L’emancipazione fittizia: decostruzionismo, lotte e perpetuazione del potere

Nota preliminare: si parlerà principalmente di decostruzione e decostruzionismo, col quale si intende uno stile di pensiero e una corrente filosofica nata dal poststrutturalismo. Si farà riferimento principalmente ai campi di pensiero e indagine che come corrente ha sviluppato; tuttavia verranno citati/e anche autori/trici che ne usano le tecniche e lo stile, pur non rientrando totalmente nella corrente filosofica o non rivendicandola come propria.

“La filosofia non è altro che il censimento di tutte le ragioni che l’uomo si dà per obbedire”

La filosofia, soprattutto quella accademica ma non solo, è un complicato mondo di specialismi. Fa uso di un linguaggio astruso pieno di tecnicismi, i libri prodotti da vari/e filosofi/e sono praticamente illeggibili, e in una discussione anche a sfondo politico o sociale con qualcuno che sia stato/a iniziato alla filosofia, chi non sappia fare riferimento a determinati capisaldi della tradizione filosofica viene tacciata di incompetente e, quindi, non può a titolo entrare nel dibattito. Da questa gerarchia tra chi sa e chi non sa si generano le dottrine e i/le vari/e guru di turno.
Di più, fondandosi sul pensiero dialogico e argomentativo astratto e su premesse che di volta in volta possono cambiare (a seconda della ideologia), la filosofia si riveste di paroloni con i quali può argomentare a favore di qualsiasi cosa, dandole una giustificazione teorica e razionale. È così, allora, che l’amore per il sapere non è altro che uno strumento ideologico fortissimo in mano al tecno
capitale e ai potenti, che da ben prima di Bacone
ne dirige e giustifica i movimenti, continuando paradossalmente a rivendicare la propria autonomia.
Nel mondo democratico di oggigiorno, poi, la filosofia diventa un grande tavola rotonda dove dialogano pacificamente, nel clima di diffusa “correttezza politica”, vari/e pensatori/trici che propugnano anche tesi totalmente in contrasto tra di loro, e che sostengono visioni del mondo che si annichiliscono violentemente l’un l’altra. Il “valore” democratico del dialogo apre la strada al dibattito, nascondendo e riducendo a nulla la portata politica che una teoria può avere per il semplice fatto che essa si propone come una delle due o più alternative in un felice- e piacevole- meeting del sapere filosofico.
Se la filosofia non uscisse dalle accademie e lì si rinserrasse, non sarebbe altro che uno dei tanti aspetti del sistema tecnoindustriale- specificamente, insieme al sistema scientifico, sarebbe il suo gabinetto ideologico-, però in movimenti politici di diversi colori c’è la tendenza a leggere e fare riferimento a tesi filosofiche per appoggiare e argomentare, anche da un punto di vista teorico e con strumenti accademici, le proprie lotte.
Vale allora la pena soffermarsi a pensare a un movimento filosofico delle ultime decadi che è sin dalla sua nascita riferimento per molti movimenti sociali: in ambienti antispecisti o femministi/queer si fa spesso riferimento a pensatori/trici accademici/he della corrente decostruzionista, che ha portato a estreme conseguenze tendenze già presenti nel poststrutturalismo.
Il pensiero decostruzionista non vuole darsi una sua definizione, ma si può tentare di darne una come un metodo di lettura e confronto dei testi e degli autori della filosofia occidentale, nonché delle strutture della società, nell’intento di metterne in luce i presupposti e i pregiudizi impliciti, e le loro contraddizioni latenti. In termini ancora più tecnici, sarebbe un’analisi dell’esperienza che ne esibisce le condizioni a priori implicite.
Sostanzialmente, si analizzano testi e autori/trici della tradizione o istituzioni sociali per decostruire, ovvero smontare pezzo per pezzo, le ideologie e i pensieri di fondo nascosti dietro al sistema integro e non smontabile che pretendono di essere.
Nonostante la decostruzione abbia fornito ai vari movimenti strumenti teorici molto utili per analizzare i sistemi di dominio e le loro ideologie, tuttavia, per motivi che cercherò di abbozzare in seguito, ha lasciato aperta la strada a degenerazioni politiche.
