Catastrofismo climatico, geoingegneria, inquinamento elettromagnetico

Partecipazione di Silvia Guerini a Piazza Libertà, puntata 95

Un altro mondo è possibile. Questo il titolo di questa nuova puntata di “Piazza Libertà” nella quale parleremo del catastrofismo ambientale ma anche di geoingegneria, del terrorismo mediatico e politico sul riscaldamento globale e di inquinamento elettromagnetico. 

Insomma di quelle narrazioni che i media di regime diffondono a reti unificate. 

Armando Manocchia ne discute insieme a Maria Heibel, responsabile del sito nogeoingegneria.com; Maurizio Martucci, giornalista e scrittore; Silvia Guerini, attivista e scrittrice e Nicola Scafetta, professore di fisica dell’atmosfera e climatologia.

Ascolta qui: https://www.byoblu.com/2024/01/07/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-95/

Inganno climatico e fanatismo (anti) ecologista. Dalla narrazione climatica all’ingegnerizzazione della vita

Ci viene detto che dobbiamo transitare verso un mondo migliore perché quello attuale non è sostenibile. Che dobbiamo essere guidati alla massima velocità verso l’era delle macchine e dell’Intelligenza Artificiale. Che dobbiamo lasciarci transitare verso il nuovo mondo auspicato da Klaus Schwab and Company, così da poter essere governati da un regime tecno-scientifico che metterà “in discussione la nostra concezione di essere umano”. Che dobbiamo transitare senza sosta, sferzati da un susseguirsi di emergenze infinite, fino ad approdare nel transumanesimo con un DNA “migliorato” e un microchip nel cervello, trascinando nel Mondo Nuovo la Natura intera.
Siamo entrati nell’era delle emergenze “convergenti”: si supportano reciprocamente nell’esigenza di plasmare il mondo secondo una precisa volontà, decifrabile nel programma dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e della Quarta Rivoluzione Industriale.
La transizione ecologica risponde all’urgenza di contenere il cosiddetto Riscaldamento globale causato dalla CO2, scatenando così una vera e propria carboniofobia: la CO2 diventa il nemico invisibile che mette in pericolo la vita terrestre, smuove la “sensibilità” dei “padroni universali” affinché si faccia l’impossibile per salvare “il pianeta in fiamme”. La realtà prodotta in vitro nei laboratori massmediatici di manipolazione di massa, a cui tutti devono aderire acriticamente, forgia una massa compatta e uniforme, resiliente agli imperativi calati dall’alto e pronta a fare la propria parte nella lotta alla “pericolosissima” anidride carbonica. Contemporaneamente, l’economia di guerra, principale responsabile dell’inquinamento ambientale e delle emissioni di CO2, vola: si svuotano i “vecchi” arsenali per riempirli con nuovi strumenti di morte a tecnologia avanzata, nella totale indifferenza della galassia “ecologista”. Il personaggio simbolo della militanza ecologista è Greta Thunberg, che dalla gavetta passata a presidiare il Parlamento svedese è arrivata ai salotti di Davos. Greta è il prodotto in vitro di Al Gore e degli altri pesi massimi della narrazione catastrofista, è “l’influencer” che sollecita i giovani ad invocare il programma “ecologista” messo a punto dai centri di potere finanziari, tecnologici e dall’ONU, per salvare il Pianeta “prima che sia troppo tardi”.
Ai seguaci di Greta si sono aggiunti Just Stop Oil (Regno Unito), Ultima Generazione (Italia) e tanti altri gruppi di eco-ansiosi. Sono i neo-attivisti 4.0, accessoriati con colla vernice e telecamere al seguito, per riprendere in tempo reale quello che sembra un set cinematografico più che una protesta. I neo-attivisti sono spregiudicati perché il “Tempo per salvare il Pianeta è finito”, e con esso anche le buone maniere. Imbrattano le opere d’arte nei musei, bloccano il traffico, si incollano alle pareti, dominano i salotti televisivi mainstream per promuovere le loro ansie climatiche.
