Francia – Sabotaggio di un traliccio

Da qualche parte in Francia: RTE vattene – Sabotiamo il loro saccheggio, a sostegno dell’Amassada (gennaio 2020)

Comunicato a sostegno dell’Amassada – da qualche parte in Francia.

Bene, non vi faremo l’ennesimo comunicato stampa per dirvi quanto sia marcio il mondo in cui viviamo. E’ disgustoso. Da vomitare.
Da qui abbiamo cercato di immaginare mondi dove tutto sarebbe al contrario. Dove avremmo smesso di spendere quantità folli di energia per fabbicare inutili oggetti di consumo.
I clown popolerebbero il pianeta, il lavoro sarebbe volontario e l’anarchia trionferebbe.
«Frontiera» sarebbe una parola bandita dal vocabolario. La Natura non sarebbe più una risorsa di cui vogliamo massimizzare lo sfruttamento economico, ma qualcosa da rispettare in quanto tale, da preservare per continuare a viverci. «Equità» non sarebbe più una semplice parola, starebbe accanto a «libertà» nei nostri cuori e nei nostri gesti.
Potremmo anche aggiungerci «adelphità».
Ma ci sono molti muri da attraversare (o demolire) prima delle feste e degli arcobaleni.

Lo Stato autoritario e liberticida, alleato di un capitalismo ridipinto di verde, che inquina e sfrutta allegramente, come al solito, deve essere distrutto. Nessuna riforma sarà in grado di superarlo.
Bollettino di voto, protesta o sega? Non crediamo più in questa «democrazia», che è bloccata dal lobbismo e dai mass media. Tra l’altro, nessuno ci crede più. Quindi scegliamo la sega.
L’azione diretta.
L’azione diretta per vedere gruppi di sabotatori/ici emergere ovunque; autonomi e liberi. Vedere ovunque tralicci che cadono, fabbriche socialmente mortali chiuse, massacri ambientali denunciati, comissariati bruciati.
Essere ovunque. Essere vive, furtive. Agire e scomparire. Nascondersi. Essere inafferrabili.
Sabotare tutto ciò che cade tra le nostre mani guantate.

Mm-hmm. Una notte di luna piena, le nostre mani hanno preso le seghe. Abbiamo tagliato i piedi di un traliccio di una linea elettrica ad alta tensione.
E forse – se le dee della vita e dell’amore lo vorrano, acabelluia – uno di questi giorni si schianterà a terra.

L’energia è la spina dorsale della loro guerra.
I grattacieli della Défense [quartiere degli affari di Parigi; NdAtt.] esistono grazie al nucleare.
I tralicci trasportano il loro potere autoritario. Facciamoli cadere.
I danni aumentano, le aziende private soffriranno nei loro profitti, lo Stato ha paura.

All’abbordaggio
RTE vattene

Nota d’Attaque: l’Amassada era un terreno occupata nell’Aveyron (sud della Francia), per impedire a RTE, filiale di EDF che gestisce la rete di trasporto di elettricità ad alta tensione, di costruire un grande trasformatore, parte di una rete internazionale per trasportare dell’energia elettrica ad altissima tensione attraverso tutta l’Europa ed il Maghreb.

[Traduzione: bureburebure.info (leggermente rimaneggiata); tratto da attaque.noblogs.org].

Info da: https://insuscettibilediravvedimento.noblogs.org/

Francia – Attacco incendiario contro Enedis

Seyssinet-Pariset (Isère), Francia: «Odio e dieci morsi di fuoco al macchinario blu». Attacco incendiario contro Enedis (13/01/2020)

Odio e dieci* ragioni per prendersela con una azienda che promuove e propaga l’elettricità e il disastro.

Per gli anarchici e gli altri antiautoritri fissati col fatto di scrivere oppure no dei comunicati. O dal fatto che gli attacchi possano essere «riappropriabili» da parte del loro «soggetto rivoluzionario» preferito. Lasciamo trovare le loro ragioni alle persone che lo desiderano. Per potersi immaginare come «gli autori» di questo attacco.

Quello che possiamo dire è che ci piace giocare. Giocare con il fuoco. Giocare un po’ con la vita, pure. Una vita che non tiene che a tutti quei fili elettrici. Fili che ci piacerebbe tagliare ovunque possibile. Per non finire con un fusibile che ci salta per davvero, nella testa.

In ogni caso, piaccia oppure no a quel fondo di pattumiera schifoso che è Eric Vaillant (si veda quello che ha detto questo attuale procuratore di Grenoble sul comunicato dell’incendio di France Bleu Isère**). Questo testo è davvero la «rivendicazione» dell’attacco ai «veicoli» della Enedis. Che è avvenuto nella notte fra il 12 e il 13 gennaio 2020 a Seyssinet-Pariset (vicino a Grenoble).

Se scriviamo «veicoli» è per fare un occhiolino complice agli “Energumeni super furiosi“. Che hanno incendiato quelli della EDF.

