La metamorfosi del mondo

Metamorfosi

La metamorfosi è qualcosa di profondamente diverso rispetto a un cambiamento.
In un cambiamento alcune cose mutano ma altre possono rimanere uguali, la metamorfosi invece è una trasformazione totale e radicale che si spinge fino a ciò che costituisce l’essere umano e l’intero vivente. La metamorfosi, quando è completa, arriva ad avere il carattere dell’irreversibilità.
È in atto una profonda metamorfosi dell’essere umano: ciò che stà mutando è il nostro modo di sentire, di vedere, di pensare, di percepire il nostro corpo e i corpi tutti, di relazionarci al mondo e di conseguenza di agire nel mondo e nella realtà attorno a noi. Sentire, vedere, pensare, relazionarsi è quello che porta a un agire.
Vengono minate le basi per un sentire altro, per un immaginare altro e quindi per negare l’esistente e per un agire contro.
Le nuove generazioni non avranno la capacità di comprendere neanche l’idea che possa esistere un modo altro, un mondo altro. Bambine cresciute con un’interfaccia virtuale per una relazione mediata da uno schermo, la protesi del telefono cellulare, i social network: l’essere perennemente interconnesse trasforma il modo di percepire se stesse, gli altri, le relazioni e la stessa realtà. Percependoci come un nodo di un terminale, perfettamente in sintonia con una città sempre più cablata sotto gli occhi di telecamere e di passaggi controllati, diventiamo dei transiti della rete globale. Nella normalità del passare la tessera elettronica ad ogni entrata di una metro un microchip sotto pelle non è così lontano da ciò che gradualmente potrà diventare la normalità.
Il silenzio complice di un’intesa contiene più vicinanza e significato della comunicazione virtuale del cyborg-attivismo da poltrona segno di questi tempi. Ben lontano e al sicuro dalla vita reale, senza sudore e senza il fiato che si spezza.
La metamorfosi si spinge fino ad assumere le caratteristiche di una trasformazione antropologica dell’essere umano: un essere ibrido, senza identità, se non quella costruita sui propri profili, senza punti di riferimento fermi. Il risultato è un individuo frammentato e infinitamente manipolabile, un atomo individualizzato dove non è l’unicità e la diversità del singolo che conta, ma il medesimo trasparente perennemente esposto in vetrina sui social network e diponibile alle esigenze del sistema. Le uniche differenze ammesse sono quelle di fatto conformi al sistema e quelle sfruttabili nel nuovo mercato di consumi personalizzati dove le merci si vanno a confondere con le terapie individuali della medicina predittiva.
Nella fluidità delle merci, perfettamente conforme al modello dominante, la pluralità arcobaleno, la fluidità del genere è in realtà un’omologazione a un unico modello, la x è un neutro maschile.
Anche il pensiero subisce una metamorfosi annichilendosi e degradandosi. Nella società della trasparenza e del livellamento possono esistere solo opinioni. Le opinioni non comportano conseguenze, superficiali, fugaci non lasciano traccia del loro passaggio e quando lasciano tracce, queste non sono abbastanza forti e resistenti per scalfire l’esistente. L’agire e la messa in gioco non sono mosse e rette da opinioni, essendo queste un terreno fragile e franoso.
In questa logica si può disquisire su tutto e il contrario di tutto può essere logicamente argomentato.
Nella metamorfosi il concetto limite si sgretola.