Mettono in scena delle vere e proprie sceneggiate sponsorizzate dai loro padroni: i filantropi progressisti e simpatizzanti dell’ideologia transumanista. Fanno proprie le istanze portate avanti dall’elite mondiale e dai loro finanziatori. Si sentono “woke”, i risvegliati. Agiscono illudendosi di salvare il mondo a suon di slogan preconfezionati contro la CO2, il clima che cambia e l’estrazione dei combustibili fossili, peccato che “dormano” sull’impatto devastante della transizione digitale e sull’aumento esponenziale dell’inquinamento elettromagnetico. Sono “fluidi”, perfettamente adattabili al contenitore ideologico di chi li finanzia, e funzionali all’avanzare del Grande Reset e della piena realizzazione della Quarta Rivoluzione Industriale. Difendono tutte le istanze del potere dominante, dal consumo di insetti alla carne sintetica, dall’ideologia Lgbtq+ al depopolamento per salvare il Pianeta, diventando così gli utili idioti della transizione green e transessuata della società. I movimenti Friday for Future, Extintion Rebellion, Just Stop Oil, Ultima Generazione e via dicendo, non sono altro che la base di una piramide gerarchica al di sopra della quale risiede una nutrita cricca di politici, manager, fondazioni filantropiche, elite finanziarie e tecnocratiche, magnati del petrolio, del nucleare e delle energie “pulite”, organizzazioni governative e non governative; al di sotto della base piramidale, invece, la massa umana viene educata alla resilienza come nuovo atto di fede, come via di salvezza dalle crisi infinite, così che si adatti a non possedere nulla, a non avere privacy e nonostante tutto ad essere felice, secondo lo slogan del World Economic Forum, a nutrirsi di cibo industriale, di insetti e di carne e verdura sintetiche, a mandare i propri figli in scuole trasformate in hub tecnologici che sfornano automi digitali. Dalla manovalanza “eco fluida”, passando per le Ong ambientaliste, fino ad arrivare alle organizzazioni governative, vengono diffusi gli stessi identici messaggi catastrofisti, “conditi” con date “sparate a caso”, ma che danno forza a slogan palesemente sospesi tra il genere fantasy e quello fantascientifico.
L’obbiettivo è quello di instillare paura, di convincere la massa che si è di fronte ad un pericolo concreto ed imminente; l’orgia di slogan a bassa qualità di contenuti, diramati ovunque e in modo martellante e sistematico, hanno il preciso compito di assuefare la massa e di farla ballare al ritmo della stessa musica orchestrata da più direttori d’orchestra. “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”: è la citazione attribuita a Joseph Goebbels. L’insistenza con la quale si propaganda il catastrofismo climatico annienta il pensiero critico e distorce la percezione della realtà, al punto che qualsiasi evento viene ricondotto acriticamente alla questione climatica: i disastri da eventi estremi vengono imputati al clima piuttosto che al deforestamento, alla cementificazione, alla modificazione estrema dell’ambiente e alle operazioni di geoingegneria terrestre e atmosferica [1].
L’anidride carbonica diventa il nemico; ce lo ricordano in coro i fautori dell’ambientalismo catastrofista, col preciso intento di annichilire l’essere umano e di colpevolizzarlo, indicandolo quale fautore del cambiamento climatico, inducendolo così ad assecondare la distruzione e la riprogettazione della Natura e al contempo a credere che sia questo il modo di salvarla. Dal pericolo di alluvioni a quello della siccità, passando per l’innalzamento dei mari, la catastrofe è sempre dietro l’angolo: lo dice la Scienza, lo dice l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), lo ripetono i centri di potere governativi e non governativi ed infine lo strillano le manovalanze eco-fluide.
L’IPCC, voluto dall’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), dal WMO (Organizzazione meteorologica mondiale) e dal filantropo petroliere Maurice Strong, è il braccio armato scientifico dogmatico della narrazione climatica. I rapporti IPCC vengono citati ovunque e da chiunque parli di emergenza climatica: l’IPCC diventa a tutti gli effetti un marchio di garanzia teorica, perché nella pratica, i rapporti prodotti dagli “esperti” sono il risultato di modelli matematici computerizzati fallaci e parziali, basati su simulazioni del comportamento fisico e chimico dell’atmosfera, escludendo, anche se con eccezioni, gli scienziati del sole, delle nuvole, gli idrologi-oceanografi ed i biologi: studiosi che potrebbero contribuire all’analisi dei cambiamenti climatici, e che sono generalmente dubbiosi sui risultati dei modelli e sul fatto che siano le attività umane ad influenzare in modo rilevante il clima globale [2]. In più occasioni è stato accusato di produrre scenari completamente diversi dalle osservazioni reali [3]: questo significa che il riscaldamento climatico globale – che diventa “cambiamento” a piacimento- convince il mondo a vivere la realtà virtuale di una imminente catastrofe planetaria che però non si verifica e quindi si sposta in avanti la data. L’IPCC si è distinto per una serie di “errori” e di scandali che avrebbero dovuto minarne la credibilità. Si pensi, per esempio, all’utilizzo del grafico con “curva a mazza da hockey”, che ha fatto scomparire il periodo caldo medioevale, così come quello romano e quello dell’Olocene e pure la piccola era glaciale (1550-1850), grafico adottato nella stesura di diversi rapporti per dimostrare che quello attuale è il periodo più caldo di sempre.