L’ondata di perquisizioni che si è abbattuta a fine novembre 2019 su Grenoble, Fontaine e sulla ZAD di Roybon ci ha schifati. Senza stupirci, però. Perché gli alti papaveri della repressione sono stati lasciati talmente indietro, dopo i primi attacchi, nel 2017 (si veda l’atto di perquisizione, disponibile su internet). A tal punto che si è sparso molto fumo sull’«agglomerazione di Grenoble», prima di questo incendio.

Che gli attacchi continuino a propagarsi. Contro tutto quello che pretende portarci sempre maggior comodità materiali e maggior libertà. Creando, di fatto, sempre più costrizioni alla vita e sempre più  morbosità.

Dei fuori di testa che tengono testa


Note del traduttore:

* Nella notte fra il 12 e il 13 gennaio, a Seyssinet-Pariset, vicino a Grenoble, un incendio in un deposito di Enedis, la filiale di Electricité de France che è proprietaria e gestisce la reta di distribuzione elettrica, ha distrutto una dozzina di veicoli e alcuni gruppi elettrogeni. In francese, le parole accostate «Haine et dix…» si pronunciano come… Enedis.

** All’epoca, il procuratore, davanti ad una rivedicazione chiara, si era mostrato «prudente», dicendo che non si trattava di una rivendicazione.

[Traduzione ricevuta via e-mail e leggermente corretta. Tratta dalla rivendicazione pubblicata in attaque.noblogs.org].

Info da: https://insuscettibilediravvedimento.noblogs.org/

Smascherare fisici, svuotare i laboratori

Niente, niente di più oggi distingue la Scienza da una minaccia di morte permanente e generalizzata: il litigio è chiuso, per sapere se dovrebbe garantire la felicità o la sfortuna degli uomini, tanto è ovvio che è cessato essere un mezzo per diventare un fine. La fisica moderna ha comunque promesso, ha sostenuto e promette ancora risultati tangibili, sotto forma di cumuli di cadaveri. Fino ad allora, in presenza di conflitti tra le nazioni, o persino del possibile annientamento di una civiltà, reagiamo secondo i nostri soliti criteri morali e politici. Ma qui è la specie umana destinata alla completa distruzione, sia per l’uso cinico delle bombe nucleari, anche se sono “pulite” (!), sia per le devastazioni dovute ai rifiuti che, nel frattempo, inquinano le condizioni atmosferiche e biologiche delle specie in modo imprevedibile, dal momento che il crescendo delirante delle esplosioni “sperimentali” continuano con il pretesto di “scopi pacifici”. Il pensiero rivoluzionario vede le condizioni elementari della sua attività ridotte a un margine tale che deve ritornare alle sue fonti di rivolta e, sotto un mondo che non conosce più ma che nutre il proprio cancro, trovare le sconosciute possibilità di furore.

Non è quindi a un atteggiamento umanista che ci appelleremo. Se la religione è stata a lungo l’oppio del popolo, la scienza è in una buona posizione per prendere il controllo. Le proteste contro la corsa agli armamenti, che alcuni fisici intendono firmare oggi, ci illuminano al massimo sul loro complesso di colpa, che è in ogni caso uno dei vizi più infami dell’uomo. Il petto che viene colpito troppo tardi, la garanzia data al tetro belato del branco dalla stessa mano che arma il macellaio, conosciamo questo antifone. Il cristianesimo e i suoi specchi ingranditori delle dittature della polizia ci hanno abituato.

I nomi ornati con titoli ufficiali, in fondo agli avvertimenti rivolti a corpi incapaci di eguagliare l’entità del cataclisma, non sono ai nostri occhi un privilegio morale per questi signori, che allo stesso tempo continuano a rivendicare crediti, scuole e carne fresca. Da Gesù in croce al lavoratore del laboratorio “ansioso” ma incapace di rinunciare a fabbricare la morte, l’ipocrisia e il masochismo sono uguali. L’indipendenza della gioventù, così come l’onore e l’esistenza stessa dello spirito sono minacciati da una negazione della coscienza ancora più mostruosa di questa paura dell’anno Mil che ha fatto precipitare generazioni verso i chiostri e i cantieri alle cattedrali.

Sulla la teologia della bomba! Organizza la propaganda contro i cantanti del “pensiero” scientifico! Nel frattempo, boicottiamo le conferenze dedicate all’esaltazione dell’atomo, fischiamo i film che indugiano o indottrinano l’opinione, scriviamo a giornali e organizzazioni pubbliche per protestare contro gli innumerevoli articoli, relazioni e programmi radiofonici, dove si diffonde spudoratamente questo nuovo e colossale inganno.

Parigi, 18 febbraio 1958
Comitato per il controllo antinucleare

Prime firme: Anne e Jean-Louis Bedouin, Robert Benayoun, Vincent Bounoure, Andre Breton, J.-B. Brunius, Adrien Dax, Aube e Yves Elleouet, Elie-Charles Flamand, Goldfayn Georges, Radovan Ivsic, Krizek, Jean-Jacques Lebel, Clarisse e Gerard Legrand, Lancillotto Lengyel, Jean-Bernard Lombard, Joyce Mansour, Sophie Markowitz, Jehan Mayoux, ELT Mesens, Jean Palou, Benjamin Peret, Jose Pierre, Jean Schuster, Jean-Claude Silbermann, Toyen.

