La nanotecnologia si riferisce alla manipolazione della materia sulla scala del nanometro (1 miliardesimo di metro). Scienza su nanoscala che opera nel regno dei singoli atomi e molecole. Allo stato attuale le nanotecnologie coinvolgono la scienza dei materiali: le modificazioni a livello atomico portano numerose modifiche delle proprietà dei materiali, che si fanno più forti e più durevoli.
Con le nanotecnologie è possibile creare e modificare in laboratorio quasi qualsiasi tipo di materiale, robot minuscoli per la nanomedicina, chip sempre più piccoli e veloci, RFID (Etichette a radio frequenza) per tracciare nei loro spostamenti merci e qualsiasi essere vivente.
Governi e industrie hanno investito enormemente nelle nanotecnologie, tanto da farne la piattaforma strategica per il controllo globale di ogni produzione e settore: alimentare, sanitario, informatico, controllo sociale e militare. Un pilastro portante della Green Economy del XXI secolo.

ICGEB: La sovranità della scienza al di sopra di tutto

È ormai di qualche mese la notizia che il governo italiano ha conferito piena immunità e inviolabilità al Centro Internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (ICGEB) di Trieste e al personale di ricerca in esso presente. Lo Stato italiano si è impegnato ad elargire un finanziamento annuo di 10 milioni di euro e l’utilizzo gratuito di circa 8000 metri quadrati di suolo ed edifici.
L’ICGEB  nasce nel 1983 come progetto dell’Organizzazione Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido), diventando successivamente nel 1994 un’Organizzazione Internazionale autonoma che riunisce 65 Stati membri, con collaborazioni di settore come la Fondazione Bill e Melinda Gates, la New England Biolabs (attiva in ricerche in campo biotecnologico) e la Genethon, azienda leader nel campo della terapia genica. ICGEB ha svariati laboratori nel mondo ed è strettamente legato all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite di cui condivide la visione sulle prossime emergenze.
I segreti ben custoditi dell’ICGEB  evidentemente non sono il tipo di ricerche portate avanti, ma come queste effettivamente sono realizzate. Nel sito internet dell’ICGEB  si può leggere che “i programmi di ricerca comprendono progetti scientifici di base come il controllo dell’espressione genica, la replicazione del dna, la riparazione del dna e l’elaborazione dell’RNA, studi su virus umani quali HIV, HPV e rotavirus, immunologia molecolare, neurobiologia, genetica molecolare, ematologia sperimentale e terapia genica umana. I programmi di ricerca di ciascun Gruppo sono periodicamente valutati attraverso visite in loco che coinvolgono panel internazionali di scienziati con competenze specifiche nei rispettivi campi, le cui raccomandazioni sono riportate al Consiglio Scientifico ICGEB. Le attività di ricerca dei laboratori ICGBE Trieste sono supportate anche da un gran numero di sovvenzioni concesse da varie agenzie di finanziamento internazionali”.
Negli ultimi anni di dichiarata pandemia nomi come Wuhann o Forth Dick ci sono diventati noti, come si voleva che fossero noti: eccezionalità nel mondo della ricerca o “super laboratori”, laboratori classificati fino a quattro punti che ne descrivono l’altissimo livello di pericolosità. I punteggi, assegnati dai loro stessi organi di controllo,  non sono un reale metro di valutazione e anche le diciture come “super laboratorio” servono solo a confondere e a far trasferire l’attenzione sui contorni al fine di creare un susseguirsi di interrogativi che non potranno mai essere soddisfatti. Questi laboratori invece sono reali e concreti e portano avanti esperimenti utilizzando le tecniche di ingegneria genetica. Nel mondo se ne contano circa una sessantina sparsi soprattutto nei paesi del Sud del mondo. Cosa avviene precisamente al loro interno è un mistero, sappiamo però che con l’aiuto dell’ingegneria genetica si ricombinano virus,  molti di questi spariti da tempo dalla circolazione.  Senza aver paura di esagerare possiamo affermare che in nome della difesa da una possibile “Guerra biologica” se ne preparano continuamente in laboratorio, ovviamente a livello preventivo verso possibili minacce future.
 Abbiamo ormai compreso che la pace si prepara con lo stoccaggio continuo di armi atomiche in grado di distruggere più volte il pianeta e lo stesso avviene con le armi biologiche: tutti le aborrono e tutti ci lavorano, spesso in grande collaborazione con il fine unico ovviamente della pace. Basti pensare al laboratorio di Wuhan dove esisteva una fitta rete di relazioni tra Cina, Stati Uniti, Francia e altri paesi. Abbiamo visto l’esistenza di decine di questi laboratori in Ucraina sotto stretta vigilanza del pentagono, ben poco è uscito sugli esperimenti condotti, probabilmente questo avrebbe messo in imbarazzo il denunciante stesso, che avrebbe dovuto dire qualcosa sui propri di laboratori non necessariamente militari e segreti, ma anche presenti in qualche rinomata struttura universitaria.  
La rivista di settore statunitense Fierce Pharma già il 9 Dicembre 2013 scriveva: “l’azienda biotecnologica Pfizer ha firmato un contratto 7,7 milioni con Darpa”. Il Pentagono incarica Pfizer di “ripensare radicalmente lo sviluppo dei vaccini. Ciò che l’agenzia Darpa ha rivelato implica che vuole accorciare i tempi di risposta alle minacce di pandemie o di bioterrorismo eliminando molti dei passaggi attualmente necessari per conferire l’immunità”. In una circolare sui contratti in vigore all’epoca, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha dichiarato a questo proposito: “Pfizer condurrà un programma di ricerca e sviluppo finalizzato alla messa a punto di una piattaforma tecnologica in grado di identificare gli agenti patogeni emergenti direttamente in un individuo infetto o esposto e di produrre successivamente anticorpi protettivi nel suo organismo”.
Ma senza la tecnica di “chirurgia genetica” o “gene editing”, per la quale nel 2012 è stato assegnato il premio Nobel a due scienziate, la piattaforma a mRNA per i sieri genici non sarebbe stata possibile. Il sistema, chiamato CRISPR/Cas9, sviluppato per la modificazione di vegetali, di animali da allevamento e da laboratorio e per le terapie geniche, consente di apportare modifiche alle sequenze genetiche con maggiore precisione, velocità, risparmio e apre alla possibilità di modificare geneticamente la linea germinale umana con modificazioni genetiche trasmissibili di generazione in generazione.
Se si pensasse alla ricerca pubblica come ad un possibile argine verso l’irrefrenabile messa in opera della piattaforma biomedicale, significa ancora una volta non comprendere che ci sono direzioni nella ricerca scientifica che non si possono imbrigliare, immancabilmente varrà il solito mantra tecno-scientifico: se tecnicamente è possibile si farà. Con queste formule di pensiero ci siamo ritrovati nella situazione attuale, si è confuso il sapere con la competizione e la corsa scientifica attuale, capitanata dalle bio-nanotecnologie è sempre verso bio-armamenti, che possono essere più  micidiali in tempi di pace che di guerra, come ci ha insegnato il Sars-Cov2.
Ricordiamo la conferenza di Asilomar del 1975 in cui i ricercatori discutevano di regolamentazioni e di porre dei limiti alle ricerche di ingegneria genetica sul DNA ricombinante. Ma regolamentare significa di fatto legittimare quelle pratiche e sviluppi tecno-scientifici ponendo dei limiti che man mano saranno eliminati. Regolamentare per dare una parvenza di tutela, per aspettare un accettazione sociale di determinati sviluppi o che essi penetrino nel quotidiano fino a normalizzarsi. Fermare le tecnologie di ingegneria genetica, quei laboratori in cui vengono sviluppate e fermare i processi che ne seguono invece significa fermare tutto quel mondo.
In questa particolare fase della dichiarata pandemia, non importa se in declino, molte altre ne verranno hanno assicurato a Davos e di riporto i vari ministri italiani, ecco arrivare in Italia un nuovo laboratorio pronto per i tempi che verranno. Ovviamente questo centro si impegnerà anche per il Covid 19, come non potrebbe visto che milioni di persone solo in Italia si sono inoculate un siero sperimentale a mRNA frutto dell’ingegneria genetica e considerando che si tratta di un centro internazionale volto a sviluppare l’ingegneria genetica e le biotecnologie.  La notizia della sua nascita è uscita quasi per caso tramite la Gazzetta Ufficiale del 16 Giugno “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (ICGEB) relativo alle attività del Centro e alla sua sede situata in Italia”.
Troviamo inutile e fuorviante dilungarci sui misteri che avvolgono questo centro, ne sappiamo già abbastanza per essere fortemente critici verso queste strutture con il loro personale internazionale ben pagato e protetto da qualsiasi cosa questi possano realizzare e anche dalle possibili conseguenze. Interroghiamoci su come questo centro non si ponga difficoltà a livello economico, cosa che fanno praticamente tutti i centri di ricerca, evidentemente ha un budget a disposizione che non possiamo neanche immaginare. Questo ci fa pensare al Darpa che rappresenta la ricerca militare negli Stati Uniti e che ha a disposizione fondi illimitati sia per proprie ricerche che possono essere robot a quattro zampe o nuovi pericolosissimi virus ricombinati, sia per finanziare anche altri progetti di suo interesse nel mondo come per esempio le zanzare OGM di Crisanti.
Quello che si sta velocizzando è un tipo di ricerca per tempi di “emergenza”, il nuovo mondo che si va a delineare che corre con la rete 5G  prepara la sua piattaforma digital-sanitaria. Il centro di Trieste, che siamo sicuri rappresenterà solo un inizio di quello che vedremo fiorire nel fù bel paese, da la traccia di quello che ci attende e dovrebbe anche indicare la strada a chi vuole opporsi al paradigma bionanotecnologico e cibernetico. Ecco la visione, quella che ci viene posta come tale da questo centro: “Essere l’organizzazione intergovernativa a livello mondiale per la ricerca, la formazione e il trasferimento tecnologico nel campo delle scienze della vita e delle biotecnologie”. E continuando: “Combinare la ricerca scientifica con il potenziamento delle capacità, promuovendo così uno sviluppo globale sostenibile”. L’obiettivo è “conciliare il progresso economico globale con la giustizia sociale e la conservazione delle risorse naturali”. In questa direzione “I paesi in via di sviluppo, le economie emergenti e le nazioni industrializzate devono fare la loro parte per garantire il successo dell’Agenda 2020-2030. […] L’obiettivo finale è responsabilizzare gli Stati membri dell’ICGEB nell’uso degli ultimi sviluppi scientifici e aiutare i membri ad applicare moderne soluzioni biotecnologiche per porre fine alle malattie e raggiungere la sicurezza alimentare ed energetica, promuovendo nel contempo lo sviluppo del capitale umano attraverso l’istruzione, la formazione e la fornitura di pari opportunità per tutti”.
Questo linguaggio, che non ha niente a che vedere con quello che sarebbe da aspettarsi per l’insediamento di una nuova cittadella scientifica, è frutto del nuovo paradigma totalitario e sostenibile allo stesso tempo. Si inaugura non un semplice centro di ricerca, ma quella visione fluida di uno Stato piattaforma, dove la salute delle persone e la salvaguardia del pianeta passano dalle tecno-scienze e qui scompaiono per dare priorità alla biotecnologia avanzata.
Siamo fiduciosi  che l’ecologismo denunci  la falsa sostenibilità di queste ricerche, che gli animalisti denuncino le atroci torture effettuate sugli animali, che gli attivisti contro i sieri genici denuncino il paradigma di ingegneria genetica e soprattutto che l’attivismo contro il green pass riconosca il messaggio a livello nazionale dato da questo insediamento.
Il ruolo di questo centro va calato nel contesto che lo ha reso prima necessario e dopo voluto come necessità ineluttabile. Non criticare adesso e con forza questi insediamenti ci lascerà impreparati alla nuova riconfigurazione sociale e biologica introdotta sui nostri corpi che si va realizzando nella crescente rapidità emergenziale. Il paradigma biotecnologico va rifiutato e combattuto nella sua totalità,  prima di diventare anche noi deboli e sterili monocolture OGM disponibili per il tecno-totalitarismo. A monte  rigettiamo ogni tecnica di ingegneria genetica e l’idea di mondo e di essere umano che portano e comportano con la consapevolezza che non è possibile nessun tipo di regolamentazione. Rimettiamo al centro l’indisponibilità dei corpi e del vivente.

Invitiamo tutte e tutti ad una grande mobilitazione che riporti l’attenzione la dove la si vuole spostare e tessendo il necessario filo conduttore tra tutte le emergenze che hanno preparato e prepareranno.

Resistenze al nanomondo, Ottobre 2022, Bergamo
www.resistenzealnanomondo.org

Testo in pdf:

Benvenuti a Pesaro nella nuova “stalla” biotecnologica

Il Comune di Pesaro ha autorizzato la vendita di un terreno pubblico per la creazione di un laboratorio di bio-sicurezza (BSL3) di livello 3 che sarà gestito dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Togo Rosati dell’Umbria e delle Marche (IZSUM).
Si legge, nella delibera approvata in questi giorni, che l’Istituto Zootecnico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche “ha manifestato l’intenzione di comprare mediante trattativa privata diretta altri terreni di proprietà comunale, in adiacenza a quelli di sua proprietà, siti in località Torraccia tra via Furiassi e via Grande Torino al fine di implementare la sede locale attraverso: la creazione di un laboratorio di bio-sicurezza (BSL3), ossia una struttura in grado di garantire sperimentazioni e manipolazioni – in vivo e in vitro – di agenti virali pericolosi per la salute animale e dell’uomo di massima sicurezza e contenimento biologico; la realizzazione di stalle contumaciali per la stabilizzazione di grandi e piccoli animali in grado di garantire misure di bio-contenimento e bio-sicurezza nei confronti degli agenti infettivi”.
Già nel 2018 vi era stata una vendita di un terreno comunale di tremila metri quadrati per 260 mila euro e attualmente è prevista quest’altra vendita di 12mila metri quadrati per 500 mila euro, benché la stima fosse di 700mila, ed è in quest’ultimo terreno che si insedierà il nuovo Biolaboratorio. Dalla vendita di questo terreno le casse comunali andranno a rimpinguarsi e l’Istituto Zooprofilattico potrà mettere in campo il finanziamento di 4 milioni di euro che ha avuto dai fondi provenienti sembra dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma potrebbero esserci anche altri finanziatori, adesso e in futuro, considerando gli indirizzi della ricerca che ufficialmente verrà portata avanti.
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche è un’azienda sanitaria pubblica che opera nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, garantendo per queste regioni prestazioni tecno-scientifiche in materia di igiene e sanità pubblica veterinaria. Già nel 1995, con due distinti decreti del Ministero della Sanità, l’Istituto aveva avuto il riconoscimento di “Centro di Referenza Nazionale per la Leucosi Bovina Enzootica e per lo studio e la diagnosi delle Pesti Suine”. Una successiva denominazione ha classificato questi laboratori come “Centro di referenza nazionale per lo studio dei retrovirus correlati alle patologie infettive dei ruminanti” e come “Centro di referenza nazionale per lo studio delle malattie da pestivirus e da asfivirus”.
Nel sito internet dell’Istituto si legge: “Compito dell’Istituto, inoltre, è svolgere attività di ricerca, sia collegata alle tradizionali attività diagnostiche che nel campo dell’igiene degli alimenti e delle produzioni zootecniche, ed intrattenere rapporti di collaborazione tecnico-scientifica con istituzioni di ricerca nazionali ed internazionali. L’Istituto è autorizzato dal Ministero alla Sanità alla produzione, commercializzazione e distribuzione di vaccini e presidi diagnostici occorrenti per la lotta contro le malattie infettive e per le attività di sanità pubblica veterinaria. L’Istituto è anche in condizione di svolgere un importante ruolo professionale e scientifico in settori d’interesse emergente, quali la difesa dell’ambiente, la tutela faunistica, il monitoraggio degli ecosistemi terrestri e marini, la contaminazione ambientale ed il benessere animale. Di notevole rilievo è il compito, di recente affidato all’Istituto dalla Regione Umbria con il Piano Sanitario 1999-2001, di realizzare un sistema informatizzato in rete, che lo colleghi alle Sezioni provinciali, alla Regione ed alle Aziende Sanitarie Locali e che rappresenta la base infrastrutturale per la costituzione dell’Osservatorio Epidemiologico Veterinario (O.E.V.)”.
La notizia dell’imminente nascita di questo centro si è diffusa dopo l’indignazione degli abitanti delle zone limitrofe a dove dovrebbero sorgere i laboratori, considerando, a poche centinaia di metri, le case, i giardini pubblici, un fiume, ma soprattutto considerando il ricordo ancora vivo di un laboratorio cinese di nome Wuhan. Come prevedibile le istituzioni si sono affrettate a rassicurare tramite i giornali locali sui livelli di sicurezza del nuovo IZSUM, sbagliando però questa volta argomento, visto che è proprio il livello alto di protezione 3 del laboratorio a preoccupare le persone, considerando che Wuhan era di livello 4.
Il mese passato l’assessore Riccardo Pozzi entrando nel merito della delibera per la prossima realizzazione del centro di ricerca descriveva quest’ultimo come un punto di riferimento per l’intero centro Italia, contraddicendosi però nelle settimane successive quando dichiarava “zero rischi e zero esperimenti”, continuando a considerare il centro come una grande opportunità per la città di Pesaro. Ormai ci stiamo abituando a determinate descrizioni che trasformano startup e centri di ricerca in vere e proprie possibilità sociali, come se venissero realizzati una biblioteca o un parco per far uscire i bambini dall’asfalto. Strutture spesso poi realizzate per controbilanciare attività non gradite dalla popolazione, non stupirebbe che una parte dei 200 mila euro risparmiati dall’acquisto del terreno venisse reinvestita in progetti “ecosostenibili ed inclusivi” per la cittadinanza, come già si è visto in altre situazioni simili accontentando così tutti e garantendo il seguito elettorale dei rappresentanti istituzionali.
Un centro di ricerca sperimentale diventa così un luogo dove non si fanno sperimentazioni e manipolazioni, un luogo che dà lavoro alla comunità come se ci fossero biotecnologi e nanotecnologi con il reddito di cittadinanza o in fila al Centro per l’impiego. Poco più di una “stalla” a sentire il signor Caputo, direttore dell’Istituto, che parla di innocue quarantene per animali colpiti da malattie virali e batteriche.
La realizzazione di un laboratorio simile va situata nell’attuale momento che stiamo vivendo: è in corso un’accelerazione del paradigma tecno-scientifico e le bionanotecnologie si insinuano nel mondo facendosi “ambiente” apprestandosi ad accompagnare l’intera nostra esistenza. Non ci stupisce che in questo caso si parta dalla salute veterinaria, ma non deve farci illudere che l’aspetto non ci riguardi: ci attende un’esistenza zootecnica, tutto va in quella direzione, se il mondo si fa laboratorio a noi ci attende lo stabulario.
Nel 2020, in piena dichiarata emergenza sanitaria, gli Stati Uniti hanno trasferito dall’Egitto alla Sicilia all’interno della base militare di Sigonella il NAMRU3 (Naval Medical Resarch Unit), un laboratorio di livello 3 della Marina Militare che conduce ricerche su virus e batteri, ma in particolare su malattie enteriche, infezioni acute respiratorie, epatiti, tubercolosi, meningiti, fino all’HIV e a varie infezioni da parassiti che potrebbero rappresentare un grave problema sanitario. Il trasferimento del quartiere generale del centro di ricerca nel cuore della Naval Air Station di Sigonella – realizzato con evidente fretta, considerando che era presente in Egitto dal 1945 – è stato giustificato dal fatto che risulta “Il luogo più ideale per le operazioni, poiché l’Hub of the Med risulta geograficamente centrale rispetto ai tre comandi di combattimento che il centro di ricerca deve supportare: il comando centrale (Centcom), il comando europeo (Eucom) e il comando africano (Africom)”. Tra l’altro questo trasferimento era stato deciso ben prima della dichiarata pandemia, evidentemente la chiaroveggenza che contraddistingue i militari li ha spinti a tirarsi avanti e a mettere base dove occorre.
L’aspetto della ricerca militare non dovrebbe portare a pensare che in questi centri si concentri il “segreto” di inconfessabili ricerche. Questo è l’aspetto che si vive dall’esterno, quello che si dà. La realtà è però ben più complessa, il concentrarci sul drone che protegge dall’alto il NAMRU distoglie la nostra attenzione su quello che avviene in quella che è stata chiamata “poco più di una stalla per animali infetti” come il nascente Istituto Zooprofilattico di Pesaro che è stato classificato di livello 3. Ricerche e centri di questo livello, evidentemente strutturati per un’esistenza di emergenza perenne, non fanno distinzione tra militare e civile. Anche da una “semplice stalla sperimentale” può uscire quello che occorre a condire una nuova arma batteriologica della NATO, perché ormai dovremmo averlo compreso, in tempi di emergenza tutto può accadere e le nostre previsioni e analisi più pessimiste spesso non eguagliano quello che effettivamente può essere messo in pratica. Il motivo è molto semplice, il sentire comune fa riferimento ai trattati, alle regole strettissime che sono un’infinità e a tutti i vari comitati bioetici, ma la realtà è che costoro non ragionano in questi termini, non vi è un rischio-beneficio da calcolare, ma un unico beneficio per i loro interessi e possiamo su questo essere certi che passeranno sopra ogni cosa pur di attuarli. Esistono anche i Manuali di Biosicurezza molto dettagliati e precisi, sulla carta, dove si interrogano su quello che può essere un “rischio accettabile”. Cosa significa questo, cosa può essere ritenuto “accettabile”? Che eventuali virus si disperdano nei quartieri e non raggiungano il fiume? O che il problema non vada oltre la cittadina? Questo ricorda determinati documenti che giravano durante la realizzazione della linea TAV nel Mugello dove venivano fatte anche le stime dei morti che ci sarebbero stati nella realizzazione dei lavori. Ma se invece di pensare sempre agli effetti ultimi non si iniziasse a puntare la riflessione e lo sguardo verso il principio, dove tutto nasce, allora gli interrogativi potrebbero essere perché risparmiare dieci minuti di viaggio e perché incrementare l’ingegneria genetica e la biologia sintetica anticamera della guerra batteriologica?
I manuali di biosicurezza sono scritti da chi dovrà essere controllato da quelle misure di sicurezza, perché sono loro gli esperti e i detentori di quel sapere tecno-scientifico, sono loro gli stessi promotori e fautori dei processi in corso. Poi, quando avviene un disastro, gli abitanti sono chiamati a diventare co-gestori e amministratori attivi e responsabili dello stesso disastro, come a Fukushima dove la popolazione aveva imparato ad automisurarsi i propri livelli di contaminazione radioattiva.
A Trieste il Centro Internazionale per l’Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di livello 3 nei mesi scorsi ha ricevuto dal governo italiano piena immunità e inviolabilità per il personale di ricerca e per quello che viene portato avanti all’interno dei suoi laboratori. Da quel momento non sono più tenuti a riferire sullo sviluppo delle loro ricerche di ingegneria genetica, ricerche che sono incentrate, come si legge dalla pagina del Centro, su “controllo dell’espressione genica, replicazione del DNA, riparazione del DNA, elaborazione dell’RNA; studi su virus umani quali HIV, HPV e rotavirus, immunologia molecolare, neurobiologia, genetica molecolare, ematologia sperimentale e terapia genica umana”. Nella sezione di sicurezza di livello 3 viene studiato anche il SARS-CoV-2 insieme ad altri agenti patogeni.
Nell’affrontare le tecnologie di ingegneria genetica e le nanotecnologie il pensiero è sempre diretto verso effetti avversi e possibili incidenti considerati come non voluti, ma quando si tratta di tali sviluppi gli effetti collaterali e gli incidenti sono sempre disastri annunciati che serviranno poi a velocizzare e a normalizzare altri passaggi. La vera preoccupazione dovrebbe andare invece verso quello che volutamente e con rigore scientifico stanno mettendo in campo e contro l’intero paradigma di ingegneria genetica e bionanotecnologia. All’Inserm di Lione in simili laboratori si sta tentando la fusione del virus dell’aviaria con quello dell’influenza A allo scopo di cercare possibili antidoti. Apparentemente buone intenzioni, ma quali temibili agenti patogeni ricombinanti potrebbero venir fuori? Dobbiamo sperare che prevalga il principio di Ippocrate invece che quelli del generale Caster?
Uno sguardo verso altre situazioni che si occupano di ricerca genetica (e di vivisezione sugli altri animali) come la Fondazione Telethon – che tra l’altro raccoglie ogni anno milioni di euro per rarissime malattie, considerando che i sempre più comuni tumori non rendono abbastanza – aiuta a comprendere cosa sia un biolaboratorio di livello 3. In questo modo descrivono le attività in uno di questi laboratori: “Tutti i microrganismi a elevato potenziale patogeno, capaci cioè di provocare malattie gravi o per le quali non vi sono ancora contromisure, devono essere manipolati in laboratori ad alto livello di biosicurezza. Il laboratorio di biosicurezza livello 3 (BSL3) dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) permette l’isolamento, la manipolazione e lo studio di organismi patogeni in elevate condizioni di sicurezza sia per l’operatore che per la comunità”. Ad ascoltare le parole del signor Caputo all’interno del nuovo Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Pesaro non si manipolerebbe nulla, nessun esperimento significativo, quindi quelle decine di ricercatori e cervelli in fuga che avremo preferito proseguissero la corsa si limiterebbero a seviziare gli animali con qualche prelievo di sangue e test di routine nelle “stalle sperimentali” da quattro milioni di euro. Ma quello che faranno sui corpi degli animali sarà ben altro, l’uso strumentale del termine “sperimentazione” nasconde l’atroce verità della vivisezione.
Non c’è distinzione tra laboratori che lavorano per “difendere” dalle minacce biologiche e quelli che le sviluppano. Innanzitutto dalla minaccia biologica all’arma biologica il passaggio è breve e “non c’è alcuna differenza sostanziale: fanno esattamente lo stesso lavoro. Quando un laboratorio biologico studia una minaccia, ad esempio un virus mutato, sia che lo faccia per prevenirla o per metterla in campo, deve fabbricare la minaccia. […] Nel momento in cui inizia la produzione di massa, la distinzione tra la ricerca per la prevenzione o per la diffusione non esiste più”1.
Pensiamo sia importante dare uno sguardo complessivo a quello che sta avvenendo, questi biolaboratori stanno proliferando ovunque nel mondo anche, e soprattutto, quelli di livello 4. Non sempre è chiaro quante strutture esistano, che cosa realmente facciano e soprattutto quanto materiale altamente pericoloso sia in circolazione. E quando questi laboratori sono situati dentro basi americane come a Sigonella le sorprese potrebbero essere ancora più ricombinanti. Un recente editoriale della celebre rivista Nature, punto di riferimento della comunità scientifica mondiale e nota per la sua “neutralità”, lancia l’allarme riguardo la possibilità di incidenti che vanno dai contagi accidentali del personale alle fughe di agenti infettivi, fino al rischio che malintenzionati possano mettere le mani sugli agenti patogeni per compiere attacchi bio-terroristici. Gli allarmi lanciati da queste élite scientifiche editoriali fanno rammentare l’esercitazione denominata Event 201 compiuta prima che venisse dichiarata l’emergenza pandemica nel mondo e ci rimandano all’ultima esercitazione Catastrophic Contagion2 condotta dal Johns Hopkins Center for Health Security, in collaborazione con l’OMS e l’immancabile Bill & Melinda Gates Foundation e al progetto della NATO Boosting NATO Resilience to Biological Threats3 per prepararsi alle prossime minacce biologiche. Quando costoro mettono in guardia su un problema significa che stiamo già vivendo quel problema, significa che camici bianchi e tute mimetiche hanno già messo le loro mani guantate fin troppo dentro tra quegli agenti patogeni.
Il fatto che il nuovo biolaboratorio di livello 3 in progetto a Pesaro sia un Istituto Zooprofilattico deve destare ulteriore attenzione e preoccupazione. In Italia esistono una decina di Istituti Zooprofilattici, senza contare le 90 sezioni diagnostiche periferiche, legati al Servizio Sanitario Nazionale che ne dispone per “la sorveglianza epidemiologica, la ricerca sperimentale, la formazione del personale, il supporto di laboratorio e la diagnostica nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti. La funzione di raccordo e coordinamento delle attività degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali è svolta dalla Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del Ministero della salute, che ne definisce, mediante il lavoro della Commissione Scientifica nazionale, le linee guida e le tematiche principali”. Potremmo trovarci difronte a una trasformazione ed evoluzione in ogni regione degli Istituti zooprofilattici in biolaboratori di livello 3 dando il via ad una rete di costruttori di emergenze perenni.
In pochi anni abbiamo assistito ad un aumento di questi biolaboratori, da Trieste a Sigonella. Quale significato possiamo trarne? Dobbiamo d’ora in poi familiarizzare con le tecnologie di ingegneria genetica che dai laboratori si estendono al mondo intero fino ad arrivare fin dentro i nostri corpi con i sieri genici a mRNA o a DNA ricombinante? Questa è una domanda retorica perché è evidente che siamo già in questa fase. Per non rimanere indietro di fronte agli eventi che ci stanno circondando, dobbiamo metterci insieme in coordinamenti, gruppi, comitati che superino il quartiere e la città e dobbiamo comprendere come il problema potrà essere affrontato con reale consapevolezza solo se riconosceremo e comprenderemo il contesto in cui si struttureranno questi ed altri biolaboratori, la loro matrice che affonda nella creazione e gestione di emergenze perenni e il senso di questi progetti che si trova nella direzione transumanista di intervento bionanotecnologico sui corpi e sull’intero vivente. L’esperienza di questi ultimi anni ha dimostrato la debolezza delle rivendicazioni parziali quasi esclusivamente dirette verso modalità e conseguenze ultime, ma non dirette a ricercare e svelare il senso delle cose e degli eventi e il disegno più ampio in cui questi sono da collocare. Strani meccanismi figli di questi tempi resilienti e fluidi hanno fatto abbandonare una critica radicale precisa e diretta o hanno impedito che si sviluppasse, si sono preferite le opinioni concilianti molli per accontentare sempre tutti, quando invece non c’era niente da conciliare. È evidente che le strade tracciate non sono sempre le migliori anche se coprono gran parte del territorio, servirà del coraggio per aprire vie nuove per farci largo in questo ginepraio biotecnologico che vorrebbe ricoprirci definitivamente.
Siamo giunti all’ultima ora, alla frontiera della lotta contro la presa del vivente, questa deve essere combattuta prima di ogni altra cosa, perché se non ci opponiamo all’ingegnerizzazione e artificializzazione dei nostri corpi e del mondo cosa ci resta per cui lottare?