Nel IV rapporto del 2007, l’IPCC ha previsto un drammatico ritiro dei ghiacciai Himalayani entro il 2035, e solo a seguito di una indagine è stato scoperto che quella data era stata presa a prestito da un rapporto del WWF e che studi più seri rimandavano il pericolo al 2350. E’ l’ideologia della “cancel culture” applicata alla storia del pianeta: la “cancel culture” così come si ripromette di manipolare e recidere la memoria storica che ha forgiato l’evoluzione della società umana, affinché non vi sia più nessuna comprensione e continuità con essa, allo stesso modo nega la storia della Terra e dei suoi eventi ciclici del passato, i cicli di riscaldamento e di raffreddamento del pianeta verificatisi indipendentemente dall’impatto umano. L’IPCC e l’industria climatica ibridano una scienza perversa con la politica l’economia e la finanza, al fine di apportare cambiamenti epocali di natura antropologica, ma anche politica economica e sociale. La macchina del fango travolge chi non si allinea alla narrazione emergenziale, mentre vengono omessi o minimizzati“gli errori” degli “esperti ufficiali”.
Soffocare il dissenso diventa indispensabile per far si che sopravviva una sola parte della storia, quella scritta dalla narrazione “ufficiale”, alla quale bisogna aderire acriticamente. La tesi del riscaldamento globale di origine antropica rimane blindata in una unica narrazione, dalla quale attingono esperti da salotto televisivo come i vari Mercalli e Tozzi, che possono parlare ad oltranza senza contraddittorio, perché coloro che sono critici rispetto al “catastrofismo climatico” sono stati esiliati nel mondo del negazionismo e del complottismo insieme ai no-vax e ai no-war.
I rapporti dell’IPCC enunciano scenari dati per certi, come se il pianeta non rispondesse più ad una sua natura organica, con i suoi ritmi inalienabili, “casuali” ed imprevedibili, bensì ad un insieme di calcoli, di congetture e di parametri inconfutabili.
Rosalie Bertell ci ricorda che la Terra è un organismo in armonia con l’Universo, “dialoga” con gli altri Pianeti, influenza ed è influenzato dal sole e dalla luna. “Oltre quattro miliardi di anni fa il pianeta Terra fu formato. Né troppo vicino, né troppo lontano dal nostro sole, in modo che la temperatura fosse quella giusta per la vita” [4]. Il clima che cambia indipendentemente dall’attività umana è un segnale di vitalità della Terra, sarebbe preoccupante il contrario. Invece, secondo l’IPCC, la Terra e il suo clima dovrebbero essere gestiti come un macchinario sul quale fare manutenzione a breve, medio e lungo termine. La natura terrestre con tutta la sua complessità e i suoi misteri viene declassata a sistema matematico computerizzato e in modo imperativo si afferma la necessità di contenere le temperature per “stabilizzare il clima”. Si tratta di obbiettivi sinistri che mascherano l’inquietante intenzione di governare il clima artificialmente e di ufficializzare la geoingegneria atmosferica.
Non è un caso che il rapporto IPCC pubblicato nel 2013 includesse gli studi del geoingegnere Alan Robock e che a febbraio 2023 l’UNEP pubblicasse un rapporto sulle tecnologie in grado di raffreddare il pianeta, stilato da ricercatori “indipendenti”, tra i quali spicca il nome di Ken Caldeira, il noto geoingegnere a libro paga di Bill Gates. La CO2 non è un inquinante: le molecole di CO2 di origine naturale e di origine antropica sono uguali e indistinguibili per l’atmosfera. L’anidride carbonica è indispensabile per la sopravvivenza della vita sulla terra, incrementa la fotosintesi e la crescita delle piante, questo spiega perché i periodi storici caratterizzati da un’elevata concentrazione di CO2 hanno coinciso con l’aumento della vegetazione.