Produzione di realtà
Normalizzazione e Invisibilizzazione

Il processo tecnologico non produce solo strumenti, ma produce la stessa realtà attraverso la percezione che di essa si ha. È un processo che crea e modifica la realtà e nel mentre cambia gli stessi paradigmi di pensiero su come vediamo il mondo e noi stesse.
Non è lo stato con i suoi apparati burocratici e i suoi eserciti a determinare i paradigmi dominanti in un preciso periodo storico-sociale, sono le innovazioni tecnologiche, è lo sviluppo tecno-scientifico che crea e determina i paradigmi. Da sempre sono state le rivoluzioni scientifiche a farlo. Un paradigma è l’insieme di metodi sperimentali, di griglie di interpretazione, di modelli esplicativi, che traccia sia i problemi da analizzare sia le stesse soluzioni. Gli stessi strumenti vengono creati in base all’esperimento, in base a ciò che si vuole trovare e una volta realizzati andranno quindi a determinare lo stesso esperimento. Solo l’idea dell’elettricità come un fluido potè far concepire la realizzazione della bottiglia per imbottigliarlo. Solo un mondo percepito a scala nanotecnologica fa realizzare strumenti in grado di spostare atomi e questi non sono semplici strumenti.
Il cambio di paradigma fa vedere la stessa realtà in modo diverso, ma non è un semplice vedere, è un vedere che crea e modifica quella realtà. Priestley e Lavoisier videro la stessa cosa, ma per il primo all’interno del paradigma dominante già in declino erano corpuscoli, per il secondo a cavallo del nuovo paradigma che si stava affermando era ossigeno. Così come un microscopio a effetto tunnel non è un semplice strumento, ma costruisce un mondo in cui la materia è pensata, misurata e quindi modificata a livello nanotecnologico.
Già il pensare a un corpo come scomponibile rende il corpo stesso disponibile e modificabile. Il percepire i corpi scomponibili è il fondamento delll’ingegneria genetica e delle tecnologie di riproduzione artificiale.
Gli sviluppi tecnologici sono totalizzanti e pervasivi perchè determinano la stessa interpretazione -costruzione della realtà. Questo non vuol dire che non esista una realtà, questa esiste, ma quello che conta è come e cosa diventa poi reale. Cinque anni dopo Chernobyl un esperto del settore dichiarava:

“Il futuro dell’energia nucleare dipende da due fattori: dal suo funzionamento efficace e sicuro, e dalla percezione che sia efficace e sicuro”.