Infatti, proprio grazie a quegli stessi strumenti fornitogli dalla filosofia, molte istanze hanno trovato giustificazioni teoriche e appoggio nelle accademie e, di lì, nelle strutture del neoliberismo e, con le loro lotte subito riassorbite dal sistema perché mal rivendicate, hanno lavato la faccia al capitalismo tecnoscientifico, regalandogli una facciata democratica di riconoscimento delle differenze (sessuali, di genere, di specie…) senza veramente metterne in discussione le fondamenta decostruite pochi attimi prima.
Sembrerebbe di trovarsi di fronte a un esempio del bipensiero orwelliano, ma del resto, anche solo prendendosi la briga di leggere certi/e autori/trici si nota nella loro stessa scrittura di marco decostruzionista e postrututturalista il retaggio del bipensiero.
Per esempio, facendo una divagazione non del tutto inappropriata, in testi della Haraway o di Preciado, dopo aver incontrato interessanti critiche al pensiero e al sistema tecnoscientifico- di cui si nega la neutralità, anzi di cui si afferma l’impossibile neutralità perchè indissolubilmente legato a pratiche del potere come la guerra e le bombe nucleari, nonché perché nato e cresciuto in un sistema patriarcale- se rivendica la sua riappropriazione e l’uso degli strumenti e dei saperi tecnoscientifici, poiché la colonizzazione della specie umana (e non solo) da parte della tecnologia è già in atto, e poco possiamo fare contro di essa, se non prenderne atto e diventarne partecipi promuovendo un suo uso femminista e queer… Ma non si diceva poc’anzi che la scienza non è neutrale? E se non è neutrale, allora non se ne può fare un uso femminista e queer, ma essa sarà sempre eteropatriarcale, proprio perché non è neutrale e non può negare la sua storia. Questo è un esempio del bipensiero filosoficamente argomentato da due esponenti di spicco della filosofia di fine novecento e inizio millennio, che sono diventate referenti per i movimenti femministi e queer.
Il bipensiero, però, pare essere un’aporia (come direbbero i/le filosofi/e) dello stesso decostruzionismo.
Infatti, la decostruzione non solo sarebbe un’analisi dell’esperienza che ne esibisce le condizioni a priori, ma anche una strategia d’ascolto per decostruire la cultura e i testi che produce, che sono già in decostruzione per loro propria natura. Essa è un processo già sempre cominciato, perché- dicono- nasce, si sviluppa e si nasconde- impercepibile ma presente- nelle aporie e nelle contraddizioni dei testi e delle culture. È qui che il decostruzionismo rivendica la sua natura politica: la decostruzione è la trasformazione, anche radicale, delle strutture e delle istituzioni.
Questa rivendicazione, come accennato, nasconde il bipensiero. Pur sostenendo che la strategia di ascolto permetta, in maniera maieutica, di far nascere ciò che è già in sé nelle istituzioni che si desidera cambiare, fino al punto di cambiarle radicalmente, il decostruzionismo non dichiara ciò che è evidente, ovvero che proprio perché la decostruzione è già in atto nelle istituzioni, essa non costruisce nulla di nuovo, ma semplicemente svela ciò che già è e facendolo replica l’esistente e in nessun modo potrebbe controllarne o dirigere radicalmente i processi. Il suo, quindi, è un lavoro atomico e fino, ma comunque descrittivo che tutt’al più, maieuticamente, può dar luce e accelerare ideologicamente i processi in corso. E’ il soggetto/oggetto della decostruzione (sia istituzione, cultura, linguaggio, testo…) che limita le capacità, i fini e le modalità d’azione politica della decostruzione stessa reinquadrandola nello stesso sistema che si voleva decostruire.
A peggiorare il quadro appena descritto, i testi filosofici di stampo decostruzionista aggravano la tipica difficoltà linguistica della filosofia. La maniera di scrivere è astrusa e complicata, ci sono giri e rigiri di parole, il linguaggio è difficile da intendere, non è facilmente riproducibile per i non iniziati e non è replicabile. L’oscurità del testo, cioè la sua difficile se non addirittura impossibile piena comprensione, porta direttamente alla sua ambiguità. Se non si sa bene cosa viene detto, è perché ciò non è chiaro, cioè è ambiguo e interpretabile in forme radicalmente opposte. E tutto ciò che è ambiguo è facilmente recuperabile.