Nell’immaginario collettivo si è radicata la convinzione che l’aria sia satura di CO2 di origine antropica, ma la realtà è ben diversa perché ad oggi, l’anidride carbonica emessa dall’uomo è una piccolissima parte rispetto a quella che proviene naturalmente dagli oceani e dalla terra ferma. E’ inverosimile che sia proprio quella piccola parte di emissioni antropogeniche a minacciare il pianeta. Con la scusa di combattere la CO2, il sistema dei crediti di carbonio, che finora riguardava la produzione industriale, si sta estendendo al singolo individuo. La macchina del controllo e della sorveglianza di massa, messa a punto con il green pass “venduto” ai più come strumento sanitario, si sta ripresentando (per il momento) a livello sperimentale, quale strumento per combattere il riscaldamento climatico.
Già nel 2006, David Miliband, l’allora Segretario di Stato inglese per l’ambiente, l’alimentazione e gli affari rurali dell’amministrazione Blair, aveva proposto l’introduzione di una “carta di credito del carbonio” destinata ad ogni cittadino britannico, da utilizzare, per esempio, quando si fa benzina, si prenota un aereo o si paga la bolletta energetica, ma i tempi non erano maturi e non se ne fece niente.
Poi, nel 2019, la start-up svedese Doconomy, in collaborazione con Mastercard e con il benestare dell’ONU e del WEF, crea la prima “carta di credito del carbonio”, che associa ai beni e ai servizi acquistati dal suo proprietario un determinato quantitativo di emissioni di CO2 e provvede a bloccarne i consumi, superata una certa soglia. “L’obiettivo è incoraggiare le persone a ridurre attivamente la propria impronta di carbonio e dimostrare l’impatto che piccoli cambiamenti possono avere sull’ambiente”. L’esperimento del tracciamento del consumo di CO2 è stato esteso ad altri Paesi.
Il grado di adesione a questi nuovi strumenti di controllo sono proporzionali al grado di assuefazione degli individui alle emergenze perpetue e alla “comodità” digitale. Con la scusa della riduzione della CO2, l’introduzione di un tale strumento comporta una svolta epocale negli stili di vita e l’indottrinamento forzato verso tutto ciò che sarà etichettato “eco-sostenibile”, indipendentemente che lo sia veramente. Insetti, carne e verdura sintetiche diventeranno scelte obbligate, da preferire ai cibi tradizionali e biologici, pena il blocco della carta.
L’Unione Europea ha stabilito l’obsolescenza forzata per auto e abitazioni che non saranno conformi agli standard “eco sostenibili” fissati per il 2035. Le abitazioni saranno sottoposte all’obbligo di “ecologizzazione” forzata: nel nome della lotta al riscaldamento climatico, le case diventano degli spazi domotici intelligenti,“incappottati” con il polistirolo per far loro assumere un’estetica in sintonia con i presupposti della città intelligente: le abitazioni ristrutturate diventano dei cubi grigi, asettici, pressoché identici gli uni agli altri, sintomo di una società eterodiretta verso il monogusto.
Si va verso il livellamento dell’umanità dal punto di vista sociale, politico ed economico. La lotta alle emissioni di CO2 diventa il pretesto per la piena realizzazione della smart city e per l’adattamento del cittadino/utente al suo interno. Con il fantomatico obiettivo “zero emissioni” si sta conducendo il gregge umano dentro un recinto digitalmente perfetto, misurato e razionalizzato. Nelle città intelligenti gli individui saranno gestiti dagli algoritmi e dall’IA, spiati e sorvegliati fuori e dentro i loro corpi da sensori sempre più invasivi, fino ad ibridarsi con essi nella piena realizzazione del corpo-macchina. La città intelligente sarà green, completamente elettrificata e razionalizzata nella gestione delle risorse, come nell’agricoltura di precisione e nell’Allevamento o Zootecnia 4.0.
Anziché salvare gli animali dall’industrializzazione dello sfruttamento, la mandria umana si sta lasciando gestire attraverso una nuova forma di sfruttamento tecnoscentifico e secondo un nuovo modello di zootecnia (post)umana.