Chiunque rifiuta di farsi imporre da squartatori diplomati sarà desideroso di unirsi alla loro protesta contro la nostra. Scrivi a CLAN (Comitato per il controllo antinucleare), 25 avenue Paul-Adam, Parigi (17).

***

PS. Jean-Jacques Lebel, uno dei firmatari di questo appello, interrogato sulle circostanze della sua stesura, racconta: “(Questo manifesto) è stato scritto e distribuito alla Sorbona (con una lotta per la chiave), in occasione di una conferenza di Robert Oppenheimer, che sosteneva di essere anti-militarista e che alcuni avevano persino accusato di essere un “agente di Mosca”, ma che aveva svolto il ruolo che conosciamo nello sviluppo della bomba A di Los Alamos. I radicali anti-nucleare, nel 1958, contavano certamente sulle dita della mano ed era un’azione di ultra-minoranza. Se la parola “onore” ha un significato – che non sono sicuro – è stato l’onore dei surrealisti di essersi opposti in modo assoluto e praticamente da soli, non solo alle armi nucleari, ma a tutta l’industria nucleare.”

***

P.PS. La caratteristica di un classico è quella di raggiungere una rilevanza oltre i luoghi, il momento e le circostanze che ne determinano la scrittura. L’appello di André Breton e del Comitato per il controllo antinucleare è uno di questi classici, che, non avendo mai smesso di guadagnare rilevanza, appare 60 anni dopo la sua pubblicazione su una serie di siti antiindustriali e finisce a diventare udibile in lontananza fino alle orecchie del “branco” fino al “triste belare”.

Noi, Pièces et main d’œuvre, l’abbiamo distribuito a Grenoble, nell’agosto 2018, durante un dibattito presso la “Solidarity and Rebel Summer University”, dove ci siamo confrontati con il biologo Jacques Testart, uno dei coproduttori di Amandine, nel 1982, che è al “procreativo” ciò che sono stati i fisici allertati per l’industria nucleare. Belle anime con le mani sporche.

Il nostro volantino si è concluso così:

“Sessanta anni dopo, esercitazioni pratiche:
smascherare i genetisti, svuotare i laboratori
(piante, animali, chimere genetiche umane).

Smascherare i biologi, svuotare i laboratori
(biologia sintetica, riproduzione artificiale di animali e umani).

Smascherare i cibernetici, svuotare i laboratori
(intelligenza artificiale, macchine autonome, e-life).

Anche tu, smascherando gli scienziati, svuota i laboratori.
Abbasso i vigili del fuoco piromane. Non contiamo su coloro che creano i problemi per risolverli. “

Per vedere dove finiscono le “fini pacifiche” atomiche, vai a Bure, al centro di discarica di scorie nucleari e pensa a questi “radicali anti-nucleari”, che nel 1958 “erano contati sulle dita di “una mano” e il cui “onore” era la sola opposizione “all’intera industria nucleare”.

I 1.500 manifestanti che marciarono tredici anni dopo, contro l’apertura dello stabilimento di Fessenheim il 12 aprile 1971, si sentivano già un pò meno soli.

Gli strateghi accademici spesso ci rimproverano per la nostra opposizione “ultra-minoranza”, solitaria, “scollata” “insostenibile” (sic), in breve, prematura. È del tutto vero, ad esempio, che i firmatari dell’appello contro tutta la riproduzione artificiale dell’essere umano (1) non sono più numerosi di quelli della chiamata a smascherare i fisici e svuotare i laboratori. Almeno condividono con loro l’incerta consolazione dell ‘”onore salvifico”, mentre aspettano – chi lo sa? – vedere folle manifestare un giorno contro i laboratori eugenetici di riproduzione artificiale.

Pièces et main d’œuvre
Grenoble, 4 novembre 2019

(1) In La Décroissance , ottobre 2019 e qui

Traduzione da principiante, originale in francese qui: http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=1205

Testo in pdf:

Francia – Lotta al nucleare: incendiati veicoli della Enedis

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto sono state incendiate le macchine della Enedis a Ivry (viale Maurice Thorez).

Volevamo mettere un piccolo bastone tra le ruote dell’impero elettronucleare EDF.
Volevamo inviare un messaggio ai compagni che lottano a Bure: vi pensiamo!
Coraggio alle persone detenute a seguito della riocuppazione del Bosco di Lejuc[1]

Agli idioti che hanno parlato dell’incendio senza capire da dove è partito: cambiate mestiere![2]

[1] Una persona è attualmente in detenzione preventiva nel contesto del
procedura di associazione criminale a Bure. Per scrivergli, puoi scrivere alla Maison de résistance (2 rue de l’Église, 55290 Bure) e le lettere gli verranno inoltrate.