Tutto ciò è abbastanza paradossale, visto che l’analisi del linguaggio è la punta di diamante del decostruzionismo. Eppure, invece che chiarificare le connessioni di potere/dominio (nella decostruzione di qualche istituzione, per esempio, o nella decostruzione dei rapporti tra specie o generi) le si rende più oscure con perifrasi e analisi che partono e rimangono in un testo. Si tenta cioè di decostruire un ordine di dominio, che è concreto e reale, ma lo si fa solo analizzando le strutture e le aporie del linguaggio (per esempio come una parola chiave di quel sistema di dominio porti con sé contemporaneamente due significati opposti) e dimenticandosi, o ricordando di sfuggita, gli esseri senzienti che soffrono sui loro corpi la repressione quotidiana. Per esempio riguardo le tematiche antispeciste si trovano lunghi articoli che trattano la decostruzione del binomio essere umano/animali o natura/essere umano etc. ma si lasciano da parte spesso i rapporti di forza reali e concreti che vivono altri esseri senzienti, e di conseguenza si lasciano da parte le possibilità di azione concrete e reali per distruggere quel particolare sistema di dominio.
Questo ci permette di introdurre un altro punto cruciale dei discorsi decostruzionisti, quello sulla decostruzione di vari binomi che porterebbe al superamento dell’umanesimo e alla denaturalizzazione del naturale. Pur essendo estremamente interessante, perché inquadra con molta precisione le costruzioni storico-sociali e ideologiche che sottendono a diversi sistemi di dominio (di specie, di genere…), tuttavia i binomi in gioco (uomo/natura, uomo/donna, uomo/animali, naturale/innaturale, natura/cultura, corpo/mente…) vengono smontati fino al più piccolo atomo e abbandonati a sé stessi, senza prospettive di azione politica concreta volta a eliminare le forme di dominio. Abbandonati in un mondo neoliberale, capitalista e tecnocratico, e decostruiti ma non eliminati nelle loro cause sociali, economiche, politiche e ideologiche, solo uno dei due poli del binomio ne riesce vincitore.
Per esempio, nelle teorie queer l’abbattimento della categoria naturalizzata del corpo, che non possiede più per natura un genere, si spinge fino a decostruire il binomio corpo naturale/macchina, e finisce col relegarlo ancora una volta e più profondamente a una dimensione inferiore. Esempio ne è la rivendicazione a poterlo modificare (i transumanisti direbbero migliorare) a proprio piacimento, anche impiantando protesi invasive di vario tipo. Il corpo allora è un sub-strato, un qualcosa che sta sotto e che, da sempre cultura, può essere culturizzato ancora di più, a seconda dei mezzi che la società e il tecnocapitale ci mette a disposizione (oggigiorno info-bio-cogno-nanotecnologie). Nel binomio decostruito corpo naturale/macchina, allora- il corpo riassume, sulla vecchia scia di Cartesio- caratteristiche tipiche della macchina, ovvero smontabilità e manipolabilità.
Altra forma di quest’ultimo binomio, è quello di natura/cultura. C’è un grande interesse nella filosofia degli ultimi vent’anni nel decostruire questo binomio. Per esempio, la Haraway parla di naturcultura, e questo le permette poi di sviluppare le sue proposte filosofiche sul cyborg. Vale la pena sottolineare come Donna Haraway sia una referenza nel mondo femminista e queer, tanto per dare un esempio di come la filosofia finisca con l’entrare in maniera poco critica nei movimenti sociali. Tornando al binomio, se natura e cultura non si oppongono più, allora la cultura è naturale ma, soprattutto, la natura è culturale. Allora il nostro concetto di natura è culturale, quindi perché non includiamo la macchina in esso? Nelle proposte transumaniste appoggiate dal postumanesimo, l’abbattimento di questo dualismo si appiattisce fino a raggiungere il sogno e il progetto politico della completa meccanizzazione, tecnologizzazione e ingegnerizzazione del vivente.
Anche nella questione animale è probabile che la macchinizzazione e lo sfruttamento dell’animale si estenda all’essere umano, invece che liberarli entrambi.
Vari esponenti del decostruzionismo, in primis Derrida, che ne fu il fondatore, si impegnano in lotte politiche e sociali per l’estensione dei diritti. Eppure, a mio avviso, le teorie decostruzioniste, seppur impregnate di una notevole dimensione etica, mancano della controparte necessaria della politica, intesa come sapere cosa non si vuole e chi è e dove si trova il nemico. Infatti il decostruzionismo tutto comprende (più o meno), ma non agisce direttamente su ciò che vuole cambiare, anzi, sostenendo come prima accennato che la decostruzione è già da sempre presente nel suo stesso oggetto, lascia nelle mani delle istituzioni che cerca di smontare il compito di mutare secondo lo sviluppo a cui già da prima esse tendevano.