Man mano che la tecnologia diventa sempre più invasiva, si sposta in avanti l’asticella dell’accettazione alla tracciabilità, in una sorta di assuefazione totale alla comodità digitale. E’ fondamentale riprendersi dallo stordimento tecnologico: fissare dei limiti invalicabili al potere della tecnica segnerà lo spartiacque tra quella parte di umanità che si oppone alla digitalizzazione dell’esistenza e quella parte che, invece, da questo potere si lascerà ingenuamente sedurre a tempo indeterminato.
Il WEF e la Commissione Europea stanno spingendo verso l’implementazione della realtà virtuale e aumentata, soprattutto per i più giovani. Già nel 2019 Jeremy Rifkin auspicava “una nuova generazione di nativi digitali che frequenta tramite Skype le lezioni di scuole globali, interagisce su Facebook e Instagram, gioca in mondi virtuali” [5].
Il sogno di Rifkin di relegare i giovani nel mondo virtuale per empatizzare con le specie minacciate sulla base “della comune tragica condizione su una terra in via di destabilizzazione” è la delirante visione di chi disprezza la natura umana fingendo di salvare il mondo. Secondo l’elite tecnocratica, il mondo virtuale dovrebbe essere accolto come un luogo sicuro dai pericoli del clima che cambia, il rifugio in un ecosistema artificiale per salvare gli ecosistemi naturali evitando di emettere CO2. L’essere umano, fin dall’infanzia, diventa materia prima da plasmare, viene allevato secondo la cultura della resilienza, deve essere pronto a varcare i confini del mondo reale e a sconfinare nel mondo virtuale, fino ad ibridarsi con esso. L’individuo che accede al mondo virtuale e simpatizza con esso assume le sembianze di un automa: perde gradatamente pezzi di umanità insieme ai pezzi di vita reale. La transizione ecologico/digitale fissa le scadenze entro le quali la massa deve cedere quote di libertà e di autonomia, deve cedere ai ricatti cadenzati su abitazioni e auto, rassegnarsi all’impoverimento coatto e al metaverso come unica via di “salvezza”.
La CO2 è il nemico e l’umanità è colpevole di rilasciarla in atmosfera.
Persuadere il mondo intero che la sostanza che l’umano espira e che le piante respirano sia responsabile della imminente “sesta estinzione” ha richiesto un notevole impegno e anni di lavoro “chirurgico”, portato avanti da elite private e pubbliche aderenti all’ideologia maltusiana e tecnocratica di gestire l’umanità.
Dagli anni ‘70 in poi, con il fondamentale contributo del Club di Roma fondato nel 1968 da una circoscritta casta di industriali, scienziati e aristocratici, l’ideologia del catastrofismo e l’accusa alla popolazione mondiale di essere responsabile del collasso climatico vengono tramandati dalle note COP (Conferenze delle Parti), dalla Carta della Terra e da incontri e accordi internazionali meno noti ma non meno influenti, con il preciso obbiettivo di rafforzare la governance globale elitaria e tecnocratica dei centri di potere e dei vari filantropi come i Rockefeller, Strong e Gates, da sempre impegnati nell’attuazione di politiche volte alla riduzione della popolazione e favorevoli al modello cinese di gestione dell’umanità.
Mentre si continua a demonizzare la CO2 quale responsabile del riscaldamento globale, si tace sull’avvelenamento dell’aria dell’acqua e del suolo di sostanze chimiche, tossiche cancerogene e radioattive, molte delle quali provenienti dal settore militare e poi prodotte anche per uso civile.
C’è una responsabilità umana nella depredazione, nella cementificazione, nel sistema industriale predatorio, nello sfruttamento degli animali e delle piante, e nell’inquinamento elettromagnetico.
Lo scorso 17 gennaio 2023 è andato in scena l’arresto cinematografico di Greta Thunberg durante le proteste in Germania contro lo sgombero di Luetzerath, il paese che sarà raso al suolo per ampliare la miniera di carbone del colosso energetico RWE, già responsabile negli anni passati dell’abbattimento della foresta primaria di Hambach e dello sgombero di diversi paesi limitrofi per aprire la miniera di lignite, il carbone fossile utilizzato per la produzione di elettricità. Cosa faranno gli eco/digitali quando si comincerà a disboscare, a sfregiare la Terra, a riversare nel terreno e nelle acque sostanze altamente inquinanti e ad utilizzare grandi quantità di acqua per l’estrazione del litio e di tutti gli altri elementi indispensabili alla transizione eco/digitale?