Fu l’evento mediatico dopo Chernobyl e dopo Fukushima a rendere visibile il rischio invisibile del disastro. Ciò che diventa percepito diventa la realtà. Su questo ruotano, quando occorre, sia la produzione della percezione del rischio sia la produzione del non sapere, l’invisibilizzazione del rischio e del disastro. Su questo viene alimentato il costante senso di insicurezza per avere un controllo che penetra in ogni aspetto della vita.
Non è un evento tragico a innescare il lampo fulmineo di una sottospecie di reazione emotiva, tutt’altro ovviamente sia di una reale emozione, nella forza della sua passione, sia di una presa di consapevolezza e del conseguente agire, ma è l’immagine dell’evento veicolata attraverso i media e i social network che filtrano, strumentalizzano, esaltano, banalizzano in base all’occasione. Quell’immagine e la percezione di essa prendono il posto di quello che succede là fuori, fuori dallo schermo, fuori dallo spettacolo e fuori dalle griglie che ingabbiano una reale presa di consapevolezza.
Lo stato e i suoi apparati sono certamente necessari, ma funzionali al processo tecnologico. Un processo che si incarna nei centri di ricerca, nei colossi come Google, IBM, Microsoft, nelle multinazionali agro-alimentari, farmaceutiche e biotecnologiche.
Ciò che prima era impensabile ora viene dato per scontato. La discussione si sposta non su quello che è eticamente lecito, ma solo su quello che è tecnicamente possibile. La tecnologia sposta il limite. Dal respingere con orrore al respingere senza orrore, dalla perplessità fino alla convinta accettazione. Diventa normale ciò che prima non appariva per niente tale. I nuovi sviluppi tecnologici si affermano in un contesto in cui la moralità, la liceità scompaiono davanti agli imperativi tecnici, in cui si riducono alla possibilità. Una pratica diventa considerata accettabile semplicemente perché è realizzabile.
Il golfish, pesce rosso transgenico che brilla al buio, è un esempio inquietante, e bisognerebbe inquietarsi, ma di quell’inquietudine che spinge all’agire, di come le persone si stanno abituando a delle modificazioni genetiche per motivi esclusivamente estetici.
Günther Anders [1] scrive che nulla di più falso è il pensiero per cui vivremo già nell’epoca dell’angoscia. Questa tesi ci è inculcata da chi teme solo che si possa realizzare la vera paura, adeguata al pericolo. Scrive che viviamo invece nell’epoca della minimizzazione e dell’inettitudine all’angoscia in cui non bisogna aver paura della paura, ma avere il coraggio di aver paura e anche quello di far paura. Un’angoscia senza timore e vivificante, che non ci paralizza o non ci rinchiude in noi stesse, ma che ci fa agire.
Il processo tecno-scientifico produce il disastro e lo normalizza. La normalizzazione invisibilizza il disastro. Una strategia di invisibilizzazione è spostare il piano dagli effetti sulla salute e sugli ecosistemi al piano dei costi economici e della gestione amministrativa: il problema delle evacuazioni dopo Fukushima divenne un problema di gestione amministrativa, il piano venne spostato sulle conseguenze sociali di un’evacuazione di massa, non sui reali effetti dell’esposizione alla contaminazione.
La normalizzazione produce accettazione, ciò che diventa normale diventerà accettato. Viviamo in una società del rischio dove il rischio globale non significa solo catastrofe globale, ma convivere con la costante previsione della catastrofe. E questa convivenza diventa la normalità.
La considerazione che non riusciranno mai a far fronte a dei limiti biologici non deve rassicurarci, nel tentativo di superare questi limiti nuove chimere transgeniche prenderanno forma e moriranno nei freddi laboratori. Il sistema tecno-scientifico non produce catastrofi solo con le conseguenze del proprio operare, ma la catastrofe è già implicita nella direzione di una ricerca anche se non otterrà i risultati prefissati e anche se non uscirà mai dal laboratorio.
La realtà delle conseguenze della radioattività, delle nanoparticelle, degli organismi geneticamente modificati diventa un insieme di dati. Diventa la misurazione di variabili e le loro interpretazioni. Questo è in mano al sistema tecnico, ma in certe occasioni anche noi siamo chiamati a cogestire la fabbricazione della realtà e la conseguente cogestione del rischio o del disastro. A Fukushima le persone si autoproducevano i contatori geiger per misurare i livelli di radioattività.
Anche lo scopo del potere e gli stessi rapporti di potere subiscono una metamorfosi, se prima si poteva affermare che il guadagno economico era il principale motore, ora è riduttivo pensare che lo scopo sia solo il profitto. Lo scopo è soprattutto il controllo e la gestione. Controllo e gestione di dati, di informazioni e dello stesso rischio. E la produzione, valutazione, definizione, classificazione, monitoraggio, gestione del rischio, è in mano agli esperti e ai tecnici.
Pensiamo alle ricerche sulle cellule staminali che si fondano sulla capacità generativa delle donne da cui i laboratori traggono non solo profitti, ma materiali. Gli ovuli e gli embrioni per la ricerca derivano dalle cliniche di procreazione medicalmente assistita. Il trarre materiale umano nella scissione del processo generativo ha conseguenze che si spingono oltre al mero guadagno economico.
I laboratori di ricerca parlano di gestione di materiale biologico in eccedenza, ma non si tratta di questo, non è semplice materiale in eccedenza. È prodotto apposta per soddisfare le esigenze delle ricerche in un processo di produzione incarnata e in questa espropriazione si gioca il significato di essere umano.
Nella costruzione di una realtà del paradigma tecno-scientifico e nella sua decostruzione a opera del post-modernismo si ottiene lo stesso risultato: l’unico esistente è quello della macchina tecnologica.
Nello stagno post-moderno tutto è relativo, non esiste una realtà e se non esiste una realtà, non esiste nemmeno il sistema di potere contro cui rivoltarsi. E decostruito pure il soggetto non esiste neanche più un soggetto politico in grado di disgregare, ma realmente, l’ordine esistente.

Degradazione

La degradazione colpisce non solo la Terra, ma anche il pensiero e anche quello che si presuppone dovrebbe essere un pensiero radicale.
La degradazione arriva fin dentro gli stessi contesti che si pensa siano immuni e liberi da condizionamenti e dalle stesse logiche che si dovrebbero contrastare. Modalità che inizialmente sarebbero dovute servire per mettere in discussione la prevaricazione e per mettere in luce la questione del consenso, sottendono un’incapacità nel relazionarsi e arrivano ad essere spinte fino a degenerare e a minare gli stessi presupposti di un rapporto e della stessa responsabilità. Un incontro tra due persone è fatto di sguardi, intese e anche malintesi, insicurezze, incognite, imprevisti. Questo è quello che rende autentico un incontro con l’altro.
Un cartellino con scritto se sono impegnata o no, un foglio da leggere prima di entrare in un posto con i diktat su quello che è ammesso e non ammesso fare, non sono modalità liberatorie, ma sono degenerazioni di un qualsiasi autentico incontro. Le infinite possibilità non si possono prevedere, scansionare e ridurre a un elenco. Esporre, rendere trasparenti tutte le possibilità ammesse e non ammesse è perfettamente conforme alla società della trasparenza, dove tutto è esposto e trasparente, è perfettamente conforme con la società cibernetica dove tutto è prevedibile e calcolabile.
Delegando la compresione a un cartellino, delegando la responsabilità agli elenchi si polverizza la capacità di comprenderci e di comprendere l’altro. Così si va a modificare nel profondo noi stesse, metamorfosi perfettamente in linea con l’umano incapace di relazionarsi della società tecnologica.

