Verso una stagione di consenso biotech?

La conflittualità del sistema capitalista, che ha nella guerra alla libertà e al vivente il suo dispositivo quotidiano, si legittima in se stessa e nella valutazione del suo stato di necessità, visto che una conflittualità “necessaria” si tramuta in “mano invisibile”, cioé in meccanismo autoregolante e dispensatore di merito e valore.
Conflittualità è però una parola che spaventa; e poiché viviamo l’epoca in cui si afferma che abbia senso solo ciò che sta dentro lo spazio del mercato e poiché anche le istituzioni guardano similarmente alle persone come utenti e consumatori, che per consumare devo essere sereni e ottimisti, la complessità di questa parola viene tradita e la galassia di suoi significati viene traslata in ambiti semantici quali competitività, intesa come sistema, e competizione, intesa come tipica pratica interna a quel sistema. Ambiti che vogliono essere più morbidi e tranquillizzanti, che avvicinano a immagini sportive in cui ci si riconosce e si propone un fair play altrettanto riconosciuto, in cui si parte dalla stessa linea e alla fine ci si abbraccia e ci si complimenta; ambiti le cui architetture vogliono avere profili sicuri e sguardi al futuro e al progresso. Ambiti, in altre parole, che negano la realtà del sistema nella sua reale violenza e disparità, in cui vige e ci si nutre di volontà usurpatoria, di esodi forzati, di fame altrui e di morte. La potenza del conflitto, dunque, si stempera e si riduce nei gesti della competizione.
Competitività e competizione, per come li abbiamo descritti, legittimano la ricerca di accumulazione di capitale come unico obiettivo e diventano le forze che allargano i confini dello spazio d’azione del mercato, sia in senso geografico che in quello chimico-fisico, assumendo la ricerca di conoscenze e saperi come vettori su cui salire e farsi trasportare a piacimento. L’intensità e la potenza di questi vettori possono mutare nel corso nel tempo e ciò che finora ha suscitato attriti e resistenze potrebbe trovare strade maggiormente percorribili in futuro. E’ il ragionamento che viene fatto ogni giorno nelle sedi di ogni azienda e in ogni sede politica. E quando non si esprime in termini economici oggi si può esprimere in una sola altra parola: consenso.
Quello che in questo articolo proviamo a mettere sinteticamente in luce è dunque come, articolati come abbiamo fatto i termini di competizione e competitività, il consenso, metro di misura della accettabilità e vendibilità di un prodotto, di una proposta o banalmente di un politico, sia oggi una variabile altrettanto importante nell’ambito dell’industria, del mercato, della ricerca e delle applicazioni biotecnologiche e come questa variabile, essendo soggetta a mutamenti, si possa manipolare, prevedere e indirizzare.
Essa significa accettazione a fini sociali ed economici. Una sua assenza è un elemento rischioso per chi ha cariche di potere.
Serve però una specifica: il consenso ha una duplice veste. Un consenso vissuto come attivo si trasformerà e porterà alla resistenza, alla partecipazione e all’azione, anche quando da consenso si passi a esprimere dissenso; un consenso vissuto come passivo porterà alla delega oppure al silenzio e alla rassegnazione. Il consenso di cui qui specificatamente si parla e si critica radicalmente è il consenso che delega a una scienza antropocentrica basata sul controllo del vivente e ai suoi interpreti nella società il senso della relazione tra esseri umani, tra esseri umani e animali non umani e tra esseri umani e ambienti. Una delega che legittima tutto e allarga i confini della bramosia umana, rendendoci tutte e tutti implacabilmente più schiavi.
Volendo parlare di biotecnologie e consenso la vicenda degli OGM in Europa è paradigmatica: gli OGM hanno trovato diverse strade sbarrate in questi anni avendo un consenso basso e resistenze alte e socialmente trasversali. Tentativi di portare direttamente in agricoltura e sulle tavole di casa alimenti OGM sono falliti per le numerose e diversificate azioni di protesta messe in atto direttamente da persone che si sono sentite e si sentono intimamente toccate e minacciate da queste tecnologie. Loro e con loro gli ambienti e chi li vive. Hanno cioé interpretato la loro capacità d’azione in modo attivo.
Le istituzioni hanno recepito parzialmente e con modalità loro proprie e, anche per pressioni a carattere lobbista, hanno lasciato spiragli in cui periodicamente i medesimi settori biotech e OGM provano a inserirsi. Dunque la battaglia non è affatto vinta ed è tuttora in corso.