Inoltre, mascherandosi dietro la pretesa di essere consapevoli (non innocenti, dice la Haraway) grazie al lavoro di decostruzione- che renderebbe evidenti le strutture e le giustificazioni del dominio-, invece, proprio perché manca la prospettiva reale e concreta di cosa non si vuole e di chi è il nemico, le rivendicazioni politiche proposte da esponenti di questa filosofia, o da militanti di vari movimenti che alle sue teorie si ispirano, mancano totalmente di lucidità.
La lucidità non è semplicemente la capacità di saper prestare attenzione, in quello il decostruzionismo è campione. Piuttosto è la capacità di vedere e sentire le estensioni reali e concrete del dominio, di non dimenticarsele anche se non stanno sotto al naso.
Vengono decostruite la democrazia e il sistema tecnoscientifico, vengono dimostrate le loro inevitabili connessioni con guerre, stermini di massa e fascismi di diverso tipo; eppure, al momento della verità, ciò quello di sapere cosa non si vuole e non si accetta, vari/e pensatori/trici fanno rientrare dalla porta di servizio gli oggetti stessi della loro decostruzione. Non sorprende allora che Derrida sia uno dei filosofi più democratici di sempre, e che molti professori/resse dell’accademia, formatesi anche su letture decostruzioniste, entrino in comitati bioetici.
Non tutti/e i/le filosofi/e però vengono per nuocere. Di fatto molti/e hanno sviluppato critiche radicali che, se prese fino alle loro estreme conseguenze, non sono recuperabili all’interno di un sistema democratico. Penso, giusto per dare un paio di referenze, ad alcuni scritti di Simone Weil (nel concreto Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale e Appunti sulla soppressione dei partiti politici) o alle analisi di Günther Anders sulla tecnica, l’obsolescenza dell’essere umano, lo stato nucleare e le strategie d’azione possibili per contrastarlo (L’uomo è antiquato e Stato di necessità e legittima difesa, Violenza sì o no). Eppure, ancora una volta, le pratiche accademiche di analisi dei loro testi li smontano totalmente e li allontanano dall’integrità del pensiero e della vita dei/lle loro autori/trici, fino a renderli completamente recuperabili reintegrandoli in un sistema di pensiero democratico e liberale.
Nell’approccio accademico,sia di marco decostruzionista o di altre correnti filosofiche, a questi/e autori/trici si studiano solo alcuni aspetti del loro pensiero o della loro vita, li si smonta per analizzarli con una sorta di microscopio filosofico, li si impregna di significati profondi che magari c’erano già nel testo, ma magari anche no, e che, soprattutto, se abbandonati in un’analisi che non riconosce il contesto integrale in cui sono stati prodotti li svuota di qualsiasi portata rivoluzionaria. Ecco come il loro pensiero viene recuperato se non totalmente, sicuramente almeno in parte. Il decostruzionismo, sminuzzando una parola, una frase, un paragrafo, un concetto in un/a autore/trice amplifica ancora di più questa tendenza totalizzante dell’accademia.
Come già accennato, le analisi decostruzioniste hanno fornito i presupposti teorici per le filosofie postumaniste e la base ideologica del programma transumanista.
Non stupisce allora che testi del decostruzionismo vadano a braccetto in programmi universitari con i risultati delle scienze cognitive, moda accademica imperante dell’ultimo decennio, che è praticamente impossibile criticare all’interno delle stesse università (autoproclamantesi luoghi di libertà del sapere) per il semplice motivo che forniscono i fondi economici di indagine e ricerca filosofica.
Come si sa, le scienze cognitive fanno parte della convergenza tecnologica NBIC, e che la filosofia accademica ne faccia parte (insieme a psicologia, informatica, linguistica, neuroscienze e studi sull’intelligenza artificiale) dimostra come essa non sia altro che una delle maniere che l’essere umano si dà per obbedire.
Da tutto ciò che è stato detto, risulta inutile e controproducente per i/le nemici/che di questo mondo tecnoscientifico e nucleare entrare e muoversi nel terreno della filosofia. Essa ha gli strumenti storici, teorici e ideologici per argomentare e portare avanti le sue tesi.