[2] Un estratto dall’articolo che gli idioti del “Parisien” (13/08/2019) hanno scritto sull’incendio di Ivry: “Sei macchine incendiate, i loro proprietari in gran perplessione nell’ora di recarsi al lavoro e quartiere parecchio spaventato: questo il bilancio dell’incendio propagatosi da macchina a macchina nel viale Maurice-Thorez 95 a Ivry nella notte tra lunedì e martedì. Un incendio che ha tenuto occupati pompieri e polizia per una buona parte della notte, nonché i carri attrezzi incaricati martedì di portar via i rottami. L’intervento ha, tra l’altro, provocato un notevole ingorgo in questa via situata non lontano del centro della città di Ivry-sur-Seine. Secondo una fonte di polizia, “il serbatoio di una vettura è stato perforato e poi incendiato. L’incendio si è in seguito propagato ad altri veicoli”. Un atto di vandalismo che ha richiesto la mobilitazione di dodici pompieri e di due veicoli d’intervento […] [nota di Attaque]

Info da: https://anarhija.info

Folles (Haute-Vienne) Francia – Sabotaggio della ferrovia della discarica nucleare

Nella notte del 4 giugno, una cabina elettrica che contiene i comandi della segnaletica ferroviaira è stata incendiata, lungo i binari che portano verso le infrastrutture appartenenti a Orano (ex-Areva, gigante francese dell’energia nucleare) a Bessines. Cosa c’è al fondo di quei binari? Per quasi sessan’anni c’è stata una miniera d’uranio. Dopo la sua chiusura (costa meno farlo estrarre in paesi poveri e semi-colonizzati, come il Niger), la miniera è diventata… un “centro di stockaggio d’ossido d’uranio impoverito” (cioè una discarica di materiale radioattivo), immagazzinato in semplici capannoni. Orano, proprietario del sito, vorrebbe pure utilizzare i tunnel della miniera per seppellirvi altri rifiuti radioattivi (un po’ come l’ente statale ANDRA vuole fare a Bure). Per indorare la pillola di questa bella democrazia nucleare, su una parte del sito di Bessines, Orano ha aperto un museo… dell’industria nucleare.

Ma ricordiamo che nel luglio 2013 un sabotaggio della ferrovia aveva fatto deragliare un treno di scorie e che nell’aprile 2014 il museo era stato incendiato.

Ecco la rivendicazione di questo attacco, spedita via mail alla stampa di regime (il giornale locale “Le populaire du centre”) :

“Per un atto 30 [riferimento alle manifestazioni del sabato dei Gilets jaunes; N.d.T.], questa notte abbiamo sabotato l’installazione della linea del treno che rifornisce la discarica nucleare di Bessines. Areva ha cambiato nome, ma continua a produrre la stessa merda radioattiva, qui e altrove. Questa impresa partecipa all’andazzo generale della società capitalista, che porta il mondo verso un muro.
Non vogliamo il nucleare da nessuna parte, né qui, né a Bure, né in Niger. E dimenticatevi il vostro EPR”.

(tradotto da guerresociale)

Info da: www.anarhija.info

Sabotaggi in Francia

25 Aprile
Un incendio nella sede della ditta “Varsican mines” che recentemente ha ottenuto il permesso per effettuare ricerche minerarie sul tungsteno, minerale sempre più richiesto nell’industria militare ed aereonautica.

9 Maggio
Un incendio su una cabina elettrica di accesso alle fibre ottiche di Orange ha causato un esteso incendio sotterraneo di cavi.
Novemila persone senza internet e senza telefono fisso. Problemi anche per le reti 3G e 4G.

16 Maggio
Un incendio di un importante ripetitore ha provocato un blocco totale di internet, televisione e telefoni fissi a Louvres, Puiseux-en France, Fosses, Marly-la Ville
Dieci giorni per il ripristino della rete.

18 Maggio
Un locale tecnico di EDF, compagnia elettrica coinvolta nel nucleare, è stato devastato.

31 Maggio
Una pala eolica completamente bruciata, un’altra parzialmente danneggiata. Due milioni di euro di danni. Due delle otto pale eoliche sulle montagne di Marsanne.

Info da: Fenrir, num.9

Presentazione La Piralide – spazio di documentazione Bergamo

Ostrinia nubilalis, meglio conosciuta come piralide, è una farfalla le cui larve sono dedite a vivere, nutrendosene, di piante come il mais, il sorgo e il peperone, oltre a molte altre. Durante la primavera le larve divengono farfalle e fuoriescono dalle piante. Dicono che la sua presenza abbia causato gravi problemi alle coltivazioni di mais, perciò gli esperti del settore, da sempre, hanno ritenuto importante contrastare ed eliminare l’indesiderato insetto tramite interventi chimici (l’impiego di pesticidi e veleni), biologici (l’introduzione di parassiti della piralide) o agronomici (la scelta di varietà di piante resistenti alle larve grazie a delle modificazioni genetiche). Il mais geneticamente modificato è in grado di resistere sia alla piralide sia ad erbicidi molto potenti, come il glifosato, largamente impiegato in coltivazioni di ogni genere. Per questi motivi, in innumerevoli aree del mondo, ove possibile, è ampiamente incentivata la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificate, resistenti agli erbicidi, in modo da poter utilizzare veleni e contemporaneamente debellare la piralide, “inopportuna” piralide.