Al momento nessuna voce “ecologista” ha rotto il silenzio e si è opposta ad un tale ecocidio.
Le multinazionali minerarie, appoggiate da tutto il sistema politico, economico e finanziario dei paesi occidentali, stanno sondando tutte le aree del pianeta in odore del nuovo oro nero, abissi marini compresi. Con l’obbiettivo di setacciare la terra a caccia di cobalto, nichel, rame e litio, indispensabili per elettrificare il pianeta, gli immancabili filantropi Bill Gates, Jeff Bezos, Michael Bloomberg e Richard Branson, con la collaborazione delle società minerarie Rio Tinto e BHP, che figurano tra i più grandi devastatori della terra e ironicamente tra le prime 50 società con le maggiori emissioni al mondo, hanno fondato la società mineraria KoBoldMetals, intenzionata a rilevare tutte le riserve mondiali di questi metalli, attraverso l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.
Ogni area del globo dovrà essere sacrificata sull’altare della transizione ecologico-digitale, sia in ambito civile che militare, con buona pace della galassia “ecologista”, distratta nella lotta all’anidride carbonica. Sono tanti, tantissimi gli elementi indispensabili per la costruzione degli aberranti parchi eolici, dei pannelli fotovoltaici, delle auto elettriche, dei device digitali, dei satelliti che quotidianamente vengono sparati nello spazio, e di armi sempre più letali.
La spinta verso la smaterializzazione e la virtualizzazione della realtà ha un impatto ecologico drammaticamente materiale, ma che viene prontamente occultato affinché l’ignoranza abbondi nella testa degli ecologisti 4.0.
Nessun grido d’allarme dai fondamentalisti della green economy: le maggiori associazioni ambientaliste e i guru del neoecologismo smart professano il silenzio o al massimo accennano dei moniti che si perdono tempestivamente nel marasma entusiastico del green new deal.
Mentre sulle passerelle internazionali i grandi della Terra sfilano riempiendosi la bocca di slogan artefatti, a porte chiuse decidono il destino dell’umanità e del pianeta. Il vero volto della “sostenibilità” eco/digitale è quello degli smartphone, dei tablet e di tutte le apparecchiature digitali che transitano dalle nostre mani e dalle nostre case alle discariche di tutto il mondo. Montagne di rifiuti tecnologici tossici e radioattivi spesso vengono destinati ai paesi più poveri, l’ultimo anello della transizione eco/digitale. L’ebete euforia dell’industria “ambientalista” per le pale eoliche si scontra con la realtà fatta dei materiali necessari per costruirle: dalle migliaia di tonnellate di calcestruzzo, alluminio rame e acciaio ai famigerati metalli rari. I giganteschi ecomostri eolici invadono la Natura, infastidiscono e uccidono la fauna, sfregiano i borghi storici e offendono l’arte e la bellezza: la rivoluzione green serve a difendere l’alta finanza, le grandi multinazionali e le banche d’affari. Secondo la neolingua eco-orwelliana, il nucleare civile e militare di ultima generazione diventeranno “sostenibili”. Mentre si dismettono le centrali di “vecchia generazione” e si contrae strategicamente la disponibilità di energia, i filantropi e le loro start up stanno finanziando progetti per il nucleare “buono” di ultima generazione. Si sta allenando l’opinione pubblica a prendere confidenza con la bontà del nucleare civile e militare di ultima generazione, che in un prossimo futuro potrebbe essere proposto con la scusa di contrastare l’emergenza climatica.
È bene non sottovalutare quanto l’ambizione tecnocratica abbia, fin dal passato, sempre sostenuto l’energia dell’atomo per trasformare il “sistema Terra”: nel 1906 il chimico Frederick Soddy sognava di sciogliere le calotte glaciali e fare fiorire i deserti, l’eugenista Julian Huxley, qualche mese dopo Hiroshima e Nagasaki, davanti al pubblico americano celebrò il potere dell’atomo e la necessità di costruire un governo mondiale per gestirlo, ed infine nel 1976 Edward Teller, padre della bomba H, propose di risolvere il problema della siccità californiana facendo ricorso a delle esplosioni nucleari in atmosfera.
Nonostante dalla fine degli anni ‘50, si sia cominciato a perturbare lo spazio facendo esplodere migliaia di bombe nucleari, che hanno danneggiato gravemente la ionosfera, le fasce di Van Allen e lo strato di ozono, è stata attribuita la responsabilità di tali danni all’abitudine umana di consumare prodotti contenenti CFC (clorofluorocarburi).