In un mondo basato sulla frammentazione dei saperi, dove anche e soprattutto la filosofia si muove in specialismi di vario tipo, è importante e imprescindibile evitare di cadere in argomenti e dibattiti per specialisti e iniziati.
Allo stesso modo in cui rifiutiamo di discutere con scienziati e tecnocrati se le loro teorie e tecnologie siano tecnicamente utili o meno, per il semplice fatto che il mondo che propongono è totalizzante e aberrante, ugualmente dovremmo fare con i/le filosofi/e del regime. Non c’è possibilità alcuna di superare in modo sano (cioè antiautoritario) alcune “conquiste” della filosofia (come la decostruzione del binomio macchina/natura) su di un campo metafisico. Quello non è il nostro terreno e per essere efficaci dobbiamo muoverci dove e come meglio sappiamo.

I nostri non possono essere criteri utilitaristici (utile/inutile), metafisici (possibile/impossibile) o solamente etico-morali (giusto/sbagliato), ma devono essere anche criteri politici, dove ciò che in ultima istanza marca la differenza è sapere chi è amico/a e chi no.
Sappiamo qual’è il mondo che non vogliamo, sappiamo chi sono i/le nostri/ nemici/che. Non ci occorre nulla di più.

Lu

Pubblicato su: L’Urlo della Terra, num. 6, luglio 2016

Note:

1. Corrente filosofica ma non solo di stampo postmodernista, relativista e anti-positivista. Privilegia l’analisi delle forme simboliche (del linguaggio, dei vari dispositivi di potere e sociali…) come basi per la costruzione del soggetto, negando che l’essere umano (il soggetto per eccellenza della tradizione filosofica) abbia qualsiasi tipo di privilegio gnoseologico e quindi rifiutando le teorie per cui sia lui a plasmare le strutture simboliche in cui è immerso e non viceversa.
2. L’istituzione e l’istruzione accademica si configura effettivamente come una iniziazione, con i rituali di fare la matricola, sostenere gli esami- cosa possibile solo se si ha acquisito un lingua specialistica per pochi- e la prova finale della discussione della tesi di laurea, momento in cui una serie di sacerdoti in toga analizzano chi ha completato il percorso di iniziazione e gli danno la loro benedizione. Di più, una volta laureatasi, la persona che ha completato il percorso di studi ottiene un nome e un titolo diversi (dottore/dottoressa).
3. Credo che sia opportuno usare la parola tecnocapitale, e non solo capitale perché il capitalismo si è pienamente (anche se la sua ideologia era già in germe) formato nel momento in cui ha avuto gli strumenti tecnologici, come la macchina a vapore, per farlo.
La scienza è stata, è e sarà la concubina della tecnologia per partorire, nutrire e fare crescere il sistema capitalistico in tutti i suoi aspetti. Banalmente, senza le conoscenze sulla struttura rotonda della terra e senza la bussola l’uomo bianco eterosessuale non sarebbe giunto in America.
4. Un esempio è il dibattito filosofico in corso sul movimento trans-postumanista, dove esponenti di diverse correnti di pensiero dialogano pacificamente, come se gli obiettivi del transumanismo non potessero distruggere totalmente le altre visioni del mondo, degli esseri viventi e del loro rapporto con la natura. In seguito vedremo come la filosofia da anni sta decostruendo il concetto di natura. Il concetto di natura come inteso sopra potrebbe essere sostituito da un suo sinonimo, come ambiente, ma chiamarlo in questo modo lo spossessa della sua interezza e lo priva di ogni personalità.
5. Termine coniato dallo scrittore marxista antistalinista George Orwell nel suo capolavoro 1984, romanzo distopico in cui si descrive un mondo dove ha trionfato il totalitarismo politico e il controllo totale della vita. Il bipensiero fa parte della neolingua inventata dalla classe dirigente, ed è la capacità di pensare due cose contraddittorie allo stesso tempo, ovvero credere all’inganno dell’ideologia totalitarista anche se si è coscienti della sua falsità, ed aver fiducia in tutto ciò che dica il Partito.
6. Donna, J. Haraway, Testimone_Modesta@FemaleMan©_incontra_OncoTopo™. Femminismo e tecnoscienza.
7. Paul B. Preciado, Manifesto contrasessuale.
8. L’unico modo di risolvere questa contraddizione sarebbe accettare (e quindi dichiarare apertamente) che il femminismo e i movimenti queer sono da intendere come necessariamente legati al tecnocapitalismo, alle sue guerre e alle dinamiche di sfruttamento e dominio totalitario che porta con sé. Forse è questo che intende dire Haraway quando sostiene che la sua posizione sul socialismo femminista tecnoscientifico non è mai innocente?