La Piralide – questo insetto così osteggiato dai coltivatori di mais, dalle multinazionali e dai fautori degli organismi geneticamente modificati – è il nome che abbiamo scelto per questo nuovo spazio. Un piccolo insetto il simbolo che abbiamo scelto per uno spazio ed un luogo nel quale affrontare le questioni che ci stanno a cuore. L’attacco alla natura ed a quella parte di mondo ancora selvatica, l’asservimento e la manipolazione tecnologica degli esseri viventi, lo sviluppo della tecnologia stessa nelle sue disparate e molteplici espressioni, lo sfruttamento degli animali e della Terra, con l’avvelenamento e la devastazione ecologica che ne segue, la volontà addomesticatrice del dominio di privarci di ogni possibile tensione alla trasformazione o al sovvertimento della realtà sono per noi espressioni di questo mondo imperniato sull’autorità le quali rendono necessaria ed urgente una analisi ed una critica radicale, non rimandabile ad un futuro migliore.

Mai come oggi è necessario rifiutare il sistema di dominio con le sue logiche di controllo, delega e cogestione democratica delle nocività che ci circondano. Il totalitarismo tecnologico non è solo assoggettamento, imposizione, repressione, ovvero ciò che ci ha reso oggetto di uno sfruttamento, ma anche soggettivazione, ossia ciò che rende l’uomo soggetto, operatore, promulgatore, partecipe del proprio stesso sfruttamento. 

La piralide resiste. Mai come oggi, in questa realtà dove gli individui sono costantemente sottoposti, ricondotti e assoggettati a cause, fini ed esigenze più “grandi” di loro, occorre scoprire la poesia della propria unicità. Mai come oggi, in un mondo dove è possibile una vasta scelta tra le innumerevoli ed insulse libertà offerte, in un mondo interamente trainato e modellato dagli imperativi dell’autorità e della merce, l’esistenza è altrove. La piralide si riproduce.

Desideriamo aprire uno spazio nel quale ci sia e si dia spazio ad idee e tensioni in netto contrasto con l’attuale assetto sociale; uno spazio di documentazione e discussione dove chiunque possa scovare parole e scritti non reperibili tra gli scaffali del supermercato delle opinioni o nelle aule dell’accademia delle ideologie, luoghi dei pensieri confezionati e pronti all’uso. I libri, i materiali stampati, qui non saranno merce offerta per intrattenere, materiale per semplice e puro studio ed approfondimento culturale o racconti di vecchie storie, fonti di nostalgiche o avventurose fughe letterarie. Che senso e significato ha allora documentarsi? Darsi un tempo per approfondire e fondare il proprio pensiero? Sicuramente non quello di accumulare nozioni e contenuti pre-confezionati, da usare nelle più disparate situazioni o tavole rotonde. Sicuramente non quello di dare schemi e filtri risolutivi con cui leggere ed ingabbiare la realtà.

Il sapere va nutrito. Se resta un semplice accumulo indefinito di conoscenze e di informazioni può contribuire a creare, ad alimentare, un più o meno vasto bagaglio culturale e conoscitivo, un insieme di conoscenze che teniamo in serbo per noi e per gli altri. Niente di più. Può il sapere non avere sapore? Possedere un grande quantitativo di conoscenze non conduce necessariamente ad una maggiore comprensione della realtà e di ciò che ci circonda; significa che i fatti e le parole di un tempo, potendo sfuggire a quanti vorrebbero racchiuderli nelle pagine di polverosi volumi, debbono poterci dire qualche cosa di tangibile oggi. Farci riscoprire gusti e sapori.

Se lo sguardo punta a sovvertire, e non a riformare, significa che le mere informazioni, il semplice insieme di saperi e il loro accumulo non bastano e restano soltanto un riempitivo per la mente, buono solo a baloccarsi in esercizi retorici o a rassicurarsi nelle certezze delle proprie illusioni.

Le conoscenze slegate dalle idee restano lettera morta. Allora, assieme alla necessaria conoscenza, occorrono progetti, volontà e tensioni individuali per fare fermentare autonomamente la propria selva di pensieri. In quest’ottica, e solo in questa particolare accezione ancora tutta da esplorare, uno spazio di documentazione può avere pieno significato. Così, a partire da questi presupposti, potranno avere luogo anche la discussione, l’approfondimento, la critica. Al vuoto, alla rassegnazione e all’uniformità dettata da sterili opinioni opponiamo la pienezza e il significato di idee che possono infiammare la vita.