Resistenze al nanomondo, 6 Gennaio 2022, Bergamo
www.resistenzealnanomondo.org


Note:

1 Πανδημίες και βιολογικός πόλεμος: η Σκύλλα και η Χάρυβδη της 4ης βιομηχανικής επανάστασης, Pandemie e guerra biologica: la Scilla e Cariddi della quarta rivoluzione industriale in Cyborg n. 24, Giugno 2022, https://www.sarajevomag.net/cyborg/cyborg.html, a breve la traduzione su www.resistenzealnanomondo.org

2 BRUXELLES 23 OTTOBRE 2022: BILL GATES INAUGURA LA SIMULAZIONE “CATASTROPHIC CONTAGION”, https://www.nogeoingegneria.com/timeline/progetti/bruxelles-23-ottobre-2022-bill-gates-inaugura-la-simulazione-catastrophic-contagion-contagio-catastrofico/

3 PROGETTI IN CORSO: NATO E HOPKINS UNIVERSITY CON GIOCHI DI SIMULAZIONE DI PANDEMIA, https://www.nogeoingegneria.com/uncategorized/progetti-in-corso-nato-e-hopkins-university-con-giochi-di-simulazione-di-pandemia/

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L’Internet dei corpi: il corpo come piattaforma tecnologica

L’Internet dei corpi: il corpo come piattaforma tecnologica

Introduzione

Non sono passati nemmeno dieci anni da quando l’Internet delle cose ha fatto notizia e ha alimentato i sogni dei tecnologi di tutto il mondo. Vestiti intelligenti che possono misurare il tuo umore e aggiornare il tuo telefono cellulare, occhiali intelligenti con i quali puoi sovrapporre la realtà con un secondo strato tuo, ad es. con realtà personalizzate, lampadine intelligenti ed economiche incaricate di portare il peso della vostra eco-coscienza accendendosi solo quando siete nella stanza o quando date il comando dal controllore della vostra vita alias smartphone, caffettiere intelligenti, tazze ingegnose, lavandini abilitati al wi-fi e la lista continua. Tutta questa nuova vita “intelligente” e illusoria promessa dall’interconnessione universale di tutto su internet si è rivelata, almeno finora, una mera fantasia. Ma questa è una prova del fallimento dell’Internet delle cose? In un certo senso, la risposta dovrebbe essere affermativa (di nuovo, almeno per ora), almeno se si vuole prendere tali promesse al valore nominale. D’altra parte, l’Internet delle cose può essere considerato un “fallimento” tanto quanto qualsiasi nuovo modello di società basata sull’automobile è un “fallimento” perché i suoi conducenti finiscono per passare la maggior parte del loro tempo a muoversi al ritmo di un bradipo su Alexandra piuttosto che con grazia felina su strade aperte, vaste distese di aperta campagna o su strade serpeggianti e panoramiche arroccate su montagne verdi, come dovrebbero, visti gli spot pubblicitari. La differenza cruciale nel caso dell’Internet of Things, che fornirà la misura di qualsiasi fallimento o successo, è che non è stato semplicemente un tentativo di promuovere un prodotto o addirittura una gamma di prodotti. Ciò che è stato ampiamente promosso o addirittura imposto non era tanto e non solo gli specchietti per le allodole dei dispositivi intelligenti, ma l’idea stessa di connettività universale, la nozione che le informazioni possono essere tratte da tutto e che queste informazioni possono essere valutate, sfruttate e valorizzate.

Ci sono stati molti, troppi, probabilmente la stragrande maggioranza dei soggetti delle società occidentali, che sono sembrati fin troppo disposti ad abboccare all’amo di tutti i tipi di dispositivi intelligenti. Ritrovarsi con il gancio dell’interconnettività universale incastrato dentro di loro, forse non ancora sufficientemente consapevoli delle conseguenze della posizione in cui si sono trovati. Gli oceani di novocaina psico-intellettuale in cui nuotano quotidianamente (per gentile concessione dei social media e delle piattaforme di lobotomia in abbonamento) non lasciano loro molto spazio di manovra. L’ampiezza di questa ritirata di coscienza e la concessione in preda al panico di posizioni sul campo di battaglia che una volta sarebbero state considerate non negoziabili è diventata evidente, se non altro, con il recente rilascio di certificati sanitari. La disponibilità docile con cui i sudditi esibiscono i simboli della loro indegna conformità a un regime paranoico (anche per movimenti non necessari, come quelli legati al lavoro o agli studi) è un punto basso ma non il nadir del declino politico ed estetico-morale; all’altra estremità della fogna ci sono coloro che assumono il ruolo di controllori, non di rado godono del loro ruolo, anche se non lo ammettono apertamente, forse nemmeno a se stessi (il loro tono di voce e il linguaggio del corpo sono, tuttavia, testimoni inconfutabili). Una meravigliosa condizione sociale che permette di creare ovunque microclimi e alveoli, all’interno dei quali i funghi degli atteggiamenti autoritari meschini acquistano lo status dell’auto-evidente: l’insegnante controlla gli alunni (una persona maliziosa potrebbe dire: “non è un nuovo ruolo per gli insegnanti”), il commesso controlla l’insegnante quando si presenta come cliente, il cameriere controlla il commesso quando va a comprare un caffè ecc. A tutti viene data la possibilità di assumere il ruolo dell’esaminatore; ma a nessuno viene risparmiato il ruolo dell’esaminato: in altre parole, la definizione della condizione cannibale.

Un promemoria non banale: tutte queste cose devono il loro “successo” in gran parte al fatto che sono mediate meccanicamente. Gli smartphone che promettevano la fioritura di una vita in cui tutto sarebbe stato disponibile alla (o anche prima della) pressione di un pulsante sembrano aver diffuso prima il concime della barbarie sociale sotto forma di sorveglianza reciproca. È ovvio che senza la capacità di scannerizzare e identificare istantaneamente un certificato, l’intero regime di sorveglianza “medica” sarebbe instabile e a tal punto che alla fine potrebbe crollare. Ma chi oserebbe opporsi a tali pratiche tra coloro che, per amore di una qualunque “comodità” gratuita, sono diventati degli smidollati dissanguatori di dati attraverso i loro dispositivi interconnessi di ogni tipo?

Il corpo come campo di intervento

Questa intersezione della “cura” medica e della sorveglianza con le tecnologie di rete non è né temporanea né occasionale, anche se viene spesso presentata come tale. È un asse chiave della marcia capitalista verso la quarta rivoluzione industriale che si sviluppa a volte sotto varie etichette. Due di queste sono la medicina di precisione, che si preoccupa di operare su un livello un po’ più tangibile e concreto, e il post-umanesimo, per il quale nessuna vanità metafisica e nessuna soteriologia religiosa sono estranee e inappropriate.1 Come se queste non bastassero, una terza etichetta simile è circolata di recente: ci riferiamo al cosiddetto “Internet dei corpi”. Non siamo fan della creazione inflazionata di nuovi termini per qualsiasi cosa un burocrate in un think tank o un ricercatore in cerca di nuovi finanziamenti possa inventarsi. L’Internet dei corpi sembra all’inizio un caso simile di un termine senza oggetto particolare che viene a riciclare del vecchio materiale. Anche se questo è vero in una certa misura, ad un secondo sguardo il termine sembra effettivamente segnalare una nuova svolta nella relazione tra sorveglianza corporea ed elettronica che merita uno sguardo più attento. A differenza della medicina di precisione, l’Internet of Bodies non riguarda solo i problemi di salute, ma potenzialmente tutto ciò che potrebbe coinvolgere il corpo, sia sano che malato. E come estensione in qualche modo del post-umanesimo, non solo immagina il corpo biologico come perpetuamente aggiornabile, ma allo stesso tempo come “aperto” al mondo esterno, come una fonte infinita di informazioni, come un nodo all’interno di una mega-macchina di feedback (il buon vecchio sogno cibernetico).

Ma cos’è esattamente l’Internet dei corpi? Se l’Internet of Things era l’idea che ogni oggetto nel mondo può essere dotato di sensori in grado di connettersi a Internet, l’Internet of Bodies fa un passo avanti trattando il corpo stesso come un tale “oggetto”. Il corpo è ora inteso come una “piattaforma tecnologica “2 sulla quale possono essere dispiegati e fissati vari tipi di dispositivi. Questo era più o meno lo scopo della corrente dell’auto-quantificazione e del sé quantificato. Per l’Internet dei corpi, invece, l’auto-quantificazione è solo il primo passo. L’integrazione dei corpi quantificati e hackerati in una rete di comunicazione, la loro apertura quasi anatomica al mondo esterno, anche sotto forma di un flusso di informazioni, è il secondo passo.

I primi riferimenti al termine Internet of Bodies (almeno in base alla nostra ricerca) sembrano risalire al 2014 ed erano legati alle ambizioni di Google di sviluppare dispositivi incorporabili come lenti a contatto contenenti nano-circuiti e antenne delle dimensioni di un capello.3 Nonostante il suo carattere accattivante e sensazionalista, come termine non ha guadagnato particolare slancio negli anni immediatamente successivi. La sua istituzione più ampia è avvenuta in due fasi, con un leggero ritardo. In primo luogo, è stato utilizzato dall’accademica, professoressa di diritto statunitense, Andrea Matwyshyn in un approfondito articolo in cui descrive, categorizza e analizza, spesso in modo molto critico, i dispositivi in questione e le conseguenze legali della loro proliferazione in futuro.4 Questo articolo è stato da allora un punto di riferimento costante in tutte le discussioni relative all’Internet dei corpi. Al suo secondo anno, questo termine sembra esplodere in popolarità a partire dal 2020. Il ruolo di primo piano è stato ora assunto da think tank (come RAND5), organizzazioni tipo World Economic Forum6 e associazioni tecno-scientifiche attraverso le loro riviste.7 Il fatto che questo termine si sia improvvisamente ritrovato sulle labbra e nelle penne più ufficiali proprio nel momento in cui la pandemia di totalitarismo sotto le spoglie del coronavirus ha messo in discussione nozioni fondamentali del corpo e della sua autonomia non può essere considerato semplicemente casuale. Non è una coincidenza di tempo. Coloro che pensavano che la gestione del coronavirus riguardasse semplicemente il virus stesso e i possibili modi di affrontarlo, impareranno presto che in realtà riguardava tutto il loro corpo. E l’Internet dei corpi sarà uno dei termini del polinomio in base al quale saranno descritti e circoscritti i corpi dei soggetti delle società occidentali.

L’articolo di Matwyshyn citato sopra cerca, oltre a fornire una definizione di Internet of Bodies, di fare una prima classificazione genealogica dei dispositivi rilevanti. Come prima generazione di dispositivi Internet Of Bodies (IoB) cita quelli che interagiscono con il corpo pur rimanendo esterni ad esso (body-external). Gli esempi sono abbondanti: dagli occhiali intelligenti di Google che sono stati malamente ritirati (ma solo temporaneamente, secondo noi) a tutti i tipi di wearables per registrare l’attività fisica o anche dispositivi elettronici per la pelle che sono attaccati alla pelle normale e prendono misure di interesse medico. Qui è importante capire che molti di questi dispositivi non sono nemmeno considerati dispositivi medici e quindi la loro vendita e il loro uso non richiedono l’approvazione degli organismi competenti. Tuttavia, hanno quasi sempre la capacità di raccogliere, elaborare e conservare i dati registrati, lontano dal controllo degli utenti. La questione della proprietà, della titolarità e del possesso di questi dati è ancora in un vuoto giuridico, il che naturalmente non impedisce alle aziende che ci sono dietro di imbarcarsi in operazioni senza precedenti di accumulazione primitiva di “capitale digitale”, vista l’ignoranza e l’accidia che gli utenti mostrano su tali questioni.

La seconda generazione di dispositivi IoB riguarda ora dispositivi che, per funzionare, devono essere “installati” sul corpo dell’utente per mezzo di tecniche invasive che sfondano i confini dermici del corpo (body internal). Impianti cocleari (e dispositivi di riparazione dei danni sensoriali in generale), pacemaker intelligenti, pillole elettroniche con la capacità di emettere informazioni dopo l’ingestione, organi artificiali (prodotti della stampante 3D) sono solo alcuni degli esempi rilevanti. Anche se non sono nuove come idee (i pacemaker convenzionali hanno una lunga storia), ciò che ora li distingue dai loro antenati è la loro capacità di interfacciarsi con il mondo esterno in prima istanza; e in seconda istanza, la capacità di ricevere comandi dal mondo esterno e di adattare il loro comportamento, sia sulla base di tali comandi esterni o anche spontaneamente sulla base di istruzioni interne, poiché molti di loro hanno una potenza di calcolo propria, a volte dotata di algoritmi di intelligenza artificiale. 8 Va da sé che anche con questo tipo di dispositivo esiste ancora il problema dello status legale dei dati raccolti. Infatti, dato che in molti casi abbiamo a che fare con il controllo di funzioni vitali del corpo, se il software di questi dispositivi è considerato di proprietà del produttore, la questione viene portata a un livello ancora più profondo: le aziende, in base alle proprie disposizioni, intenzioni e rifiuti di mantenere, rimuovere o aggiornare i relativi pacchetti software, acquisiscono de facto diritti di proprietà sul corpo degli utenti; in casi estremi anche diritti di vita e di morte. In nessun caso, tuttavia, si deve presumere che questa generazione di dispositivi IoB sia limitata ad applicazioni mediche terapeutiche o preventive. Per esempio, le lenti a contatto intelligenti che possono proiettare informazioni o addirittura interi mondi virtuali direttamente nell’occhio stanno prendendo piede per la parte di intrattenimento e socializzazione; una parte che alla lunga potrebbe rivelarsi più importante e redditizia di quella strettamente medica.

Infine, la terza generazione, che è considerata la meno sviluppata al momento, comprende quei dispositivi che mirano a combinare intelligenza biologica e artificiale; in altre parole, dispositivi che sono collegati al sistema nervoso degli utenti e possono quindi essere messi sotto il controllo diretto delle loro “menti”. Rientrano in questa categoria vari tipi di arti protesici che possono essere mossi per mezzo di elettrodi collegati ai nervi rimanenti dell’arto amputato. Ancora una volta, tuttavia, non è affatto necessario che l’uso di tali dispositivi rimanga in un quadro strettamente medico-terapeutico. Non c’è dubbio che il campo del potenziamento e dell’ottimizzazione cognitiva e neurale si rivolgerà a intere popolazioni, non solo ai malati, ma anche ai sani – o meglio ai prevalentemente sani. Al momento, i dispositivi esistenti non sembrano fornire capacità di immergersi nelle strutture profonde del sistema nervoso; sono generalmente limitati a quelle che vengono chiamate “interfacce cervello-computer” che operano attraverso una connessione tangenziale al sistema nervoso (ad esempio, tramite elettrodi). Tuttavia, la ricerca di scavo nel funzionamento interno del cervello sta procedendo rapidamente,9 senza alcuna certezza su quando i suoi risultati troveranno la loro strada nel mondo reale. Se prendiamo il caso del coronavirus e i preparati genetici preventivi presentati come una salvezza contro di esso come un buon esempio di ciò che verrà, allora non dobbiamo aspettarci controlli di sicurezza approfonditi per questi dispositivi che aspirano ad agganciarsi al sistema nervoso. Se il sistema immunitario è stato gettato nella pattumiera come obsoleto con tale facilità, non c’è motivo per cui lo stesso non debba accadere con il sistema nervoso.

Il grande crollo

Dovrebbe essere ovvio da quanto sopra che non siamo solo di fronte a un cambiamento di paradigma in termini di comprensione della salute e quindi di tecniche terapeutiche appropriate, ma anche a una ristrutturazione altrettanto importante della comprensione del corpo e per estensione anche del sé. Il corpo non ha più confini inviolabili, non costituisce più un santuario al quale si può accedere solo in circostanze molto specifiche e con le massime precauzioni, non è nemmeno qualcosa che possiedo in esclusiva, secondo le dottrine del liberalismo classico. Il corpo si apre al mondo, diventa quasi trasparente, da sfera ripiegata su se stessa diventa una superficie dispiegata di cui ogni centimetro è disponibile per la misurazione e l’esame. Non c’è più un orizzonte di fatti, per quanto nebuloso, al di là del quale riposa un nucleo duro di soggettività. Una moltitudine di funzioni corporee (o anche di organi) possono essere sostituite da altre, rinforzate artificialmente o anche lasciate atrofizzare al punto da essere considerate “obsolete”.

Un tale sviluppo può essere visto come una buona cosa da alcuni o anche come una conferma delle teorie della cosiddetta mente estesa (vedi il lavoro dei “filosofi della mente” Andy Clark e David Chalmers) secondo cui ciò che chiamiamo “mente” non è limitato ai confini del cervello o anche del corpo, ma include parti del mondo esterno (per esempio le pagine su cui io sto scrivendo questo articolo e voi lo state leggendo fanno parte rispettivamente della mia e della vostra mente). Tali teorie nascono da una disposizione in linea di principio corretta della critica contro le concezioni che vedono la mente come un’unità fondamentalmente chiusa e completamente individuata (ricordando così l’ontologia metafisica di Leibniz) che solo in un secondo tempo stabilisce relazioni con il suo ambiente. Ma nella misura in cui soffrono di una mancanza di sensibilità dialettica – e questa è una condizione comune – possono facilmente finire con un idealismo estremo (tipo Berkeley). Inoltre, la nozione di un corpo esteso (per parafrasare il termine “mente estesa”) che l’Internet dei Corpi propone, annulla essenzialmente la nozione precedente che vedeva il corpo (e il sé) come una totalità non modificata, il risultato di milioni di anni di evoluzione biologica. In altre parole, il corpo non era visto come un mero assemblaggio cumulativo di organi e funzioni individuali e indipendenti che potevano essere riorganizzati a piacimento, ma come una totalità con una sua peculiare teleologia sotto la quale rientravano i singoli organi – e qui si potrebbe anche invocare la nozione spinoziana di conatus, cioè lo sforzo che ogni essere vivente fa per mantenere la sua esistenza come totalità. Secondo l’Internet dei corpi, il conatus di Spinoza non è altro che un’illusione; il corpo (può e vuole) è in costante comunicazione con il suo ambiente, ricevendo comandi da esso e in costante disponibilità a rispondere. Non si sa (almeno ai nostri occhi semplicistici) quali sarebbero le conseguenze di una tale “rottura dei vasi” del corpo umano (e probabilmente non solo).10 Come minimo, si potrebbero immaginare esseri gravemente disturbati e psico-intellettualmente mutilati in completa confusione di identità e incapaci di sintetizzare le loro esperienze in una comprensione coerente del mondo e di se stessi. Il che a sua volta è assolutamente certo che porterà gravi disturbi anche in ciò che chiamiamo salute fisica; un organismo che non è in grado di distinguere con un certo grado di chiarezza tra il “fuori” e il “dentro” è un organismo il cui sistema immunitario sarà in una crisi permanente e il cui sistema nervoso sarà in uno stato maniaco-depressivo: sia in una iper-stimolazione cercando di rispondere incessantemente a nuovi stimoli e comandi o in una catatonia, rassegnandosi alla richiesta di azione, reazione e feedback costante.

Il colpo contro il senso del sé e la dissoluzione della soggettività basata sul corpo non arriverà, tuttavia, solo attraverso il crollo del senso di interezza dei singoli organismi biologici. Dal momento che le ambizioni dell’Internet dei Corpi hanno un forte sapore di post-umanesimo, puntando al sovraccarico del concetto di salute verso l'”ideale” di un continuo miglioramento, ciò implica che qualsiasi divisione (di classe e non solo) tra i soggetti umani può anche iniziare ad acquisire una dimensione biologica.11 Se alcuni soggetti, a causa dei loro “miglioramenti” e aggiornamenti artificiali, possiedono una gamma di esperienze radicalmente diversa da quella dei modelli più “antiquati”, senza nemmeno potersi liberare di queste esperienze aumentate a causa della profonda integrazione dei relativi dispositivi con i loro corpi (tranne forse a un costo molto elevato), allora la griglia (comunque poco durevole, dopo tanti decenni di avanzamento dell’individualizzazione) dell’intersoggettività comincerà a disfarsi. Quale sarà il terreno empirico comune su cui questi soggetti potranno stare e stabilire canali di comunicazione? Come potranno conversare e con quale lingua come veicolo? Sarà ancora possibile “il lavoro del traduttore” una volta che la comunità esperienziale del sentire, quel linguaggio segreto delle creature umane (e degli esseri viventi in generale) che anima le singole lingue umane, sarà stato prosciugato?

La questione non è ovviamente solo “comunicativa”. Dato che l’identità e la percezione di sé emergono attraverso l’intersoggettività, come nodi sul nodo delle relazioni sociali (un essere individuale non potrebbe nemmeno costituire un’identità), qualsiasi scioglimento di questo nodo significherebbe automaticamente uno scioglimento delle identità individuali. Questo sarebbe naturalmente uno scenario assolutamente estremo con poche possibilità di realizzazione. Nel caso più estremo, si tratterebbe della possibilità di creare persino nuove specie biologiche attraverso un tale processo di differenziazione tecno-biologica continua. Anche negli scenari più blandi, tuttavia, il problema della costituzione dell’identità rimane. Identità individuali e collettive. La quarta rivoluzione industriale sembra prevedere una disincarnazione universale, non solo in relazione al lavoro e alla conoscenza che richiede, ma anche in relazione alle funzioni di base del corpo, anche in relazione al sé e al suo costituire una totalità. Il sé non è mai stato, ovviamente, un’unità isolata, esclusa dal resto del mondo. La sua sottomissione alle norme di tutti i tipi di dispositivi e algoritmi, tuttavia, non è altro che l’annientamento.

Oltre alle suddette questioni, un po’ filosofiche ed esistenziali, ce n’è un’altra che è estremamente politica ed economica. È la questione del costo della riproduzione sociale degli strati subordinati nelle società occidentali e la relazione di questo costo con l’Internet dei corpi. Quali sono i benefici dell’Internet dei corpi, in base alle stime del World Economic Forum:13 “consentire il monitoraggio remoto dei pazienti”, “migliorare il coinvolgimento dei pazienti e promuovere uno stile di vita sano”, “avanzare le cure preventive e la medicina di precisione” e “migliorare la sicurezza sul posto di lavoro”. Non ci vuole un occhio particolarmente penetrante per rendersi conto che lo scopo principale di tutta questa campagna per quantificare il corpo e rendere le sue informazioni disponibili al mondo esterno è quello di controllarlo più strettamente, di monitorarlo in modo che le sue cattive abitudini possano essere sradicate e la sensazione che non ti appartiene come pensavi, che qualsiasi maltrattamento di esso costituisce un comportamento antisociale. Dietro le chiacchiere sulla medicina di precisione, i trattamenti preventivi e la continuità delle cure si nasconde una ristrutturazione fondamentale del concetto di salute, i sistemi di fornitura dei servizi sanitari, i diritti rilevanti che i pazienti possono esigere e gli obblighi corrispondenti da parte dello Stato e dei fornitori privati. I costi della riproduzione sociale sono ormai considerati “insostenibili” – o, in altre parole, solo apparentemente in contraddizione con i costi “insostenibili”, il settore della riproduzione sociale della salute può diventare estremamente redditizio se viene liberato dall’inutile “grasso” del “decido io quando sono malato, quando farmi curare e se seguire i consigli di questo o quel medico”.

Forse non sarebbe esagerato dire che stiamo entrando in un modello di riproduzione sociale snella, una parafrasi del termine lean production (noto anche come toyotismo). La malattia, specialmente quella non autorizzata, è ora vista come uno spreco, come qualcosa che deve essere previsto e prevenuto. E quando questo non è possibile, dovrebbe essere eliminato il più presto possibile sotto l’occhio vigile del medico.14 Sarebbe ingenuo, tuttavia, credere che questo comporti almeno un miglioramento generale della salute. Proprio come il toyotismo non è stato introdotto nel processo produttivo nel tentativo di de-crescere, ma proprio per aumentare la produzione, così anche il toyotismo sanitario probabilmente aumenterebbe i livelli di morbilità potendo decidere da solo cosa è morboso. La cosa spiacevole: non si tratterà della morbilità delle singole malattie, ma della morbilità come condizione costituzionale dell’esistenza sociale, della società come un’enorme unità di cura intensiva dove saranno registrati tutti gli indicatori biologici. Una tale società in conflitto permanente con il suo ambiente e la natura che la circonda è già una società morbosa nel suo nucleo. La sua unica via di fuga saranno gli analgesici, i tranquillanti e l’autodistruzione.

Separatrix, Cyborg Magazine, n.23, Atene
https://www.sarajevomag.net/cyborg/cyborg.html
Pubblicato in L’Urlo della Terra, num.10, Luglio 2022

Note

1 – Vedi articoli precedenti correlati in Cyborg: “Molti, troppi, e sani: i big data sanitari sono un’altra miniera d’oro”, v. 18; “Indossabile, portatile, sottocutaneo: il corpo come scheda madre”, v. 10; “Medicina di precisione: la personalizzazione della medicina”, v. 9 (in greco).

2 – Il termine non è nostro. Vedi l’articolo del World Economic Forum: “Shaping the Future of the Internet of Bodies: new challenges of technology governance”, luglio 2020, https://www3.weforum.org/docs/WEF_IoB_briefing_paper_2020.pdf

3 – https://web.archive.org/web/20140121011604/http://

motherboard.vice.com/blog/googles-internet-of-things-now-includes-your-body

e https://www.vice.com/en/article/gvyqgm/the-internet-of-bodies-is-coming-and-you-could-get-hacked

4 – “The Internet of Bodies”, William & Mary Law Review, 2019.

5 – https://www.rand.org/about/nextgen/art-plus-data/giorgia-lupi/internet-of-bodies-our-connected-future.html

e https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR3226.html

6 – https://www.weforum.org/agenda/2020/06/internet-of-bodies-covid19-recovery-governance-health-data/

7 – “Intelligent Ingestibles: Future of Internet of Body” (Ingestibili intelligenti: il futuro dell’Internet dei corpi), IEEE Internet Computing, 2020 (https://ieeexplore.ieee.org/document/9195138), “The Internet of Bodies: A Systematic Survey on Propagation Characterization and Channel Modeling” (L’Internet dei corpi: un’indagine sistematica sulla caratterizzazione della propagazione e la modellazione dei canali), IEEE Internet of Things Journal, 2022 (https://ieeexplore.ieee.org/document/9490369)

8 – Dick Cheney, il noto ex vicepresidente degli Stati Uniti, ha ricevuto uno di questi pacemaker intelligenti. Tuttavia, dopo qualche tempo si è deciso di disabilitare le sue capacità di interfacciamento Wi-Fi con il mondo esterno per paura di un possibile hacking del dispositivo.

9 – Abbiamo riferito della ricerca sulla memoria nel numero precedente: “L’ingegneria dello spirito”, Cyborg, vol. 22. (in greco)

10 – Per i costruttivisti disimpegnati, non dovrebbero esserci problemi. Il solo suggerire che tale plasticità infinita possa avere conseguenze negative è automaticamente commettere l’errore dell'”essenzialismo”. Beati i poveri in spirito…

11 – A coloro che pensano che questo sia un po’ troppo, si consideri che sta già accadendo in una certa misura: attraverso la separazione in vaccinati e non vaccinati. Il corpo sano è stato essenzialmente messo al bando. Questa separazione sta ora assumendo anche chiare dimensioni di classe, con le classi medie e superiori del WAPL (white anglo-saxon progressive liberals) che sono sovrarappresentate nell’insieme dei fanatici della vaccinazione e delle misure di disciplinamento sociale. Vedi il breve articolo su unherd: “To witness the covid divide, walk from Brooklyn to Queens”, https://unherd.com/thepost/to-witness-the-covid-divide-walk-from-brooklyn-to-queens/. Fortunatamente, la sinistra vigile non è così facilmente sedotta dai fatti della realtà e tiene duro. Chiede più vaccini per tutto il mondo, anche se il resto del mondo non li vuole. Alcuni altri “rivoluzionari” invece, avendo ben assimilato la lezione delle manovre sindacali, insistono che la vaccinazione è una questione secondaria (“siamo contro la segregazione, ma chi non si vaccina è un idiota”). Και την «επαναστατική» πίτα ολάκερη, και τον σκύλο της (διανοητικής και κοινωνικής) βολής χορτάτο. Proverbio popolare greco. Il significato del proverbio è che qualcuno vuole “tutta la sua carne” ma anche “il suo cane sazio”. Volendo tutto il pane “rivoluzionario” e, allo stesso tempo, la loro posizione intellettuale e sociale sicura… [n.d.c]

12 – No, non siamo costruttivisti nemmeno a livello del linguaggio, non lo vediamo come un sistema di convenzioni arbitrarie. Coloro che non hanno ancora superato queste malattie infantili dovrebbero guardare gli scritti di Benjamin. Vedi: W. Benjamin (a cura di), Saggi sulla filosofia del linguaggio.

13 – Shaping the Future of the Internet of Bodies: New challenges of technology governance (Dare forma al futuro dell’Internet dei corpi: nuove sfide della governance tecnologica), WEF, 2020, https://www3.weforum.org/docs/WEF_IoB_briefing_paper_2020.pdf .

