Dove trans-xeno-femminismo, queer e antispecismo incontrano la tecnoscienza – Il cyborg: una metafora che si incarna, un dispositivo di potere e la fine di ogni liberazione

“Tuttavia, dai laboratori scientifici in cui ormai la Natura e gli altri viventi erano imprigionati, studia ti, torturati e vivisezionati, geneticamente modificati, o anche avviati verso una soluzione finale, la Natura riemerge prepotentemente dal seppellimento ideologico del meccanicismo, come un filo d’erba ritrova la luce spuntando dall’asfalto e dal cemento che ha sepolto la terra.”1

Viviamo in tempi di alleanze e di incontri tra realtà trans-xeno-femministe, queer, antispeciste, e lungo questi sentieri riemerge e si afferma con forza il cyborg e le tecnoscienze trovano la propria strada. È significativo e preoccupante, segno di questi tempi, che anche da contesti antispecisti, quindi si dovrebbe presupporre dalle ceneri dell’umano e dell’antropocentrismo, emerga il cyborg. Il significato del cyborg va oltre alla stessa Haraway, è rappresentativo di queste tendenze contemporanee. Con queste mie riflessioni vorrei mettere in luce le vicinanze, i punti di contatto e le sovrapposizioni con le stesse logiche e strutture di dominio e perchè queste nuove tendenze rappresentano la fine di ogni possibile liberazione.
Il cyborg, per i suoi sostenitori, è una creatura in un mondo post-genere, non condizionato dalla riproduzione sessuale biologica, è figura sovversiva del sistema dominante fondato su una serie di dicotomie sè/altro, femmina/maschio, natura/cultura, mente/corpo, uomo/macchina. Si situa -non situato- al di là della differenza intesa come opposizione maschile/femminile, per decostruire la soggettività fondata su un sistema eteronormativo, aldifuori da ogni binarismo.
Dalla moltitudine di Negri e Hardt già si delineava una contaminazione e un meticciato con le macchine. Una moltitudine ora diventata queer che include il cyborg.
Il cyborg diventa compagno di specie nella grande famiglia di queer, alieni, ibridi, surrogati, strumenti viventi, oncotópe. 2
Una fusione tra organico e inorganico, tra carne e silicio dove i confini del corpo non coincidono più con la pelle, la tecnologia pervade il corpo che diventa oggetto di intervento tecnologico. Queste trasformazioni e fusioni tecnologiche non sono possibili e sono inimmaginabili senza gli sviluppi delle tecno-scienze. La metafora cartesiana animale come macchina viene ribaltata in macchina come animale, non si esce da quella logica, la si cristallizza nei corpi. Viene difesa la visione del corpo come macchina in quanto immagine del soggetto multiplo e denaturalizzato. L’artefatto, il simulacro, lo spazio virtuale diventano parametri della nuova soggettività. La soggettività viene ripensata in termini di processo, complessità e rapporto con le tecnologie. Le tecnologie della comunicazione e le biotecnologie diventano gli strumenti principali per ricostruire i nostri corpi. Queste tecnologie costruiscono oggetti in cui la differenza tra macchina e organismo è offuscata.
Il significato di questo affascina le teoriche e i teorici delle teorie queer e della decostruzione, un significato che si fonde in profondità con l’ossessione del corpo, un corpo percepito come una gabbia, con la non accettazione della nostra animalità, della nostra vulnerabilità, dei nostri limiti, della nostra inadeguatezza alla fredda tecnica, con l’ossessione della natura. Ma qui non c’è nulla da decostruire perchè non c’è nulla di costruito. Se poi tutto è filtrato attraverso una concettualizzazione è un altro discorso e se il concetto di natura è stato usato dal potere per distinguere chi era ritenuto diverso, anormale, deviante, in base a norme sociali, culturali e politiche, per reprimerlo e normalizzarlo, questo non vuol dire che la natura in sè, e non resa concetto e potere normativo, sia portatrice di tali disuguaglianze e soprusi, questo non vuol dire che non esiste un già dato, a prescindere da quello che noi possiamo cogliere. Affermare che la natura non esiste è pericoloso e al tempo stesso senza fondamento reale, è solo una speculazione filosofica. Sempre se non vogliamo arrivare ad affermare che la stessa realtà non esiste, perchè con queste premesse è qui che si arriva. Dovremmo sbarazzarci di questa eredità cartesiana o arriveremo in un deserto della critica paralizzando ogni possibile resistenza e sovvertimento. Il pensiero invece che espandersi si annichilirebbe su sé stesso incapace di cogliere le reali sfide che questo esistente ci pone davanti.