“L’amore senza una lacuna nella visione è pornografia. E senza lacune nella conoscenza, il pensiero si riduce a calcolo.” [2]

Viviamo in tempi in cui alcune aree del femminismo, del movimento LGBTQIA, queer spacciano pratiche e logiche di mercificazione per libertà e autodeterminazione. Prostituzione, utero in affitto e come ultima tendenza gli ormoni alle bambine e bambini. Perfettamente in sintonia con il neoliberismo si diventa imprenditrici di noi stesse offrendoci come merce. L’”auto-sfruttamento” è più efficacie dello sfruttamento da parte di un terzo o del sistema perchè è mascherato dalla retorica della libera scelta e della libertà. Come se la schiavitù diventasse accettabile se fosse scelta liberamente. L’auto-sfruttamento porta alienazione da sè stesse e dal proprio corpo, l’autorealizzazione è in realtà autoannullamento.
Questo è un dispositivo di potere della società del controllo e della cogestione, dove noi stesse siamo chiamate a cogestire gli stessi disastri con una partecipazione attiva, diventando attive non percepiamo più che in realtà siamo ancora nella morsa del sistema e non ci rendiamo conto che stiamo solo oliando i suoi ingranaggi.

Post gender – Post human

Dal transumanista James Hughes: Verso un futuro post genere
Il post-genderism è una interpretazione radicale della critica femminista al patriarcato e al genere, e la critica genderqueer del fatto che il genere binario costringe il potenziale dell’individuo e le nostre capacità a comprendere e comunicare con le altre persone. Il post genere trascende l’essenzialismo e il costruzionismo sociale assertendo che la libertà dal genere ha bisogno sia della riforma sociale sia delle biotecnologie. Nonostante un benessere nella variazione antropologica e storica dei ruoli di genere, inclusa l’esistenza del 3^ ruolo di genere (neutro), non c’è traccia di una società libera dal genere. Oggigiorno i nostri sforzi nella creazione di società di generi neutrali hanno anche raggiunto il limite del genere biologico.
Oggi tuttavia, biotecnologie, neuroscienze e tecnologie di informazione rendono possibile il completamento del progetto di liberazione di noi stessi dal patriarcato e dal genere binario. Le tecnologie postgenere porranno fine alla propria identificazione sessuale e biologica statica, permettendo agli individui di decidere per sé stessi quali tratti di genere biologico e psicologico desiderano tenere o eliminare.
(Postgenderism: beyond the gender binary
George Dvorsky and James Hughes, PhD Institute for Ethics and Emerging Technologies, March 2008)