14 – Questo non è uno scenario fittizio. Una compagnia di assicurazioni ha rifiutato di coprire i costi dei pazienti in apnea sulla base dei dati inviati dai ventilatori ai suoi server, senza che i pazienti ne fossero a conoscenza. I pazienti che hanno usato le macchine per un tempo inferiore a quello indicato nelle istruzioni hanno perso il rimborso. Vedi: “Health Insurers Are Vacuuming up Details About You – and It Could Raise Your Rates “(Gli assicuratori sanitari stanno raccogliendo dettagli su di te – e potrebbero aumentare le tue tariffe), ProPublica, 2018, https://www.propublica.org/article/health-insurers-are-vacuuming-up-details-about-you-and-it-could-raise-your-rates

Dalle mutazioni alla “riprogrammazione”: il progresso dell’ingegneria genetica

Dalle mutazioni alla “riprogrammazione”: il progresso dell’ingegneria genetica

Può essere che le mutazioni avvengano in tutti i tipi di organismi in modo casuale dall’inizio del tempo. Ma le mutazioni ingegnerizzate, il fiore all’occhiello della biotecnologia negli ultimi decenni, hanno rapidamente ottenuto una pessima fama. I movimenti radicali negli Stati Uniti e in Europa hanno chiesto che tutte le ricerche di questo tipo siano fermate fino a quando il rilascio di organismi geneticamente modificati (mutati) nell’ambiente naturale verrà vietato. Non senza motivo. L’ingegneria genetica interferisce con la struttura delle cellule per creare organismi la cui evoluzione è sconosciuta e, in ogni caso, imprevedibile. Mutazione progettata significa manipolazione genetica progettata – ma anche il più saggio tra i genetisti non metterebbe la mano sul fuoco che non si tratti di un nuovo Frankenstein.

Il primo (micro)organismo geneticamente mutato fu introdotto nel 1987, ed era il batterio p. syringae, che si mise subito al lavoro: fu rilasciato nelle coltivazioni di fragole e patate negli Stati Uniti, con il compito di impedire alle piante di congelare durante l’inverno. Allo stesso tempo, sono iniziati gli esperimenti sulle piante geneticamente modificate, a partire dal tabacco, per rendere le piante di tabacco “resistenti” ai pesticidi chimici spinti dall’industria agrochimica.

Nonostante l’opposizione (più pronunciata in Europa), a partire dagli anni ’90 la coltivazione industriale di piante geneticamente modificate come materia prima per l’industria alimentare ha cominciato a prendere piede, soprattutto negli Stati Uniti. Mais, riso, soia, patate, pomodori e grano geneticamente modificato coprono già milioni di acri, quasi il 16% della superficie coltivata negli USA. Per le aziende di specie geneticamente modificate (che sono diventate un oligopolio dell’agricoltura industriale e, in misura simile, dell’allevamento industriale) i profitti sono ovvi e pazzeschi. Per la specie umana sono incerte, poiché non si sa (di fatto, non si riconosce) quali sono (e saranno in futuro) le conseguenze. In pratica, il capitalismo non ha problemi: crea le crisi e poi appare come la “soluzione”…

Un modo comune di intervento/mutazione genetica è la rimozione di un gene (una parte della sequenza del dna) o l’interferenza diretta con la sequenza. Un altro modo comune è l’introduzione di dna artificiale, “sintetico”, nelle cellule genetiche originali di un organismo (nel caso dei mammiferi superiori questo intervento può essere fatto in una cellula uovo/sperma nell’inseminazione artificiale). I retrovirus sono utilizzati per eseguire questa invasione/aggiunta genetica. È in linea di principio al retrovirus che viene aggiunta la sequenza extra di DNA. Il virus è posto vicino alle cellule bersaglio, e impianta il nuovo DNA nel loro nucleo…

La collaborazione tra virus e genetisti risale a qualche decennio fa – non quello che ci si aspetta di imparare dai media di massa e anti-sociali. Né ci si aspetterebbe di conoscere in questo modo una “rivoluzione biotecnologica”, una “scoperta” fatta per caso da un genetista canadese nel 2010. Derek Rossi ha scoperto un modo per “riprogrammare” le molecole che portano le informazioni genetiche per lo sviluppo delle cellule, comprese quelle umane – e, di conseguenza, “riprogrammare” le loro funzioni.

Queste molecole sono chiamate acido ribonucleico messaggero (messenger ribonucleic acid/mRNA). La capacità di “riscrivere” le istruzioni che portano allo scopo di mutare qualsiasi tipo di cellula vivente all’interno di un organismo (per modificarne la funzione) ha cambiato il corso della biotecnologia in Occidente – e anche questo non si impara guardando uno schermo. Secondo Rossi: “La cosa veramente grandiosa di questa scoperta era che ora potevamo fare mRNA e metterlo nelle cellule, e quindi forzare il loro mRNA a produrre qualsiasi proteina che volevamo”.

“Mutazione”, che era/è il nome dell’intervento direttamente sul dna, un intervento che aveva causato tante polemiche e mentre avanzava nelle sue applicazioni commerciali incontrava ancora ostacoli e serie obiezioni, ha acquisito un “fratello”: la modifica genetica via mRNA, che non “tocca” il dna, e può essere chiamata “riprogrammazione”. In un’epoca di rappresentazioni digitali universali dove l’idea astratta di “programmare” (macchine) è diventata familiare al punto da essere amichevole, la “riprogrammazione” potrebbe essere una buona copertura per far avanzare la ricerca e diffondere le applicazioni delle mutazioni senza provocare gravi opposizioni…

Così grande era la scoperta, così grande il colpo, e così ampia la strada aperta ai genetisti, che Rossi ha formato una società nel 2014, con il finanziamento di (tra gli altri) uno dei tanti fondi di private equity (di origine sconosciuta) che fioriscono nel mondo capitalista occidentale, Flagship Pioneering.1 Questa società si chiama Moderna…

I militari in “prima linea”…

Non si sa cosa Rossi sapesse e non sapesse nel 2014 da anni di ricerche precedenti del braccio tecnologico dell’esercito americano in campi simili al suo. Se c’è un meccanismo che può essere pubblicizzato come “protettore della salute umana” è la DARPA statunitense. La risposta alla domanda quali sono gli interessi generali dell’esercito americano in questo campo della salute e delle malattie è ovvia: la guerra biologica.

Nel 2006 la DARPA ha annunciato un programma di “previsione di salute e malattia” (PHD). Un anno dopo, nell’ottobre 2007, la nota rivista Wired ha commentato:2

“La maggior parte di noi prima starnutisce, tossisce, ha il raffreddore – e poi va da un medico per prendere qualcosa per l’influenza. Il dipartimento di scienze pazze del Pentagono vuole fare il contrario: monitorare costantemente la salute dei militari in modo che la malattia possa essere individuata prima del primo starnuto. È come avere un medico con uno stetoscopio infilato in gola. e una sfera di cristallo nelle sue mani”.

Il progetto di previsione della salute e delle malattie generalizzerà i metodi per identificare se una persona svilupperà una malattia trasmissibile prima che compaiano i sintomi. Mentre i metodi attuali fanno la diagnosi e formulano il trattamento dopo che una persona va dal suo medico, il programma PHD vuole cambiare il modello rilevando i cambiamenti nello stato di base della salute umana attraverso la sorveglianza continua. L’obiettivo è quello di raggiungere il 100% di prontezza del soldato attraverso l’identificazione, l’intervento e il trattamento della malattia prima della comparsa dei sintomi.

DARPA non dice come raggiungerà questo obiettivo – dice solo che ciò richiederà “come minimo metodologie analitiche innovative potenziate da modalità diagnostiche tradizionali e non tradizionali”. Ma questa agenzia sa che tipo di malattie è interessata a rilevare.

È principalmente interessata alle infezioni virali, patogeni delle vie respiratorie superiori che hanno il potenziale di ridurre la prontezza di combattimento dei soldati durante una guerra, e che possono occasionalmente portare a cancellazioni di missioni e alta morbilità nelle caserme. Gli agenti patogeni presi di mira sono i virus dell’influenza, i virus parainfluenzali, i virus parainfluenzali, gli adenovirus, il virus respiratorio sinciziale e altri simili.

Quindi, dato che i militari non possono aspettare, l’agenzia vuole una diagnosi rapida. “L’obiettivo finale di DARPA è quello di creare le innovazioni tecnologiche necessarie per creare un sistema portatile, capace di combattere sul campo di battaglia, altamente accurato, che possa fare un grande volume di test (100 o più) in poco tempo (entro 3 ore) a basso costo.

Si potrebbe considerare questo orientamento “innocente”. Dopo tutto, anche per i militari, si tratta di salute! Ma non lo è. La “diagnosi precoce” in un ambiente militare/guerresco non richiede un’astratta “sorveglianza sanitaria continua”, il tipo di rapporti regolari su come si sente ogni marine. Richiede invece un qualche tipo di “segnalazione” continua da parte dell’organizzazione a un qualche tipo di “centro di test e certificazione” – se possibile automaticamente. Inoltre, anche la diagnosi più precoce è di utilità limitata se non ci può essere una cura rapida. Ovviamente accelerando la diagnosi prima dei sintomi, i ricercatori militari americani vorrebbero prevenire la diffusione di un virus nelle caserme. Ma a seconda della velocità e della frequenza dei controlli/segnalazioni, il male potrebbe diffondersi prima di essere notato e contenuto. Il che significava questo fin dall’inizio: la sorveglianza, la diagnosi e il trattamento avrebbero dovuto tendere verso un unico meccanismo d’azione, quello che avrebbe garantito la massima “efficienza” nel minimo tempo… In altre parole, soddisfare le specifiche militari richiedeva fin dall’inizio – almeno a lungo termine – tecnologie per integrare tutti questi processi. Non più una squadra medica che corre di qua e di là, in condizioni “da campo”, per diagnosticare e curare, ma un’automazione meccanica integrata. Corpi che “emettono” la loro condizione, e sono “riparati” a distanza…

Nel 2010 DARPA, in collaborazione con i ricercatori della Duke University finanziati da DARPA, ha presentato un metodo di analisi genetica del sangue che potrebbe rilevare se qualcuno era stato infettato dai virus/target prima di mostrare i sintomi. Ma una tale analisi dovrebbe ancora essere fatta in un laboratorio; non, come dicevamo, all’interno del corpo stesso

Nel 2014, l’anno in cui Rossi stava costruendo Moderna per sfruttare la sua scoperta dell’mRNA e la mutazione delle cellule, DARPA ha annunciato la creazione del “Biological Technologies Office” (BTO). L’auto-presentazione del dipartimento ha dichiarato esplicitamente:

“L’Office of Biological Technologies sviluppa capacità che riuniscono le caratteristiche uniche della biologia – modifica, replicazione, sintesi – e le applica per rivoluzionare il modo in cui gli Stati Uniti proteggono il loro territorio, e preparano e proteggono soldati, marinai, piloti e marines. BTO aiuta il Dipartimento della Difesa ad espandere le capacità tecnologiche nel rilevare nuove minacce e proteggere la prontezza dell’esercito americano, applicando interventi fisiologici per ripristinare i vantaggi operativi, sostenendo le prestazioni dei warfighter e concentrandosi sulla biotecnologia operativa per il successo operativo”.

È sicuramente un termine gergale. Quindi dobbiamo sottolineare quanto segue, che nel 2014 sono obiettivi biotecnologici dichiarati, obiettivi di ingegneria genetica per l’esercito americano:

Α) La “protezione del territorio”. DARPA estende i suoi obiettivi a tutti i soggetti, implicando almeno la “guerra biologica”.

B) “Interventi fisiologici”. Questo può significare niente meno che interventi biologici sui membri dell’esercito americano.

C) “Sostenere le prestazioni dei guerrieri”. Si può facilmente ipotizzare il potenziamento genetico e biotecnologico dei corpi umani (certamente in ambito militare).

D) Il “focus sulla biotecnologia operativa per il successo operativo”. Cos’altro potrebbe includere questa “biotecnologia operativa” se non armi biologiche?

Dato che DARPA per sua natura non annuncia i suoi programmi di ricerca se non quelli che impressionano o quelli che si assicurano ulteriori finanziamenti, è interessante notare l’annuncio, sempre nel 2014, di un sottoprogramma intitolato “Nanopiattaforme su organismi viventi” (“In Vivo Nanoplatforms” / IVN). Il project manager non lascia spazio a fraintendimenti su ciò che si tratta:

“Il programma In Vivo Nanoplatforms supporta la prontezza militare attraverso lo sviluppo di tecnologie di sensori e terapie che possono essere installate in organismi viventi per garantire la salute e le prestazioni ottimali di ogni singolo guerriero…. Il progetto ha due filoni complementari.

IVN Diagnostics (IVN:Dx) intende sviluppare una piattaforma generica in vivo [cioè in organismi viventi] che fornirà una sorveglianza fisiologica continua del guerriero. In particolare, IVN:Dx sta studiando tecnologie che includeranno nanopiattaforme impiantabili fatte di materiali biocompatibili e non tossici; localizzazione in vivo di piccole e grandi molecole di interesse biologico; rilevamento di composizioni complesse quando si trovano in concentrazioni rilevanti per le conseguenze cliniche; e gestione esterna delle nanopiattaforme senza l’uso di elettronica impiantata per comunicare [ndr: con loro].

IVN Therapeutics (IVN:Tx) è alla ricerca di nanopiattaforme miniaturizzate per trattare rapidamente le malattie nei guerrieri. Questo progetto mira a terapie che aumentino la sicurezza e riducano le dosi necessarie per l’efficacia clinica [ndr: dei farmaci]; ridurre gli effetti collaterali; ridurre l’immunogenicità; aumentare l’efficacia assicurando il targeting di tessuti e/o cellule specifiche; aumentare la biodisponibilità… Se si dimostrano efficaci, queste piattaforme permetteranno la prevenzione e il trattamento delle malattie che preoccupano i militari, come le infezioni da organismi multi-farmaco resistenti”.

Qui nel 2014 il braccio tecnologico dell’esercito americano ha potuto annunciare la possibilità tecnica di “impiantare” (nel corpo) singoli meccanismi (“nanopiattaforme”) per la diagnosi e il trattamento – alla scala di (questo è sicuramente il punto) cellule. Una pubblicazione puramente economica (il business insider) stava già festeggiando in anticipo: questo progetto militare avanzato (insieme ad altri 19) cambierà la vostra vita…

Nel 2014, quando Moderna si preparava ad andare avanti per migliorare e commercializzare l’mRNA e DARPA si preparava a “cambiare le nostre vite”, mancava la cosa fondamentale: l’opportunità (e la sua corretta gestione). “l’ultimo vagabondo americano” ha scritto nel suo blog il 4 maggio 2020:3

“Dalla sua creazione, il programma IVN di DARPA è riuscito a farsi finanziare [dal governo degli Stati Uniti] e ha prodotto ‘idrogel morbidi e flessibili che possono essere inoculati appena sotto la pelle per fare sorveglianza sanitaria, che si sincronizzano con un’applicazione mobile per trasferire istantaneamente i dati sanitari’, un prodotto realizzato dall’azienda Profusa, finanziato da DARPA e dal National Institute of Health (NIH). Profusa, che ha successivamente ricevuto milioni da DARPA negli ultimi anni, sostiene che le informazioni raccolte dal suo biosensore iniettabile possono essere ‘condivise in modo sicuro’ e accessibili a ‘individui, medici e coloro che sono coinvolti nella salute pubblica’. Così, l’attuale spinta per un ‘sistema di tracciamento dei contatti’ nazionale basato sui dati sanitari privati dei cittadini è probabile che espanda questa condivisione di dati, abbinandosi molto bene con l’obiettivo dichiarato da tempo da DARPA di creare un database nazionale online per la diagnostica preventiva.

Profusa è anche sostenuto da Google, che è stato pesantemente coinvolto in queste iniziative di sorveglianza di massa chiamate ‘contact tracing’, e ha l’ex leader della maggioranza del Senato William Frist 4nel suo consiglio di amministrazione… Lo scorso marzo (del 2020) Profusa è stato ri-finanziato da DARPA per vedere se i suoi biosensori iniettabili possono prevedere future pandemie, compresa la prevista ‘seconda ondata’ di covid-19, e identificare quelli infettati fino a 3 settimane prima che mostrino i sintomi. Profusa si aspetta di ottenere l’approvazione della FDA per i suoi biosensori da utilizzare per questo scopo all’inizio del prossimo anno, circa lo stesso tempo in cui un vaccino per il coronavirus dovrebbe essere disponibile”.

Incontri.

Chi altro sarebbe interessato a finanziare la ricerca di Moderna per commercializzare la scoperta dell’mRNA di Rossi? Avete indovinato: DARPA. Nell’ottobre 2013, il braccio tecnologico dell’esercito americano ha dato a Rossi 25 milioni di dollari per far progredire la sua tecnologia di produzione di RNA sintetico. Un rappresentante ha spiegato: “Stiamo finanziando lo sviluppo di tecnologie chiave che possono essere distribuite rapidamente e in modo sicuro per dare alla popolazione degli Stati Uniti una protezione quasi istantanea contro le epidemie di malattie infettive e le armi biologiche progettate.

L’incontro tra DARPA e Moderna era inevitabile. Così come era (e rimane) inevitabile che quando sono necessarie spiegazioni (per qualsiasi ricerca militare biotech) entri in gioco la “protezione della popolazione”.

Nel 2015, la ricerca della DARPA sui vaccini anticorpi sintetici e sul materiale genetico sintetico è stata ampliata, poiché 45 milioni di dollari sono stati assegnati a una società di ricerca sul vaccino del DNA, la Inovio Pharmaceuticals. Allo stesso tempo, tutta questa ricerca (e le corrispondenti promesse entusiastiche e i rapporti dei media) ha cominciato a essere servita con parole scelte. Il corpo umano (cominciarono a pubblicizzare) sarebbe diventato un bio-reattore.

Seguirono i fallimenti. I vaccini a DNA e RNA finanziati da DARPA e le loro rispettive aziende, vale a dire Moderna, Inovio e la tedesca CureVac non sono riusciti a ottenere l’approvazione per i loro prodotti perché essi (i “prodotti”) non hanno indotto l’immunità negli esperimenti umani. Moderna, per esempio, ha cercato e fallito di creare un vaccino contro il virus Zika…

Perché falliamo? I genetisti si sono chiesti. Le ragioni potrebbero essere molte. Ne hanno preferito uno considerato tecnologicamente gestibile: perché il materiale genetico sintetico (RNA e/o DNA) non arriva dove deve andare correttamente. Cosa dobbiamo fare? Guidare noi stessi. Come? Per mezzo delle nanoparticelle… I tecnologi della DARPA avevano già esperienza sul campo!

Un tale lancio tecnologico è diventato ancora più attraente. Dal 2016 il finanziatore di Moderna (e di Inovio) è diventato il medico più potente del mondo. Bill Gates. Almeno 100 milioni di dollari sono stati investiti nella ricerca di Moderna. Tutto sembrava andare bene, tranne due problemi. In primo luogo, queste tecnologie di mutazione delle cellule umane non erano mai state testate, non avevano un valore medico provato, e d’altra parte, la miriade di cose potrebbe essere portata contro. In secondo luogo, non c’era stata nessuna emergenza sanitaria tale che queste conquiste dell’ingegneria genetica potessero essere considerate la “salvezza” – da testare, finalmente, con l’obbligatorietà.

E poi è “apparso” il covid-19: la tempesta perfetta!!!

È a prima vista inconcepibile supporre che tali progressi tecnologici (abbiamo presentato solo una minima parte delle ricerche pertinenti della DARPA e dei suoi “partner” commerciali) potessero rimanere a lungo nei cassetti, mentre i genetisti che sono pagati per farli si limitano a pregare per la salute e la longevità delle popolazioni. La costruzione della bomba atomica potrebbe rimanere un progetto teorico; o potrebbe essere costruita ed esposta nei musei senza essere utilizzata?

Eppure è il buon senso, per lo più, che è stato avvelenato – aiutato da grandi dosi di ignoranza. Da un lato, i mostri, che non capiscono né vogliono capire come “funziona” il capitalismo, sosterrebbero certamente che il covid-19 è un virus fabbricato – scatenato per “ridurre la popolazione umana” (!!!!). D’altra parte, i “soldati della guerra al nemico invisibile”, profondamente timorosi e disciplinati, denuncerebbero qualsiasi operazione capitalista come un prodotto della “cospirazione”.

Ancora. La rivoluzione biotecnologica nella “gestione delle malattie/salute” non ha bisogno di un virus fabbricato per svolgersi! Può sfruttare uno qualsiasi delle migliaia di virus esistenti! Ci ha provato con il virus dell'”influenza aviaria”, ci ha riprovato con il virus dell'”influenza suina”. Hanno fallito e poi fallito ancora, gli esperti nel terrore, nella costruzione di “emergenze” per un uso specifico, ma la ragione non era che quei virus erano “naturali”, per cui ne serviva uno artificiale. Mancavano alcuni elementi: né nel 2005 né nel 2010 era possibile imprigionare centinaia di milioni di occupanti del pianeta nelle loro case ma allo stesso tempo “comunicare”, “lavorare”, “allenarsi”, “divertirsi”. Nel 2020 questo era tecnicamente e socialmente fattibile. E così fu.

D’altra parte, le operazioni capitalistiche e gli sviluppi tecnologici sono, per la maggior parte, così accessibili a chiunque (a chi interessa…) che la tesi di Debord che “non ci sono più segreti strategici del sistema” è un vero e proprio truismo. È una prova di bassa intelligenza per chiunque considerare come “nascosto” tutto ciò che non conosce; e completare la sua ignoranza considerando come “cospirazione” il suggerimento di tutto ciò che potrebbe e dovrebbe conoscere ma a cui è indifferente. Per tali menti, il più grande “teorico della cospirazione” degli ultimi due secoli è Karl Marx: ha mostrato in dettaglio come “funziona” il capitalismo, qualcosa su cui ancora oggi c’è un sacco di gente ignorante che lo considera una ricerca sofisticata…

Il fatto è questo: il punto di sviluppo della base tecnologica del capitalismo nel XXI secolo ha raggiunto un punto tale che le crisi virtuali sono assolutamente necessarie (anche) per fare i veri salti nelle applicazioni. La ristrutturazione capitalista e la quarta rivoluzione industriale non sono letteratura!

Questo punto è ben noto: si producono molte più innovazioni tecnologiche e applicazioni di quante se ne possano assorbire in modo “normale”, al ritmo del mercato e del consumo!

Nel corpo

È giusto da una prospettiva storica attribuire a DARPA la generalizzazione e la manipolazione dell’idea di “asintomatico”. La sua origine è l’HIV: chi è stato infettato può non aver avuto sintomi (e in effetti, anche dopo decenni, molte persone sieropositive non hanno mostrato alcun sintomo, cioè non si sono ammalate). Lo abbiamo sottolineato altrove:5 l’esperienza sociale e medica della sindrome da immunodeficienza acquisita ha cambiato completamente e per sempre la percezione di cosa sia la malattia. Prima dell’HIV, malattia significava sicuramente sintomi. Dopo l’HIV la malattia significava la possibilità di ammalarsi.

Il modo in cui questo rovesciamento del concetto di salute/malattia è stato assimilato dalle popolazioni è complesso. In ogni caso, per la DARPA gli “asintomatici” (cioè: potenzialmente tutti) sono diventati un’arma. Questo perché si adattava perfettamente, cioè legittimava, il suo orientamento verso la sorveglianza continua, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dello stato di salute dei marines, marinai, piloti, ecc. degli Stati Uniti. Potremmo parlare di “igienismo militarista” – ma non è solo ideologia. E, soprattutto, non si affida ad ogni individuo l’autocontrollo della propria forma fisica. No. DARPA ha progettato – e si è dato molto da fare diversi anni fa – un centro di test continui di fitness in linea di principio per i militari. In nome della guerra.

Il monitoraggio continuo nell’era della bio-informatica cos’altro potrebbe significare se non che ad ognuno è richiesto di essere un costante “trasmettitore” di informazioni sulla sua condizione; e “ricevitore”, quando necessario, di un presunto trattamento appropriato?

Si tratta del passaggio dal regime online al regime onlife secondo la terminologia che abbiamo usato da queste pagine. Tra molti altri scritti analitici di cyborg nel giugno 2017 6 sotto il titolo “Dall’online all’onlife: ingegnerizzare tutto” abbiamo scritto:

“Zeynep Tufekci [un turco-americano] scrive tra le altre cose [nel suo articolo “Engineering the public: big data, surveillance and computational politics”]:

“L’impatto dei big data sulla sfera pubblica attraverso le politiche informatiche si diffonde attraverso dinamiche multiple e interconnesse …

In primo luogo, la crescita della mediazione digitale nelle relazioni sociali, politiche ed economiche ha portato a un aumento esponenziale del volume e del tipo di dati disponibili, a disposizione specificamente delle grandi imprese e organizzazioni che sono in grado di gestirli.

In secondo luogo, l’emergere di metodi computazionali permette di passare dall’analisi di insiemi vagamente definiti alla profilazione di individui specifici.

In terzo luogo, questa profilazione permette di porre domande sull’individuo senza porre domande all’individuo; aprendo così la strada a nuove tecniche di occultamento e opacità.

In quarto luogo, lo sviluppo delle scienze comportamentali ha portato a uno spostamento dai modelli dell’‘uomo razionale’ a modelli più accurati, elaborati e realistici del comportamento umano. Combinati con gli sviluppi in altri campi, questi nuovi modelli permettono un miglioramento attraverso le reti di ingegneria sociale.

Quinto, le reti digitali permettono a questi metodi di ingegneria sociale di essere testati sperimentalmente in tempo reale, e applicati immediatamente, aggiungendo un livello di dinamismo precedentemente sconosciuto al controllo della sfera pubblica.

Sesto, i dati, gli strumenti e le tecniche che compongono questi metodi richiedono l’accesso a dati costosi e brevettati, e ‘lavorano’ attraverso algoritmi invisibili. Sono una sorta di ‘scatola nera’, algoritmi che sono la ‘proprietà intellettuale’ di, e utilizzati da, un piccolo numero di aziende internet. In altre parole, un qualsiasi utente ordinario non è a conoscenza della loro esistenza”.

DARPA aveva i presupposti per dare alla generalizzazione dell’onlife uno scopo specifico (“la protezione della salute”…) e una metodologia specifica (“installazione di microcircuiti nel corpo”). La concezione del corpo come organismo in guerra, come “fili viventi” di singole macchine-uomo, non poteva essere limitata solo alla manipolazione di macchine digitali/elettroniche esterne, separate dal corpo umano. Il fine del processo di fusione dell’umano e dell’elettromeccanico, o più precisamente l’inizio di uno stato completamente nuovo, è indicato dai progetti di ricerca di tipo IVN. Che “salute” e non, eventualmente, altri titoli popolari di campagne del sistema (come, ad esempio, “politica pubblica”) sia diventato il vessillo proveniente da DARPA è la prova di ciò che il militarismo americano (e non solo) ha visto come la porta d’ingresso delle relazioni sociali: l’igienismo (sociale) di massa…

L'”ultimo vagabondo americano” nello stesso articolo (citato prima), nota:

“Un altro programma DARPA di lunga durata, ora supervisionato dal BTO, è noto come Living Foundries. Secondo il sito web della DARPA, il programma Living Foundries “mira a creare molecole sintetiche su richiesta versatili, scalabili e fabbricabili programmando i processi metabolici fondamentali dei sistemi biologici per produrre un gran numero di molecole complesse che altrimenti non potrebbero esistere. Attraverso Living Foundries, DARPA sta trasformando la bioingegneria sintetica in una pratica di ingegneria prevedibile che sosterrà una vasta gamma di obiettivi di sicurezza nazionale…

Qui DARPA si aspetta una pura “capacità produttiva” della confluenza vivente/ingegnerizzato alla microscala dei “processi metabolici fondamentali dei sistemi biologici”, cioè la vita – e aggiunge una spiegazione astratta e generalizzata di “sicurezza nazionale”. Ma la “salute” ha dimostrato di essere lo slogan più vantaggioso per il più feroce attacco dell’ingegneria genetica e dell’ingegneria di ogni cosa fino ad oggi. Questo perché nel mondo capitalista sviluppato, sembra che ogni altro concetto di salute si sia estinto, tranne quello promosso dai vari rami dell’industria della salute.

Questo è l'”ideale” per i fans dell’”Umano aumentato”!!!! Il post-umanesimo che, dopo essere stato annunciato qualche anno fa sembrando una fantasia futuristica di qualche spettacolo (ma anche di imprenditori del complesso bio-informatico-assicurativo) sta ora entrando massicciamente nell’agenda attraverso i vaccini mRNA.

Perché ciò che DARPA (e molti altri “istituti”, “centri di ricerca”, università, imprese, ecc.) sta cercando è ben oltre i campi di battaglia e le guerre è forse facile da capire. Come per il “lavoro di distruzione” (la guerra) così per il “lavoro di creazione”, le forme di lavoro che chiamiamo abitualmente produzione, sono le macchine a determinare la velocità, l’intensità e l’efficienza; nella misura, sempre, in cui si impongono sul lavoro vivo. Lo stesso è avvenuto negli ultimi quattro decenni per il consumo: la mediazione meccanica lo intensifica, riducendo drasticamente il ciclo di riproduzione di qualsiasi capitale.

Quindi, se diventasse tecnicamente possibile ridurre le distanze temporali e spaziali tra le macchine e la materia prima della vita (le cellule), cioè se diventasse possibile avere macchine molecolari all’interno delle cellule (il muscolo, il nervo, anche il cervello) per dirigere i processi vitali alla loro fonte, ciò sarebbe perfetto dal punto di vista capitalista!

Questo è il salto strategico che i vaccini mRNA promettono di avviare! Va da sé che mutano le cellule umane… Tuttavia, gli ideologi di Human plus l’avevano dichiarato per tempo: l’evoluzione della specie umana, che finora si è svolta in modo estremamente lento e naturale, è stata completata; d’ora in poi la continuazione dell’evoluzione sarà tecnicamente mediata!