Il cyborg diventa anche la nuova soggettività femminista e il simbolo dell’anti materno. La procreazione è considerata come il principio della dipendenza dall’uomo, così con le tecniche di riproduzione assistita le donne si svincolerebbero dal ruolo storico di genere sciogliendo il binomio donna/madre. In quest’ottica la realizzazione dell’utero artificiale finalmente libererebbe le donne dal vincolo biologico della procreazione e annullerebbe le differenze tra sessi intorno al materno.
Le implicazioni di tutto questo vanno invece proprio nella stessa direzione di un sistema patriarcale che da sempre ha cercato di dominare la donna e di appropriarsi della sfera riproduttiva. Viviamo in tempi tempi di risignificazione della maternità, della dimensione procreativa, di cancellazione della madre, della donna, della lesbica. Rivendicare che la maternità è una dimensione che appartiene alla donna e riappropriarsi di essa non è “ridurre la donna al ruolo di madre”, come spesso viene contestato, la gravidanza è una possibilità e una scelta, significa opporsi a questa appropriazione da parte dell’uomo, del sistema medico e tecnico, dello stato, delle aziende della riproduzione.
Alcune analisi trans-xeno-femministe-queer-antispeciste sono consapevoli delle conseguenze di un sistema tecno-scientifico, ma la loro risposta è creare una resistenza interna e fanno emergere una visione positiva e amichevole del rapporto corpo-macchina nel nostro mondo ad alta tecnologia considerando le tecnoscienze come potenzialmente liberatrici.
“Noi possiamo essere i responsabili delle macchine, loro non ci dominano, nè minacciano; noi siamo i responsabili dei confini, noi siamo loro”, “Alla fine del Ventesimo secolo, in questo nostro tempo mitico, siamo tutti chimere, ibridi teorizzati e fabbricati di macchina e organismo: in breve, siamo tutti cyborg”, afferma la Haraway nel Manifesto cyborg. 3
“I cyborg non comprendono solo i corpi high tech dei piloti militari o degli atleti, ma anche le masse enormi del proletariato digitale che nutre l’economia globale.” scrive Braidotti. 4
Secondo queste analisi la tecnologia, la macchina siamo già noi, con le lenti a contatto, pace maker, cellulari. Constatare che siamo pervase dalla tecnologia e circondate da protesi tecnologiche non equivale ad eccettare questo stato di cose. Si leggono accostamenti alquanto superficiali, c’è un’enorme differenza tra le lenti a contatto, un pace maker e un intero sistema tecno-scientifico che penetra nella nostre vite, che modifica la stessa percezione della realtà attorno a noi. Stiamo parlando di ingegneria genetica, nanotecnologie, neuroscienze, di un controllo totale sui processi vitali di ogni essere vivente, di una nocività ecologica, sociale e sistemica. In questa direzione precipiteremo in un mondo interamente guidato dalla macchina dove saremo ingranaggi di questa macchina.
Le tecnoscienze attraversano i corpi, ma non è un attraversamento metaforico e indolore, non è una rappresentazione astratta, è politica e fisica. È in atto una profonda trasformazione, un cambiamento strutturale proprio come una mutazione genetica. Di fatto chi può permettersi di immaginare futuri distopici sta parlando da una situazione privilegiata che ha perso il contatto con la realtà, con le conseguenze sociali ed ecologiche delle tecnoscienze.
Basterebbero queste parole della Haraway per respingerla dall’universo antispecisita: “Si, tutti i calcoli valgono ancora; si, difendo l’uccisione degli animali per delle ragioni e in particolari condizioni material-semiotiche che ritengo tollerabili in base al calcolo di un bene superiore.” 5
Eppure viene presa come spunto anche da contesti antispecisti nonostante il fatto che con le sue argomentazioni offra una copertura ideologica e una giustificazione alla sperimentazione animale, all’allevamento, addestramento, uccisione di animali per scopi di ricerca e alimentari e all’ingegneria genetica. La Haraway afferma che l’animale all’interno del laboratorio avrebbe uno spazio di libertà: “gli esperimenti non possono dare risultati in assenza di cooperazione da parte degli animali”6. Che libertà sadica e perversa, all’interno dei laboratori c’è solo sottomissione e coercizione: animali rinchiusi, immobilizzati in strutture di contenzione, sottoposti a torture, come immaginare una cooperazione? Il laboratorio, come l’allevamento, è una strutture di potere, l’unica libertà gli animali rinchiusi la strappano ai loro aguzzini in quelle forme di resistenza che segnano e incidono una rottura e che rappresentano ciò che rimane di non addomesticato. Eppure la Haraway pensa agli animali in un laboratorio non come vittime, ma come “attori del laboratorio” attribuendogli un potere d’azione che nella realtà è loro negato.