Uno spazio per l’approfondimento e la critica, contro l’autorità e la gerarchia. Certamente non un luogo dove potersi rintanare, come al riparo di una nicchia dove custodirsi intatti. Nemmeno un circolo ricreativo o un centro culturale. Non saranno quattro mura a racchiudere la nostra volontà di riflettere, a tarpare le nostre aspirazioni, a privare di sostanza i nostri sogni, a sedare i nostri desideri. Nemmeno ci illudiamo che potranno essere le attività svolte nello spazio ad inceppare questo mondo di dominio che non ci dà respiro, questo mondo che costantemente offre miseria e obbedienza a piene mani. Le attività che vi potranno nascere saranno espressione delle persone che di volta in volta lo animeranno. Che si tratti di incontri, discussioni, dibattiti o proiezioni, ciò che faremo non avrà né il proposito di riempire un’agenda, come per consolarci in un frenetico attivismo, né l’intento di persuadere, di convertire o di aggregare qualcuno, ed infine, nemmeno la volontà di ricercare un confortante riconoscimento sociale.

Uno spazio in cui la piralide si rafforza e lotta contro il dominio tecno-scientifico.

La Piralide – via del Galgario 11/13 – Bergamo
Apertura: tutti i giovedì dalle ore 16.00 alle ore 20.00
e-mail: avvelenate@anche.no

scarica qui il pdf: la-piralide-presentazione

Fiamme a EDF in solidarietà alla lotta di Bure

30 settembre 2017
Azione a sostegno dei compagni che hanno subito l’irruzione a Bure. [Lotta contro il progetto di discarica nucleare (CIGEO) in Bure – Francia n.d.t.]
In risposta alle ricerche di Bure, EDF (società francese di energia elettrica nucleare, in gran parte di proprietà dello stato francese), è stata riscaldata. Una vettura EDF è stata incendiata durante la notte di venerdì 22 settembre fuori del centro EDF vicino alla DGSI (Direzione Generale per la Sicurezza Interna) e alla Camera di Agricoltura.
Alla scena si potrebbe leggere: fermare le ricerche in assoluto! Solidarietà con la lotta a Bure e i compagni che stanno sottoposti a repressione.
LE MANI VIA DA BURE!
Continua …

Info da: www.325.nostate.net

Marco Camenisch – Settembre 2016: Aggiornamento “discesa”

Il 1° settembre, come da aggiornamento del 26/06/2016, è iniziato il “lavoro esterno“ in zona Zurigo previsto per sei mesi.

Il mio recapito nuovo è: mc, c/o Kasama, Militärstrasse 87/A, CH-8004 Zürich

Per proteggere la mia (costruenda…) sfera privata e quella dell’ambiente sociopolitico a me più vicino, in seguito non pubblicherò più informazioni sul mio nuovo ambito di vita come per es. soggiorno, casa, posto di lavoro ecc., che ormai non dovrebbero neanche più essere di “pubblico interesse“. Ovviamente questo non vale per lx compas a me più vicinx ed altrettanto è ovvio che continuerò ad informare sul percorso della mia “liberazione“ (a maggior ragione su eventuali, „rovesci“…).

Come in parte ho già informato la stampa solidale di movimento, in questa fase della mia “prigionia“ ho già un accesso abbastanza “libero“ all’informazione, alla rete ecc. Di conseguenza non sono più “legittimato“ a ricevere come finora la vostra stampa gratuita e solidale per prigionierx e vi prego di sospenderne l’invio.

Per questa espressione di solidarietà e in generale per tutta la vostra forte, consistentissima e continua solidarietà rivoluzionaria oltre le tendenze contro la repressione del dominio voglio esprimere ancora una volta il mio amorevole rispetto e la mia più profonda gratitudine.

Ovviamente cosciente del fatto che la solidarietà rivoluzionaria non si può praticare giammai in uno spirito da “prestazione-servizio“, vale a dire a senso unico e perciò, come prigioniero specificamente anarchico, spero che il mio contributo solidale oltre le tendenze e il mio rapporto solidale con la lotta rivoluzionaria bastava basta e basterà almeno un po’ allo spirito profondamente reciproco della solidarietà e dell’appartenenza rivoluzionaria.

Sempre resistendo, sempre contribuendo, sempre solidale (anche tacendo…:-) )

marco camenisch, inizio settembre 2016, Zurigo, CH

Fukushima: cogestire l’agonia

In questo 11 marzo 2015, quattro anni dopo l’incompiuto disastro nucleare di Fukushima, si può redigere un bilancio ufficiale: 87 bambini affetti da cancro alla tiroide, altri 23 sospettati di esserlo, 120.000 «rifugiati», 50.000 liquidatori mobilitati alla soglia sacrificale dovutamente rilevata, piscine piene di combustibili pronti ad esploderci in faccia, scorie massicce e costanti di acqua contaminata nell’oceano, non meno di 30 milioni di m3 di scorie radioattive da immagazzinare per l’eternità.
Questo bilancio esiste. Ci torneremo sopra.

 Lo Stato trasforma gli abitanti di Fukushima in cogestori del disastro

 Una volta tracciato questo «bilancio», considerate con rispetto le vittime e le preoccupazioni, è il momento di trarre le debite conseguenze. Una di queste è la seguente: man mano che si allestiva l’aiuto fornito da gruppi di cittadini, dalle ONG, da strutture più o meno indipendenti, lo Stato trasformava gli abitanti di Fukushima, in maniera innegabile e mascherata da «partecipazione cittadina», in cogestori del disastro. Si potrà magari sottolineare che questo slancio civico ha denotato spontaneità, ovvero amore per il prossimo, che lo Stato non ha dato nessun ordine in tal senso, che ognuno era e resta libero di «impegnarsi» in simili movimenti, certo! Tuttavia, molti uomini e donne che lo hanno fatto, anche se inconsapevolmente, hanno fatto il gioco dello Stato.