Quindi guardate gli ultimi 10 mesi al contrario. Se non si gonfiasse al massimo la minaccia di un virus che sarebbe difficilmente distinguibile, in altre circostanze, dal solito virus influenzale; se non si fabbricasse intensamente e spietatamente la paura della morte; se non si mettesse in pratica la politica di morte del controllo violento della vita quotidiana; se non si creassero le condizioni ideologiche e istituzionali per dichiarare l’ingegneria genetica (senza, naturalmente, citare minimamente né quel nome né altri simili) come “salvatore dell’umanità”; se questa “guerra contro un nemico invisibile” non fosse, in fondo, una vera e propria guerra per il controllo dei rapporti sociali e delle soggettività, allora che ne sarebbe dell’attuale tendenza capitalista a ingegnerizzare tutto?

Ziggy Stardust
Tradotto dal greco dalla rivista Cyborg, numero 19, Atene

Pubblicato in L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022


Note

1 – Flagship Pioneering è specializzata nel finanziamento di aziende biotech. I suoi “beneficiari” includono AstraZeneca, il braccio della scienza della salute di Nestle, e il braccio agri-biotech di Bayer…

2 – Darpa Goal: Phychic Doctors, 11/10/2007, Noah Shachtman.

3 – Coronavirus gives a dangerous boost to DARPA’s darkest agenda (Il Coronavirus dà una spinta pericolosa all’agenda più oscura della DARPA).

5 – Sarajevo.pdf 147a, 148a.

6 – Cyborg n. 9.

Perché la transizione è verde

Perché la transizione è verde

“Sebbene sia piuttosto vero che ogni politica radicale di applicazione delle teorie eugenetiche sarà impossibile per molti anni a venire (ragioni politiche e psicologiche lo impediranno), è importante che l’UNESCO continui a esaminare l’eugenetica con la massima attenzione, informando nel miglior modo possibile l’opinione pubblica sull’argomento e sulle sue possibili implicazioni. In questo modo, quello che oggi è considerato impensabile  potrà in futuro almeno cominciare a essere preso in considerazione senza tabù di sorta.” Julian Huxley, 1946.

Nel programma di resettaggio e di Grande Trasformazione in corso tanti gli aspetti che vengono toccati, sia per trasformarli irrimediabilmente, sia per renderli obsoleti e quindi da destinare nel dimenticatoio della storia. Esiste però un aspetto che non solo è chiamato a comprendere tutti gli altri, ma ha anche origini più antiche: l’ecologia. Su questo tema vi sono questioni ampiamente denunciate e dibattute, a volte anche dagli stessi responsabili dell’ecocidio in atto. Nel tempo, denunciare il rischio ecologico e poi portare a risolverlo si è rilevato molto remunerativo per tutta l’industria, da quella chimica ed energetica a quella farmaceutica. Tutti parlano di ecologia, evidentemente a sproposito, per poi adottare strategie commerciali o politiche che rappresentano tutto l’opposto.
L’ecologia è talmente considerata che anche a Davos tra aguzzini della finanza e delle multinazionali gira una giovane ragazza in treccine che li riporta alle loro responsabilità in merito al cambiamento climatico, tanto da far percepire quasi un po’ di bonomia etica, ma è solo un attimo perché uno sguardo attento mostrerebbe subito gli artigli assassini di tutti costoro. Ormai sembra essere evidente ai più che tutta la ristrutturazione del comparto tecno-industriale si basa su retoriche ambientaliste, tanto che è stato coniato un termine specifico per evidenziare e denunciare questo fenomeno, ovviamente con un inglesismo: green wasching.
L’industria, nelle sue multiformi vesti, adotta lo stile ecologico per continuare, non solo quello che ha sempre fatto a discapito di terre e corpi, ma per continuare a farlo ancora meglio, soprattutto con la possibilità di un nuovo rivestimento che mimetizza le nefandezze in una cornice di ecosostenibilità. Il verde sta quindi colorando tutto, anche le terre rare e rarissime che sono la base energetica per le batterie di tutti i nuovi dispositivi che andranno ad arricchire il guardaroba della transizione ecologica.
Da una visione superficiale sembrerebbe di trovarsi di fronte a un qualcosa di positivo, l’ecologia, che ad un certo punto ha subito una degenerazione. Le ragioni per cui questo cammino ha avuto un’involuzione o delle prassi di tradimento rispetto l’idea originaria sarebbero da ricercare nel solito profitto, nell’avidità senza scrupoli dell’industria. L’avidità economica sembra dunque essere sempre il motore che tutto muove. Noi sosteniamo che certamente il lato economico è importante, ma, ancora una volta, vorremmo sottolineare come questo sia già appagato da molto tempo, considerando che queste élite di potere stanno a capo delle stamperie del denaro con il potere di aprire e chiudere i rubinetti a seconda del progetto in corso.
Quando parliamo di ecologia in questo contesto ci riferiamo a quella promossa dalle compagnie, dagli Stati, portata avanti dalle grandi corporazioni ambientaliste, ONG, fondazioni e dall’associazionismo ascoltato nei grandi forum internazionali.
Questo tipo di ecologia che potremmo definire senza alcun dubbio scientifica ci riporta all’opera di razionalizzazione della natura. In questo testo vorremmo occuparci di quest’ecologia scientifica che da decenni accompagna il potere nella sua presa della natura, dell’umano e degli altri animali. Siamo convinti che il vero motore di questa ecologia del potere sia stato sempre quello di trasformare il mondo naturale secondo determinate visioni tanto care a precise élite di scienziati del secolo scorso e dei tempi presenti.
Se questa precisa concezione di ecologia nei suoi grandi programmi ha sempre rappresentato lo sviluppo del dominio nei suoi vari aspetti, non stupisce oggi vedersela puntare contro quale arma di ricatto per la nostra irresponsabilità nei confronti del pianeta, non avendo noi avuto un giusto “stile di vita”,come si chiamava una vecchia campagna del WWF Italia.
Siamo fortemente convinti che questa visione estesa oggi a livello mondiale abbia origini molto lontane. A livello teorico deriva da determinate correnti di pensiero ecologista che dettero vita al transumanesimo di cui il clan Huxley era il più rappresentativo. Julian Huxley, che coniò il termine transumanesimo, gettò le basi sulle quali si edificò il pensiero eugenetico e transumanista e a seguire anche il pensiero cibernetico. Una razionalizzazione, un controllo e gestione, al fine di riprogettare tutto il vivente dirigendo la sua evoluzione. Ma la “maggior parte del lavoro” secondo Huxley sarebbe stata fatta sull’umano.
Risaliremo alle origini di questa ecologia scientifica e transumana, alla sua idea di conservazione della natura e ai suoi campioni di natura, tracciando i punti cardine di questo pensiero che nell’organizzazione cosciente e sistematica del mondo – espressa nel testo chiave di Julian Huxley Ciò che oso pensare  del 1931 – rappresenta quel pensiero che vediamo oggi prendere drammaticamente forma in tutte le sue molteplici espressioni in questa transizione verde.

Determinati interventi e programmi che vediamo oggi nella cosiddetta conservazione della Natura hanno origini antiche, come quelle principesche che dettero i natali al Fondo Mondiale Per La Natura (WWF) dove figurava come primo presidente il principe Bernardo dei Paesi Bassi simpatizzante del Terzo Reich e organizzatore dei primi incontri del Club Bilderberg. Negli anni ’60 tra i fondatori di questa organizzazione e lobby ambientalista figurava anche Julian Huxley.
Huxley nei suoi scritti, in particolare La biologia e l’ambiente fisico dell’uomo, esprime in maniera molto chiara la necessità di controllare i sistemi naturali, per evitare quello che descrive come caos, disordine e sviluppi che lasciati a sé stessi potrebbero rivelarsi, a suo avviso, nocivi. Si rende quindi necessario controllare e stabilire nuovi equilibri che siano convenienti agli scopi dell’essere umano. Il punto di partenza per tale controllo e gestione dell’intero vivente è proprio la conservazione della natura, che diventerà la politica centrale del WWF e di tutti i vari organismi governativi che verranno dopo.
Per la salvaguardia della natura selvaggia e in particolare degli animali in estinzione Huxley osserva come l’essere umano si è reso responsabile della scomparsa di tante specie e, nel suo significativo libro Ciò che oso pensare, scrive: “Dobbiamo sapere dove e quando procreano, quanti piccoli mettono al mondo, e quanto tempo questi impiegano per crescere, quale è la loro mortalità naturale; poi sulla base di tali cognizioni predisporre il nostro sfruttamento in modo che esso incida soltanto la superproduzione”. Il tutto se “vogliamo che le specie selvagge continuino a fornire olio, pellicce, concimi, carni e sport dobbiamo regolare la loro situazione come regoleremmo un affare”. In questo elenco sembra proprio che Huxley stia pensando alla propria classe agiata e influente di cui fa parte da generazioni. Più che di un naturalista sembra essere in presenza di un allevatore coscienzioso e lungimirante che prodiga buone cure perché sa che queste permetteranno un mantenimento e una buona produzione nel tempo. Per aumentare le rese di cibo per gli animali da allevamento Huxley scrive: “se è migliorata la macchina animale per utilizzare l’erba, bisogna in corrispondenza migliorare la macchina vegetale cui è affidato il primo stadio del processo, cioè la elaborazione di materiali greggi della terra e dell’aria. Perciò le ricerche proseguono alacri per scoprire i migliori fertilizzanti dell’erba, ma anche per produrre nuovi tipi vegetali che per efficienza siano superiori  all’erba ordinaria quanto una moderna mucca da latte lo è rispetto alla mucca primitiva”.
Viene enunciato con chiarezza come si dovrebbe attuare questa trasformazione ed emerge con forza il legame tra ecologia e genetica: “L’ecologia qui si congiunge con la genetica… perché essa offre la prospettiva delle trasformazioni più radicali del nostro ambiente. Mucche e montoni, alberi della gomma o barbabietole, rappresentano sotto un certo aspetto altrettante macchine viventi, designate a trasformare materiale greggio in prodotti finiti, valevoli per gli usi dell’uomo”.
Si arriva anche a fare quelle che all’apparenza sembrano semplici speculazioni filosofiche o più probabilmente dei sogni di un’eugenista: “Se volessimo, potremmo infliggere ad altri felini ciò che abbiamo inflitto a numerose specie di gatto domestico, cioè la placida amabilità invece della ferocia truculenta, e così ottenere tigri che fossero realmente, e non soltanto nei versi di Belloc, vezzose e miti”.Tutto può portare ad esiti sorprendenti, ma solo se si “riesca a perfezionare la scienza ecologica che sola può fornirci le cognizioni necessarie”. 
Oltre alla conservazione delle singole specie l’interesse si è spostato presto verso l’intero ambiente, tanto che il WWF attualmente usa ancora le stesse affermazioni del suo storico fondatore.
Secondo Huxley è molto facile mescolare natura e civiltà in modo tale che l’essenza di una è distrutta e quella dell’altra non del tutto realizzata con il risultato finale di un’insoddisfacente compromesso. “Diversi sono l’equilibrio della natura e quello della civiltà: ognuno di essi è mirabile nel suo genere, e di entrambi possiamo progettare la conservazione”. Per far fronte all’insoddisfacente compromesso è necessaria un’organizzazione cosciente.
Nella sua idea conservazionista Huxley intendeva che “certe aree dovrebbero essere messe a parte come campioni della natura, nello stesso modo che nei musei conserviamo esemplari interessanti di animali e piante. Esse sarebbero dei santuari della natura, ai quali bisognerebbe concedere con parsimonia accesso, e soprattutto a scopo di studio scientifico. In aggiunta a queste categorie principali, si potrebbero stabilire riserve per usi speciali: per la vita degli uccelli, per la conservazione di piante rare o belle, o anche di strani esseri umani, quali i pigmei”.
La necessità di mantenere delle zone non immediatamente ad uso umano hanno portato alla creazione di quei progetti che oggi chiamiamo parchi o oasi naturali, ma è possibile intendere anche particolari zoo o bioparchi.
Cosa intende quindi Huxley con conservazione della natura? Una sua catalogazione e organizzazione sistematica, al fine di renderla illimitatamente disponibile. Una parte di essa dovrà conservare le sue proprietà naturali e originarie che potrebbero sempre servire, come quando oggi viene conservato il germoplasma dei semi antichi nella Banca del seme, un’altra parte di essa servirà come bacino di materia prima da sfruttare, ma la parte più grande, o, meglio l’intera natura per come viene concepita, diventerà spazio di controllo, gestione, intervento e modificazione da parte dell’umano. Conservare la natura per averla disponibile da modificare in base alle proprie esigenze e da riprogettare in base alla propria idea di evoluzione e progresso. Una conservazione e una gestione anche degli ambienti selvaggi sotto la mano dell’organizzazione cosciente. L’ecologia, intesa come conoscenza dei processi naturali, è fondamentale per raggiungere questi scopi. Ben presto Huxley arriva a toccare il punto cardine del suo pensiero: “per preservare la natura noi dobbiamo conoscere il meccanismo che ne assicura l’equilibrio, ci aiuta in ciò la ben sviluppata scienza che è detta ecologia”. Un’ecologia scientifica che da sempre ha avuto un’ossessione non solo per il controllo, ma per regolare e dirigere il corso della natura, di tutti gli esseri viventi e degli stessi fenomeni, perché è necessario, ricorda ancora il fondatore del WWF, sfruttare la natura in modo “cosciente e sistematico” e stabilire “nuovi equilibri” funzionali ai nostri scopi.
Una riorganizzazione e produzione della natura che necessita di sopprimere tutto ciò che esiste in modo autonomo e spontaneo. Non potrà esistere manifestazione vivente fuori da razionalizzazioni e da previsioni, il principio razionale scientifico-ecologico decreterà nuove norme necessarie per il buon andamento di ogni cosa.
Huxley con dispiacere afferma che l’umano non riuscirà forse mai ad avere un completo controllo dell’ambiente perché non riuscirà a impedire tutti quei fenomeni come terremoti, alluvioni e non riuscirà a cambiare il clima, ma rimane fiducioso nelle future possibilità a cui condurranno gli sviluppi scientifici. Nel frattempo, in attesa di giungere a un totale controllo l’umano potrà comunque intervenire nei processi naturali al fine di regolarli e guidarli. Il controllo totale sarà necessario al fine di irrompere nei processi naturali per stravolgerli e modificarli. Ovviamente fin tanto che tutto ciò non sarà ancora possibile la natura continuerà ad essere sfruttata in modo sistematico.
Questo modo di intendere l’ecologia e la conservazione della natura non è stato uguale in ogni parte del mondo anche se il modello proposto da Huxley con il suo WWF ha avuto la meglio, soprattutto nel permeare di scienza qualsiasi visione, anche in ambito sociale. Dal controllo e gestione dell’ambiente naturale alla scienza del controllo e della gestione delle condotte, alla gestione coordinata e pianificata degli spazi, alla gestione ordinata e ottimale del mondo grazie al potere razionalizzante della tecnica e in particolar modo della cibernetica.Controllo e pianificazione totali saranno possibili grazie alla scienza. Questa natura addomesticata avrà bisogno del controllo efficace operato dalla scienza, “unica vera guida” che potrà portare l’umano al suo possibile “destino evolutivo”. Senza questo accompagnamento scientifico la società andrebbe incontro ad un “crollo e ad un ristagno”. 
L’umano viene posto all’interno di un “gigantesco esperimento evolutivo” che deve essere controllato e guidato dalla scienza ed ora, grazie alle tecno-scienze e alla biologia sintetica anche modificato e riprogettato dal suo interno permettendo così la massima realizzazione delle loro iniziali aspirazioni e dei loro fini.
Tra vetrini, provette e colture di cellule nei loro laboratori, effettuando esperimenti minuziosamente descritti in Ciò che oso pensare, questi scienziati non erano mossi da una morbosa o folle curiosità e non giocavano a diventare dio, ma si stavano dotando delle conoscenze e degli strumenti per loro necessari  a intervenire poi sull’intero vivente, umano incluso, al fine di governarne l’evoluzione. Esperimenti durante lo sviluppo embrionale di alcuni animali cambiando la temperatura, introducendo sostanze tossiche o durante il successivo sviluppo esportandone le ghiandole endocrine per osservare come si sarebbe modificata la crescita di alcuni organi affermando che tutto questo era molto interessante dal punto di vista teorico, ma chiedendosi come applicarlo all’umano.
In quella conservazione della natura Huxley sembra intravedere quindi una possibilità non solo importante, ma irrinunciabile. Il campo di intervento è la biologia infarcita di eugenismo che andrà a dare corpo al suo “umanesimo scientifico”: “alla vita umana si può applicare il procedimento già applicato con tanto successo alla materia inerte, agli animali, alle piante”.
In più di un’occasione – forse non per caso, e forse nemmeno come semplice megalomania di chi sa di far parte di un’élite chiamata a svolgere compiti superiori – Huxley confonde i ritmi di un’evoluzione naturale con un determinismo tecno-scientifico, proprio quello che chiamerà come il nuovo “umanesimo scientifico”.
Leggiamo queste sue parole: “La maggior parte di noi vorrebbe vivere più a lungo, godersi una vita più sana e felice, poter controllare il sesso dei figli quando sono concepiti, e poi modellare il proprio corpo, intelletto e temperamento nel miglior modo possibile, ridurre le sofferenze non necessarie  a un minimo; stimolare al massimo le proprie energie senza poi risentirne effetti nocivi. Sarebbe piacevole creare a nostro talento nuove specie animali e di piante, così come si preparano tanti composti chimici, raddoppiare il rendimento di un ettaro di grano o di un gregge, mantenere la bilancia della natura in nostro favore, bandire dal mondo parassiti e i germi delle malattie. Sin dai tempi di Platone, e anche prima, vi sono stati utopisti che sognarono di controllare il flusso della razza umana, non soltanto nella quantità, ma anche nella qualità, affinché l’umanità potesse fiorire con caratteri nuovi”.
Anche in queste righe quasi recitate in seconda persona, come un qualcosa di collettivo sicuramente condiviso dai più, sta pensando al proprio di programma, a quello del suo clan familiare e a quello di tutta un’élite di cui lui era un ottimo rappresentante.
È molto importante seguire questo filone di pensiero, comprendendo che l’ecologia per questa élite transumanista non era un mero involucro dove nascondere altri intenti e obiettivi, ma era ed è parte dello stesso discorso. Fuori dall’ambiente selvatico, che costoro allora – come ancora adesso –  percepivano come un qualcosa di simile ad una teca da museo che si può ammirare in un fine settimana o in gita scolastica con il professore di scienze, vi è l’allevamento per gli animali e la coltivazione per i vegetali. Le persone più capaci sono chiamate ad essere i selezionatori dei più adatti.
Impregnati di Malthusianesimo e di Darwinismo sociale – tutto rimane in famiglia a quanto pare -sono sfociati nei più ampi programmi di eugenetica che nei decenni sono sopravvissuti a tutte le turbolenze, anche a quelle degli orrori dei campi di sterminio, o forse sono sopravvissuti proprio grazie a questi. Nel pieno della propaganda nazista durante la Galton Lecture del 1936 presso la Società di Eugenetica Huxley afferma: “Gli strati più bassi, presumibilmente meno dotati geneticamente, si riproducono relativamente troppo velocemente. Per questo motivo è necessario insegnare loro i metodi di controllo delle nascite; non devono avere un accesso facilitato all’assistenza o alle cure ospedaliere, per evitare che la rimozione dell’ultimo riscontro della selezione naturale renda troppo facile la produzione o la sopravvivenza dei bambini; una lunga disoccupazione dovrebbe essere un motivo di sterilizzazione”. Costoro, che a Norimberga da vincitori avrebbero dettato le regole morali ai vinti nazisti, non erano altro che arrivati alle stesse conclusioni, tanto da far dichiarare a degli imputati in quel processo che si erano ispirati agli Stati Uniti d’America, dove da anni si portavano avanti politiche eugeniste regolamentate da leggi democratiche.
Quella che è evidente, ieri come oggi, è che si vuole arrivare ad un’“umanità scientifica”, usando la definizione di Huxley. Questa praxis scientifica si vuole universale, ma ovviamente solo un’èlite ne conoscerà i più segreti meccanismi. Huxley mette in guardia dal possibile crearsi di una dittatura, ma ne propone una su base biologica e si sbizzarrisce nel parlare di esperimenti evolutivi dove la vita può raggiungere “nuovi livelli di realizzazioni e di esperienze”. Il tipo di società desiderata è bene esposta da Aldous, fratello maggiore di Julian. Aldous Huxley era un altro noto eugenista che nel suo romanzo Il Mondo Nuovo in realtà non aveva voluto lanciare un allarme, il libro è da interpretare come un manifesto del clan Huxley, da sempre promotori di certe teorie. Solo realizzando un’ “umanità scientifica”, ci ricorda Julian Huxley, l’umano potrà affermare il suo privilegiato diritto: quello di “diventare un primo organismo che eserciti un controllo cosciente sul proprio destino evolutivo”.
Nel loro immaginario il mondo “sarà suddiviso in modo razionale, secondo i bisogni delle messi, delle foreste, dei giardini, dei parchi, della caccia, della conservazione della natura selvaggia; ciò che crescerà in qualsiasi parte della superficie terrestre sarà dovuto ad una precisa idea dell’uomo; molte specie di animali dovranno al controllo umano non soltanto il fatto della loro esistenza e crescita, ma anche le loro caratteristiche e la loro stessa natura”.
Questa idea di conservazione viaggia strettamente in parallelo con quella che era, ed è tuttora, la filantropia: fondazioni miliardarie con poteri smisurati piene di buone intenzioni, ovviamente quelle che loro ritengono buone intenzioni. C’è la povertà nel mondo? Costoro da sempre si prodigano a controllare e gestire la popolazione nella sua alimentazione, ma soprattutto nella sua riproduzione con precise politiche che hanno sempre condizionato nei paesi del Sud del mondo le decisioni più importanti in ambito sociale e sanitario.
Sono passati decenni da quando questi pensieri vennero non solo elaborati, ma poi concretizzati attraverso strumenti operativi per agire nel reale. Lo stesso Huxley, oltre ad aver fondato il WWF, fu presidente dell’UNESCO per circa due anni per poi dimissionare in modo non del tutto chiaro. In quegli anni si parlava della povertà in Africa e del grave flagello della febbre gialla elogiando coloro che al tempo erano i filantropi per eccellenza essendo i promotori della Rivoluzione Verde: la famiglia Rockfeller. Significativo che Huxley affermò: “la febbre gialla sta perdendo terreno nella guerra che le ha dichiarato il signor Rockfeller”.
Huxley si interroga sul fatto se tutti questi risultati potessero essere considerati buoni: “Perché eliminando una malattia, la necessità biologica della resistenza andrebbe a sparire e i meno resistenti sopravviveranno al pari dei più resistenti, e la resistenza della media della popolazione scemerà gradualmente. E, se molte malattie fossero bandite da un paese, lasciando per il resto le cose al loro andamento, è quasi certo che ne conseguirebbe un abbassamento della vitalità generale, essenza menomata della popolazione dalla sproporzionata sopravvivenza degli individui deboli che le malattie avrebbero spietatamente eliminato. In altre parole, la popolazione sarebbe più sana per quanto riguarda quelle determinate malattie, ma come razza avrebbe messo i piedi nella pericolosa china della degenerazione”.
Dietro apparentemente tanti dubbi e interrogativi trasuda una ben chiara visione di mondo, che affronta una questione tanto cara a quell’élite di allora come a quelle di oggi: la sovrappopolazione. I numeri delle bocche da sfamare, ma anche i più adatti a esserlo. Se Huxley si differenzia da alcuni suoi contemporanei come Galton, Spencer e Mendel – a quest’ultimo gli toccò di smettere di torturare animali per passare ai piselli per non irritare le autorità ecclesiastiche –  dichiaratamente razzisti, non lo fa per buonismo o perché la pensasse diversamente. Semplicemente ritenne più efficace la sua formula dell’ecologia che, a quanto pare, gli aveva permesso di innestare il suo pensiero nel tempo, assicurandogli una durata che gli è sopravvissuta.
Queste visioni ecologiste, almeno quelle del clan Huxley, avranno un’enorme peso nel consolidare le politiche ambientali nei vari decenni, sicuramente quelle del conservazionismo di Stato e soprattutto del WWF. Questa organizzazione è stata la più rappresentativa di quella visione di mondo, tanto da spostare, sterilizzare, reprimere e uccidere popoli originari indigeni per preservare specie in estinzione, arrivando a promuovere lo sviluppo di tecnologie invasive pur di far rientrare le proprie cornici di vita selvatica degna o non degna di sopravvivere. Una piccolissima percentuale di vita selvatica ingegnerizzata e costantemente monitorata rinchiusa in ristrettissimi parchi per il sollazzo di quella che con il tempo si restringerà in una piccola élite pagante che vorrà sentire da vicino il gusto del selvatico arricchito magari da performance multimediali.
La storia di questi filantropi-naturalisti che hanno portato le loro teorie e i loro sogni transumanisti fino ai nostri tempi è ricca di sorprese. Non si può considerare una generosità verso i poveri il loro costante impegno per debellare gravi malattie del Sud del mondo come la malaria. Costoro odiavano i poveri e il loro mondo, tutto ciò che questo poteva rappresentare, considerato come uno spreco e più spesso come una minaccia per la loro sopravvivenza, essendo loro i portatori di privilegi unici, ovviamente su base biologica.
Parlando del flagello della mosca tse-tse e la conseguente diffusione del morbo Huxley sostiene la necessità di intervenire in modo diretto o indiretto non solo sulla mosca, ma su tutto l’ambiente, in modo che gli insetti sgraditi non trovino più le condizioni favorevoli per la loro diffusione. Prosegue poi ritornando a quel legame tanto caro con la genetica: “possiamo affrontare il problema secondo un’altra prospettiva, si può modificare l’essenza stessa della Natura, alterando l’equilibrio col mutare delle qualità congenite degli organismi in questione, per esempio, invece di assalire un flagello inserendo il suo nemico o modificando l’ambiente in cui esso opera, possiamo di proposito allevare una specie che resista direttamente ai suoi assalti. Così ora si produce grano che è relativamente immune dalla ruggine; gli Olandesi ci hanno dato un esempio suggestivo di ciò che si può compiere applicando a fondo i metodi mendeliani”.
Pochi anni dopo tutte queste speculazioni sarebbero diventate la Rivoluzione Verde: il più grande flagello sociale per i popoli del sud del mondo espropriati della loro autonomia e spesso minacciati nella loro stessa sopravvivenza. Ma anche la natura avrebbe pagato il suo prezzo con una degradazione ed erosione di cui ancora oggi si contano le conseguenze. Queste visioni di mondo sono sopravvissute nel tempo e hanno permesso ad altri affini di mettere in pratica i progetti di costoro. Dopo la Rivoluzione Verde è arrivata la Rivoluzione biotecnologica, fino a quella del Crispr/Cas9. In Africa assistiamo a progetti ancora una volta di natura filantropica, ancora una volta per i poveri e ancora una volta per debellare malattie come la malaria. Qui troviamo all’opera la Fondazione Gates che ha finanziato progetti come il Gene Drive che consiste nell’immissione in natura di zanzare geneticamente modificate in grado di portare all’estinzione l’intera specie ritenuta nociva. Ovviamente la zanzara è solo l’inizio perché è evidente che si vuole fare ben altro con queste tecnologie, lo spettro di nocività per questi neo malthusiani è molto ampio.
A questo punto viene da porsi la domanda: che naturalisti erano questi Huxley passati alla storia proprio come grandi scienziati ed estimatori del bello naturale? Basta andare ancora un po’ indietro nel tempo al “nonno Thomas H. Huxley” che così si definiva e, riferendosi alle scienze naturali che erano il suo particolare mestiere: “ho paura che in me ci sia ben poco del vero naturalista. Non ho mai fatto raccolte, e la sistematica è sempre stata una seccatura per me. Nel mio campo di studio mi interessava quel che vi era di architettonico, e quel che poteva essere studiato da un ingegnere, il riconoscere quella meravigliosa unità di piano in migliaia di diverse costruzioni viventi, e le modifiche di apparati simili a scopi diversi”. Forse fanno più chiarezza altre sue parole che trasudano distanza verso le categorie più svantaggiate o semplicemente verso gli sfruttati: “Pensavo allora, come mai questa gente non facesse massa e non cercasse di mangiare bene e saccheggiare secondo il proprio gusto, magari per poche ore finché la polizia non riuscisse a fermarli, e ad impiccarne qualcuno. Ma questi poveri rottami non hanno più cuore nemmeno per questo”.
Ci sono stati altri naturalisti che hanno dato un fondamentale contributo per diffondere un senso altro di conservazione della natura con visioni non paragonabili a quelle transumaniste ed eugeniste. Uno di questi pionieri dell’ecologismo di tipo conservazionista è sicuramente l’americano John Muir che ci ha lasciato tra le più belle pagine scritte attorno alla storia naturale dedicata alle montagne Americane come lo Yosemite, allora ancora poco esplorate. La sua creatura, il Sierra Club, presente ancora oggi, fa parte della cloaca dell’ambientalismo governativo, antropocentrico e produttivista, ma in principio era altra cosa. Il suo fondatore non ha concepito la sua idea di natura selvaggia discutendone nelle sedute della Royal Society tra gentiluomini che avevano in odio qualsiasi cosa che non rappresentasse la loro categoria e soprattutto il loro metodo scientifico, abituati a camminare nei lunghi e austeri corridoi del Britisch Museum ad osservare nelle teche gli ultimi saccheggi effettuati nella natura selvaggia. Muir può benissimo essere considerato uno dei fondatori dell’ecologia e nulla in lui, nel suo pensare e soprattutto nel suo agire, può avvicinarlo anche solo di poco a quell’ecologia scientifica fatta di calcoli, razionalizzazioni e pericolosissime manipolazioni.
Quando, in tempi recenti, l’alibi per far accettare l’inaccettabile – travestito da un’aurea pura ed ecologica – irrompe con il suo volere con il dogma tecno-scientifico, personaggi come Muir – instancabili ammiratori e difensori della natura che ben poco avevano di scientifico – ridanno speranza a quelle idee e a quelle lotte che hanno compreso l’importanza di proteggere la natura selvaggia allo stesso modo in cui proteggiamo noi stessi, perché gli squilibri di uno cadranno irrimediabilmente sull’altro, ma non solo, come scrive John Muir descrivendo le distese selvagge dell’Alaska: “Non ci sarà felicità in questo mondo per chi non è capace di gioire in un posto simile”.

