche che manipolano il vivente, il danno e il dominio sono insiti nella tecnica stessa insieme all’idea di mondo che le rende necessarie. Il danno è tanto più grave in quanto nessuna di queste tecnologie consente la valutazione dell’eventuale vantaggio che potrebbero apportare, non è negoziabile un limite “quantitativo” poiché il limite è “qualitativo”. Nessuna regolamentazione è accettabile perché la pratica stessa è inaccettabile.

Tutti quei rischi evidenziati dal manifesto Xenofemminista non sono semplici effetti collaterali, ma parte integrante di questi sviluppi tecnologici, gli effetti collaterali sono il normale procedere e diventano la normalità con cui convivere. Non può esistere un mondo liberato e tecnologico, non può esistere una tecnologia al servizio della libertà. Come possiamo pensare di rimanere soggetti attivi e di gestire o controllare certi processi? Questi processi non si possono gestire e comunque noi non li vogliamo, così come non si può gestire una centrale nucleare in assemblea e come, a prescindere, non vorremmo una società atomica.

Si legge un elogio alla razionalità, quando c’è un mondo infinito e indicibile che sempre sfugge alla nostra ragione e alla nostra concettualizzazione, la stessa natura, in fondo è un qualcosa di inspiegabile, di non conoscibile… Una presunzione e un’arroganza che mi rimanda a Bacone e Cartesio, in cui la natura era tutto ciò che la ragione e la scienza potevano conoscere per dominarla e sottometterla all’uomo. Pensiero, tra l’altro, estremamente antropocentrico.

  • Se la natura è ingiusta, cambiala!

    In sottofondo scorre il solito ritornello: avvalersi delle discriminazioni per arrivare a dire che la natura è ingiusta. Se, per secoli, il concetto di natura è stato usato dal potere per distinguere chi era ritenuto diverso, anormale, deviante, in base a norme sociali, culturali e politiche, per reprimerlo e normalizzarlo, questo non vuol dire che la natura in sè, e non resa concetto e potere normativo, sia portatrice di tali disuguaglianze e soprusi. Nessun culto della natura da parte nostra, e invece culto di una scienza emancipatrice e salvatrice che traspare da questo testo…
    Applicare i nostri valori e i nostri giudizi morali alla natura è evidente espressione del nostro antropocentrismo e nulla ha a che vedere con la “natura” intrinseca della natura.

Il problema non è certamente la natura, la crisi ecologica in atto mette in evidenza proprio la sua indispensabilità e l’impossibilità di sostituirne o di artificializzarne i processi.

Leggere che il femminismo deve essere un razionalismo mi fa rabbrividire, visto che nella storia del patriarcato è stato anche proprio il razionalismo a reprimere la donna.
Il patriarcato come nuovo potere scientifico e tecnologico fu una necessità politica dell’emergente capitalismo industriale.

Il sistema tecno-industriale nella sua avanzata ha esteso i territori da accaparrare e sfruttare, rendendo merce ogni essere vivente e mercificando gli stessi elementi vitali, che diventano mera “risorsa” acquisendo un valore economico per ciò che producono di sfruttabile.

Il valore in sé è distrutto. Così un fiume non ha valore perché parte integrante di un ecosistema e una foresta non è percepita come una fitta rete di interrelazioni vitali, ma fiume e foresta sono considerati e resi risorse da depredare. Così i semi terminator della Monsanto sono modificati geneticamente per essere resi sterili. Così ci facciamo inseminare, affittiamo l’utero e produciamo un figlio. Così ci facciamo bombardare da ormoni per produrre un sovrannumero di ovuli al fine di venderli.

Nessun essenzialismo, ma un’opposizione alle logiche di mercificazione di questo sistema tecno-industriale dove tutto è merce, tutto è quantificabile e soggetto al criterio dell’utile, tutto è in vendita, tutto è ingranaggio in una mega macchina che stritola i corpi e il mondo intero.

