Non una semplice isola

37.374 ettari di territorio sotto controllo militare con la presenza di poligoni missilistici, poligoni per esercitazioni a fuoco terrestri, aeree e navali, aeroporti militari e depositi di carburante. I due poligoni più grandi dello Stato italiano, uno dei quali il più vasto d’Europa con un’estensione a mare oltre l’intera superficie dell’isola stessa. Il 60% delle installazioni italiane-Nato. Eppure la presenza militare in Sardegna non si ferma entro i soli perimetri delle basi militari. Gli aerei che partono per la Libia volano dall’aeroporto militare di Decimomannu, le forze armate israeliane si addestrano nei poligoni di Capo Frasca e Teulada, le bombe lanciate in Yemen vengono prodotte nel Sulcis dalla fabbrica RWM di Domusnovas. Una lunga lista di eserciti e aziende della guerra si addestrano e testano le nuove armi proprio nell’isola.

La lotta contro l’occupazione militare in Sardegna, dunque, si inserisce necessariamente all’interno di una più vasta lotta contro l’imperialismo, gli eserciti di Stato e il Capitalismo. La centralità dell’isola nelle politiche imperialiste ha radici lontane: per la Nato e gli Usa rivestiva un ruolo strategico importante in virtù della sua posizione geografica, tanto che in una nota della Cia del ’57 veniva “considerata nei piani di guerra degli Usa”. Non solo: le basi erano importanti supporti logistici e operativi utili in caso di conflitto, ma soprattutto erano terra di esercitazione, addestramento e sperimentazione. Di lì a poco, tra il 1955 e il 1956, vennero così installate in Sardegna alcune delle più importanti basi militari d’Europa: Teulada, Decimomannnu-Capo Frasca e Perdasdefogu-Quirra. Tra queste, Capo Frasca veniva inserita in un triangolo strategico insieme alle basi di Aviano e di Ghedi Torre dove si sarebbero addestrati piloti Nato alla guerra atomica. Oggi i venti di guerra sono cambiati, ma il Mediterraneo rimane per la NATO uno degli scenari strategici: ed ecco che ancora ad oggi, le alte sfere dell’esercito ribadiscono la necessità degli USA di tenere la Sardegna come luogo strategico militare (vedi dichiarazioni dell’ammiraglio S.J. Locklear, comandante della Nato per il Sud Europa e per l’Africa). Dall’altro lato, negli ultimi anni le basi hanno rafforzato un altro aspetto importante: si chiama business economico, o meglio sfruttamento legalizzato. I poligoni sono diventati una delle sedi preferite dalle industrie belliche per testare i loro prodotti e mostrarne l’efficacia ai compratori. Sofisticati sistemi d’arma targati Fiat, Alenia, OtoMelara, Finmeccanica, Thompson, Aerospatiale, solo per citarne alcuni. Prezzo d’affitto: 50 mila euro l’ora.

INTORNO ALLE BASI

L’insediamento delle basi militari deve essere inserito anche all’interno di una politica tutta “nostrana” in cui lo Stato ha saputo farne un valido strumento di controllo del territorio e delle sue comunità; un controllo non solo militare, ma soprattutto sociale basato sulla profonda penetrazione di un’economia militare che si è progressivamente imposta quale unico e possibile modello di sviluppo.
Tra le principali conseguenze che ricadono sui territori circostanti le basi troviamo:

  • sottrazione di sovranità: le popolazioni subiscono decisioni prese completamente al di fuori del proprio controllo, estranee ai propri interessi, senza avere alcuna voce in capitolo, anzi spesso volutamente disinformate dalle autorità;

  • cristallizzazione economica (se non arretramento): tutti i paesi mostrano un tasso di disoccupazione maggiore alla media in Sardegna (e tra le più alte rispetto alle regioni italiane) e in generale uno smantellamento dell’economia tradizionale e legata al territorio, sostituita da un’economia di dipendenza dalle briciole date dal sistema militare con sussidi, indennizzi e una manciata di posti di lavoro nelle basi.

  • spopolamento: costante spopolamento, dovuto soprattutto all’emigrazione, delle comunità intorno alle basi; Teulada dal 1961 ad oggi ha perso il 41% degli abitanti, Perdasdefogu un quarto della sua popolazione.

  • distruzione del patrimonio archeologico e naturalistico: vale per tutti il caso del complesso carsico di S’Ingutidroxa presso il PISQ (Poligono Interforze del Salto di Quirra).