Resistenze al nanomondo, Giugno 2022, Bergamo
da L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022

Contributo di Maria Heibel per le tre giornate contro le tecno-scienze: L’Ingegneria dell’umanità e del pianeta in esseri robotizzati e megamacchina

Dal sito internet No Geoingegneria: https://www.nogeoingegneria.com/timeline/storia-del-controllo-climatico/lingegneria-dellumanita-e-del-pianeta-in-esseri-robotizzati-e-megamacchina/

L’INGEGNERIA DELL’UMANITÀ E DEL PIANETA IN ESSERI ROBOTIZZATI E MEGAMACCHINA


Dalla geoingegneria al transumanesimo: come la Terra e i suoi abitanti vengono tramutati dallo stato naturale in artificiale attraverso l’ ingegnerizzazione nucleare, chimica, elettromagnetica, nanotecnologica e sociale.

Un tentativo di una visione d’insieme

Contributo di Maria Heibel per l’incontro:  TRE GIORNATE CONTRO LE TECNO-SCIENZE.

Questo è il testo dell’intervento che ho tenuto sabato 30 luglio 2022 alla conferenza Tre giorni contro la tecnoscienza ad Alessandria. Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato chiedendomi di unire i puntini e ringrazio per lo stimolante scambio successivo al mio intervento.

Una versione audio preregistrata sarà presto disponibile sul sito degli organizzatori del meeting  https://www.resistenzealnanomondo.org/

Cosa c’entra la geoingegneria con il 5G – e il 5G con il transumanesimo?
E cosa hanno a che fare questi elementi l’uno con l’altro? 

Il tema e la realtà della geoingegneria sono sconosciuti ai più, anche se il cielo ce lo annuncia con tanta enfasi. La cosa bizzarra è che molti giornali e persino riviste scientifiche serie si rifanno a questo cielo infestato da scie strane e  nuvole nuove  come un cielo futuristico, mostrano foto di questo cielo reale, questo cielo che vediamo,  per farci immaginare un cielo ‘curato’ chimicamente. 

Com’è possibile una simile assurdità?  Questo esempio di percezione schizofrenica ha precursori e successori. 

Il fatto è che persino il NOAA avverte, in relazione all’enorme traffico aereo, che la geoingegneria esiste, che le scie degli aerei influenzano l’atmosfera. Comunque, secondo la progettazione, che prevede operazioni del genere, questo deve essere fatto intenzionalmente, un velo deve essere steso tra il sole e il pianeta. Il grande oscuramento. Partiamo da qui, dalle evidenze. Per molti, tuttavia, evidente non è. La normalizzazione delle nuove normalità nel cielo è stata praticata con successo. Qualcuno preme il tasto e modifica a piacimento. 

Uno dei più importanti promotori di questo ramo della geoingegneria, del cosiddetto Solar Radiation Management,  è stato Edward Teller, che nel 1997 a Erice ha presentato il suo  piano che propone di spruzzare particelle riflettenti dagli aerei nell’atmosfera, proponendo di inserire  anche  il traffico civile, per poter modificare il clima a piacere. Aveva previsto il pulsante per il freddo e il caldo.

Un anno dopo, casualmente, i cieli  cambiarono, gradualmente, prima in USA e Canada, poi sui paesi appartente alla NATO – e piano piano – non troppo piano –   è stato possibile rilevare una diffusione mondiale del fenomeno del cielo scarabocchiato e dei tramonti dietro griglie a strisce.

Edward Teller, il “padre” della bomba termonucleare, o bomba all’idrogeno,  è tra coloro che hanno programmato questo cielo,  funge da filo conduttore per mettere a fuoco passaggi  importanti che possono aiutare a abbozzare un quadro più complesso. Il nome di Teller è emblematico per la  nuova era e lo sviluppo che ha portato a passo spedito nello spazio. (1)

 Teller propose per la prima volta uno shield o scudo  in alto  anni indietro. L ‘allora presidente Ronald Reagan l’ annunciò così: «Io mi rivolgo alla comunità scientifica nel nostro Paese, perché le stesse persone che ci hanno dato la bomba atomica ora volgano i loro talenti alla causa dell’umanità e della pace nel mondo, per darci gli strumenti che possano rendere le armi nucleari impotenti e obsolete».

Era lo scudo delle famigerate Guerre Stellari, che Reagen aveva  impacchettato tanto bene. Ma fu bocciato lo stesso.

Qualche anno dopo Teller presento uno shield in nuova versione nel 1997, il suo grandioso progetto di ingegneria planetaria  con il  titolo: “Effetto serra e glaciazioni. Prospettive per un meccanismo di regolazione dei cambiamenti globali su basi fisiche”

Rispetto alle proposto di Teller ad Erice commentò Foresta Martin Franco sul Corriere della Sera: Cio’ che ha piu’ colpito la platea di Erice non e’ tanto l’eccesso di innovazione e di stravaganza del progetto (gli scienziati americani ci hanno abituato a delle fascinose fughe in avanti), quanto la totale mancanza di sensibilità ambientale che lo contraddistingue.

Ma è stata la bomba atomica a rappresentare una svolta epocale per l’uomo, con la quale si è innalzato al di sopra della natura, con questo progresso si è inaugurata una nuova smodatezza. .

Robert Oppenheimer, la cui fama è principalmente associata alla costruzione della prima bomba atomica nell’ambito del Progetto Manhattan e alla successiva crisi di coscienza che lo portò a rifiutare di lavorare alla bomba all’idrogeno, disse dopo la prima esplosione di una bomba atomicaI fisici hanno conosciuto il peccato e questa è una conoscenza che non potranno perdere.

È stato un passo verso una dimensione che Günther Anders ( filosofo austriaco) descrisse come dilemma fondamentale dei nostri tempi: “Noi siamo inferiori a noi stessi”. Siamo incapaci di farci un’immagine di ciò che noi stessi siamo stati capaci di fare. In questo senso siamo “utopisti a rovescio”: mentre gli utopisti non sanno produrre ciò che concepiscono, noi non sappiamo immaginare ciò che abbiamo prodotto.” (2)

Facciamo un passo indietro:

MANHATTEN 1

Edward Teller, che di rimorsi e crisi di coscienza come Einstein e Oppenheimer non sembra aver sofferto, fu partecipante del Progetto MANHATTEN avviato dal Presidente  Roosevelt, nel 1942. Il lavoro svolse nella massima segretezza a tutti i livelliperfino la maggior parte dei capi militari americani furono all’oscuro. 

 Nell’autunno del 1942, gli abitanti di una zona rurale del Tennessee furono privati in un attimo delle loro case e fattorie. Gli Stati Uniti, che avevano così a disposizione più di 59.000 acri di terra, tirarono su in pochi mesi una città pionieristica, Oak Ridge,  che in seguito ebbe più di 75.000 abitanti, ma non comparve mai sulle carte geografiche e che, all’apice della Seconda Guerra Mondiale, consumava più energia della città di New York. (3)https://www.youtube.com/embed/wLg0ebODqPo?feature=oembed

Si trattava quindi di un affare top-secret del governo statunitense per creare la prima bomba atomica al mondo. Le bocche furono sigillate e fino alla fine della guerra non si seppe nulla o quasi del progetto stesso o delle persone coinvolte. 

Il 16 luglio 1945 esplose il primo ordine nucleare, e insieme ai due test in seguito, erano effettivamente due test le due bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki, fu l’inizio di una lunga serie di sperimentazioni al di là di ogni codice etico. Fu una lunga serie di crimini contro l’umanità e contro il pianeta.  

Tra il 1945 e il 1998, cioè fino alla stipulazione del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CBBT) nel 1996, sono esplosi 2053 ordigni nucleari.

Da allora, una massa di nuovi radionuclidi, isotopi artificiali, è circolata nella stratosfera prima di raggiungere la superficie terrestre attraverso la troposfera e diffondersi ovunque: Cesio-137, Plutonio-239, Carbonio-14, Stronzio-90 contaminano l’atmosfera terrestre per migliaia di anni. (4)

La geoingegneria secondo me inizia qui.

Dopo la messa in opera di un primo ground zero in Giappone, iniziò quasi subito la più imponente campagna globale di lavaggio del cervello mai realizzata. 

Ai bambini giapponesi sono stati mostrati cartoni animati che parlavano del atomo buono.

Walt Disney produsse il film propagandistico “IL MIO AMICO ATOMO” per piccoli e grandi. https://www.youtube.com/watch?v=4is-gZbDC2A

Le bombe diventarono sexy. Miss Atomic Bomb veniva selezionata in concorsi speciali. Ragazze Pinup sexy cavalcavano bombe. La sessualità femminile diventa iconografia della distruzione. L’anatomia femminile viene alterata e trasformata in modo da mettere in evidenza una sessualità che, all’epoca, doveva essere contenuta nella sfera domestica, del matrimonio e della famiglia. 

La realtà capovolta, distorta, ricreata dalla macchina dell’informazione ha una lunga tradizione. Possiamo sperimentare oggi di prima mano il modo in cui la realtà viene stravolta e  rimodellata  dai mezzi di comunicazione di massa.

L’energia nucleare doveva rappresentare la strada verso un futuro promettente, caratterizzato da importanti scoperte tecnologiche, ed essere circondato da un’aura di positività e fiducia. 

“È un dono di Dio”, dichiarò l’allora Presidente Harry Truman durante un comunicato televisivo alla nazione all’indomani della resa giapponese. Pochi anni e qualche decisione di test nucleari dopo, nel 1953, il suo successore Dwight Eisenhower esprime la volontà di utilizzare l’energia atomica anche per scopi civili. Non si dovette attendere molto. Nel 1958, la Commissione per l’energia atomica diede il via all’Operations Plowshare, con l’intento di esplorare i limiti e le potenzialità delle esplosioni nucleari per la creazione di bacini acquiferi, per gli scavi minerari e per l’estrazione di combustibili fossili nel sottosuolo.  Edward Teller propose il progetto Chariot, che aveva come obiettivo la creazione di un porto artificiale a Cape Thompson in Alaska, e consisteva nel seppellire un numero imprecisato di testate nucleari che sarebbero poi state fatte esplodere. Il mare sarebbe confluito all’interno dei crateri risultanti, formando di fatto un’eccellente conca naturale (si fa per dire) in cui creare il porto.

La scarsa consapevolezza dell’impatto del nucleare sull’ambiente e sulla salute fece sì che il suo utilizzo venne considerato anche per i propositi più avventurosi. Nel 1959, Jack W. Reed meteorologo ad un  grande laboratorio dell’United States Department of Energy, che si occupano di questioni di sicurezza nazionale per conto della National Nuclear Security Administration, presentò uno studio intitolato “Some Speculations of Nuclear Explosions on Hurricanes”. Perché non difendere la popolazione dagli uragani semplicemente bombardandoli?  Reed teorizzò che un’esplosione nucleare nell’occhio del ciclone avrebbe fatto in modo che la sua intensità diminuisse, sventando così ogni pericolo (un test c’è stato) (5) 

Donald Trump deve averne sentito parlarne,  aveva suggerito di bloccare gli uragani con le armi nucleari. Aveva uno zio speciale.

L’esperto scientifico John G. Trump fu incaricato di esaminare i documenti sequestrati postumi di Nikola Tesla.  Tesla morì nel 1943 e solo tre anni dopo Bernard Vonnegut e altri due scienziati della General Electric lanciarono simultaneamente l’era scientifica del controllo meteorologico e il Nuovo Progetto Manhattan. I tre anni trascorsi tra la morte di Tesla saranno stati sufficienti per verificare il materiale di Tesla.

In sintesi, 

nel 1945 iniziò l’era atomica nella più completa incoscienza.

Nonostante gli orrori provacati naque un un entusiasmo sconfinato a metà degli anni Cinquanta, quando “le prospettive dell’energia nucleare sembravano brillanti e inesauribili”.

Si prevedeva di viaggiare su Marte con l’energia nucleare.

Hollywood, industria discografica, moda  e mainstream accomparono  questo mondo nuovo  ‘fantastico’.

Con l’ingresso nell’era nucleare, l’intreccio tra scienza civile, industria, accademie, settore dell’ informazione e mondo militare, già chiaramente evidente durante le due guerre mondiali, si intensifica in molteplici forme. Il sistema duale civile-militare sta raggiungendo un importante livello di sviluppo.

La fase attuale ha molto a che fare con gli spostamenti determinati dalle guerre mondiali del passato. Hanno portato a due grandi capovolgimenti, due grandi Reset, ed ora siamo nel terzo.

Oggi siamo in guerra, una guerra mai dichiarata, una guerra a più livelli: una guerra economica, biologica, cibernetica,  chimica, una elettromagnetica, una guerra dell’informazione, sì, e una guerra meteorologica. Quest’ultima è forse la guerra più subdola e nascosta. 

Un passaggio occultato – da MANHATTAN 1 a MANHATTAN 2 

Il complesso militare-industriale-accademico coinvolto nel Progetto Manhattan originale e nella ricerca nucleare era quindi contemporaneamente impegnato nella ricerca e nell’applicazione della manipolazione meteorologica. Le due aree erano strettamente legate anche in termini di utilizzo militare. 

Questo si può già vedere nello sviluppo e nel funzionamento degli strumenti, in entrambi i settori sono necessari e impiegati gli stessi elementi, satelliti, radar, aerei, razzi, ecc. Per questo motivo, molti scienziati che facevano parte del Progetto Manhattan originale hanno lavorato anche alla modificazione del tempo e alla ricerca atmosferica.

Uomini come: Edward Teller, Vannevar Bush, John von Neumann e altri sono noti per aver  lavorato  in entrambi settori. (6)

DALLA GEOINGEGNERIA NUCLEARE ALLA GEOINGEGNERIA CLIMATICA

La realtà della modificazione meteorologica è esplosa alla fine degli anni ’40 con la scoperta della semina delle nuvole negli Stati Uniti da parte di Vincent J. Schaefer e Bernard Vonnegut, (7) e può essere vista come sottocategoria della geoingegneria.  Ha un impatto locale in quanto si svolge su scala locale, ma quando si verificano numerosi interventi (la Cina sta ora manipolando su larga scala),  l’impatto globale deve essere tenuto in conto. Tuttavia, anche un intervento limitato e locale in un’area di importanza strategica può avere un impatto globale devastante. Basti pensare all’ effetto farfalla  che dice “ che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”.

Il significato del  termine geoingegneria è stato modificato negli ultimi anni. La definizione attuale è la seguente: La geoingegneria, nota anche come ingegneria climatica, descrive una serie di modi per intervenire su larga scala nei sistemi naturali della Terra – oceani, suolo e atmosfera – per combattere direttamente il cambiamento climatico.

Sebbene la definizione ufficiale del termine e delle tecnologie sia stata diffusa solo di recente, già negli anni ’60 esistevano piani concreti per progetti di questo tipo.

Esiste un memorandum della CIA del 1960 

che descrive in dettaglio ciò che deve essere fatto per cambiare il clima della Terra. (8)

Non ho potuto fare a meno di pensare, scoprendo il documento, agli esperimenti nucleari ad alta quota che si sono svolti in quegli anni e ai missili esplorativi con vari rilasci che hanno lasciato tracce negli strati superiori. I danni creati erano diversi, uno di questi, secondo Rosalie Bertell, era il daneggiamento dello strato di ozono, e non è stata l’unica a parlarne. Gli effetti sul clima o non sono stati indagati, poco probabile, o non resi pubblici i dati.

Mi sono chiesta: è possibile che il danno fatto  – lacerazione dell’ ozonosfera – abbia portato a pensare di porvi rimedio? È possibile che la CIA, ad esempio, abbia intrapreso un progetto del genere in questo contesto?  

Negli articoli sulla storia dello sviluppo della ricerca sull’ozono, gli esperimenti nucleari in quota non sono considerati come un fattore

Il ruolo dei test nucleari NON è menzionata né dalla NOAA, né dall’ONU, né dalla NASA, né dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, né dalla Commissione Europea, né dall’EPA, né da nessuna parte del Protocollo di Montreal, che è un po’ la Bibbia dell’inversione della riduzione dell’ozono – dopo aver scoperto il buco.
In risposta a una domanda al riguardo, il NOAA ha dichiarato a FactCheck:
I test nucleari non sono la causa della riduzione dello strato di ozono che abbiamo sperimentato….Le emissioni umane di composti di cloro e bromo a lunga vita, compresi i CFC e gli halon, hanno portato alla riduzione dell’ozono osservata. (bromo e cloro ricordano  la ricetta del genio della NASA Harry Wexler per modificare il clima, questo nei primi  anni sessanta. Wexler propose di  DISTRUGGERE LO STRATO DI OZONO E QUINDI AUMENTARE NETTAMENTE LA TEMPERATURA SUPERFICIALE DELLA TERRA, irrorando diverse centinaia di migliaia di tonnellate di cloro e bromo con aerei stratosferici) Ci hanno provato? In passato temevano un raffreddamento del clima. (9)  

Nell’ Atomic Archive leggiamo sulla Ozone Depletion: In teoria, i test nucleari producono protossido di azoto, una sostanza che impoverisce l’ozono.

Giusto in questi ultimi tempi Alan Bardeen e i suoi coautori hanno scoperto che i fumi di una guerra nucleare globale distruggerebbero gran parte dello strato di ozono nell’arco di 15 anni, con un picco medio di perdita di ozono di circa il 75% a livello mondiale. E anche una guerra nucleare regionale porterebbe a un picco di perdita di ozono del 25% a livello globale, con un recupero che richiederebbe circa 12 anni.  (10) 

 Le detonazioni  ‘pacifici’ hanno effetti diversi? 

Altra area  rilevante  dal punto di vista del pericolo per l’ozonosfera – e occultata –  è il traffico aereo civile e militare. È persino escluso dalle statistiche ufficiali sull’inquinamento atmosferico. (11)   

Inoltre,  non si parla dell’espansione della rete satellitare 5G. Se il 5G penetra dallo “spazio” in modo massiccio e ampiamente collegato alle reti in basso, quali sono le conseguenze per gli strati atmosferici e per la vita sul pianeta? (12) 

Dallo spazio riusciremo a controllare

disse il futuro presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson nel 1962. Johnson riassume molte cose in poche parole: «Dallo spazio riusciremo a controllare il clima sulla terra, a provocare alluvioni e carestie, a invertire la circolazione negli oceani e far crescere il livello dei mari, a cambiare la rotta della corrente del Golfo e rendere gelidi i climi temperati». (13) 

E’ una sintesi davvero impressionante, che io non so fare con la stessa incisività. Nel mio tentivo di riassumere ma anche spiegare mancano molti aspetti. Sto cercando di dipingere un quadro ampio, ma rimane sempre e comunque limitato. Per quanto riguarda il controllo meteorologico mi limito a ricordare che esperimenti per modificare la quantità di precipitazioni sono stati condotti già negli anni ’50 in decine di Paesi, tra cui l’Italia. In Italia, i primi dati ufficiali risalgono al 1947, e gli esperimenti riportati in Sardegna negli anni ’60 sono particolarmente interessanti, in quanto soddisfacenti e rilevanti per la costruzione di bacini artificiali. Generale A. Serra, che ci ha lasciato un documento che documenta questi fatti, ha commentato:

Operare su regioni di montagna o di collina, al fine di creare riserve idriche in bacini di raccolta è la forma più promettente di usufruire di piogge o neve artificiali, dichiarò il Gen.A.Serra. (14)

Il tema dell’inseminazione  delle nubi  e la gestione dell’acqua, del WATERMANAGMENT sono strettamente legati. Dove si trovano grande dighe nel mondo si trovano operazioni di Cloud Seeding. 

Tuttavia, l’uso e la manipolazione degli elementi della natura è accompagnato da disastri di portata sproporzionata. La segretezza delle operazioni – elemento rilevante anche in questo settore – è la salvezza per chi compie danni. Nel caso in cui le operazioni sfuggano al controllo, è la natura a fungere da alibi e ad essere incolpata dei disastri.

L’alluvione di Lynmouth, in Gran Bretagna, nel 1952, ne è un esempio. Il  14 agosto 1952 furono avvistati degli aerei che inseminavano le nuvole con l’intenzione di cambiare il tempo. Il cielo assunse una straordinaria tonalità di giallo, verde e viola. Il diluvio che ne seguì fu drammatico.


Anche l’alluvione di Firenze del 1966 solleva questioni di questo tipo.

Quando il tempo atmosferico è usato come arma e mira alla distruzione, richiede ancora più segretezza (vedi il Progetto Popeye e il Vietnam).

In sintesi: 

Il cloud seeding è una procedura per modificare la quantità e il tipo di precipitazioni attraverso l’applicazione di sostanze chimiche nell’atmosfera, alterando i processi microfisici nelle nuvole o nelle correnti. È documentata da decenni e viene utilizzata per modificare le precipitazioni, la grandine, la neve o le tempeste. Questo avviene negli Stati Uniti, in Russia, Europa, Cina, India, Africa, Indonesia, Australia, Cuba, Cile e altri Paesi. In Israele sono veri maestri. Sono venuti anche da noi per insegnarci.(Progetto Pioggia in Puglia)

Di particolare interesse nel campo della manipolazione meteorologica sono progetti di 

CONTROLLO ELETTROMAGNETICO 

Ci sono di vari tipo. 

 Negli anni ’90, l’Atmospheric Laboratory del MIT ha condotto prove sul campo di tecnologie non convenzionali per la modifica del tempo atmosferico. In ulteriori studi, gli scienziati dell’atmosfera hanno sviluppato una teoria che identifica nel caos meteorologico su macroscala la “chiave” della modificazione del tempo.

Alla fine degli anni ’90, un gruppo di ricerca indipendente in Australia, cercando le origini di questa teoria, si è imbattuto in un “meccanismo atmosferico”. Prove sperimentali hanno dimostrato che “piccole quantità di energia elettromagnetica applicata in modo intelligente” possono causare cambiamenti nel tempo atmosferico in base all’andamento delle onde sinusoidali atmosferiche (onda con un unico movimento oscillatorio) . Questa ricerca ha portato allo sviluppo di una tecnologia di risonanza atmosferica sostenuta da Aquiess International. La manipolazione meteorologica di Aquiess si basa su frequenze, codici e algoritmi rilevabili che possono fornire un collegamento (apparentemente) diretto tra i processi di programmazione e i sistemi atmosferici. Secondo il responsabile del progetto, è stato possibile produrre precipitazioni delicate. Il progetto pare abbia avuto buoni risultati, i programmi Rain Aid, ma è stato spento (anche il sito di Aquiess) , il che però non significa che questa tecnica non venga utilizzata oggi, ma non più da Aquiess. Per questo sono necessari clienti. (15)

Ufficialmente note sono le piogge indotte con il laser, che mostrano per esempio in  in Arabia Saudita  effetti sorprendenti, si vedono cammelli camminare nel deserto allagato. Saranno forse adoperate una combinazione di tecnolgie. 

Altra nuova tecnologia crea nuvole di pioggia partendo dal un cielo totalmente privo di nubi e generando ioni (gli ioni sono atomi o molecole a cui è stato tolto un elettrone e diventano così reattivi al punto da cercarsi l’un l’altro) nell’atmosfera. Questa metodologia è totalmente diversa da quelle sperimentate finora.

Da notare un film d’animazione Disney del 1957 (lo trovate sul sito: Come possedere il Tempo) che mostrava il trattamento delle nuvole con fulmini provenienti da oggetti volanti che sembrano droni.  Questo da un idea quali sviluppi tecnologici erano già avvenuti oppure programmati in questo settore, in quegli anni lontani. E lo sviluppo complessivo procedeva in modo impressionante.

Dopo il successo del lancio del primo satellite in assoluto, lo Sputnik, da parte dell’Unione Sovietica, già nel 1960, con il programma Carona, gli Stati Uniti lanciarono un satellite spia per fotografare le basi missilistiche sovietiche.

La tecnologia missilistica e la tecnologia delle armi nucleari sono state sviluppate contemporaneamente tra il 1945 e il 1963.

Durante questo folle periodo di test atmosferici nucleari, sono state tentate esplosioni a vari livelli, sopra e sotto la superficie della Terra. Alcune delle descrizioni ormai familiari della atmosfera protettiva della Terra, come l’esistenza di fasce di Van Allen, sono basate su informazioni ottenute attraverso la sperimentazione stratosferica e della ionosfera di quei tempi. Le detonazioni dentro la fascia di van Allen secondo Rosalie Bertell hanno creato danni irriversibili. Nel 1962 è stato lanciato un razzo con un ordigno da 1,4 megatoni che è esploso a 400 km di altezza, rompendo le fasce di Van Allen. Le fasce di Van Allen sono state una delle prime scoperte americane dell’era spaziale, nel 1958.

HAARP – WOODPECKER – ANTENNE – SATELLITI – SOLAR POWERSTATION E ….

Nel 1969 è stata creata una stazione per supportare gli studi dell’Università di Stanford sulle proprietà magnetosferiche e ionosferiche della plasmasfera.

La Stazione Siple è un precursore di Haarp.

Il programma HAARP è iniziato nel 1990

H.A.A.R.P. (High-Frequency Active Aural Research)

Le antenne installate in Alaska avrebbero ufficialmente avuto lo scopo di studiare la ionosfera per migliorare le telecomunicazioni, cosa che avveniva anche in altri Paesi e soprattutto in Russia, che era molto avanti nell’utilizzo di questo tipo di apparecchiature. 

Scrive Rosalie Bertell: Negli anni 1970, in una inusuale collaborazione fra americani e sovietici durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti diedero ai sovietici un gigantesco magnete, che in effetti divenne una parte del loro Progetto Woodpecker. Nel 1974, nell’ambito degli Accordi di Vladivostock, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica presero la decisione congiunta di sciogliere la calotta polare artica.11 Non si tratta di un accordo bilaterale registrato dell’ONU, perciò non divenne mai accessibile a coloro i quali – più tardi – furono messi in allarme dal rapido scioglimento dei ghiacci e delle nevi polari, e dalla situazione degli orsi polari che ne è risultata. Per il pubblico, lo scioglimento della calotta polare artica è diventato un segnale forte e inquietante del cambiamento climatico, talmente forte che negli Stati Uniti ai media è stato richiesto di non parlare mai di orsi polari! A causa del segreto militare la gente è stata indotta a pensare che il controllo industriale delle emissioni di CO2 riporterebbe tutto a posto nell’Artico! (16)

Il sovietico Woodpecker 

(simile a quello che in seguito negli USA fu HAARP) era uno strumento di Tesla situato in Ucraina, in quella che in seguito, nel 1986, divenne la zona non accessibile dopo il  disastro del reattore nucleare di Chernobyl (che aveva fornito energia per il Woodpecker)…

Rosalie Bertell ha descritto HAARP, Woodpecker, altri riscaldatori ionosferici, la rete satellitare, le torri GWEN e molto altro nel suo libro e non posso che raccomandarlo a chiunque voglia saperne di più sull’argomento.

L’ esplorazione dell’atmosfera superiore ha portato allo sviluppo di strumenti per monitorare le condizioni atmosferiche e geofisiche del pianeta. 

Ma è  davero  sorprendente la vertiginosa rapidità con cui sono emersi tecnologie, progetti e eventi: l’allunaggio nel 1969, all’apice della corsa allo spazio tra Unione Sovietica e Stati Uniti d’America, solleva molti interrogativi. Ci sono stati realmente? 

 Interrogativi di altro tipo  sono da fare  per i piani per il posizionamento di una Centrale solare satellitare nella fascia di Van Allan, riportate da Rosalie Bertell nel suo libro, progetatta pare già nel 1968. Con lo sviluppo dell’era spaziale, alla fine degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta i pannelli solari come fonte energetica  sono stati utilizzati per alimentare varie parti dei veicoli spaziali. Il primo fu il satellite Vanguard I nel 1958, seguito da Vanguard II, Explorer III e dallo Sputnik-3.

Nel 1978, il governo statunitense propose ufficialmente 

Una centrale solare spaziale 

che avrebbe catturato l’energia dal sole e l’avrebbe rimandata sulla Terra per un uso commerciale.  Secondo Rosalie, ogni satellite doveva essere grande quanto l’isola di Manhattan e posizionato in orbita geostazionaria. Il piano prevedeva che i satelliti assorbissero la radiazione solare utilizzando celle solari e poi inviassero l’energia alla Terra attraverso antenne riceventi chiamate “rectennas”, dove sarebbe stata trasmessa tramite fasci di microonde. 

 Oggi questo sistema è di grande attualità e viene presentato come una possibile salvezza energetica per l’umanità. 

Leggiamo in questi giorni, e sono notizie mainstream: La soluzione alla crisi climatica? La Terra fa un passo avanti verso un’energia solare spaziale sostenibile, . 

Che si tratti nel caso della centrale solare nello spazio di un sistema camuffato, ufficialmente civile ma con caratteristiche militari, sembra più che ovvio. Rosalie Bertell si rivolse all’epoca al Comitato per il disarmo delle Nazioni Unite in riferimento a questo progetto, ma le fu risposto che, finché fosse stato definito come un progetto di energia solare, non avrebbe potuto essere considerato un progetto di armamento. Ma come era possibile questa ascesa rapida verso lo spazio? 

E passiamo da Edward Teller a  John von Neumann

Era von Neumann  il vero dottor Stranamore?

Uno sviluppo così stupefacente è stato reso possibile dallo sviluppo dei computer. E qui incontriamo un nome molto importante che è quello di John von Neumann (17).

All’apice della guerra fredda, a metà degli anni Cinquanta, Neumann fa di tutto per promuovere la costruzione del missile balistico intercontinentale … Ma il male è in agguato, un male per lui stesso: un tumore osseo lo costringe su una sedia a rotelle, però non gli impedisce di partecipare personalmente alle riunioni strategiche con i militari, mentre si dedica a nuovi studi sui programmi in grado di riprodursi da soli, che chiama automi cellulari. 