  • […] dobbiamo progettare un’economia che liberi il lavoro riproduttivo e la vita familiare[…]

A parte che mi sembra assurdo includere in un linguaggio economico la procreazione, ma mi chiedo cosa voglia dire liberarci dal lavoro riproduttivo: non fare più figli? Ricorrere alla procreazione artificiale e sognare mondi futuri di gravidanze extrauterine? Esperimenti in questa direzione già sono stati fatti, facendo nescere in uteri artificiali dei vitelli. Se i nostri desideri vanno pari passo con gli scenari da incubo di questo sistema, forse bisognerebbe porsi qualche domanda…

Interessante inoltre questa futurità femminista dello Xenofemminismo che si sposa con la domotica, e perchè no, magari un bel microcip impiantato nel braccio. Trovo a dir poco agghiacciante il collegamento logico dalla casa al corpo, proprio ben situato nel paradigma di dominio. Compagnie come l’IBM e Google sarebbero molto in sintonia con questi pensieri e appoggerebbero senza dubbio questo nuovo femminismo… Mi sembra di sentire i maggiori sostenitori delle tecnoscienze: già abituati alla protesi del telefono cellulare non sarà difficile far passare un microcip da impiantare nel nostro corpo per esempio per un’analisi dei livelli di alcune sostanze, un continuo monitoraggio e controllo con l’illusione di farci vivere in salute e più a lungo. Ci facciamo anche noi ammaliare da queste promesse? Il fall-out radioattivo non ci ha insegnato proprio niente?

Siamo animali tra altri animali. Abbiamo dei limiti come esistono dei limiti nel pianeta che ci ospita. Ci ammaliamo, muoriamo. Un desidero di onnipotenza è insito nel voler superare a tutti i costi malattia e morte. Il postumano dei transumanisti, le nuove soggettività in divenire dello Xenofemminismo ci libereranno da ogni male, amen.
La sofferenza, la malattia, così come anche il desiderio di avere una figlia di una donna con difficoltà a procreare, non possono rappresentare il criterio con cui costruire la nostra analisi, altrimenti sarà fuorviata da sofferenze, bisogni e interessi personali.

Se il nostro sguardo va oltre un piano personale, la proposta avanzata circa la primaria importanza della “libera e autogestita” distribuzione di ormoni mi sembra eccessiva. Leggere che gli ormoni hackerano i sistemi di genere attraverso una portata politica mi fa risuonare l’eco di Beatriz Preciado secondo la quale prendere testosterone è un atto politico e ci fa diventare dissidenti.4 Penso che i problemi ecologici-sociali-politici che si pongono davanti a noi siano ben altri e ben altre le possibilità di rottura con questo sistema eteronormativo, sessista, patriarcale.

“L’incrocio transgenico inquina, sfida la sacralità della vita, destabilizza, mette in discussione le specie, così come l’oncotopa. Confini che spariscono e nuove soggettività in divenire.” 5 In questa lettura attenzione a non far sfuggire un particolare fondamentale. Si sta parlando di un qualcosa che si crea in un laboratorio, un laboratorio che apre il proprio campo sperimentale al mondo intero. Il laboratorio, così come l’allevamento, è una struttura di potere: all’interno del quale l’animale, a differenza di quello che afferma la Haraway, non può avere uno spazio di libertà, ma solo essere oggetto di coercizione, così come tutto ciò che esce da un laboratorio non può essere considerato quale elemento potenzialmente in grado di scardinare una struttura di potere di cui è intriso. Che logica perversa.
Non dimentichiamo che si sta filosofeggiando sui corpi e, nel mentre, nuove oncotópe nascono per l’industria della biotecnologia e all’orizzonte nuove chimere transgeniche ci ricordano che non c’è tempo da perdere.

                                                                                                      Silvia Guerini, Marzo 2017
                                                                                                      www.resistenzealnanomondo.org

1 Weisberg Zipporah: Le promesse disattese dei mostri. La Haraway, gli animali e l’eredità umanista in Massimo Filippi e Filippo Trasatti (a cura di) Nell’Albergo di Adamo. Gli animali, la questione animale e la filosofia. Mimesis Edizioni.

2 Federico Zappino: Una riflessione a partire da “Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera” di Melinda Cooper e Catherine Waldby (a cura di Angela Balzano, DeriveApprodi 2015) www.lavoroculturale.org/sulla-maternita-surrogata

3 Donna J. Haraway: Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo. Feltrinelli.
Rosi Braidotti: Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte. Derive Approdi.
Rosi Braidotti: Per amore di zoe. Intervista di Massimo Filippi ed Eleonora Adorni. Liberazioni, rivista di critica antispecista, numero 21, estate 2015

4 Judith Butler e Beatriz Preciado a dibattito, intervista su:
www. incrocidegeneri.wordpress.com

5 Per approfondimenti rimando a un testo significativo, anche se è una lettura che si è diffusa oltre la stessa Haraway:
Donna J.Haraway: Testimone_Modest@ FemaleMan©_incontra_Oncotopo. Femminismo e tecnoscienza. Feltrinelli.