Viene effettuato un riconfiguramento perverso e crudele dove i vivisettori diventano “persone che assistono agli animali”, “addetti alla cura degli animali” per ottenere i risultati sperimentali e l’animale diventa “paziente”. “I cuccioli dovevano diventare pazienti per poter divenire in seguito tecnologie e modelli. […] I cani non avrebbero potuto fungere da modelli se non fossero stati trattati come pazienti” 7 .
Il rapporto di potere e prevaricazione tra aguzzino e animale, totalmente riconfigurato, diventa un rapporto tra paziente e chi se ne prende cura. Ottima copertura ideologica e giustificazione alla sperimentazione animale. I vivisettori vengono assolti per le atrocità commesse e al tempo stesso viene sviato lo sguardo e la comprensione dalla realtà del dominio.
“Josef Mengele mostrava lo stesso tipo di falsa cura, per i bambini ebrei o zingari, sui quali eseguiva i propri esperimenti ad Auschwitz, quando li alloggiava in camere pulite e offriva loro qualche dolcetto.”8
Dai laboratori della DuPont viene creata l’oncotopa, un topo transgenico brevettato nel 1987. Nel suo DNA e in quello di tutta quanta la sua progenie, c’è un gene che se stimolato sviluppa un tumore. La chiamo oncotopa e non oncotopo perchè è la femmina che è stata modificata per gli studi sul tumore al seno. Ci troviamo davanti a una femmina ingegnerizzata per altre femmine. La Haraway si chiede per chi vive e muore oncotopo e si risponde per le donne malate di tumore al seno, quando in realtà vive e muore per le multinazionali farmaceutiche e biotecnologiche anch’esse responsabili di un mondo tossico e cancerogeno e di quel paradigma che vede il vivente come modificabile e artificializzabile.
La Haraway rivendica un dominio strumentale e lo rafforza ancora più in profondità affermando che animali ibridi come l’oncotopa incarnano una politica trasgressiva, anti-umanista: “L’incrocio trasgressivo inquina le eredità genetiche trasformando la natura nel suo opposto binario, la cultura.” 9
In questa concezione, che non è solo della Haraway, ma fa parte delle tendenze contemporanee, l’oncotopa è una sfida all’antropocentrismo, in grado di decostruire la nozione di purezza, di razza, mettendo in discussione la sacralità della vita, individuando nell’angoscia di contaminazione l’origine del razzismo così come è parte delle parallele angosce di genere.
Usare l’ibridazione come interessante concetto non porta nessun oltrepassamento dei confini umanistici: diventa una nuova ideologia dell’appropriazione e affonda prepotentemente nella carne del mondo. Modificare il vivente è il culmine di una visione umanista che vede la natura e l’intero vivente come mera materia da domare e piegare ai nostri fini. Un ritorno a Bacone. L’apoteosi di una razionalità tecnologica. Una stretta di mano alla Du-Pont.
La Haraway e la Braidotti affermando che l’oncotopa è loro sorella stanno nascondendo il vero abisso che le separa da questa creatura transgenica, l’abisso in cui sprofondano i corpi animali ingegnerizzati, l’abisso in cui sprofonda la natura artificializzata, l’abisso di un sistema tecno-scientifico. Chiamandola sorella oncotopa non aprono interessanti incontri con nuove soggettività in divenire, ma perpetuano il dominio.10
Come una trottola impazzita verso futuri fantascientifici e strane visioni, entusiasmandosi da nuove creature post disastro, un accellerazionismo che mentre accellera la sua corsa stritola sempre di più corpi e il mondo intero. Anche animali con tre occhi resilienti a una catastrofe atomica potrebbero aprirci nuovi entusiasmanti incontri e riflessioni su altre soggettività, ma non dovremmo forse distruggere una società mortifera?
“Come potrebbero, nell’ambito dell’attuale situazione culturale, femministe e antirazzisti fare a meno del potere del laboratorio di rendere dubbio ciò che è ritenuto normale?” 11 In queste considerazioni attenzione a non far sfuggire un particolare fondamentale. Si sta parlando di un laboratorio e di ciò che si crea al suo interno. Tutto ciò che esce da un laboratorio non può essere considerato quale elemento potenzialmente in grado di scardinare una struttura di potere di cui è intriso. Che logica perversa. Attraverso un gesto di decostruzione che i derridiani invidierebbero, il racconto fondativo della tecnoscienza rovescia termini ereditati di cultura e natura per poi dislocarli. 12