Ecco cosa abbiamo constatato.

La maggior parte dei suoi gruppi cittadini, delle ONG, di quelle strutture più o meno indipendenti hanno esortato gli abitanti a equipaggiarsi con dosimetri, li hanno aiutati a procurarseli o a costruirli in modo fai-da-te, li hanno assistiti nell’immane compito di una impossibile decontaminazione, hanno raccolto fondi con cifre anche colossali per acquistare attrezzature che permettessero di compiere delle antropogammametrie, vi hanno fatto sedere i loro simili per assegnare loro somme che non sapevano come utilizzare, hanno elaborato documenti dettagliati sulle ricadute radioattive, hanno aperto ambulatori di analisi dei dosaggi ricevuti e di controllo sanitario delle popolazioni. Queste «iniziative cittadine» miravano a mostrare una realtà i cui protagonisti ritenevano che fosse negata dalle autorità. Così facendo, invece di indurre le persone a «salvare la propria vita», cioè a fuggire a gambe levate (come hanno fatto alcune strutture, nello Yamanashi ad esempio, aiutando la gente a rifarsi una vita altrove), la maggior parte di loro le hanno aiutate a restare sul posto, cosa che ha fatto il gioco di uno Stato il cui solo obiettivo, fin dall’inizio degli avvenimenti, era di mantenere le popolazioni sul luogo. Così, invece di rimettere in discussione la thanato-politica di folli società umane edificate sul pericolo e sul governo della morte, queste strutture hanno insegnato alle persone a convivervi, nell’attesa che i dosimetri facessero il miracolo.

Da Chernobyl a Fukushima, la cogestione ha fatto fare un salto qualitativo all’amministrazione del disastro: lavorando alla grande inversione del disastro in contromisura, ha portato a un grado di perfezione mai raggiunto prima la responsabilizzazione di ciascuno nella propria distruzione e nella nazionalizzazione del popolo che la genera.

 

Gruppi indipendenti… integrati

 Prendiamo due esempi che mostrano come, prima o poi, queste strutture più o meno indipendenti lo siano state sempre meno e si siano, più o meno intenzionalmente, allineate alle strutture statali.

Primo esempio: Ethos, programma sviluppato in Bielorussia negli anni 90 per «migliorare le condizioni di vita nelle zone contaminate», sostenuto dalla commissione europea, il cui leader era anche direttore del CEPN, Centro di studi sulla valutazione della protezione in ambito nucleare, associazione finanziata da EDF, CEA, Cogema e IRSN. Un clone di questo programma, Ethos in Fukushima, è nato in Giappone sei mesi dopo l’11 marzo 2011, su iniziativa di una ONG locale mirante a sostenere il morale delle truppe contaminate attraverso riunioni informative in cui vengono raccomandati l’aiuto reciproco fra abitanti ed alcune misure illusorie di protezione dalla radioattività. La parola d’ordine della ONG, la cui fede, è risaputo, abbatte le montagne, è:

«Malgrado tutto, vivere qui è meraviglioso, e possiamo trasmettere un futuro migliore».

Avendo l’allievo superato rapidamente il maestro, questa iniziativa è stata assorbita dalla Commissione Internazionale di Protezione Radiologica (CIPR), che ha istituito dei «Dialoghi». Questi seminari partecipativi hanno così raggruppato degli eletti, esperti scientifici e gruppi di cittadini preoccupati di «rivitalizzare» le zone contaminate che ne avevano davvero bisogno, al fine di inculcare una «cultura pratica radiologica» e di aiutare ciascuno ad «ottimizzare il dosaggio».

Secondo esempio: Safecast, «rete globale di sensori che raccoglie e condivide misure delle radiazioni al fine di abilitare le persone a gestire la situazione grazie a dati relativi al loro ambiente». In seguito alla loro partecipazione ad una conferenza dell’AIEA nel febbraio 2014 a Vienna, il leader di Safecast definisce i propri membri «hacker, non di quelli che svaligiano banche [sic!], bensì di quelli che costituiscono il motore dell’innovazione», e mostra chiaramente il proprio attestato di professionalità, considerando di «aver modificato con successo i presupposti che l’AIEA aveva in relazione a quanto i gruppi indipendenti sono capaci di fare […] al fine di fornire fonti alternative di informazione», dichiarandosi con penosa fierezza «sicuro del suo progredire nella prossima revisione delle direttive che prepara l’AIEA in risposta al disastro». La delegata norvegese all’AIEA, che ha colto tutto l’interesse dei «sensori cittadini», ha immediatamente visto in Safecast: «Persone creative e innovative che sviluppano soluzioni efficaci da sé, e in caso di incidente nel vostro paese, sarete ben contenti che ci siano persone come loro. Di fatto, dovreste fin d’ora cercare persone come loro».

