Tra-pianti di chi riceve e pianti di chi dona o vende

È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo?”
Fёdor Dostoèvskij, L’idiota, Feltrinelli, Milano 1998, p. 478

Cuore che batte, sangue che circola, un corpo vivo in coma, intubato, sottoposto a farmaci paralizzanti e anestetici, squarciato per i suoi organi.
morte = cessazione della vita
morte cerebrale = condizione creata e definita per legalizzare l’espianto di organi a cuore battente
Nella società delle falsificazioni e dei profitti, laddove tutto è arbitrario e in mano al potere, la morte vera è la cosa meno arbitraria in tutti noi animali, mortali.
L’essere vivi è ridotto a un segnale su uno schermo, a dei parametri, è nelle mani di medici, di esperti in camice bianco che in sei ore decretano la morte cerebrale.
Predazione mascherata dalla più becera propaganda del dono, della vita, dell’aiutare il prossimo, la stessa propaganda che utilizza bambini affetti da qualche malattia rara per raccogliere consensi e soldi destinati alla ricerca e a sempre nuove terapie geniche.
Non c’è pietà nella concezione utilitaristica che usa il più debole e apre le porte ad orrori.
Gravidanza portata avanti al fine di far espiantare dopo il parto il figlio anencefalico [1], “morti cerebrali” che potranno essere tenuti vivi in ospedali e università per due anni come oggetto da sperimentazione, il proprio corpo che potrà essere donato alla scienza… [2]
L’aberrazione dell’inganno, l’aberrazione di consegnare se stessi alla ricerca in una società mortifera che produce malattie, con un biopotere che si infiltra in tutti i processi vitali dalla nascita alla morte.
L’autodifesa è minata, il silenzio equivale all’assenso. [3] Pensiamo al padre che salvò il figlio dall’espianto armato di pistola in ospedale… [4]
Il corpo è nostro, non siamo pezzi di ricambio. Non siamo macchine funzionali al sistema di produzione.
Silvia

 

E infine quel punto di straordinaria, mirabile,“avveniristica” intuizione che è nel paragone che sorge in Ivan Il’íč * tra il giudice – se stesso giudice – e il medico. […] E così come il giudice può dar torto o ragione facendo astrazione dal torto o dalla ragione, poiché quel che conta è l’affermazione della legge comunque interpretata, il medico fa astrazione dalla malattia e dalla salute, poiché quel che conta è l’affermazione della medicina, cioè della “medicalisation dell’idée de la vie””

L. Sciascia, “La medicalizzazione della vita” in: Cruciverba, Einaudi, Torino 1983, pp.253-4

Connaturati al trapianto di organi appaiono l’uso, l’abuso, la manipolazione, la strumentalizzazione, lo sfruttamento di coloro che si trovano in situazione di debolezza, di difficoltà, di fragilità economica, culturale, psicofisica. Connaturati al trapianto di organi sono l’uso, l’abuso, la manipolazione, la strumentalizzazione, lo sfruttamento dei corpi tutti.

Talvolta vien da pensare che le brutture siano palesemente tali e lo sarebbero intuitivamente e istintivamente per i più, e i più le rifuggirebbero con orrore, se non si provvedesse, anzi, forse meglio sarebbe dire, se coloro che detengono potere, il potere di farlo, gli strumenti per farlo, l’interesse per farlo, non provvedessero celermente a creare degli orpelli per ammantarle, mascherarle, imbellettarle e non provvedessero altrettanto celermente a deviare l’attenzione altrove rispetto al cuore della faccenda. Altrove. Magari là, dove appare l’utilità.

Utilizzo e utilità. Apparente utilità. Che si contrappone alla bellezza. E Dostoèvskij fa dire al principe Mỳškin, l’ “idiota verosimilmente epilettico”, che ‘la bellezza’ salverà il mondo. La dimensione salvifica, o meglio sarebbe dire liberatrice, libera e liberatrice, profonda e complessa, percepita ed espressa da un “idiota” epilettico. Uno sguardo sul mondo diverso, incomprensibile nei ranghi dell’ “utilità”.