Dunque, ci si chiede se sia stato lui ad aver ispirato Kubrick nella creazione del personaggio del dottor Stranamore.

Neumann è stato una delle menti più brillanti e straordinari del secolo scorso. Insieme a Edward Teller e Eugene Wigner, apparteneva al “clan ungherese” del Progetto Manhattan.

Nel 1956, in qualità di membro della Commissione per l’Energia Atomica, Neumann predisse che le nazioni avrebbero raggiunto il controllo climatico globale entro pochi decenni, con la  prospettiva della guerra meteorologica.

 John von Neumann aveva affermato che la conoscenza dell’uomo stava rapidamente avvicinandosi ad un livello da consentire in alcuni decenni interventi in materia atmosferica e climatica. Non ha indicato quale forma di metodi di controllo del clima si potrà usare, ma ha detto che una volta che saranno stati sviluppati “saranno sfruttati”.

Ha dato il suo punto di vista al mondo nella trasmissione globale Voice of America  in un simposio radiofonico settimanale su “Le frontiere della conoscenza e la speranza dell’umanità per il futuro”. Ha detto che l’uso di procedure di controllo in una regione “può influenzare in modo critico un’altra”. E ha aggiunto anche: “L’attuale terribile possibilità di guerra nucleare può cedere il posto ad altre anche più terribili. Dopo che il controllo climatico globale sarà diventato possibile forse tutte le nostre attuali preoccupazioni sembreranno semplici”.

Ci sarebbe qualche speranza in una simile situazione? “La risposta più ottimista”, ha concluso, “è che la specie umana è stata sottoposta a test simili prima e sembra avere una capacità congenita di venirne fuori dopo varie forme di guai”.

Dieci anni dopo le detonazioni delle prime bombe atomiche e la successiva resa giapponese, la rivista Fortune ha pubblicato un importante articolo di John von Neuman “Can We Survive Technology?” ( lo trovate sul sito) E’ senza dubbio la prima menzione significativa della tesi SRM di geoingegneria. Quindi von Neumann ha ‘previsto’ la ingegneria del pianeta via Solar Radiation Managment.

Pochi anni dopo, tutto ciò fu reso esplicito in un memorandum della CIA, come già detto e

sempre nel 1960, si formò un gruppo nella NATO sotto la guida di Theodore von Karmàn. Kàrmàn è stato consulente dell’aeronautica statunitense e della NATO e ha avuto il compito di coordinare questo gruppo di esperti e leader della NATO guidato dagli Stati Uniti per sviluppare piani per le guerre future utilizzando (sfruttando, deviando, imitando) le forze della natura. L’incarico fu il coronamento della lunga carriera di Kàrmàn. I progetti in cui era coinvolto riguardavano in generale la conquista dello spazio.

Brevemente: Alcuni dati  per ricordare i contorni del periodo:

La Seconda guerra mondiale  ha dato un enorme impulso per aumentare lo sviluppo del controllo del meteo.

Nel 1953  il governo americano costituisce l’Agenzia per il controllo del tempo.

Nel 1957 una commissione consultiva sul controllo climatico afferma: “Le modificazioni climatiche potrebbero rivelarsi un’arma più cruciale della bomba atomica” (M.S. Ventakataramani, To Own The Weather, Frontline, 16-29 gennaio 1999).
Nel 1958  Howard T. Orville, capo dell’Agenzia per il Controllo del Tempo, afferma che si stanno studiando “modi per modificare il clima usando un raggio elettronico per ionizzare o de-ionizzare l’atmosfera sopra una determinata area”.

Quindi nel 1960 è stato fondato il Comitato NATO – il comitato von Karman.

Il Comitato comprendeva alti rappresentanti militari di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia e Germania Ovest. Era composto da oltre 200 scienziati ed esperti militari. Dopo la morte di Kàrmàn, fu Edward Teller a presiedere il Comitato NATO e Teller, come sappiamo, era fortemente motivato all’uso delle bombe atomiche, in molti modi. 

Il campo di esplorazione militare? 

Trasformare la natura in una vera arma, per generare eventi catastrofici, devastare l’agricoltura, le infrastrutture, sciogliere dei ghiacci per affogare città portuali avversarie, deviare correnti marine e atmosferiche, far esplodere ordigni nucleari finalizzati a provocare tempeste radioattive e incendi  su enormi spazi abitati, creare buchi nella ozonosfera, tutto questo e altro ancora era scienza militare durante la Guerra Fredda.


Si chiama «environmental warfare», ed è una guerra condotta provocando intenzionalmente catastrofi ambientali.

L’uso del meteo come arma viene vietato nel 1978 nell’ambito della Environmental Modification Convention (ENMOD). Sia Stati Uniti d’America che Unione Sovietica l’hanno firmata. Convenzione sulla proibizione dell’uso militare o di altra ostile natura di tecniche di modificazioni ambientali, Nazioni Unite, Ginevra: 18 maggio 1977. In vigore dal 5 ottobre 1978   

Ma se si cambia il nome del bambino, il gioco può continuare.

Dopo il 1978 le sperimentazioni sono continuate indisturbate, ma non ufficialmente, e non si pubblicano più documenti espliciti e significativi come negli anni precedenti, mentre proprio in questi decenni constatiamo un aumento degli eventi estremi.

Facendo scomparire il tema dalla sfera dell’ufficialità, lo si è relegato nel campo delle teorie cospirative o della fantascienza.



Oggi viene incolpato il “cambiamento climatico” di ogni sorta di disastro (grazie al famigerato consenso del 97% degli esperti sull’aumento della CO2 come causa).

La “cure” escogitata per “trattare” il pianeta ‘infiammato’ è una misura  che, guarda caso, era proposta dalla CIA nel 1960!

Nel documento della CIA invece della CO2 come problema non c’era  traccia. 

Esiste un altro documento rivelatore, ed è  del 1998 di Jay Michaelson: “Geoingegneria: un progetto Manhattan per il cambiamento climatico” pubblicato nello Stanford Environmental Law Journal, vol. 17, No. 73, 1998.  Michaelson sostiene in un scritto corposo di 53 pagine la necessità urgente di avviare immediatamente progetti di geoingegneria e propone un progetto tanto vasto e segreto quanto lo era il progetto Manhattan, quindi  …

GEOINGEGNERIA – 5 G – TRANSUMANESIMO 

Per concludere la mia analisi, vorrei soffermarmi sulla questione che dovrebbe essere al centro di questa relazione e che spero sia già un po’ affiorata attraverso le mie presentazioni.

Quali connessioni si possono individuare tra la geoingegneria e la tecnologia 5G che sta investendo il pianeta, e cosa ha a che fare tutto questo con il passaggio dell’umanità al transumanesimo?

 “Gli sviluppi tecnologici trasformano il potere in una gestione totale della vita, che diventerà sempre più tecno…”scrivono nel loro  libriccino sul 5G Silvia Guerini e Costantino Ragusa. 

Credo che i fatti selezionati finora abbiano sottolineato proprio questo aspetto. In definitiva, una logica meccanica sostituisce il vivente.  Nel caso della rivoluzione atomica, l’energia distruttiva è stata dichiarata la forza vitale del progresso.

La campagna per le PR del settore delle telecomunicazioni descrive il 5G come la prossima generazione di “tecnologia wireless ultra veloce che ha il potenziale per connettere qualsiasi cosa, dagli smartphone alle auto a guida autonoma, ai mondi virtuali”, come se questo tipo di comfort aggiuntivo fosse un contributo benigno alla vita. 

La PR degli anni cinquanta, per introdurre il nucleare ‘civile’ intona la stessa  musica.

Il  5G utilizza frequenze d’onda estremamente elevate, da 24 GHz e fino a 90 GHz note come bande d’onda millimetriche, con alcune previsioni di raggiungere la gamma di 300 GHz. Le bande millimetriche sono necessarie per le armi del Massive Internet of Things (MIOT) , l’Intelligenza Artificiale e le armi a energia diretta (DEW), che richiedono tutte l’estremità più alta della scala dello spettro, che rappresenta anche livelli di esposizione alle radiazioni sempre più elevati. 

Il 5G, di cui non esiste un’analisi indipendente sulla sicurezza o sulla salute, minaccia la biosfera e tutti gli esseri viventi.

Questo non è più una novità da tempo, lo stesso vale per gli interventi dei geoingegneri che operano con gli stessi meccanismi senza scrupoli che considerano il pianeta e gli esseri viventi su di esso come macchine da invadere e rimodellare  come meglio credono. 

Come ha dimostrato anche la nascente era nucleare, questo avviene senza conoscenza e consapevolezza, ma con una logica che obbedisce solo ai propri fini, cioè al controllo e al possesso. OWNING THE WEATHER” descrive magnificamente lo spirito dei tecnocrati.

In pubblico, il 5G viene dipinto come una nuova era di gadget high-tech, il prodotto finale di una generazione di scienziati e politici che hanno reimpostato la relazione con la realtà e hanno accolto un cosiddetto progresso tecnocratico. 

La digitalizzazione compenetra tutti gli aspetti della nostra vita e il 5G, poi il 6G e il 7G saranno necessari per far funzionare appieno la rete di controllo.  La tabella di marcia è chiara, non hanno nulla da nascondere. Le informazioni sono disponibili in abbondanza sul sito del World Economic Forum.

E non è un segreto, e questo è l’aspetto più grave della questione, che in questo sviluppo c’è un elemento pervasivo e incontrollabile che nessuno può limitare o controllare: Sappiamo che il 5G fornirà anche armi neurali controllate a distanza, questo è risaputo. Per inciso, piani di questo tipo sono stati comunicati da decenni. Il geofisico Gordon McDonald, personaggio di alto livello, era a conoscenza di questi sviluppi e aveva previsto la possibilità futura di un controllo mentale dall’alto. 

Che si tratti del controllo dell’atmosfera, della biosfera o dell’esistenza umana, i metodi e gli strumenti utilizzati sono interconnessi, la misura dell’uomo diventa un fattore materiale, l’uomo diventa una cosa tra le cose.

In assenza di etica, l’avanzamento della scienza e della tecnologia estrema diventa ora ancora più drastico e di vasta portata: le forze della natura devono essere sconfitte e superate. La natura non deve essere solo migliorata, ma sostituita. Per raggiungere questo obiettivo, la realtà deve diventare globalmente leggibile, misurabile e controllabile. Una follia completa, perché la realtà è complessa e non è realmente comprensibile per le competenze umane.

 Il perseguimento di questa nuova dimensione si manifesta nel Massive Internet of Things (MIOT) con le sue varie classificazioni che spiegano la natura delle ramificazioni. (18)  

L’Internet delle cose (IoT) collega gli oggetti a Internet, ed è giunto il momento di collegare anche il corpo umano,  l’Internet dei corpi (IoB).

Ho ricordato in questi giorni un autore letto molti anni fa, già negli anni sessanta fu Lewis Mumford (1895-1990) scrisse nel suo libro il Mito della Macchina: 
“Nella terminologia dell’odierna visione dominante del rapporto dell’uomo con la tecnologia, la nostra epoca è il passaggio dallo stato primitivo dell’uomo, caratterizzato dall’invenzione di strumenti e armi allo scopo di dominare le forze della natura, a uno stato radicalmente diverso in cui l’uomo non solo avrà conquistato la natura, ma si sarà distaccato il più possibile dall’habitat organico. Con questa nuova “mega-tecnologia”, la minoranza al potere creerà una struttura unificata, onnicomprensiva, super-planetaria e a funzionamento automatico. Invece di agire come una personalità autonoma, l’uomo diventerà un animale passivo, senza scopo, dipendente dalla macchina, le cui stesse funzioni, secondo i tecnici moderni, saranno delegate alla macchina o strettamente limitate e controllate a beneficio di organismi collettivi spersonalizzati”.

 La digitalizzazione e l’inseminazione con sensori riguarda tutto il pianeta. Lo dimostrano le categorie aggiunte per ARIA-MARE-TERRA (19)

E quindi abbiamo:
L’Internet delle cose sott’acqua (IoUT) – L’Internet delle cose nel sottosuolo (IoUGT) – L’Internet delle cose nello spazio (IoST)  e sembrano particolarmente rilevanti per il controllo e la manipolazione dell’ambiente a tutti i livelli. 

Presto condiremo (we will salt) gli oceani, la terra e il cielo con un numero incalcolabile di sensori invisibili agli occhi, ma visibili l’uno all’altro e ad una varietà di dispositivi di raccolta dati. I vasti flussi di dati sempre più accurati si combinano e interagiscono per produrre cache sempre più significativi di conoscenza” . prometteva Esther Dyson qualche anno fa. Esther Dyson, un’ azionista finanziaria il cui portafoglio include 23andMe, Genomera e PatientsLikeMe, è figlia di Freeman Dyson.

Polvere intelligente diabolica sparsa ovunque come confetti”  – erano le ultime parole di Julian Assange prima che la sua connessione a Internet fosse definitivamente interrotta e il suo soggiorno nellì ambasciata sostitutio con la prigione. (20) 

  L’idea delle polveri intelligenti non è nuova. Kris Pister dell’Università di Berkeley aveva coniato il termine “Smart Dust” (polvere intelligente) a metà degli anni novanta come parte di un progetto di ricerca della DARPA, concludendo: “Programmeremo le pareti e i mobili, e un giorno anche gli insetti e la polvere”.

Già in VIETNAM, negli anni ’60, vennero rilasciate piccole macchine, cioè sensori lanciati dal cielo sopra la rotta di Ho Chi Minh, in grado di rilevare movimenti, suoni, metalli e persino odori, con cui accompagnarono la massiccia campagna aerea statunitense contro le linee di rifornimento nordvietnamite.  Naturalmente, questi sensori erano enormi rispetto a quanto è possibile fare oggi. 

E alcuni scienziati californiani non hanno dubbi: la polvere intelligente ha già fatto la sua prima apparizione su un vero campo di battaglia in Afghanistan, dove gli americani hanno cosparso nubi di smart dust sulle zone più impervie e montagnose. 

Il prossimo test? 

Ho qualche sospetto. 

Ci sarebbe molto altro da dire e da aggiungere per dipingere questo gigantesco quadro distopico. Mi fermo qui, dopo molti anni di indagine, è stato un primo tentativo di tracciare una panoramica dei molti dati raccolti e allo stesso tempo di incoraggiare a spulciare l’archivio creato, per chi volesse approfondire l’argomento.
Come mai prima d’ora, le persone cominciano a porsi delle domande.  L’immenso lavoro svolto da molti in questi due anni sta contribuendo a rendere il quadro più chiaro, a illuminare le connessioni.  Vedere e capire è il prerequisito fondamentale per il cambiamento, per la guarigione. Ecco perché questo lavoro è così importante e perché è così importante collegare la nostra ricerca.


Vi ringrazio per l’invito.

FONTI

1) EDWARD TELLER, DALLO SCUDO SPAZIALE A…https://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/spazio/dallo-scudo-spaziale-alla-difesa-antimissili/

2) L’UOMO E’ ANTIQUATO https://www.nogeoingegneria.com/librifilms/luomo-e-antiquato/

3) Oak Ridge: la città “Atomica” segreta degli Stati Uniti https://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/nucleare/citta-segrete-oak-ridge-2/

(4) HIROSHIMA E NAGASAKI: I REPORTAGE CENSURATI DAGLI USA https://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/nucleare/atomic-cover-up-la-storia-nascosta-dietro-il-bombardamento-degli-stati-uniti-di-hiroshima-e-nagasaki/

5) https://www.nationalobserver.com/sites/nationalobserver.com/files/styles/nat_social/public/img/2017/10/11/gw-irma-abomb-top.jpg?itok=2Btg_nZN e   https://www.youtube.com/watch?v=-q47sHA4eA

6) https://www.nogeoingegneria.com/timeline/personaggi/la-storia-e-davvero-lunga-e-parte-nel-1946-lo-sviluppo-postbellico-del-nuovo-progetto-manhattan/

7) https://www.nogeoingegneria.com/timeline/storia-del-controllo-climatico/tesi-di-laurea-inseminazione-delle-nubi-stato-della-ricerca-e-prospettive-operative/

(8) LA CIA PUÒ UTILIZZARE IL METEO COME ARMA? È DAL 1960 CHE CERCA DI FARLO

9) HARRY WEXLERhttps://www.nogeoingegneria.com/timeline/storia-del-controllo-climatico/herry-wexler/

10) CONSEGUENZE CLIMATICHE DI UN CONFLITTO NUCLEARE www.nogeoingegneria.com/tecnologie/nucleare/conseguenze-climatiche-di-un-conflitto-nucleare-peggiori-del-previsto/

11) Shuttle e aerei mettono in pericolo la Terrahttps://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/areosol/scie-aerei-e-shuttle-mettono-in-pericolo-la-terra/

12) WIFI dallo spazio mette a rischio l’ozonosfera   https://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/spazio/wi-fi-dallo-spazio-a-rischio-lo-strato-di-ozono/

13) Dallo Spazio riusciremmo a controllare il clima….https://www.nogeoingegneria.com/timeline/progetti/dallo-spazio-riusciremo-a-controllare-il-clima-sulla-terra-provocare-alluvioni-e-carestie/

14) Italia: piogge artificiali dal 1947 https://www.nogeoingegneria.com/timeline/progetti/piogge-artificiali-in-italia-dal-1947/

15) Controllo elettromagnetico del tempo https://www.nogeoingegneria.com/timeline/progetti/il-controllo-elettromagnetico-del-tempo/

16) PIANETA TERRA ULTIMA ARMA DI GUERRA https://www.nogeoingegneria.com/librifilms/e-uscito-il-libro-pianeta-terra-lultima-arma-di-guerra/

17) John von Neumann https://www.nogeoingegneria.com/timeline/storia-del-controllo-climatico/nel-1956-john-von-neumann-ha-previsto-le-guerre-meteo/

18 e19) L’Internet delle cose sott’acqua (IoUT) – L’Internet delle cose nel sottosuolo (IoUGT) – L’Internet delle cose nello spazio (IoST) https://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/sistemi-radar/dal-mare-al-sottosuolo-fino-allo-spazio-le-nuove-frontiere-delliot/

20) ASSANGE POLVERE INTELLIGENTE DIABOLICA  https://www.nogeoingegneria.com/tecnologie/sistemi-radar/polvere-intelligente-diabolica-sparsa-ovunque-come-confetti-le-ultime-parole-di-julian-assange/

KLAUS SCHWAB esalta: “Considerate le possibilità illimitate di avere miliardi di persone connesse tramite dispositivi mobili, dando vita a una potenza di elaborazione, capacità di archiviazione e accesso alla conoscenza senza precedenti. Oppure pensa all’incredibile confluenza di scoperte tecnologiche emergenti, che coprono campi di ampio respiro come l’intelligenza artificiale (AI), la robotica, l’Internet delle cose (IoT), i veicoli autonomi, la stampa 3D, la nanotecnologia, la biotecnologia, la scienza dei materiali, lo stoccaggio di energia e informatica quantistica, per citarne alcuni. Molte di queste innovazioni sono agli inizi, ma stanno già raggiungendo un punto di svolta nel loro sviluppo mentre si sviluppano e si amplificano a vicenda in una fusione di tecnologie attraverso il mondo fisico, digitale e biologico ”.

Klaus Schwab, Plasmare il futuro della quarta rivoluzione industriale.

Contributo di Paul Cudenec per le tre giornate contro le tecno-scienze: Un male in via di sviluppo: la maligna forza storica dietro il Great Reset

Testo in inglese: https://winteroak.org.uk/2022/08/02/a-developing-evil-the-malignant-historical-force-behind-the-great-reset/

UN MALE IN VIA DI SVILUPPO: LA MALIGNA FORZA STORICA DIETRO IL GREAT RESET

di Paul Cudenec

Questo è il testo di un intervento che ho tenuto al raduno “ Tre giornate contro le tecno-scienze ” ad Alessandria sabato 30 luglio 2022 . Mille grazie agli organizzatori e agli altri partecipanti per la calorosa accoglienza e gli stimolanti scambi. Una versione audio post-registrata può essere trovata qui . ]

Il cosiddetto Great Reset non è altro che l’estensione e l’accelerazione violenta di un processo di lunga data.

Nel corso dei decenni, ho spesso disperato per l’apatia generale dei miei concittadini di fronte alle forze oscure che potevo vedere chiaramente – e sentire – radunarsi.

Chiedendomi come avremmo mai potuto sperare di vedere una rivolta di massa contro il sistema dominante, a volte mi confortavo al pensiero che un giorno “loro” sarebbero diventati così arroganti, o impazienti, che avrebbero spinto le cose troppo oltre, oltre i limiti di ciò che l’umanità è collettivamente pronta a tollerare.

Quello che stiamo vivendo negli ultimi due anni potrebbe benissimo essere quel momento, in modo che il Grande Reset si riveli non solo l’estensione del processo esistente, ma il suo culmine, l’arroganza che annuncia la sua fine definitiva, la sua nemesi.

Allora, qual è questo “processo” di cui sto parlando? Ci sono molti modi diversi per descriverlo. È l’aumento del potere accentratore, l’inasprimento del controllo, la crescita dell’“economia”, la convergenza sempre più stretta di potere e denaro.

Oggi voglio concentrarmi su un concetto che credo sia la chiave per comprendere l’essenza di questo processo, ovvero lo “sviluppo”.

Il termine, in inglese, è molto ampio e ambiguo, il che consente di abusarne e manipolarlo seriamente.

A volte è usato nel contesto intransitivo per riferirsi a qualcosa che accade da solo, dall’interno, come lo sviluppo delle capacità o del carattere di un bambino mentre diventa adulto, lo sviluppo della comprensione di qualcuno o lo sviluppo di una cultura particolare.

In questo senso, porta le implicazioni dell’essere naturale e positivo: risonanze che servono a mascherare le qualità del tutto diverse di altre applicazioni della stessa parola.

Lo sviluppo usato in senso transitivo si riferisce alle azioni intraprese dall’esterno per sviluppare una determinata cosa.

Potrebbe riferirsi a ciò che sto facendo in questo momento: lo sviluppo di un’idea o un argomento. Questo tipo di sviluppo è l’atto di organizzare vari elementi (informazioni, esperienze personali, opinioni) al fine di creare qualcosa che sia (si spera!) coerente e utile.

Ancora una volta, questo senso ha implicazioni positive che possono essere utilizzate per camuffare la realtà dietro altri processi con la stessa etichetta semantica.

Nei termini del processo storico cui mi riferivo, lo sviluppo potrebbe essere applicato in linea di massima all’industrializzazione iniziata nel mio paese natale nel 18° secolo e successivamente diffusa in quello che chiamiamo Occidente.

Qui possiamo immediatamente vedere come gli altri significati della parola “sviluppo” offuscano la nostra comprensione della varietà industriale.

La prima associazione, intransitiva, può indurci a immaginare che l’industria fosse qualcosa che si “sviluppò” organicamente, da sola, come il dispiegarsi di una naturale evoluzione socio-economica.

E la seconda, transitiva, associazione potrebbe farci supporre che lo sviluppo industriale sia stato un processo positivo di utilizzo della nostra intelligenza collettiva per organizzare qualcosa di utile per la società.

L’opinione convenzionale all’interno della società industriale di solito equivale a una combinazione di queste due interpretazioni errate: le persone tendono a immaginare che l’evoluzione naturale della nostra intelligenza collettiva ci porti a organizzare questo sviluppo inevitabile e continuo.

Il continuo sviluppo industriale è stato lo sfondo di tutte le nostre vite, ma non è necessariamente qualcosa di cui siamo sempre consapevoli.

Per me, la forma in cui è diventato visibile e reale per la prima volta è stata quella di quello che in Inghilterra viene chiamato “sviluppo immobiliare”, ovvero la costruzione di case, negozi e fabbriche su quello che prima era un terreno “non edificabile”.

Il mio primo incontro con questo fenomeno è stato quando avevo circa dieci anni e vivevo all’estremità meridionale della conurbazione londinese.

Un giorno d’estate ho scoperto, con alcuni compagni di scuola, quello che mi sembrava un paradiso incredibile: un prato, circondato da alberi, con un minuscolo ruscello che scorre in mezzo, sul quale saltiamo più e più volte, ruzzolando e ridendo dentro l’erba verde lussureggiante.

Qualche tempo dopo sono tornato lì per assaporare ancora quel momento di pura felicità e ho scoperto che qualcuno aveva lasciato misteriose pile di grandi tubi di cemento nel nostro campo.

Essendo bambini, non ci importava molto, non avevamo idea di cosa significasse tutto questo e passammo felicemente il pomeriggio arrampicandoci intorno e attraverso questi tubi.

Ma la seconda volta che sono tornato, il campo era un complesso residenziale e non c’era più erba, non c’era più ruscello, non c’era più gioco.

Qualche anno dopo mia madre comprò, come regalo per un’amica anziana, un libro di fotografie del territorio risalente all’inizio del 900, quando questa signora era una ragazza.

Scorrendo le immagini, ho notato che una di esse a quanto pare mostrava una strada che conoscevo bene. Ma non potevo credere che fosse lo stesso posto.

Nella fotografia c’era un semplice viottolo di campagna, circondato da tutti i lati da alberi, lungo il quale un uomo conduceva un cavallo e un carro.

La strada che conoscevo negli anni ’70, sebbene ancora chiamata “lane”, era fiancheggiata da case identiche degli anni ’30 per tutta la sua lunghezza ed era intersecata da una delle vie di traffico più trafficate fuori Londra.

Improvvisamente ho capito perché le persone anziane si erano sempre riferite alla sfilata dello shopping suburbano locale come “il villaggio”. Era stato davvero un villaggio quando l’hanno saputo per la prima volta!

Come è possibile che tutto sia cambiato così rapidamente, nella memoria viva di persone che ho conosciuto personalmente?

Non ho mai più potuto rivedere la zona in cui avevo sempre vissuto allo stesso modo e in seguito ho scelto di vivere e lavorare fuori Londra, nel Sussex, dove ho scoperto villaggi e strade di campagna che non esistevano più nella zona in cui sono cresciuto.

Per molto tempo sono stato felice lì. Sentivo di respirare un’aria che per troppo tempo mi era stata negata.

Ma, naturalmente, non ero al sicuro dall’avanzata dello sviluppo, il cui requisito principale è che non deve mai rallentare, tanto meno fermarsi.

Intorno a me apparivano nuovi insediamenti abitativi, nuove strade per servire le case, altre nuove case per riempire gli spazi aperti dalle nuove strade, nuovi centri commerciali per servire le persone che vivono nelle case e altre nuove strade per portarle lì.

Sia nel mio lavoro di giornalista su un giornale locale che nel mio ruolo parallelo di attivista che cerca di proteggere la campagna, sono arrivato a capire i meccanismi attraverso i quali questo sviluppo è avvenuto.

La prima cosa che ho notato è che c’era sempre un’opposizione locale a qualsiasi progetto di sviluppo su un’area verde: più grande è il progetto, maggiore è l’opposizione.

Ma questa opposizione ha avuto molto raramente successo.

Sono stati utilizzati diversi metodi per garantire che lo sviluppo trionfasse sui desideri della popolazione locale.

Il primo era che politici e funzionari locali denigrassero gli oppositori del piano in questione, nel modo che sembrava più appropriato.

Se gli oppositori erano persone locali che vivevano vicino allo sviluppo proposto, erano individui egoisti chiamati NIMBY – Not In My Back Yard.

Se erano coinvolte persone lontane, che non potevano essere accusate di avere un interesse puramente personale, venivano soprannominate “agitatori esterni” o “facinorosi da mafioso”.

In questo modo, nessun dissenso potrebbe mai essere considerato legittimo.

Accanto a questo approccio è arrivata l’inevitabile narrazione secondo cui lo sviluppo era un “bisogno disperato”, fornendo case alle famiglie, posti di lavoro per i lavoratori o una “spinta” per l’economia locale.

Questa argomentazione era saldata al messaggio che c’era qualcosa di inevitabile nell’intero processo, che perdere lo spazio verde in cemento e asfalto era semplicemente qualcosa che si doveva accettare nella vita.

Mi sono anche imbattuto in un certo grado di corruzione, ovviamente, di legami molto stretti tra i funzionari locali e le imprese di sviluppo immobiliare i cui progetti hanno autorizzato.

Ma dietro questi livelli di propaganda e corruzione c’era un’altra cosa, qualcosa di ancora più importante: la “necessità” di sviluppo era iscritta nelle strutture di pianificazione burocratica ideate dal governo centrale, alle quali gli enti locali dovevano attenersi.

Tutto ciò che il consiglio locale poteva davvero decidere era dove sarebbe stato adattato questo sviluppo.

Quindi, anche se le persone che vivono in una zona erano unanimemente contrarie a un certo sviluppo, anche se in qualche modo, miracolosamente, erano riuscite a eleggere rappresentanti che fossero disposti a rispettare la loro opposizione, tutto ciò che si poteva ottenere era che quello sviluppo fosse ritardato, modificato in qualche modo in modo da renderlo più accettabile o, nel migliore dei casi, spostato in qualche altro angolo dell’area locale dove i residenti erano meno rumorosi o influenti.

Lo stesso processo di sviluppo complessivo era sacrosanto e ufficialmente assicurato.

Tutti i linguaggi e le argomentazioni a favore dello sviluppo sono quindi servite non tanto a convincere le persone che era necessario, quanto a mascherare la realtà che sarebbe stato comunque loro imposto contro la loro volontà dal potere centrale.

Questo è importante, come vedremo più avanti…

Ci sono, ovviamente, molti diversi tipi di “sviluppo”.

Wolfgang Sachs descrive, in The Development Dictionary , una risorsa molto perspicace su questo argomento, come l’idea di sviluppo fosse basata sulla nozione di transizione di uno stato-nazione dallo stato agricolo a quello industriale. “Lo Stato era convenzionalmente considerato l’attore principale, e la società nazionale il principale obiettivo, della pianificazione dello sviluppo”. (1)

Ma negli ultimi decenni del secolo scorso il fenomeno ha superato la scala nazionale e si è trasformato in globalizzazione. Per Sachs, sviluppo e globalizzazione sono lo stesso fenomeno. Dice: “La globalizzazione può essere giustamente intesa come sviluppo senza Stati-nazione”. (2)

È sempre necessaria una narrazione per mascherare lo sviluppo e venderlo al pubblico.