Felicitandosi che questa dichiarazione sia stata accolta da applausi, i responsabili falsamente ingenui di Safecast precisano:

«Il consenso nella sala è girato […], la CIPR ci ha proposto di trovare dei finanziamenti, il ministero dell’energia americano vuole integrare i nostri input nel loro nuovo sistema informativo d’emergenza, l’IRSN vuole che li aiutiamo in uno dei loro progetti, la Commissione di regolazione nucleare discute con noi per vedere come integrare al meglio la misura cittadina nei loro piani di catastrofe».

 

 I «sensori-cittadini» di Fukushima: cittadini prigionieri

La cogestione dei danni fonda il consenso: salutata da tutti nel nome della necessità di superare la situazione, è decisamente auspicata e s’inscrive in una strategia basata su quell’arte di utilizzare gli avanzi che è la resilienza. Approccio apprezzato dai pronuclearisti, si integra anche per molti anti-nuclearisti in una attuazione della partecipazione cittadina che essi invocano — non arretrando davanti ad alcun paradosso — con tutto se stessi, inciampando pericolosamente nella messa in discussione del ricorso all’energia nucleare su cui si presume si basi la loro lotta, e della società industriale che rende questo ricorso indispensabile. In fondo, l’oggetto della cogestione nel nome della democrazia è lo stesso Stato. Facendo di ciascuno un contro-esperto che bisogna educare, informare, attrezzare, per farlo diventare un misuratore competitivo, perché si sottometta a priori all’autorità scientifica che decreterà le nuove norme necessarie al buon funzionamento della macchina sociale, la cogestione si manifesta per quello che è: l’arte di diffondere metastasi statali, per riprendere la chiara formula di Jaime Semprun e René Riesel.

Alcuni sociologi dell’allarme, che non perdono occasione di lodare i «lanceur d’alerte»[*], hanno insistito a vantare i pregi delle «reti di cittadini-sensori che partecipano alla costruzione di una intelligenza collettiva attrezzata e atta a conferire una capacità attiva ai cittadini per interpretare il loro ambiente, captarlo e misurarlo e alla fine agire su di esso». In questo modo, gli allertologi rifiutavano di vedere la stupefacente realtà: molti «cittadini-sensori» di Fukushima erano diventati appunto dei cittadini prigionieri.

 

Cogestire, consentire, obbedire

 Cogestire i danni del disastro nucleare aiuta a superare la distanza che separava il terribile dall’acquiescenza al terribile. Cogestire i danni del disastro nucleare porta a partecipare al dispositivo che permette di consentire la contaminazione, d’insegnare agli uomini a vivere in così pessime condizioni d’esistenza e di introdurla nella cultura di massa. Cogestire i danni del disastro nucleare è iscriversi nel paradigma dell’ordine, non in quello della trasformazione. Significa accompagnare l’agonia al quotidiano dei corpi e quella, altrettanto grave, delle menti e del loro eventuale pensiero contrario. Divenuto maestro nell’arte di disprezzare i suoi avversari che sono gli individui coscienti, lo Stato cogestito, voluto da tutti, non ha più che falsi nemici nella cui mano ha saputo far scivolare la sua. L’identificazione con ciò che si teme incide qui tanto più pesantemente quanto la cogestione tende verso l’autogestione, che sta al disastro nucleare come l’autocritica stava allo stalinismo: una tecnica di interiorizzazione della colpevolezza e, in tal senso, del dominio, perché la cogestione è una congestione della libertà e del rifiuto di esserne privati. Si tratta allora di trovare una causa comune per evitare di scontrarsi con il proprio salvataggio attraverso il rifiuto. Ora, le cause comuni abbondano a Fukushima: trarre vantaggio da una esperienza unica, imparare a far fronte al prossimo disastro, restaurare la comunità, ridare impulso alle forze economiche, far rinascere l’impiego per i giovani, incitare le popolazioni a un «ritorno al paese natale»… Dalle minacce di non risarcimento delle spese sanitarie ai buoni di riduzione per i turisti, dal risviluppo dell’industria dello svago (stadi di baseball, musei) alla costruzione di minimarket con terrazze «più conviviali»… a Fukushima, non ci sono dubbi: l’inventiva morbosa fa furore.

Di certo, pretendendo da un lato di salvare ciò che si distrugge dall’altro, non si fa che ribadire l’obbedienza al potere.

 

Nadine e Thierry Ribault

Tratto dal sito Finimondo

 

[*] Questa espressione, coniata nel 1990 da alcuni sociologi, ha assunto negli anni vari significati. Ecco la definizione della Fondation Sciences Citoyennes: «Semplice cittadino o scienziato che lavora in ambito pubblico o privato, il lanceur d’alerte si trova in un dato momento a scontrarsi con un fatto potenzialmente pericoloso per l’uomo e il suo ambiente, e decide di portare questo fatto a conoscenza della società civile e dei poteri pubblici…»