Dislocarli nei laboratori… Se femministe e antispecisti si trovano a loro agio tra creature transgeniche, se si trovano a loro agio nelle stanze dei laboratori significa che non sono più in grado di vedere la violenza, l’orrore, il dominio per quello che sono. Come potremmo situarci nelle stanze delle multinazionali biotech, agrochimiche, farmaceutiche dove esercitano il loro potere senza sentire l’odore dei cadaveri? Marcuse afferma: “In questo mondo vi sono modi di essere in cui uomini e cose sono “in sé” e “per sé” e modi in cui essi non sono, e cioè in cui la loro natura (essenza) è distorta, limitata o negata”. 13
Le creature transgeniche diventano sostrato del dominio, private della libertà, esistono nella distorsione e nella negazione della loro natura. L’essere topo, il vivere libero, nel suo ambiente, con i suoi simili, è negato. La struttura del sistema non è per niente intaccata da tutte queste decostruzioni, anzi, né esce rafforzata.
Se le riflessioni antispeciste contemporanee non prendono atto di tutto questo ma seguiranno queste direzioni si stanno di fatto schierando dalla parte dell’ideologia del dominio.
Come possiamo rivendicare che siamo tutte/i dei tecno-mostri, dei cyborg e percepire in questo un potenziale in grado di scardinare strutture di potere? Un post-umano troppo umano, che non ha per nulla decostruito l’umano, altrimenti avrebbe ben compreso che siamo animali e non cyborg… Il/la cyborg costruisce l’uomo come interrelazione con le macchine. Diventa costruttore di significato come tutti quegli aggettivi oggettivanti che costruiscono l’uomo, maschio, etero, occidentale, sano, bello. Il cyborg si immerge nella macchina antropologica facendo scomparire ancora di più l’animale che siamo, gli altri animali e la vita stessa. Appropriandosi di queste metafore e di questi significati si stà gettando le fondamenta di una nuova edificazione dell’umano. Se questa concettualizzazione passa, non passa semplicemente per registrare l’attualità, ma arriva a costruire la stessa percezione della realtà e di noi stesse/i e a legittimare e rafforzare un sistema tecno-scientifico di biopotere.
Noi e ogni altro animale veniamo dissolte/i nell’affermare che siamo tutte/i prodotti delle tecno-scienze, che siamo tutte/i cyborg. Veniamo fagocitate/i. La tristezza è che questo dispositivo di cancellazione, della nostra e altrui animale esistenza è creato e messo in moto da aree femministe e antispeciste. Si stanno imprigionando corpi in strutture di potere ancora più impercettibili perchè travestite da processi emancipatori, il cyborg è un dispositivo di potere performativo che smembra corpi come quegli stessi dispositivi specisti che si combattono. Un divenire di nuove soggettività che in realtà esse stesse fagocitano… e cosa rimane nell’arido terreno delle tecno-scienze? Solo oncotope, ibridi, mutazioni genetiche, cyborg…
Riscopriamoci animali come carne-del-mondo non separabile dalla natura. Ciò che ci accomuna con gli altri corpi, con gli altri animali è l’essere senzienti, desideranti, l’essere vulnerabili, l’essere mortali e i nostri vissuti carnali. Questo che ci accomuna, la zòe, il vivere comune a tutti gli esseri viventi, precede ogni costruzione, categorizzazione, concettualizzazione. Dalla riflessione sugli altri animali non dobbiamo far scomparire, come spesso accade, gli animali selvatici e il mondo naturale. Non vengono presi in considerazione perché nella nuova visione di mondo che parte dell’antispecismo propone il selvatico è stato rimosso e la natura o non esiste o è da riprogettare o è da cancellare, con un eco che risuona di transumanesimo.14
La difesa del selvatico e degli ecosistemi rappresenta la breccia per resistere al dominio della megamacchina che si estende a tutti gli elementi vitali resi merci da utilizzare, da depredare e resi basi inerti da modificare e plasmare. Un altro sguardo riconosce un valore intrinseco a un ecosistema nella sua complessità e biodiversità, dove ogni parte della natura non è oggetto rispetto a un soggetto umano, ma soggetto.
Si sta parlando di riprogettare il mondo e i corpi, di tecnoscienze come strumento di liberazione, tutto questo ha oggettivamente un significato ben chiaro e delle conseguenze sull’intero vivente.