Ad oggi l’inganno continua: mentre si accusa l’umanità di emettere CO2, Musk, Bezos e la nuova generazione di eco-transumanisti lanciano migliaia di satelliti 5G che danneggiano lo strato di ozono, inquinano i cieli e irradiano la Terra. Inoltre ibridano la loro tecnologia civile con quella militare, così come in passato sono avanzate armi belliche elettromagnetiche (HAARP) spacciate per tecnologie civili.
La transizione ecologica, in realtà, è una rivoluzione tecnologica spietata che abolisce la Natura.
Il regime tecnoscientifico “costruisce” la Natura 4.0, la natura intelligente: la carne sintetica, il pomodoro viola, la foresta intelligente, le piante resistenti ai cambiamenti climatici, sono solo alcuni esempi di come si attua la manipolazione della vita, presa in carico dagli “scultori dell’evoluzione”, che dopo essersi fatti la gavetta nel modellare piccole fette di Natura nei laboratori di ricerca, ora sono pronti a trasformare la Natura intera.
L’ingegnerizzazione della Natura non risparmia nemmeno i cieli, perché con la scusa della lotta alla CO2 e al riscaldamento/cambiamento climatico si implementeranno le tecniche di manipolazione dell’atmosfera, della terra e degli oceani. La geoingegneria atmosferica è già in azione a livello locale e per un periodo di tempo limitato, ma l’obbiettivo sarà quello di arrivare al pieno controllo del clima globale, come parte del controllo totale della vita.
Il Pianeta intelligente sarà, in realtà, il Pianeta Ingegnerizzato così caro al geoingegnere Alan Robock e al resto della geocricca, avvolto da velature che sbiancano il cielo, smorzano la luce del sole e uniformano la temperatura terrestre.
La Conferenza sull’acqua tenuta dall’ONU a marzo 2023 ha ufficializzato la nuova “emergenza” idrica. Sarà l’ennesima strategia per accentrare la gestione e imporre razionamenti.
Ma allora, se l’anidride carbonica, la luce e l’acqua, che sono tre elementi fondamentali della vita, cadono anch’essi nelle mani dei padroni universali, cosa ne sarà di noi e della vita sulla Terra?

Cristiana Pivetti, www.cristianapivetti.org
Maggio 2023
Pubblicato in L’Urlo della Terra, numero 11, Luglio 2023

Note:
1.https://www.nogeoingegneria.com/news/lagenzia-meteorologica-spagnola-aemet-afferma-che-piu-di-50-paesi-sono-impegnati-in-attivita-di-modificazione-artificiale-del-tempo/
2.https://clintel.org/
3.https://clintel.org/
4.Rosalie Bertell, Pianeta Terra L’Ultima arma di guerra Asterios Editore, 2018, pag. 27.
5.Jeremy Rifkin, Green new deal, Oscar Mondadori, 2021, pag. 221.

Disegni di Cristiana Pivetti

Il club di Roma e l’avanzare della governance mondiale

IL CLUB DI ROMA E L’AVANZARE DELLA GOVERNANCE MONDIALE 

IL PASSATO                                                                                                              
Il Green New Deal (Nuovo Patto Verde) è stato preceduto dalla Green Revolution: la Rivoluzione Verde, innescata nel 1944 dalla Fondazione Rockefeller, quando finanziò l’agronomo Norman Borlaug affinché si sperimentasse sul suolo messicano la selezione di piante capaci di tollerare una “dieta” ricca di nitrati e, contemporaneamente, in grado di resistere alle malattie tipiche delle coltivazioni intensive. L’integrazione di azoto per “sfamare” le nuove piante sarebbe stato fornito industrialmente anche dalla IG Farben, il colosso industriale chimico tedesco (controllato dai Rothschild e dagli stessi Rockefeller) produttore sia di fertilizzanti sintetici, sia di esplosivi per il III Reich. Il Messico fece così da apripista all’agricoltura intensiva nei paesi del sud del mondo. Affinché i campi, diventati fittissimi di piante, mantenessero una intensa produttività, vennero inondati di pesticidi e di azoto di sintesi, alterando così la biodiversità delle campagne e inquinando l’aria, la terra e l’acqua.                             