9. Paradosso o difficoltà logica insuperabile.
10. Si noti bene l’uso delle parole: strategia d’ascolto rimanda all’etica/ideologia democratica del politicamente corretto e del lasciare spazio a tutti/e.
11. Dal greco maieutiké, arte della levatrice, designa il metodo filosofico di Socrate che consiste nell’ aiutare a far uscire (a dare alla luce) idee che erano già presenti nei suoi interlocutori.
12. Ovvero al togliere al concetto di naturale la pretesa di essere così per natura e non per costruzione storico-sociale. Un esempio: le differenze di genere non sono naturali, ma sono frutto di un preciso percorso storico e soprattutto di una precisa dimensione sociale.
13. Da notare bene come nel decostruzionismo ma non solo (in generale in tutta la filosofia del Novecento e degli anni duemila quando tenta di costruire qualche antropologia) il linguaggio viene visto come la prima tecnologia dell’essere umano, ed essendo la capacità simbolica sua condizione fondante, l’essere umano stesso viene descritto come per natura (o naturcultura) tecnologico.
Il corpo umano, allora, è esso stesso una macchina. È la rivincita della teoria dualistica di Cartesio nel mondo capitalista neoliberale della tecnoscienza.
14.  NBIC (nano-bio-info-cogno tecnologie). Vorrei evidenziare come il tema della convergenza tecnologica non nasce dalla critica alle tecnologie come modo per individuare la costruzione sinergica della MegaMacchina in cui differenti ambiti scientifici si impegnano, ma viene prodotto negli stessi ambienti che propugnano in maniera religiosa lo sviluppo ipertecnologico. Nei testi transumanisti, infatti, la convergenza delle tecnologie viene vista in maniera positiva, come punto cruciale nello sviluppo esponenziale delle capacità tecniche dell’essere umano, tanto esponenziale che, dicono, a breve la specie umana (sempre che di specie umana si potrà parlare) entrerà in una nuova fase di singolarità tecnologica, ovvero un cambiamento totale di stato dovuto alla tecnologia globale, che permetterebbe ad una superintelligenza artificiale di manifestarsi in forma auto-cosciente. Gli stessi fautori del mondo ipertecnologico, quindi, ci indicano le connessioni di dominio tra vari ambiti della tecnoscienza.
15. Che mi risulti, un binomio che non fa parte dell’agenda della decostruzione è quello violenza/nonviolenza. Ancora una volta, la decostruzione agisce dove la porta la struttura che sta studiando.
16.    Il tema del diritto naturale nasce e si sviluppa a cavallo tra seicento e settecento con le teorie giusnaturaliste, e ha marcato il solco del pensiero filosofico democratico. È importante notare come la questione dei diritti civili nasca in ambiente borghese proprio nel momento della nascita dello Stato moderno e del capitalismo classico. Nei dibattiti odierni, per esempio su quale debba essere l’estensione di alcuni diritti, come per esempio l’accesso alla GPA, è interessante soffermarsi su come il diritto, nato e inteso nel seicento come naturale, ovvero proprio dell’essere umano per sua stessa natura, non viene più inteso in tal senso, probabilmente anche grazie alla decostruzione del sopracitato binomio natura/cultura. Sarebbe infatti un controsenso in termini pensare alla GPA o alla procreazione medicalmente assistita come diritto naturale, se prima non si fosse svuotato di qualsiasi significato lo stesso termine natura.
17. Derrida in uno dei suoi scritti più recenti (Stati canaglia) sostiene che la democrazia porta in sé stessa il germe del suo suicidio. Infatti essa, lasciando spazio sulla base di principi democratici anche a pensieri e movimenti antidemocratici (per esempio il fascismo) la possibilità di entrare nel dibattito democratico e nelle sue stesse istituzioni (campagne elettorali e parlamento), tiene aperta la porta ai suoi assassini, e non potrebbe fare altrimenti, siccome il prezzo di una politica diversa sarebbe l’annientamento stesso della democrazia. Questa sarebbe la sua più grande aporia, insolubile ma accettata come sforzo etico-morale di grande portata.
18. La metafisica è la parte della filosofia che tratta dell’essere, delle sue facoltà, proprietà e cause prime.