Dovrebbe destarci sospetto quando alcune rivendicazioni vengono riassorbite dal sistema, in questo caso ci troviamo davanti a una perfetta sovrapposizione e sintonia tra le rinvedicazioni post gender e post human, tra le rivendicazioni del queer e del transumanesimo. Il punto di incontro è l’apoteosi della tecnologia vista come mezzo per liberarci dai limiti del corpo, per superare il corpo, per cancellare il corpo, per modificare il corpo. Il corpo è percepito come la catena della biologia, come un mero involucro di cui possiamo liberarci, che possiamo migliorare e modificare grazie alle tecnologie. Il punto di incontro è il voler cancellare ogni limite. Il punto di incontro non può che essere il cyborg.
Il queer si presenta come un pensiero rivoluzionario, ma i suoi fondamenti corrono insieme alle tecno-scienze, corrono insieme al transumanesimo.
Se non esiste un limite tutto è possibile e le potenzialità di questo affascinano i tecno-scienziati, i transumanisti e il movimento queer.
Ecco il mondo post gender e post human che è già presente: nei manuali medici invece che vagina c’è scritto “front-hole”, buco di fronte e invece che taglio cesareo c’è scritto “window-birth”, finestra di nascita. Inoltre la raccomandazione della British Medical Association per i medici è di evitare l’espressione “mamme in attesa” o “donna che partorisce” per dire “una persona che partorisce” e invece di “allattamento al seno” dire “allattamento al petto” in quanto potrebbero offendere e discriminare le persone transessuali.
Non sono semplici tendenze linguistiche. È una precisa scelta che vuole cancellare la dimensione della procreazione e la dimensione della sessualità del corpo femminile. Nel caso di un transessuale che porta avanti una gravidanza dopo l’interruzione degli ormoni, non dimentichiamo che è la sua parte femminile che è rimasta incinta e che è in grado di portare avanti la gravidanza. Un uomo non può rimanere “incinto” ed è una differenza sostanziale, materiale, corporea. Nessun essenzialismo, semmai materialismo, la materia della carne.
Da un lato abbiamo il sistema che ha bisogno di corpi materiali e dall’altra parte dispositivi di potere e di risignificazione che cancellano quegli stessi corpi. Significativo che la tendenza del sistema è la stessa tendenza delle derive decostruzioniste e queer.
In Italia è stata recentemente autorizzata la somministrazione, rientrando nei trattamenti previsti nei livelli di assitenza di base, del farmaco a base di triptorelina per bloccare l’attività ormonale ai minori. Una medicalizzazione, una sperimentazione su bambine e bambini portata avanti come rivendicazione di libertà dal movimento transgender, queer e da alcune aree del femminismo. Per la libera scelta della bambina, si sente dire, ma bloccando la pubertà non si favorisce la scelta della bambina, siamo noi che attuiamo una scelta e ben precisa.
Non c’è il rischio che tale approccio vada a riconfermare e rafforzare gli stessi stereotipi di genere che si dovrebbero abbattere? Una bambina che non rientra nelle caratteristiche e nei comportamenti socialmente accettati che dovrebbe avere il suo genere, quindi che non è ciò che il nostro immaginario ci richiama alla femminilità, ma che gioca con giochi che non rientrano in quelli etichettati come da bambine, o che mostra un interesse verso altre bambine, viene vista come un maschio e non come una bambina che non rientra nello stereotipo.
Sono un sentimento, un comportamento, una tensione ad essere intrappolati. Questi vanno liberati, non attuando una medicalizzazione sulle bambine, ma scardinando la società che etichetta come “non nella norma”, in relazione a quel genere costruito socialmente, tale sentimento, comportamento, tensione. Non dovremmo cancellare i corpi per liberarci dai generi, ma dovremmo liberare i corpi dai generi.
Neil Harbisson, ospite alla conferenza dell’Università della Singolarità lo scorso Settembre a Rho, è un artistoide diventato famoso per essersi fatto impiantare un’antenna nel cranio. Affetto da una rara malattia che non gli permette di vedere i colori, grazie all’antenna può “sentirli” attraverso delle vibrazioni. Vanta di essere il primo cyborg e ha fondato la Cyborg Foundation per aiutare gli umani a diventare cyborg. La definizione di umano gli sta stretta e, sentendosi vicino alle altre specie, si definisce trans-specie collegandosi al movimento trans-gender.
Non vedremo spuntare antenne sul cranio degli/delle antispecisti/e, ma in tempi hi-tech dove già occhiali virtuali vengono usati da alcune associazioni animaliste per farci sentire le sofferenze degli animali negli allevamenti, non c’è da stupirci se una protesi tecnologica sarà considerata come un tramite per sentirci vicino e per relazionarci con gli altri animali e il mondo naturale.
Tutto questo è parte di quel processo di metamorfosi della percezione del corpo e di modificazione dei corpi tutti: corpi post-organici, implementati, artificializzati, geneticamente modificati.
Nel blog di Martine Rothblatt, Da transgender a transumano, si legge:

“Garantire l’uso etico delle biotecnologie sarà una preoccupazione tanto grande per i transumanisti quanto per i difensori della libertà di genere”.

Ed ecco che le biotecnologie diventano etiche…

1.   Günther Anders, Dell’incompatibilità tra nucleare e violenza, S-edizioni
2.  Byung-Chul Han, La società della trasparenza, pag. 15, ed. Nottetempo

Silvia Guerini

Dal giornale ecologista L’Urlo della Terra, num.6, luglio 2018

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