Lo sforzo atto a teorizzare, argomentare e giustificare filosoficamente, razionalmente, moralmente, risulta estremamente pericoloso. Il rischio appare quello della falsificazione e di ciò che da essa deriva. E così la mente mente pericolosamente. Ha dato origine, non scordiamolo mai, a Cartesio e alle aberranti conseguenze pratiche del suo argomentare, alle Crociate e ai lager e ai gulag e allo schiavismo e ai laboratori di vivisezione.

È altrove, non nelle parole, non nel raziocinio. Non ha posto nella disputa dialettica, irrispettosa e volgare quando si tratta di vita e di morte e di dolore, né nell’arroganza della razionalità e dell’intelligenza. Alberga altrove, questa convinzione o forse solo questo sentire. La convinzione, o forse solo questo sentire, prepotente, che il trapianto di organi, così come l’energia nucleare, la sperimentazione sugli animali, l’affitto di uteri, siano orrendi abomini.

È altrove, nell’angoscia e nello sconcerto, nello sgomento che provocano, nell’incredulità che veramente possano essere concepiti e realizzati e considerati cose buone e belle e giuste.

E’ altrove, non nelle parole, che anzi, scompaiono, si frammentano, si intrecciano, si offuscano, laddove si resta ammutoliti.

È un’inquietudine indicibile, ma non per questo meno reale, ma non per questo meno significativa.

Sventrare. Squarciare con violenza il ventre. Squarciare i corpi. Visceri eviscerati.

Ma cosa potrà mai esserci in comune tra una montagna sventrata – dal suo ventre squarciato con violenza le viscere strappate, il corpo svuotato – una cava di marmo, una miniera di carbone, un gigantesco foro di proiettile per l’alta velocità -, le voragini scavate a Mururoa, un’esplosione atomica a Mururoa, ossa spezzate, un torace sventrato anch’esso per estrarre un cuore che ancora batte e batterà altrove, ma non più in quel corpo, un utero comprato e riempito a forza in una donna comprata e riempita a forza, un ratto immobilizzato, bloccato a forza, su un tavolo di laboratorio? Cosa potrà mai esserci in comune? Lo sgomento che suscitano. Ecco cos’hanno in comune. E un’idea. Cos’hanno in comune energia nucleare, alta velocità, trapianti d’organo, sperimentazione sugli animali? Un’idea del vivere e del morire. E cos’hanno in comune coloro che vi si oppongono? Un’idea. O forse, no, un sentire. O forse entrambi, un’idea e un sentire. Un’idea infranta del vivere. Un sentire infranto dell’esserci.

Infrangere e distruggere in forza del potere e in nome dell’utilità e della legge del più forte, ancora come allora, rinunciando alla bellezza, al desiderio, al mistero, all’accettazione gioiosa, intrisa di quella gioia austera a cui ci rimanda Seneca, all’accettazione/accoglienza del limite, della finitudine, della morte, dell’Altro. E cos’hanno in comune coloro che vi si oppongono? Un’idea. O forse un sentire. L’idea di aver facoltà e possibilità e desiderio di fermarsi. Fermarsi e urlare “NO!”. No alla legge del più forte, no alla logica dell’utile laddove la categoria dell’utile non appare inerente. L’idea e il sentire che un valore intrinseco esiste nel corpo, nell’albero, nella montagna. Dove sono le parole, dove trovarle, per spiegare, distendere queste pieghe del sentire? Ma le parole fluttuano. Idee ectoplasmiche. Il limite. La morte. Una pace. Una forza impietosa. La legge del più forte. L’utilizzo della logica, della logica dell’utile, del parametro dell’utilità. Possiamo usare e usiamo. E’ utile per chi può e allora chi può utilizza questo suo potere se gli è utile e pare tutto cosa buona e giusta. Ma forse la categoria dell’utile per tutte queste pratiche potrebbe non essere adeguata.