Come sottolinea Gustavo Esteva nello stesso libro, la promozione dello sviluppo come cosa buona, come causa degna e umanitaria, dipende dall’esistenza teorica della “condizione poco dignitosa chiamata sottosviluppo”. (3)

Scrive: «Affinché qualcuno concepisca la possibilità di evadere da una condizione particolare, è necessario prima sentire di essere caduto in quella condizione. Per coloro che oggi costituiscono i due terzi della popolazione mondiale, pensare allo sviluppo – a qualsiasi tipo di sviluppo – richiede anzitutto la percezione di se stessi come sottosviluppati, con tutto il carico di connotazioni che questo comporta”. (4)

Questa idea di “sottosviluppo” è, conclude, “un trucco manipolativo per coinvolgere le persone nelle lotte per ottenere ciò che i potenti vogliono imporgli”. (5)

Il termine “povertà” è usato allo stesso modo. Con questo termine vengono designati alcuni stili di vita e le persone e le comunità coinvolte sono identificate come un “problema” per il quale lo sviluppo può fornire la soluzione.

Coloro che spingono questa agenda sono felici di sfruttare cinicamente l’ingenuità di coloro che cadono nella menzogna e di saltare con entusiasmo a bordo del carrozzone di “aiutare” coloro che non sono ancora stati trasformati in quello che Otto Ulrich chiama “un ingranaggio meccanico in un grande apparato produttivo dominato dal mercato mondiale”. (6)

In Europa, un’istituzione chiave che promuove lo sviluppo è l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, fondata sessant’anni fa. (7)

Il suo slogan parla di “politiche migliori per una vita migliore”, attraverso, sempre con le sue stesse parole, “l’accelerazione dello sviluppo”.

Questo organismo iniziò la sua vita come Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea, costituita per amministrare gli aiuti del Piano Marshall degli USA per la “ricostruzione migliore” dell’Europa dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale.

L’OECE si è ufficialmente trasformata nell’OCSE durante una cerimonia nel 1960 allo Château de la Muette di Parigi, che è ancora la sede dell’organizzazione.

Per coincidenza, questo edificio apparteneva originariamente a un membro del ramo francese della famiglia Rothschild, che ha svolto un ruolo storico così fondamentale nello sviluppo, delle ferrovie, in tutto il mondo, del Canale di Suez, delle miniere, e che erano anche pre -eminente, come la società vanta sul proprio sito, nello “sviluppo del mercato dei titoli di Stato, a partire dall’Europa e dalla Russia, ed espandendosi in tutti i continenti”. (8)

Rothschild e soci aggiungono che le basi per il loro attuale successo furono gettate durante la seconda guerra mondiale, quando stabilirono la loro presenza commerciale negli Stati Uniti e furono così in grado di espandere notevolmente la loro attività globale, “aprendo uffici in tutti i principali mercati del mondo”.

Un ruolo chiave nel promuovere l’idea di sviluppo è stato svolto anche dalle Nazioni Unite, costituite su iniziativa degli USA alla fine della seconda guerra mondiale.

Nel preambolo della sua Carta Istitutiva nel 1945, ha annunciato la sua determinazione a “promuovere il progresso sociale e migliori standard di vita … e ad utilizzare le macchine internazionali per la promozione del progresso economico e sociale di tutti i popoli”. (9)

Il “Primo Decennio per lo Sviluppo delle Nazioni Unite” tra il 1960 e il 1970, che sosteneva di identificare un problema con le persone “sottosviluppate”, insisteva ancora una volta sul fatto che il suo scopo era quello di migliorare la qualità della loro vita. Questa svolta si riflette nel nome dell’ente di sviluppo che ha generato nel 1963, l’Istituto di ricerca per lo sviluppo sociale delle Nazioni Unite. Sviluppo sociale . Niente a che vedere con i soldi!

Nel 1970 ha lanciato una Strategia di sviluppo internazionale e una risoluzione delle Nazioni Unite associata ha annunciato un approccio unificato allo sviluppo e alla pianificazione, “che integrerebbe pienamente le componenti economiche e sociali nella formulazione di politiche e programmi”.

Questo ha dichiarato che i suoi obiettivi erano “non lasciare nessun settore della popolazione al di fuori dell’ambito del cambiamento e dello sviluppo” e “dare alta priorità allo sviluppo del potenziale umano … la fornitura di opportunità di lavoro e la soddisfazione dei bisogni dei bambini”. (10)

Vale a dire i “bisogni” dei bambini come definiti da coloro che mirano a trarre il massimo profitto dallo sviluppo del proprio potenziale umano.

Nel 1986 l’ONU è andata ancora oltre quando ha pubblicato la sua Dichiarazione sul diritto allo sviluppo. (11)

Sebbene questo testo identificasse chiaramente l’obiettivo di stabilire quello che chiamava “un nuovo ordine economico internazionale”, nascondeva questa agenda dietro l’assurda affermazione che “il diritto allo sviluppo è un diritto umano inalienabile”.

“Gli Stati hanno la responsabilità primaria della creazione di condizioni nazionali e internazionali favorevoli alla realizzazione del diritto allo sviluppo”, ha insistito.

“Gli Stati hanno il dovere di cooperare tra loro per assicurare lo sviluppo ed eliminare gli ostacoli allo sviluppo”.

“Serve un’azione sostenuta per promuovere uno sviluppo più rapido dei paesi in via di sviluppo”.

E l’ultimo passaggio, l’articolo 10, afferma: “Bisogna adottare misure per garantire il pieno esercizio e il progressivo rafforzamento del diritto allo sviluppo, compresa la formulazione, l’adozione e l’attuazione di misure politiche, legislative e di altro tipo a livello nazionale e internazionale” .

Ed è ciò che abbiamo visto prendere forma nei decenni successivi…

Nel 1990 il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo ha pubblicato il suo primo Rapporto sullo sviluppo umano, difendendo il diritto inalienabile di tutti gli esseri umani allo sviluppo. (12)

Poi, dieci anni dopo, nel 2000, ha lanciato i suoi Obiettivi di Sviluppo del Millennio, basati sugli Obiettivi di Sviluppo Internazionale elaborati a Chateau de la Muette dal Comitato di Assistenza allo Sviluppo dell’OCSE. (13)

I partenariati pubblico-privato sono stati molto incoraggiati. L’obiettivo 8 era “sviluppare una partnership globale per lo sviluppo”, che potrebbe significare “cooperazione con aziende farmaceutiche” o rendere disponibili i “benefici delle nuove tecnologie” lavorando con Big Tech. (14)

A collaborare strettamente con le Nazioni Unite per la creazione di queste infrastrutture globali che impongono lo sviluppo è stato il Gruppo della Banca Mondiale, che di fatto ha una relazione basata su trattati con l’ONU che risale alla sua fondazione. (15)

Descrivendosi come “la più grande istituzione di sviluppo del mondo”, è stata fondata nel 1944 (sempre in quel momento storico chiave alla fine della seconda guerra mondiale) come Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo e, come l’OCSE, è stata inizialmente coinvolta nel concedere prestiti per facilitare il Build Back Better del dopoguerra. (16)

Vale la pena considerare il commento di Klaus Schwab e Thierry Malleret nel loro libro del 2020 Covid-19: The Great Reset che le guerre, come le pandemie, “hanno il potenziale per essere una crisi trasformativa di proporzioni prima inimmaginabili”.

Hanno scritto: “La seconda guerra mondiale è stata la quintessenza della guerra di trasformazione, che ha innescato non solo cambiamenti fondamentali nell’ordine globale e nell’economia globale, ma ha anche comportato cambiamenti radicali negli atteggiamenti e nelle convinzioni sociali che alla fine hanno aperto la strada a politiche e contratti sociali radicalmente nuovi ”. (17)

Quando non c’erano più soldi da guadagnare dalla ricostruzione del dopoguerra, la Banca Mondiale ha spostato la sua attenzione sullo “sviluppo”, con una forte enfasi sulle infrastrutture come dighe, reti elettriche, sistemi di irrigazione e strade.

Da tempo si interessa anche del cosiddetto “sviluppo rurale”, con l’obiettivo di “aumentare la produzione e aumentare la produttività” attraverso quella che definisce una “transizione dall’isolamento tradizionale”. La Banca Mondiale vorrebbe consentire il “trasferimento di persone dall’agricoltura a bassa produttività verso attività più gratificanti”. (18)

Appagante per chi, esattamente?

A poco a poco la Banca Mondiale ha costruito una rete di istituzioni, tra cui l’International Finance Corporation (IFC), che le ha permesso, nelle sue stesse parole, di “collegare le risorse finanziarie globali ai bisogni dei paesi in via di sviluppo” sotto lo slogan di benessere di ” porre fine alla povertà estrema e promuovere la prosperità condivisa”. (19)

Cosa significhi effettivamente questa connessione è chiaro dai rapporti dell’IFC. Pur vantandosi di aver “investito oltre 321 miliardi di dollari nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo dal 1956”, sottolinea anche: “IFC opera su base commerciale. Investiamo esclusivamente in progetti a scopo di lucro nei paesi in via di sviluppo”. (20)

Non per niente la Banca Mondiale/IFC usa lo slogan “Creating Markets, Creating Opportunities” (21). Nonostante tutto il linguaggio del bene, la linea di fondo è che l’investimento, come lo sviluppo, è davvero fare soldi e accumulare potere.

Alla luce di ciò, non sorprende che la Banca Mondiale sia stata un partner entusiasta delle Nazioni Unite nel promuovere i suoi Obiettivi di Sviluppo del Millennio e la sua partnership globale per l’avidità.

Come ha ammesso: “La Banca Mondiale si impegna ad aiutare a raggiungere gli MDG perché, in parole povere, questi obiettivi sono i nostri obiettivi”. (22)

La Banca Mondiale ha spacciato per un po’ di tempo la truffa greenwashing del cosiddetto “sviluppo sostenibile”.

Già nel 1988, il suo vicepresidente senior David Hopper annunciava che sarebbe stato coinvolto nella “formulazione, attuazione e applicazione delle politiche ambientali”. (23)

E, inutile dirlo, la Banca Mondiale sostiene pienamente gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, adottati nel 2015 e che puntano al 2030 come data di completamento. Dichiara che si tratta di “un risultato storico globale”, si vanta che sono stati “formulati con una forte partecipazione dal Gruppo della Banca Mondiale” e sono, ovviamente, “pienamente coerenti” con i propri dubbi obiettivi. (24)

Infatti, nel 2018 ha firmato un quadro di partenariato strategico con le Nazioni Unite per promuovere gli SDG e contribuire a realizzare ogni sorta di nobile risultato, come “aiutare i paesi ad attrarre e gestire capitali privati” in modo che possano “ottenere risultati misurabili su larga scala per trasformare loro economie e società” e “costruire capitale umano”. (25)

Anche la Banca Mondiale e le Nazioni Unite, che sembrano essere così vicine da essere quasi la stessa cosa, sono desiderose di “migliorare le capacità di dati digitali dei paesi per migliorare l’implementazione e massimizzare gli impatti positivi sullo sviluppo” e “sfruttare i dati per migliorare i risultati dello sviluppo” .

In realtà, lo sviluppo “sostenibile” che stanno promuovendo è quasi un ossimoro come sviluppo “equo”, essendo solo un altro aspetto del camuffamento con cui i suoi sostenitori nascondono la realtà della loro insidiosa agenda alla vista del pubblico.

Come scrive Esteva, “lo sviluppo sostenibile è stato esplicitamente concepito come una strategia per sostenere lo ‘sviluppo’, non per sostenere il fiorire e il perdurare di una vita naturale e sociale infinitamente diversa”. (26)

Il vero significato degli UNSDGs è come fondamento amministrativo della distopia tecnocratica totalitaria che il potere monetario sta attualmente cercando di imporci.

Essenzialmente equivalgono, su scala globale, ai criteri di pianificazione che obbligano i comuni a scavalcare l’opinione pubblica ea sviluppare spazi verdi.

Fissano determinati obiettivi di sviluppo – obiettivi come li chiamano – in legge in modo che debbano essere imposti al pubblico, qualunque sia il punto di vista di quel pubblico.

Ma poiché non vogliono che questa situazione profondamente antidemocratica sia visibile, costruiscono anche lo strato di propaganda che mira, come la propaganda sulla necessità di uno “sviluppo” locale, a nascondere la vera natura del processo.

La propaganda per gli UNSDG è tutto ciò che si è “svegliato” e “progressista”, un programma liberale sdolcinato ufficiale che ora si è insinuato in ogni parte della nostra cultura.

E, proprio come le persone che si oppongono a nuove strade, ferrovie, fabbriche o complessi residenziali in costruzione nelle campagne sono condannate come “egoiste” o “antisociali”, così anche gli oppositori degli SDG sono condannati come politicamente inaccettabili.

Poiché la mafia dello sviluppo si dipinge come rappresentante del “buono”, tutti coloro che vanno contro i suoi programmi devono necessariamente essere “cattivi”: reazionari, di destra, teorici della cospirazione.

Ma, in realtà, questo rappresenta una notevole inversione della verità. La “bontà” dello sviluppo può essere sancita dalla legge e recitata in coro da ogni direzione, ma è comunque inesistente.

Il processo che si chiama “sviluppo” infatti non è altro che distruzione, in ogni contesto.

È la distruzione della natura, ora vista come una mera risorsa da utilizzare per lo sviluppo o come uno spazio vuoto non sviluppato in cui lo sviluppo potrebbe, dovrebbe e, in definitiva, deve aver luogo.

È la distruzione delle comunità umane naturali, la cui autosufficienza ostacola il progresso dello sviluppo, dell’autentica cultura umana e dei valori tradizionali, che sono incompatibili con il dogma e il dominio dello sviluppo.

Nelle parole di Ivan Illich: “Lo sviluppo può essere immaginato come una raffica di vento che solleva le persone dal loro spazio familiare e le colloca su una piattaforma artificiale, una nuova struttura dell’abitare”. (27)

Implica la distruzione dell’autonomia individuale, dal momento che gli esseri umani sono visti come nient’altro che risorse umane, capitale umano, per alimentare l’inesauribile appetito di sviluppo.

Lo sviluppo implica anche la distruzione della democrazia, poiché gli obiettivi dello sviluppo ci sono imposti da meccanismi nascosti alla vista del pubblico in generale.

Tutto sommato, lo sviluppo equivale alla negazione di tutto ciò che è organico, di tutto ciò che è vivente. È vitafobico.

E perché esiste lo sviluppo, qual è lo scopo dietro tutta questa distruzione? Non è altro che denaro e potere, che sono la stessa cosa nella nostra società.

Ciò che viene “sviluppato” in tutti questi vari modi che distruggono la vita è, in effetti, il denaro e il potere di coloro che hanno avviato e imposto il processo.

Il loro denaro “si sviluppa” perché estraggono profitto da tutte queste attività distruttive e perché prestano denaro, a interesse, ai governi per “finanziare” grandi progetti rappresentati per il bene comune o nazionale.

Da dove hanno preso questi soldi in primo luogo – se è loro di diritto o una creazione di ricchezza dal nulla da pratiche di scommesse dubbie – è un’altra questione.

Ma quello che è certo è che i debiti dovuti a tali finanziatori danno loro ancora più influenza sui governi e la capacità di insistere su un ulteriore “sviluppo” al fine di generare il denaro necessario per mantenere i rimborsi in arrivo. Saranno, ovviamente, molto felici di “finanziare” questa prossima fase di sviluppo, che è sempre in agguato all’orizzonte come una necessità economica apparentemente inevitabile.

Questo è un ricatto su una scala inimmaginabile. Ricatto senza fine e vertiginoso. Ricatto sostenibile.

Quindi coloro che stanno dietro lo “sviluppo” hanno distrutto tutto ciò che ha un valore reale nel nostro mondo naturale e nelle nostre società umane alla ricerca della ricchezza e del potere personali.

E si sono preoccupati di nascondere questo crimine dietro tutta la retorica dal suono positivo associata allo sviluppo a tutti i livelli.

Lungi dall’essere qualcosa di intrinsecamente buono, lo sviluppo rappresenta quindi qualcosa che è molto vicino a ciò che potremmo chiamare male.

Abbiamo visto tanti segni di questo male in tutto lo sviluppo che abbiamo subito collettivamente per molti secoli.

I fiumi sono diventati neri e l’aria è diventata tossica a causa dell’inquinamento dello sviluppo industriale.

Foreste rase al suolo, terre profanate, specie spazzate via dalla sua infinita avidità.

Bambini schiacciati a morte dai suoi macchinari, vite rovinate e stroncate da decenni di lavoro ingrato nelle sue fabbriche, miniere e fabbriche sfruttatrici.

Comunità in tutto il mondo strappate alla terra, strappate l’una all’altra, strappate alle felici vite naturali che avrebbero dovuto essere il loro diritto di nascita.

Tutto il senso e il valore sottratti alle nostre esistenze, tutto ridotto a profitto e nascosto dalla menzogna.

Come scrive Sachs: “Cresce il sospetto che lo sviluppo sia stato un’impresa mal concepita fin dall’inizio. In effetti, non è il fallimento dello sviluppo che deve essere temuto, ma il suo successo. Come sarebbe un mondo completamente sviluppato?” (28)

Sarebbe semplicemente un mondo morto.

Dal 2020, il male inerente a questo sistema basato sullo sviluppo è diventato molto più visibile a molti di noi.

Abbiamo visto persone proibite di radunarsi, costrette a coprirsi il viso con le mascherine, a cui è stato detto di non toccarsi. Ai bambini è stato impedito di giocare insieme, agli anziani lasciati a morire da soli senza qualcuno che li tenesse per mano durante le loro ultime ore, milioni e milioni di persone sono state ridotte in uno stato di paura nascosta dalle bugie manipolatrici del sistema mentre cerca di crescere il suo controllo maligno.

Questa espansione del potere sta ora minacciando i nostri stessi corpi, che rivendica come propri.

Vuole infettarci con le sue sostanze chimiche che alterano i geni, inquinare i nostri corpi con la sua nanotecnologia, controllare la nostra fertilità, imprigionarci – “centrarci”, come dicono le Nazioni Unite (29) – in città intelligenti, campi di concentramento digitali in cui i nostri gemelli virtuali online sono usati come lucrative fonti di speculazione e profitto per investimenti a impatto sui vampiri nei loro piani psicopatici per un tipo completamente nuovo di “sviluppo umano” che è indistinguibile dalla schiavitù.

Questa cosa che chiamiamo sviluppo è una forza dell’oscurità e quindi per contrastarla dobbiamo sfruttare il potere della luce.

Luce, prima di tutto, per illuminare la verità delle attività di questa entità, la sua distruzione, ricatto e occultamento.

Come abbiamo visto, la sua prima linea di difesa è la pretesa che lo “sviluppo” non abbia intenti sinistri ed è solo una parte inevitabile e naturale dell’evoluzione umana.

Se riusciamo a sfondare quella linea di difesa, esponendo la sua vera agenda grezza, il suo potere fisico sarà visibile e quindi aperto all’attacco generale.

Ma abbiamo anche bisogno di sfruttare la luce in quello che potremmo chiamare un senso spirituale.

Poiché lo sviluppo è vitafobico, dobbiamo evocare il potere della vita stessa per combatterlo.

Questo potere è dentro ognuno di noi. Non inizia con noi, ma ci viene dal più ampio organismo vivente di cui facciamo parte, l’organismo che viene assassinato dalla forza oscura dello sviluppo.

Possiamo accedere a questa energia vitale, individualmente e poi collettivamente, solo se lo vogliamo davvero, se siamo preparati ad abbassare tutte le barriere di soggettività e separazione dietro le quali abbiamo imparato a nasconderci.

In primo luogo, questo significa cercare il nostro io reale, che non si può trovare nelle identità virtuali online che si stanno costruendo per noi, ovviamente, né nell’identità legale che ci viene data dallo stato, e nemmeno nel senso di identità individuale fornito dall’ego.

Il nostro vero sé, lo scopriremo, è un sé che sa di essere semplicemente una parte di una realtà più grande.

Possiamo scoprirci parte del luogo in cui viviamo, modellati e adattati al paesaggio, al clima, al cibo che vi cresce: siamo plasmati da questo luogo ed esso, a sua volta, è plasmato da noi.

Possiamo scoprirci parte di una comunità, circondati non da estranei anonimi che facciamo del nostro meglio per evitare, ma da altri esseri che condividono la nostra appartenenza a quel luogo locale e con i quali potremmo creare reti di mutuo soccorso, solidarietà e autonomia.

Possiamo scoprire noi stessi come parte del mondo vivente, nodi umani in una grande rete di interazione organica che equivale a un organismo enorme e inimmaginabilmente complesso.

E possiamo scoprire di essere parte dell’intero universo, di essere una minuscola terminazione nervosa di un tutto cosmico vivente.

È l’energia vitale di questo tutto cosmico, l’energia che anima e spinge ogni aspetto del suo vivere sano, che potremmo chiamare la luce.

Possiamo attingere a questa luce, a questa energia, solo quando sappiamo che è lì. La conoscenza della luce, comunque scegliamo di descriverla, implica la conoscenza della nostra appartenenza, implica la conoscenza dell’unità.

L’oscurità rappresentata dallo sviluppo conosce solo separazione e frammentazione. Il suo regno della quantità, per usare il termine di René Guénon, si basa sull’idea della moltiplicazione, di un’infinita accumulazione di oggetti, di beni, di cosiddetta ricchezza.

Ma all’interno di un dato contesto finito, come il nostro mondo, questa moltiplicazione può solo equivalere a una divisione: semplicemente affetta l’unità esistente in miliardi di pezzi più piccoli, tagliati l’uno dall’altro e dal tutto.

La luce, la conoscenza dell’unità, ci dà la forza per combattere quella frammentazione e ripristinare il regno della qualità e dell’autenticità abitativa.

Abbiamo bisogno di lasciarci inondare da questa luce, di esserne presi e usati in qualunque modo sia necessario per liberare il nostro mondo dal mostro vile e distruttore di tutto che va sotto il nome di “sviluppo”.

APPUNTI

  1. Wolfgang Sachs, “Prefazione alla nuova edizione”, The Development Dictionary: A Guide to Knowledge as Power , ed. Wolfgang Sachs (Londra/New York, Zed Books, 2010), p. vii.
  2. Sachs, ‘Prefazione alla nuova edizione’, The Development Dictionary , p. vii.
  3. Gustavo Esteva, ‘Sviluppo’, Il dizionario dello sviluppo , p. 2.
  4. Esteva, p. 3.
  5. Esteva, p. 3.
  6. Otto Ulrich, ‘Tecnologia’, Il dizionario dello sviluppo , p. 320.
  7. https://www.ocd.org/
  8. https://www.rothschildandco.com/en/chi-siamo/la-nostra-storia/
  9. Preambolo alla Carta delle Nazioni Unite, New York: Ufficio delle Nazioni Unite per la Pubblica Informazione, 1968). cit. Wolfgang Sachs, ‘One World’, The Development Dictionary , p. 112.
  10. UNRISD, The Quest for a Unified Approach to Development (Ginevra: UNRISD, 1980), cit. Estava, pag. 10.
  11. un.org/en/events/righttodevelopment/declaration.shtml
  12. http://hdr.undp.org/en/content/what-humandevelopment
  13. https://en.wikipedia.org/wiki/Millennium_Development_Goals
  14. https://www.un.org/millenniumgoals/pdf/Goal_8_fs.pdf
  15. https://www.worldbank.org/en/programs/sdgs-2030-agenda
  16. https://www.worldbank.org/en/about/history
  17. Klaus Schwab, Thierry Malleret, Covid-19: The Great Reset (Ginevra: WEF, 2020), e-book. Edizione 1.0, 5%
  18. Banca Mondiale, Assault on World Poverty (Baltimora, Md.: Johns Hopkins University Press, 1975), cit. Arturo Escobar, ‘Pianificazione’, The Development Dictionary , pp. 152-53.
  19. https://www.worldbank.org/en/about/history
  20. https://www.ifc.org/wps/wcm/connect/corp_ext_content/ifc_external_corporate_site/home

Contributo di Dino Giagtzglou alle tre giornate contro le tecno-scienze

UN CONTRIBUTO AL QUARTO INCONTRO INTERNAZIONALE
CONTRO LE TECNO-SCIENZE


Salve a tutti e tutte!

Tre anni fa, quando Resistenze al nanomondo ha preso l’iniziativa di organizzare per la prima volta questo incontro annuale e internazionale, non potevo immaginare cosa sarebbe successo negli anni a venire. In quel primo incontro ho cercato di descrivere i miei pensieri e le mie preoccupazioni sulla quarta rivoluzione industriale in corso, concentrandomi sulla neo-teoria futuristica e tecnomaniaca (gentrificata) della Singolarità e su ciò che segue dall’ideologia transumanista e dalle pratiche dei suoi sacerdoti.

Oggi, dopo più di due anni di continuo terrore sanitario pieno di propaganda allarmante, attentato informativo a tappeto e manipolazione psicologica attraverso bugie enormi e banali, minacce nefaste, ricatti, coprifuoco, blocchi, punizioni, ipocriti appelli alla “solidarietà”, promesse e “ricompense”, possiamo vedere chiaramente ciò che per molti compagni – anche se sembrano essere sempre pochi – era evidente e prevedibile da decenni o secoli: come la classe dirigente crea e/o sfrutti varie “crisi” successive sotto le spoglie di “stati di emergenza” per applicare, imporre o rendere desiderabili (dalla popolazione) “nuove” tecnologie e tecniche, ma anche per estendere vecchie e identiche forme di controllo psicosociale e di accumulazione capitalista, ultimamente arrivando fino a i livelli cellulari e molecolari della specie umana facendo vivere i nostri corpi fonderie e fabbriche di produzione di proteine di proprietà dell’industria farmaceutica biotecnologica.

Una cosa è certa, due cose sono certe: verrà proposto un nucleare “nuovo”, “verde” e, ovviamente, “sicuro ed efficace” per affrontare la “crisi energetica” oltre che la “crisi climatica”, mentre è in corso un’enorme spinta per l’approvazione di alimenti “modificati dal gene” spacciati per non OGM che dovrebbero diventare la soluzione a una “crisi alimentare” di qualche causa vaga, oscura e non definita, o addirittura il trattamento di malattie della civiltà moderna come come l’obesità, allo stesso modo in cui sono state introdotte terapie geniche “nuove” e – ripetiamolo con una sola voce – “sicure ed efficaci”, sotto forma di iniezioni ingannevolmente etichettate e falsamente accettate come vaccini, per far fronte a un presunto “crisi sanitaria”.

Non dovrebbe sorprendere se la soluzione proposta a una possibile ondata di malattie autoimmuni o ereditate geneticamente, sia il risultato di queste iniezioni invalidanti o mortali dell’ingegneria genetica e dell’onniviolenza biotecnologica generalizzata (che va dall’editing del genoma di varie specie alle armi biologiche), verrebbe da sua maestà la “regina di tutte le (pseudo-)scienze” eugenetica e il modo “sicuro ed efficace” per venire al mondo sarebbe la coltivazione di embrioni GM di “procreazione” medicalmente assistita e surrogato di “gestazione” in uteri artificiali, ovvero sacchetti di plastica ex vivo che simulano le funzioni viventi del corpo materno. Per non parlare dello scenario dei mandati di riproduzione artificiale, come i mandati del “vaccino”, che diventano la scelta “socialmente responsabile” di far passare un figlio come una scelta “libera e consapevole” per la salute del corpo sociale, che alla fine riguarda la salute della Macchina.

Suppongo che dicendo queste cose rischi di essere etichettato come uno stupido e pazzo “teorico del complotto”, piuttosto che un prudente e diligente “realista del complotto”, ma come ha recentemente sottolineato Silvia Guerini elaborando il concetto di resilienza: “Nella nuova normalità di convivenza con l’emergenza e il disastro resa paradigma si diventerà tutti e tutte resilienti per pesticidi, diossina, metalli pesanti, onde elettromagnetiche, nanoparticelle, ogm, sieri genici. E quando la realtà dell’irreversibilità di certi processi e della mutagenesi – che nessun vivente potrà superare con la tanto acclamata resilienza – irromperà con tragicità nelle belle speranze ci penseranno le tecnologie di ingegneria genetica con modificazioni genetiche embrionali e cliniche di fecondazione assistita. […] Nella nuova normalità post-umana e post-natura perché, si chiederanno i tecnocrati transumanisti ed eugenisti, non prevenire e modificare geneticamente le specie viventi facendo sì che siano più resistenti a radiazioni e contaminanti di ogni tipo?” [1]

Allo stesso tempo, mentre la competizione intracapitalista dei blocchi di potere interplanetari è a un punto di svolta senza precedenti dall’era della terza guerra mondiale (“fredda”) con sviluppi rapidi e davvero caldi sia a livello di conflitto armato che di spargimento di sangue e livello di economia, gli Stati “democratici” liberali occidentali (o di stampo occidentale) continuano ad applicare ed ampliare i loro piani strategici di contro-insurrezione preventiva e di controllo, in varie occasioni e con diverse scuse, nell’ambito della (mai dimenticata nostri padroni) guerra di classe e come sequela della dittatura tecno-medica che tutti abbiamo vissuto abbastanza bene, sia nei campi di concentramento del “primo mondo” come immigrati privi di documenti, sia nei penitenziari come prigionieri o negli ospedali, solitamente distrutti dalle politiche neoliberiste , come pazienti e loro parenti o nei galeoni moderni come schiavi salariati o semplicemente nelle strade metropolitane come cittadini liberi di obbedire. Se si vuole confermare quanto dico, vale la pena vedere di cosa tratta un corrispondente piano “segreto” della Commissione Ue dal nome RAN LOCAL, dal momento che è stato ufficialmente delineato ed elaborato dallo scorso anno. [2] A mio modesto parere, ci sono ragioni precise e concrete per cui questa sopramenzionata contro-insurrezione preventiva contro il nemico interno del Dominio è abbastanza connessa alla concorrenza intracapitalista e interstatale e perché si rivolge a soggetti diversi attraverso molti e ceti sociali diversi, compresi anche alcuni ceti alti, poiché la disciplina e l’obbedienza all’interno della fabbrica sociale sono assolutamente necessarie non solo nel caso di una guerra capitalista mondiale su vasta scala, perché la quarta guerra mondiale è già iniziata, almeno , da due decenni a questa parte, come è ampiamente documentato nelle pagine di numerosi numeri della rivista mensile di Sarajevo e nel taccuino per l’uso dei lavoratori n. 01 [3] – ma anche per una crescita economica competitiva.