  • inquinamento tanto da causare modificazioni genetiche negli organismi vegetali ed animali e diffusione di alcune patologie (aumento dei malati di diabete fino al 300%, disturbi alla tiroide, ecc.), linfomi e cancri di vario genere, aborti e malformazioni negli animali e nell’uomo. Nella sola Escalaplano negli anni ’80 nascono 11 bambini con evidenti malformazioni ed handicap fisici gravi; 6 di loro vengono alla luce nel 1988, un anno che registra statisticamente circa il 25% di nascite anomale. Dal 1998 al 2008 i militari e i civili che abitano a lavorano a Quirra hanno mostrato una presenza di tumori 10 volte superiore alle statistiche nazionali e 16 volte per quanto riguarda le leucemie. E’ la cosiddetta Sindrome di Quirra causata, come rivelarono gli studi di una ricercatrice dell’Università di Modena, dalle azioni militari nella base: “Ci sono polveri sottilissime di metalli nelle foglie di lentischio prelevato a Quirra, nei linfonodi, nel fegato e nei reni delle persone malate. Le stesse ritrovate nei tessuti dei militari reduci dalle missioni nell’Ex Iugoslavia. Nanoparticelle che per forma e dimensione possono essere causate solo da combustioni a certe temperature e da esplosioni: ci sono metalli combinati tra loro che non esistono sui libri”. Le nano particelle di materiali esplodenti e di metalli, quindi, insieme alla presenza di un campo magnetico elevato (frutto delle attività dei radar militari) tra le principali cause delle neoplasie al sistema emofiliaco.

GRANELLI E INGRANAGGI

Il diffuso sentimento popolare contro la presenza delle basi, i loro orrori ambientali e gli effetti devastanti sulla salute umana e animale ha portato nell’ultimo anno una nuova ripresa della lotta contro le basi. Una lotta che ha origini antiche e che ha visto diverse fasi e modalità di azione. In questo contributo vogliamo però ricostruire le tappe di questi due ultimi anni perché pensiamo sia importante per definire anche nuove prospettive e azioni in rete. Il momento simbolico da cui partiamo è quello della manifestazione di Capo Frasca nell’estate 2014 per arrivare a quello più recente della manifestazione del 23 Novembre 2016. Due date che, a nostro avviso, tracciano un percorso importante per tanti aspetti, ma uno in modo particolare: segnano, infatti, il passaggio dalla rappresentazione del dissenso all’azione diretta. La lotta contro le basi, infatti, si è spesso giocata su due binari: uno più orientato alla manifestazione del “dissenso” e al tentativo di coinvolgere ampi strati della popolazione per avere una forza maggiore nel chiedere lo smantellamento delle basi, un’altra più orientata all’azione diretta che creasse disagio e perdita di profitto al sistema militare. Due modalità che in qualche modo si sono manifestate in contemporanea proprio nella manifestazione di Capo Frasca, durante la quale c’è stato sia il momento del dissenso, con la presenza di migliaia di persone e vari interventi dal palco allestito dagli organizzatori, sia il momento dell’azione diretta con la rottura delle reti e l’ingresso di centinaia di manifestanti dentro la base. Da quel momento sono stati diversi i momenti di lotta che hanno visto l’organizzazione di altre manifestazioni, tra cui quella di Cagliari del 13 dicembre 2014, a diversi momenti di azione diretta tesi a impedire lo svolgimento delle esercitazioni, come l’invasione della base di Teulada (con la sospensione delle esercitazioni a seguito della rottura delle reti e l’ingresso di alcuni e alcune dentro il perimetro), il tentativo di blocco della “nave gialla” al porto di Sant’ Antioco, la manifestazione di Decimomannu per bloccare l’esercitazione Starex (la principale esercitazione aeronautica delle forze NATO prevista per il 2015) e il blocco il 3 Novembre 2015 della più grande esercitazione Nato del post Guerra Fredda, la Trident Juncture, con l’ingresso di alcuni e alcune nella base di Teulada. Ultima, la manifestazione del 23 Novembre a Capo Frasca durante la quale, in occasione della riapertura del calendario delle esercitazioni, centinaia di persone si sono trovate davanti la base tagliando decine di metri di rete. In occasione di quest’ultima, è importante sottolineare come la lotta alle basi militari e al militarismo si sia estesa oltre mare, attraverso diverse azioni solidali tra Pisa, Trento e Milano in concomitanza con la manifestazione che si svolgeva in Sardegna.

Tutte queste tappe, ognuna con le sue peculiarità e criticità, rafforzano la nostra idea che la direzione presa sia quella più giusta al momento: l’azione diretta dà la possibilità a ognuno, secondo le proprie modalità, di partecipare in modo attivo alla lotta, di affinare una coscienza individuale e collettiva al tempo stesso, e soprattutto di creare una diseconomia a chi per anni ci ha imposto un’economia di dipendenza e stretto intorno solo filo spinato e catene. Non solo, offre la possibilità di intessere nuovi pratiche solidali con chi lotta contro il militarismo nel proprio territorio con la prospettiva di creare sempre più momenti di azione dislocati in posti lontani, ma accomunati da un unico obiettivo: nessuna pace per chi vive di guerra.

Collettivo S’idealibera, https://sidealibera.noblogs.org/, evaliber2@inventati.org

Dal giornale ecologista L’Urlo della Terra, num.5, Luglio 2017