Contributo per l’Incontro di Liberazione Animale e della Terra, Luglio 2017
Silvia Guerini dal giornale ecologista “L’Urlo della Terra”, num.5, Luglio 2017 www.resistenzealnanomondo.org

1 Giannetto E. (2012), La natura come persona, in Animal Studies, rivista italiana di antispecismo, politiche della natura, Novalogos, p.32

2 Haraway D. J. (1995), Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli. Preciado P., Moltitudini queer – Note per una politica degli anormali, www.incrocidegeneri.wordpress.com

3 Haraway D. J. (1995), Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, pag. 40,41

4 Braidotti R. (2014), Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, Derive Approdi.

5 Ibid., pag.187 6 Weisberg Z. (2010), Le promesse disattese dei mostri. La Haraway, gli animali e l’eredità umanista, op. cit., pag.185 7 Ibid, pag.188 8 Ibid., pag. 189

9 Ibid, pag. 99 10 Braidotti R. (2015), Per amore di zoe. Intervista di Massimo Filippi ed Eleonora Adorni. Liberazioni, rivista di critica antispecista, numero 21.

11 Haraway D.J. (2000), Testimone_Modest@ FemaleMan©_ incontra_Oncotopo™ Zipporah W., Le promesse disattese dei mostri, op.cit., pag.205

12 Haraway D. J. (2000), Testimone_Modest@ FemaleMan©_incontra_Oncotopo™. op. cit., pag.144

13 H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, pag. 141

14 lesbitches.wordpress.com: manifesto xenofemminista; estetica aliena: xenofemminismo e animali non umani

scaricabile in pdf: cyborg