Inoltre, mentre il continente africano è sempre stato e rimane un territorio conteso per tutti i colonizzatori e gli imperialisti alla ricerca del saccheggio e della riduzione in schiavitù, sfruttando le risorse naturali, la manodopera a basso costo e il commercio transnazionale o le vie di trasporto, non dovremmo mai dimenticare l’importanza della “grande scacchiera” dell’Eurasia (e viceversa). E mentre l’impero del dollaro USA si sta gradualmente ma rapidamente disintegrando, fintanto che il boom economico e tecnologico della Cina è sempre più vicino all’acquisizione della leadership mondiale, i più potenti stati europei e le società private stanno cercando di galleggiare sopra il naufragio del capitalista occidentale, anche sebbene l’inflazione nell’Eurozona sia record e il debito pubblico sia in continua crescita, rendendo la stabilità finanziaria (ancora una volta) una bomba a orologeria. Quindi, guardare i bilanci dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza (RRP) degli Stati membri dell’UE è significativo per capire come la cosiddetta transizione “verde” dell’economia e della società nel suo insieme, che si dice leggendaria, viene annunciata dagli stessi “salvatori dell’umanità”, non è altro che un massiccio cambio di paradigma nel contesto dell’attuale ristrutturazione capitalista, per la quale il controllo totale e multiforme, tecnocratico e algoritmico sulla popolazione umana e sul suo ambiente naturale o artificiale è il desideratum. L’UE, tra le altre entità nazionali e internazionali, con denaro caldo e determinati obiettivi fissati dal suo Recovery Fund e tramite il complesso intelligence-IT-media, formazione di classe e politica della paura (come ha affermato il comunista e politologo olandese Kees van der Pijl ), ha colto l’opportunità (messa in scena e ingegnerizzata) della casedemica del Coronavirus per portare in primo piano e attuare piani premeditati da tempo di militarizzazione, dataficazione e controllo cibernetico centralizzato dell’assistenza sanitaria e dell’assicurazione sanitaria, produzione alimentare e fornitura di energia, cultura e istruzione, urbanistica /la pianificazione del territorio e le infrastrutture digitali/telecomunicative, i servizi pubblici e, certamente, l’insieme delle relazioni lavorative, economiche e sociali, attraverso il partenariato pubblico-privato e le necessarie modifiche legislative.

Le valute digitali della banca centrale (CBDC) e gli ID digitali vengono introdotti con o senza la giustificazione di – chissà cosa – nuovi “stati di emergenza” che rendono i sistemi di credito sociale, in una futura società senza contanti, totalmente fattibili tracciando ogni (contactless e disinfettati ovviamente…) transazione in tempo reale, e magari rendendo obbligatori voucher o certificati di “energia verde” proprio come i passaporti di immunizzazione COVID-19, impiantati o meno, etichettando la tecnologia blockchain come essenziale non solo per sostenere la “privacy”, ma anche per combattere il nemico invisibile… del “cambiamento climatico” o dell’evasione fiscale e della criminalità in genere, come se le roccaforti e i signori dell’usura legale e della criminalità “impiegata” non trovassero via d’uscita per fare il loro sporco… È anche degno di nota che le “patenti di guida” per Internet (come ha detto una volta Craig Mundie, Chief Research and Technology Officer di Microsoft), e la sorveglianza di massa dei messaggi di chat con “intelligenza artificiale”, per porre fine a o l’anonimato online, sono stati recentemente sostenuti da Ursula von der Leyen e dalla Commissione UE, sulla base del trattamento di “fake news”, criminalità informatica e “abuso di minori”. [4] [5] [6]

Parallelamente, vengono promossi e stabiliti nuovi standard di e-living come i nuovi modi normali di lavorare, apprendere, curare, socializzare, amare, odiare, divertirsi e vivere in generale, mentre gli “esperti” di Power, siano essi sviluppatori di programmi o economisti o ambientalisti o medici o scienziati comportamentali o sociologi o qualsiasi altro tipo di merda-o-logista, telecontrolleranno sempre la nostra esistenza, senza risparmiare sforzi per mutilare mentalmente tutti coloro che sono desiderosi di conformarsi piuttosto che confrontarsi con le norme di la quarta rivoluzione industriale, non lasciando sfuggire alcuna possibilità di invalidare il pensiero libero e critico. Anche una sottocultura della “resistenza” ha sottratto la vera lotta allo spazio pubblico del mondo fisico e l’ha trasformata in uno pseudo-dissenso imbalsamato all’interno dei musei virtuali degli (anti)social media, dove parlare è “economico” e innocuo perché è facile e senza costi in termini di rischio assoluto, anche se la censura è spesso in agguato. Eppure va da sé che ciò di cui i nostri governanti temono davvero è una lotta attiva, consapevole e consapevole, organizzata e appassionata, collettiva con resistenza e tenacia, con determinazione e impegno negli anni a venire.

Pertanto, DOBBIAMO ESSERE ben informati e preparati considerando tutti gli scenari possibili, aggiungo con ansia facendo eco e sostenendo le parole di Silvia. Dobbiamo sostenerci a vicenda nella corsa in questa maratona e coordinare i nostri sforzi contro il modo di vivere moderno e ora, per lo più, postmoderno (che, di fatto, sono mera sopravvivenza…), stabilendo priorità concrete di lotta in una rete internazionale di controinformazione e resistenza, approfondendo le nostre relazioni, scambiando informazioni ed esperienze, rafforzandosi e incoraggiandosi a vicenda per non rinunciare a combattere, proprio come facevano i nostri antenati politici. La resistenza è più urgente che mai! La solidarietà è necessaria come sempre! È nostro dovere mantenere (non quella misurata in Mega-, Giga-, Tera-, Peta-, Exa-, Zetta-, Yottabyte o quello che hai, ma…) la Memoria umana e di classe viva perché è essenziale e strumentale a qualsiasi prospettiva genuinamente rivoluzionaria!! Rimanere umani invece di diventare semplici accessori e ingranaggi nella mega-macchina del Potere. Combattere per la libertà, contro l’ignoranza organizzata e la pacificazione. Ma, come è stato scritto magnificamente nella presentazione di questi Tre giorni contro le tecno-scienze di quest’anno, incontrarsi è un inizio perfetto e non è una cosa da poco. Il resto deve ancora venire…

Nel bene e nel male, le teste rotoleranno su tutti i lati della guerra sociale. Non sono io a dettarlo, ma le necessità storiche. Diventiamo forti!


Dino Giagtzglou
prigioniero politico della Repubblica greca
Atene, luglio 2022



Un poscritto (linguistico) sul concetto di solidarietà:
La parola solidarietà in greco è un vocabolo composto che trae origine dalla congiunzione dell’antico prefisso alilo-, che significa inter-, mutualità e comunione, e la parola eghίi, che a sua volta deriva dalla preposizione en-, che significa in, e il proto -Radice indoeuropea gew che, negli scritti di Omero, diventa ghiίon, che significa mano o arto. Tutti insieme compongono il vocabolo alileghίi che ha la stessa origine del greco antico sia del vocabolo vicinanza (eghίtita) che del vocabolo garanzia (eghίisi). Quindi, a mio avviso, solidarietà significa aiuto reciproco attraverso la vicinanza/vicinanza reciproca non solo nella dimensione spirituale ma anche in senso fisico/corporeo, nonché pegno e sicurezza, che sono l’essenza della garanzia, poiché entrambe le parole sono sostanzialmente della stessa origine e, come tutti sappiamo, la garanzia comporta responsabilità e vincoli solidi su base materiale e volontaria. La solidarietà quindi non può mai essere obbligatoria, dettata o imposta dal potere statale – in nessun modo – così come non può mai essere “remota” o digitale. Né una semplice figura retorica né qualche applauso umiliante e ridicolo sul proprio balcone. La solidarietà nasce dalle persone e per le persone. Non può mai essere raggiunto seguendo gli ordini e obbedendo né a funzionari del governo né a politici professionisti di destra e di sinistra oa giornalisti mainstream e guidati dallo stato o ai venali “esperti” del potere. Prima più persone comprenderanno questi fatti di base, migliore sarà il posto in questo mondo. Manteniamo la vera essenza di ΑΛΛΗΛΕΓΓΥΗ (solidarietà) fuori dai mondi post-verità di qualsiasi metaverso…

Note:

[1] Resilienza: adattamento a un mondo tossico, Silvia Guerini, June 2022 (Italian), pubblicato su L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022

[2] https://www.cidob.org/en/articulos/revista_cidob_d_afers_internacionals/128/eu_policies_for_preventing_violent_extremism_a_new_paradigm_for_action

https://home-affairs.ec.europa.eu/networks/radicalisation-awareness-network-ran/topics-and-working-groups/local-authorities-working-group-ran-local_en

https://home-affairs.ec.europa.eu/news/ran-local-dealing-local-impact-online-extremist-activities-16-17-june-2022-barcelona-spain-2022-05-02_en

[3] Notebook for workers’ use #01, Terrorism: the “fourth generation war” (Greek)

https://www.sarajevomag.net/tetradia.html

[4] https://business.time.com/2010/01/30/drivers-licenses-for-the-internet/

[5] https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/european-digital-identity_en

[6] https://www.ccc.de/en/updates/2022/eu-kommission-will-alle-chatnachrichten-durchleuchten

In pdf:

Documento in inglese:

SOLIDARIETA’ A DINOS GIAGTZOGLOU
Leggi qui: https://www.resistenzealnanomondo.org/italia-mondo/solidarieta-a-dinos-giagtzoglou/

Editoriale, L’Urlo della Terra, n°10

EDITORIALE

Nel chiudere il precedente numero del giornale eravamo più che sicuri che il clima emergenziale della dichiarata pandemia sarebbe durato ancora a lungo. Sicuramente non nello stesso modo, ma con l’aggiunta di nuove narrazioni portate avanti dal potere stesso nel corso degli eventi, sempre volutamente contraddittorie. Una totale mancanza di senso per spingere a cercarlo in una continua ricerca, per sua natura sempre inutile e foriera di malesseri e nuove confusioni.
Nell’interscambiabilità del camice bianco con la tuta mimetica ci siamo ritrovati in piena guerra, una guerra vera. Non che il camice bianco sia stato messo da parte, sarebbe un grave errore pensarlo: semmai, è stato momentaneamente accantonato, e solo nell’immaginario collettivo. All’arrivo delle prossime emergenze sanitarie che vengono già dichiarate e preparate a Davos non è da escludere che ad inoculare i nuovi sieri genetici ci siano proprio le tute mimetiche. La cosa forse più grave sarebbe che per i più non farebbe molta differenza, in quanto per anni siamo stati sommersi da una propaganda di guerra sanitaria. Trovati i nemici, che a seconda del momento cambiavano, ci hanno spinto al fronte a combattere: contro un virus, l’altro da sé, i non inoculati, i limiti biologici del corpo…L’importante era, ed è tuttora, che la nostra attenzione sia sempre sequestrata e concentrata altrove dalla fonte originaria della vera minaccia.
Il linguaggio bellico ha permeato tutto, sia il momento del più alto allarme lanciato, sia la costruzione della nuova normalità digitale de-solidarizzante e a distanza. Come ogni guerra, anche quella combattuta in camice bianco, ha avuto bisogno dei suoi sacrifici e delle sue vittime. La massa della popolazione è stata disposta, seppur spesso mal volentieri, a dare il suo contributo alla patria diventata piattaforma: universo digitale e tecno-medicale, dove i più hanno reso disponibile il proprio corpo ai sieri genici nel più grande esperimento mai realizzato fuori dal laboratorio dopo le bombe atomiche.
Dichiarare la prosecuzione dell’emergenza è stato qui in Italia quasi una formalità, non solo perché ci hanno già troppo abituato a quel clima e a quella tensione inspiegabile che spinge i più verso le braccia cyborg del potere, ma soprattutto perché non è più previsto qualcosa di diverso da uno stato di emergenza, qualsiasi sia la motivazione utilizzata a giustificarlo. Per questo stanno lavorando tenacemente a disgregare anche solo il ricordo di quello che c’era prima, tutto viene sostituito e resettato quasi quotidianamente in vista dei nuovi tempi che verranno. Il “niente sarà più come prima” verrà presto sostituito da un presente agghiacciante da considerare come il migliore dei mondi possibili. Gli architetti della Grande Trasformazione hanno anticipato questa direzione già da diversi anni, anticipando la fase progettuale e le prove generali. L’attuale turbolenza di guerra porta ad una ulteriore accelerazione, forse quella definitiva, verso un capolinea transumano e biocida.
Tecnologie del nuovo ordine cibernetico e biotecnologico che prima faticavano a universalizzarsi e normalizzarsi – basti pensare alla tecnologia Crispr/Cas 9 – nei tempi attuali si vedono apparecchiate nuove società digitali e bionanotecnologiche recintate dalle potenzialità della rete 5G. Ma questo non porta solo nuovi mercati e tantissimi miliardi che arrivano nelle casse delle multinazionali come mai era successo prima. Queste compagnie, in gran parte in mano alla finanza internazionale come Vanguard e BlackRock, emergono dalla superficie del mare fuori da quei tubi sottomarini che attraversano il mondo ed entrano nel vivo come veri e propri pilastri-fondamenta a tenuta del futuro che si fa sempre più vicino. Nell’ultimo incontro del WEF (Word Economic Forum) tenutosi a Davos, il presidente Karl Schwab è stato chiaro nel ribadire ai leader dei vari governi che saranno loro – il WEF con le più importanti compagnie e i loro accoliti – ad essere il motore e la direzione del cambiamento globale che è già in atto.
In questa direzione basta pensare alle nuove generazioni di dispositivi digitali e nanotecnologici come sensori ingeribili, Quantum dots1, microchip sotto pelle e alla riorganizzazione della medicina in forma predittiva e preventiva all’interno del nuovo paradigma a mRNA.
Il controllo e la gestione dei corpi grazie al costante tracciamento digitale cattura l’individuo alla nascita fino alla morte, portando a una mutazione radicale della figura del paziente. Il monitoraggio della salute, specialmente durante l’esercizio fisico, è stato una delle primissime applicazioni che ha consentito la commercializzazione di dispositivi indossabili. Il monitoraggio e l’assunzione di farmaci da remoto sarà il passaggio che permetterà il loro passaggio dall’esterno all’interno dei corpi. E come ha chiaramente espresso Yuval Harari a Davos: “Il Covid è fondamentale perché questo è ciò che convince le persone ad accettare, a legittimare, la sorveglianza biometrica totale. Se vogliamo fermare questa epidemia, non dobbiamo solo monitorare le persone, dobbiamo monitorare ciò che sta accadendo sotto la loro pelle”.
Negli ospedali-aziende in mano alle multinazionali farmaceutiche ci penserà l’eugenetica digitale algoritmica a decretare la vita degna o indegna per stare a questo mondo. La concezione che se non ti curi sei un peso alla società si evolverà nella considerazione che sei un peso per la società perché non hai provveduto ad intervenire preventivamente sul possibile male. Per creare un’accettazione sociale e per mascherare lo sfoltimento di vite i primi passaggi vedranno il principio della libertà di scelta, avendo visto che funziona, principio promosso da tutti i progressisti pronti a diventare gestori della loro stessa miseria. Ma, in questa pseudo libertà di scelta, fuori dai loro paradigmi vi sono solo scarti umani da tollerare finché non sarà possibile spazzarli via come la polvere che non lascia traccia e ricordi.
Lo stesso transumanista Kurzweil nel descrivere i processi tecnologici si è sempre espresso con prudenza, affermando che non vi sarebbero stati salti in avanti, ma un lento processo che ci avrebbe portato al transumano. Un processo per gradi, a meno che uno stato d’eccezione non avrebbe permesso di monopolizzare l’agenda mondiale per un’accelerazione drastica verso la Grande Trasformazione. Quello stato d’eccezione che fece sfregare le mani agli scienziati atomici, agli scienziati nazisti e comunisti che finalmente potevano realizzare quello che prima era impensabile. Quello che adesso fa muovere la scienza bio-nanotecnologica è lo stesso sentire, un’occasione che non può essere persa e possiamo essere certi che se nessuno li fermerà non la perderanno, con conseguenze disastrose qualsiasi sia il risultato che raggiungeranno.
Si va verso anche una drastica trasformazione della produzione e della coltivazione industriale di alimenti portata avanti degli investitori dell’agrobusiness e delle biotecnologie: i sistemi alimentari saranno riprogettati per coltivare proteine “sostenibili” al fine di sviluppare e commercializzare la carne sintetica e per i nuovi OGM sviluppati con editing genetico (Tecniche di evoluzione assistita – TEA). Questi progetti avranno il sostegno delle associazioni animaliste e ambientaliste, che li includeranno nei nuovi standard di benessere animale ed ecosostenibilità.
Anche se siamo in un periodo di anticamera di un conflitto atomico o con armi batteriologiche e di interventi di geoingegneria climatica altrettanto devastanti su scala mondiale, il mondo tecno-scientifico si lancia in avanti e parla di sfide globali per stare al passo con i rapidi cambiamenti tecnologici che loro stessi stanno impiantando ovunque. Si passa da tecnologie di guerra a tecnologie di pace, da tecnologie nocive a tecnologie per far fronte ad un inquinamento su vasta scala. In questo senso è esemplificativa la cosiddetta energia alternativa e verde che per esistere necessita di un estrattivismo di terre rare proprio dove l’ultima natura è rimasta intatta. Come scriveva Orwell in 1984, la guerra è pace e la libertà è schiavitù, , questi non sono più concetti rappresentativi per i tempi presenti dove tutto è capovolto o capovolgibile in una vorticosa transizione cibernetica che non lascia più spazio al pensiero e alla carne dei corpi.
La strategia della Grande Trasformazione è quella di lavorare con delle tecnologie molte delle quali sperimentali, quasi del futuro per l’immaginario che viene creato, ma è proprio in questo presente che si stanno costruendo le premesse future per la realizzazione di questa Grande Trasformazione. E a continuare a pensare che non ce la faranno ha portato al punto in cui siamo oggi. Un po’ come succede con la guerra, che apparentemente non è mai in programma e che molti sostengono di non volere, ma che da anni è preparata all’unisono da tutti, pianificando le società a partire da quello che sembra un irrinunciabile arrivo.
Ci troviamo in una specie di fase di passaggio, di tecnologie ibride, il tutto non sempre immediatamente afferrabile e comprensibile anche ai suoi stessi ideatori. Concretamente il passaggio del dopo emergenza sanitaria è un universo di preparazione alla catastrofe che prende possesso di tutta la sfera pubblica e privata, rompendo i distinguo per formare generazioni future che possano soddisfare la domanda della nuova economia del lavoro conseguente alla Grande Trasformazione. In questa nuova sfera sociale ricombinata ci sarà spazio solo per il digitale, robotica, Intelligenza Artificiale, nanotecnologie, biotecnologie, biologia sintetica, Internet delle cose e Internet dei corpi comunicanti.
Nella sfera più critica della società dove è rimasto ancora un po’ di pensiero, tra minacce pandemiche e guerre, si denuncia come la forza lavoro – dove non sono resi obsoleti milioni di posti di lavoro – è destinata ad un rimpasto radicale senza precedenti che, grazie alle nuove tecnologie, rimodella tutto il mercato del lavoro con cambiamenti prima semplicemente inconcepibili. Senza contare le conseguenze di tutti questi processi che non saranno certo indolori, anche perché non sono previste alternative, piuttosto un reddito minimo universale che legherà ancora di più le persone ad un potere accentrato che deciderà cosa e come comprare e con quali tempi, ovviamente il tutto verde, inclusivo e assolutamente tracciato.
Siamo ridotti ad un livello tale, tranne rare eccezioni, che la denuncia di quello che sta accadendo va verso qualche personaggio che trasuda transumanesimo, le forme o i modi, le conseguenze, ma raramente all’impianto centrale, come se si criticasse un totalitarismo per il suo spreco di risorse e per la sua mala gestione della cosa pubblica. A gran cassa durante la fase acuta della propaganda pandemica si ascoltavano appelli come “non vogliamo morire fateci almeno lavorare”. Le rivendicazioni che si sentivano e che si continuano a sentire raramente vanno oltre l’immediato problema lavorativo o sono strettamente legate a singoli aspetti della salute. Rischiano così di essere denunce parziali che fanno sfuggire il più ampio piano di trasformazione. Questa comprensione solo parziale porta a riconoscere le storture di un sistema evidentemente affamato di guadagni immensi, senza mai però prendere in considerazione che vi siano una precisa volontà e un disegno che hanno messo sotto i piedi da tempo qualsiasi principio di precauzione, il principio di Ippocrate, parlamenti, costituzioni e comitati bioetici per quello che valevano anche prima. Sfugge così che l’obbiettivo non è la guerra a un virus creato in un laboratorio, ma una guerra verso l’essere umano per come è stato e per come ha vissuto finora.
Al principio di precauzione c’è da contrapporre un principio di legittima difesa, ma non come formula giuridica utile a passare indenni nelle maglie dei sistemi giudiziari. Piuttosto dobbiamo pensare a tessere una resistenza che mantenga vivo il senso delle cose, dandogli concretezza, rifiutando le formule disgreganti post-moderne. Ridare senso significa anche evidenziare chi in questa lotta agisce da opportunista, come ha fatto sempre nella propria vita, pensando alle vie sicure per sopravvivere all’arrivo della tempesta. Fuori dal circondo che il sistema sta allestendo per l’umanità non fioriranno ecovillaggi, monete alternative e comuni agricole per costruire società diverse: non sono previsti. Mentre la classe operaia sarà costretta a stringere ulteriormente la cinghia verso un futuro di precarietà e salari ribassati, la classe media fatica ancora a credere alla sua prossima estinzione dove le possibilità saranno solamente molto in alto o molto in basso, senza vie di mezzo. Da dove nasceranno i nuovi resistenti? Arriveranno da ogni parte: non sarà certo la classe a contraddistinguere queste nuove realtà sociali che si attireranno e si metteranno insieme. Potrebbero essere l’inoculato alla seconda dose, il piccolo artigiano costretto a chiudere, l’insegnante dignitoso che rifiuta di aderire alla scuola dell’algoritmo… Ci si potrebbe chiedere dove sia finito lo slancio rivoluzionario, capace di una tensione che prescinde da ogni situazione. Sicuramente questa non verrà meno e, se sincera, non avrà bisogno di annunciarsi troppo, quel di troppo che fa sempre rimandare il momento dell’agire. Questa resistenza avrà forza se prima di qualsiasi cosa rivendicherà il rifiuto ad essere annientati come esseri umani, dotati di pensiero critico e di un corpo carneo indisponibile a qualsiasi manipolazione.
La verità esiste o non esiste? Se la verità può essere più di una non vale la pena combattere per la verità perché più verità possono coesistere, ma la verità è una sola, per cui bisogna combattere per quella verità. In un mondo post-moderno e post-verità tutto diventa relativo e opinabile, ma si potrebbe mai opinare che il Glifosate è cancerogeno e che sia responsabile della moria delle api? Tutto diventa un’interpretazione fino a negare l’esistenza stessa del reale. Se non si ha una verità, se non si hanno radici da cui attingere, se non si hanno punti fermi, tutto scivola nell’indefinito e tutto viene frammentato, risignificato e stravolto. Si è permesso l’annientamento della verità e ogni volta che si nega quest’ultima seguendo l’esperto di turno si è allenato il cervello a subire qualsiasi menzogna. Una volta che si è accettato quello che è accaduto in questa pandemia dichiarata si potrà accettare tutto. Nell’ordine cibernetico gli algoritmi ci riveleranno la verità delle cose e degli eventi, azzerando la nostra capacità di confrontarci con il reale, una verità sistematica e tirannica perché la verità algoritmica non potrà essere messa in discussione.
Adesso forse si fa sempre più chiaro cosa i più hanno introiettato e perché è stato possibile che accadesse quello che è accaduto. Le stesse lotte non sarebbero state così blande, epurando continuamente contenuti fondamentali con la giustificazione che questi non sarebbero stati capiti. Più che una non comprensione ci troviamo davanti a una non volontà di prendere posizione verso questioni scomode. Giunti a questo punto chi non ha capito o, meglio, chi non ha voluto capire, difficilmente capirà dopo e chi si allontana da questa lotta forse in verità non vi si è mai veramente avvicinato. Questo non significa trasformarci in cinici deterministi della lotta, semplicemente è importante capire che stiamo vivendo dei passaggi epocali e non si può prescindere da questi. Se adesso con la guerra si compatta un po’ di sinistra radicale smarrita non possiamo essere soddisfatti, perché come ha scritto giustamente qualcuno la guerra rappresenta la fase due del Grande Reset e per comprendere le nuove fasi del programma globale è fondamentale aver compreso anche le fasi precedenti, in particolare come gli sia riuscita l’inoculazione di miliardi di persone arrivando ad ingegnerizzare geneticamente gli esseri umani. Chi ancora oggi parla di “libertà di scelta” non ha compreso il cardine che rappresentano queste piattaforme di riprogettazione cellulare anche nella possibilità di fondere le tecnologie digitali con la bionanotecnologia.
All’interno dei sieri genici per il Covid19 sono state trovate nanoparticelle di grafene. Il grafene e i suoi derivati sono tossici, causano mutagenesi, morte cellulare, danni al DNA, immunosoppressione, danni al sistema nervoso, al sistema circolatorio, al sistema endocrino e al sistema riproduttivo, e come tutte le nanoparticelle può attraversare la barriera emato-encefalica. Nella trasformazione della medicina in nano-biomedicina il grafene è un nanomateriale fondamentale per le sue particolari proprietà dal punto di vista fisico, termodinamico, elettronico e magnetico, e può essere usato come superconduttore, assorbitore di onde elettromagnetiche, trasmettitore e ricevitore di segnali permettendo anche lo sviluppo di elettronica avanzata su scala nano e micro. Significativo che nel 2013 la Commissione europea per lo sviluppo delle Tecnologie future ed emergenti aveva finanziato con un miliardo di euro ciascuno i progetti Graphene e Human Brain2 che coinvolgono centinaia di gruppi di ricerca di alto livello in tutto il mondo.
I danni da inoculazione che si stanno manifestando e quelli che verranno non possono essere considerati effetti collaterali: per quanto riguarda le tecnologie di ingegneria genetica e per le nanotecnologie si tratta sempre di disastri annunciati che servono a velocizzare e a normalizzare altri passaggi. Così come gli scienziati atomici che osservavano i risultati dei loro test sugli abitanti degli atolli di Bikini non avevano sotto gli occhi effetti collaterali, ma il manifestarsi stesso della ricerca nucleare, i ricercatori che sviluppano l’editing genetico con il Crispr/Cas9 non hanno sotto gli occhi la scomparsa di frammenti di DNA e modificazioni genetiche trasmissibili come effetti indesiderati, ma la possibilità stessa di intervenire sull’evoluzione degli esseri viventi.
L’alterazione genetica del DNA come conseguenza dell’inoculazione del siero genico a mRNA nanotecnologico che potrà portare allo sviluppo di nuovi tumori e in un prossimo futuro alla probabile nascita di bambini con malformazioni genetiche, decreterà che l’essere umano sarà già di fatto un essere umano transgenico non troppo diverso dalle pannocchie OGM che al momento persino più tutelate. A quel punto le terapie geniche e le modificazioni genetiche embrionali diventeranno una normale procedura perché non ve ne potranno essere altre possibili.
Si va sempre più verso governi che non sono più arbitri finali delle politiche statali, poiché le società private non elette diventano i nuovi fiduciari della società, assumendosi la responsabilità diretta di affrontare le sfide sociali, economiche e ambientali attraverso nuovi modelli di gestione globale. Questo accentrerà ancora di più il potere nelle mani di nuovi padroni universali sempre più immateriali che con il pretesto benevolo della transizione ecologica perpetuano invece un grande inganno, ma di fatto tutto sarà intaccato dell’avanzamento perpetuo ed ecocida del tecno-mondo.
In questo scenario quale può essere il futuro della libertà e soprattutto del senso profondo che questa esprime? Da parte dell’élite globale la soluzione è nell’inclusività: questa non è altro che l’idea della possibilità di accedere alle protesi esterne e interne ai nostri corpi, di poter navigare in un universo interconnesso e nel prossimo Metaverso. Potremo vivere in qualche sperduto paese africano o in una qualche periferia europea in piena povertà, ma quello che non faranno mai mancare è l’accesso al terminale che non sarà altro che il loro accesso alle nostre vite, da dove potranno ancora convincere le persone ad avere paura e terrore di qualcosa, ad avere rabbia e odio, ma sempre ed esclusivamente verso il nemico sbagliato.

Bergamo, Maggio 2022

1 Rilevatori a punti quantici attraverso l’applicazione di microneedle a base di zucchero dissolvibili che contengono un farmaco e dei nanocristalli, chiamati punti quantici incorporati all’interno di capsule biocompatibili. Dopo che i microneedes si dissolvono sotto la pelle, lasciano i punti quantici incapsulati i cui schemi possono essere scansionati.
Vedi Costantino Ragusa, Pandemizzare il mondo per digitallizare e vaccinare tutti, ID 2020: una nuova operazione AktionT4 si appresta all’orizzonte, L’Urlo della Terra, n.8, Luglio 2020.

2Vedi lo speciale: Una mappa per accedere al cervello, L’Urlo della Terra, numero 3, settembre 2015.

Editoriale de L’Urlo della Terra, n.°10, Luglio 2022