Ma poiché il sistema tecnoindustriale ha trovato nel controllo del vivente e dell’estremamente piccolo un metodo per ricostruirsi dalle fondamenta1 oggi gli OGM non possono essere più considerati l’avanguardia biotech, se mai lo sono davvero stati. A questi oggi si sono affiancate ricerche e applicazioni già operanti in molteplici settori industriali, agricoli, zootecnici e sanitari, spesso nel silenzio completo per il timore di dover rivivere e subire fenomeni di contrarietà e dissenso già sperimentati con gli OGM. Parallelamente, però, verso questi settori la percezione del pericolo di buona parte della popolazione è bassa. Ricerche e letteratura attestano che si accetta con maggior grado di fiducia e apertura un involucro biotech che fa parte della filiera del controllo di qualità del cibo, che potrebbe comunicare lo stato di conservazione di un determinato prodotto, piuttosto che un qualunque alimento che poi si dovrà ingerire2. Parallelamente gli ambiti della salute e della ricerca medica sono quelli che trovano un più alto consenso tra le popolazioni umane a scapito di molte altre popolazioni -umane e non umane- che la subiscono nei laboratori e nelle loro aree di vita. E’ difficile non pensare a queste biotecnologie per la salute, le cosidette red biotech, come a un fortino da cui partono le incursioni per la conquista di nuove zone in cui la ricerca e le sue applicazioni si dotino di agibilità e consenso.
Una questione che apre scenari di riflessione incentrati sulla intimità del proprio corpo e sull’utilitarismo al cui altare sacrifichiamo vite altrui; e che ci costringe a riflettere sulla complessità del fenomeno biotech, sulla sua pervasività e sulla assenza di capacità critica che sappia estrapolare da un singolo fenomeno una considerazione generale.
Restando nell’ambito della costruzione del consenso, buona parte degli sforzi del settore biotech e dei suoi partner si è indirizzata alla creazione di tipologie di pubblico più dialogante e fiducioso, se non favorevole: da un lato si ricerca una opinione pubblica in sintonia con la ricerca scientifica e le sue applicazioni, dall’altro si presenta una scienza “buona”, indirizzata alla risoluzione di problemi sociali, sanitari e ambientali.
In un documento governativo italiano del 2005 che tratta il tema delle biotecnologie si riportano suggerimenti in merito alla necessità di “facilitare la comprensione” al di là di quelli che vengono ritenuti pregiudizi antiscientifici; e si sottolinea come sia “in età scolare che prendono forma pensieri e convincimenti”3. Perché attendere l’età adulta quando si può agire su menti plasmabili come quelle dei bambini e delle bambine? Oppure quelle di giovani studenti e studentesse, probabilmente appassionati della materia di studio? Una domanda che si sono poste diverse università scientifiche in questi ultimi anni, stando al crescente numero di corsi o di argomenti di corso incentrati sulla comunicazione scientifica, sulla sua efficacia e sulla sua capacità di annichilire in un dibattito, ad esempio, attivisti e attiviste che attentino al ruolo salvifico della scienza.
E dunque in questa direzione la galassia della ricerca e dell’industria si sta muovendo. Cercare il coinvolgimento di scuole e studenti, dentro e fuori le aule; organizzare incontri tra imprenditori, aziende e istituzioni nazionali e internazionali; stendere programmi condivisi con eventi che uniscono capitali europee e realtà di provincia; aumentare la propria presenza in ambiti pubblici o sui media, dalle piazze alla tv alla radio all’editoria: stando ai comunicati e alle pagine web sono queste alcune delle iniziative che in questi e nei prossimi mesi verranno messe in campo dalle associazioni biotech e di ricerca industriale. Un calendario fittissimo di azioni a ventaglio per una strategia chiarissima: ottenere quel consenso e quella legittimità che bramano per poter rivendicare il ruolo di protagonisti in questa fase di gestione della crisi e di rifondazione e rilancio capitalista.
Senza dimenticare che in questo periodo EXPO2015 ha un ruolo da protagonista, per il palcoscenico che ha, nella strategia che mira a sdoganare la ricerca e le applicazioni biotech, nanotech e ad alto contenuto di tecnologia.
E se le tematiche di ricerca si moltiplicano e si avviluppano e se le loro applicazioni entrano nei processi industriali e commerciali con una curva di crescita geometrica è perchè la competizione e il consenso in specifici settori offrono a ricercatori, vivisettori e a chi li paga grandi spazi di azione e ampi gradi di libertà.
Se dunque il loro fronte sta avanzando e una nuova stagione biotech potrebbe essere imminente, le numerose giornate organizzate attorno al biotech devono essere un campanello d’allarme e uno stimolo all’azione.

un gruccione, settembre 2015

1“Nanotecnologie, la pietra filosofale del dominio”, AAVV, Il Silvestre 2011
2“Quando il cibo è nano – la tecnologia servita a tavola”, Luca Leone, Mattioli 2015
3 http://www.governo.it/biotecnologie/documenti/3.comunicazione.pdf

Da L’Urlo della Terra, numero 3