L’idea del possesso, dell’uso, dell’utilità. Il valore.

Perché mai dovrebbe avere più valore il marmo di una cava rispetto alla montagna che è stata devastata per estrarlo? Perché dovremmo preoccuparci che il cosiddetto progresso, indiscutibile, possa arrestarsi? Perché il progredire dovrebbe aver maggior valore del fermarsi e del contemplare? Forse perché il fermarsi ci riporta all’ineluttabilità della morte? Forse perché il progredire, che è movimento, colma di energia cinetica quell’orror vacui che non possiamo tollerare? Il progresso aumenta la quantità di possibilità. Crescita e progresso. Qual è la meta? E non si fa menzione del limite. Come fosse un tabù. Fa paura? Schernito, ridicolizzato, così da poterlo svalutare, relegare nelle vecchie e maleodoranti cantine in cui accedono vecchi dementi e nostalgici. Si può rinunciare a tutte queste possibilità? Si può non desiderarle, non considerarle desiderabili? Ci si può arrendere, o anche solo fermarsi, al limite, alla malattia, alla morte? E se invece che progredire provassimo a stare? Stare con la nostra infertilità, stare con la nostra malattia, stare con la nostra mortalità, stare con la nostra morte imminente. Così, senza saccheggiare la vita altrui, la bellezza altrui, senza approfittarci, ossia trarre profitto, più o meno apparente, dalla fragilità altrui, dalla disperazione altrui, dalla fame altrui?

Perché progredire dovrebbe essere necessariamente auspicabile? Dobbiamo inchinarci di fronte a quest’ottica consumistica? Di fronte alla quantità? Dobbiamo consumare e consumarci e farci consumare, rendere utili anche i nostri corpi e anche i pezzi dei nostri corpi, di quella macchina cartesiana, di quel cane cartesiano in cui vogliono trasformarci, quella vilipesa cagna cartesiana che il pensiero ha creato e costruito dal nulla e sul nulla, distruggendo il tutto del corpo animale?

Possiamo rassegnarci. Ri-assegnarci. Possiamo darci e dare un altro segno. Un altro segnale. Un altro significato.

Quando le fabbriche imbruttirono i paesaggi e lo spirito che aveva spinto a erigerle contaminò le menti, il lamento dei poeti e dei dotti non commosse nessuno. Che profitto producono i poeti e i dotti? domandò l’industriale. Come può essere vero ciò che non rende, non serve a niente?insisté. Egli era infatti il figlio spirituale di quei filosofi che uguagliarono sapere e potenza politica. […]. L’industriale ha dovuto torturare per sottometterli i popoli savi e fieri: gl’indigeni d’America, gli Africani, gli Indù […]. L’industriale è stato forse il primo uomo nella storia a preferire il brutto al bello.”

Elémire Zolla, Verità segrete esposte in evidenza, Marsilio, Venezia 1990, pp.62-63

* Sciascia fa qui riferimento al racconto “La Morte di Ivan Il’íč” di Lev Tolstòj

Mafalda

1. “Teddy anencefalico espiantato dopo solo 100 minuti di vita”
Comunicato stampa Anno XXXI n.8, 30 Aprile 2015 www.antipredazione.org
2. “In arrivo il pacco di natale del post mortem cerebrale Al Senato DDL 1534 – esercitazioni chirurgiche, chimiche e radiologiche” Comunicato stampa Anno XXX n.25, 04 Dicembre 2014 www.antipredazione.org (Norme in materia di disposizioni del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica)
3. Legge 91 del 1° aprile 1999, detta del silenzio-assenso vedi: www.antipredazione.org
4. “Il padre che salvò suo figlio dall’espianto armato di pistola in ospedale” Comunicato stampa Anno XXXI n.1 04 Gennaio 2016 www.antipredazione.org

Per maggiori informazioni sul tema della predazione degli organi: Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente

Da L’Urlo della Terra, numero 4