Il progetto targato Rockefeller fece gli interessi delle grandi aziende agricole e dei produttori di fertilizzanti chimici e di pesticidi. L’estensione dell’agroindustria oltre i confini dei paesi occidentali era supportata dalla convinzione, messa a punto negli anni precedenti, che l’aumento della popolazione avrebbe potuto saccheggiare il pianeta e avrebbe messo a rischio le scorte alimentari. L’emergenza legata all’innesco della bomba demografica traeva forza da gruppi elitari e scientifici inglesi che influenzavano tutti i settori delle istituzioni con le loro idee malthusiane ed eugenetiche.                                                                       
Uno di questi era l’X Club, fondato nel 1864; raggruppava scienziati vicini alla Royal Society, favorevoli all’ideologia maltusiana e darwinista. Era loro obbiettivo far penetrare tali teorie negli ambienti politici e accademici, così come in seguito fece la Fabian Society, società filantropica inglese nata nel 1884 per volontà di alcuni dei letterati più influenti del tempo, ai quali aderirono esponenti del mondo della politica di destra e di sinistra, fautori dell’ideologia eugenista. La Società fabiana lavorava per l’instaurazione di una governance elitaria tecnocratica mondiale, capace di controllare la massa attraverso una politica di contenimento demografico e di “selezione” della specie umana. Mirava ad infiltrare le idee maltusiane, eugenetiche e tecnocratiche nel tessuto politico sociale e culturale dello Stato britannico, trasformandolo dal suo interno (per approfondimenti Davide Rossi La Fabian Society e la Pandemia Arianna Editrice 2021).                                                          
Qualche anno dopo nasceva l’Eugenics Education Society, con il preciso scopo di diffondere l’ideologia eugenetica con il conseguente miglioramento della razza nelle maggiori istituzioni accademiche. Successivamente ribattezzata British Eugenics Society, si impegnò nel favorire la figliazione delle classi agiate a discapito di quelle povere, proponendo l’inseminazione artificiale delle donne con lo sperma di uomini ritenuti mentalmente e fisicamente superiori. La British Eugenics Society non mirava esclusivamente alla selezione dell’essere umano: nelle intenzioni del suo Presidente, Julian Huxley, le tecniche di manipolazione e di ingegneria avrebbero dovuto estendesi all’intero sistema Terra (J.Huxley Ciò che oso pensare Edizioni GOG 2022).                                                   
Il timore di dover condividere i propri spazi di agiatezza e di potere con una popolazione umana sempre più ingombrante, spinse la Fondazione Rockefeller, insieme al filantropo eugenista Frederick Osborn, membro della British Eugenetic Society e al politico statunitense John Foster Dulles, a fondare nel 1952 il Population Council, un’organizzazione non governativa dedita alle ricerche in biomedicina, scienze sociali e salute pubblica, finalizzate al controllo delle nascite nei paesi in via di sviluppo. Nello stesso anno l’eugenista Margaret Sanger fondava la “Planned Parenthood Federation”, organizzazione non governativa globale per la salute sessuale e riproduttiva, definita dall’articolista di Renovatio21 una vera e propria “catena di cliniche abortiste”. l’Organizzazione, da quanto si evince dall’articolo menzionato, rispecchiava in pieno il desiderio della fondatrice di ridurre certe categorie di popolazione promuovendo il controllo delle nascite  (F.Borgonovo Ecco chi è la paladina degli abortisti. Una razzista amante del’eugenetica. La Verità 27 Giugno 2022)                                                                                                                                       
In quegli anni (1950) la fondazione Rockefeller istituiva il circolo elitario Aspen Institute e nel 1954 organizzava la prima conferenza del gruppo Bilderberg: banchieri, economisti, finanzieri, rappresentanti delle organizzazioni governative e non governative, politici e filantropi si riunivano a porte chiuse per decidere le sorti del mondo.            
L’ipotesi che la sovrappopolazione mondiale potesse rappresentare un serio pericolo venne ulteriormente suffragata, nel 1954, dai risultati ottenuti dagli studi condotti dall’oceanografo Roger Revelle, ex-militare della marina americana responsabile delle misurazioni geofisiche durante i test di armi nucleari negli atolli di Bikini (operazione Crossroads), il quale esaminò gli effetti dell’anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili sul clima con l’aiuto finanziario della Fondazione Rockefeller. Nel 1957 Revelle pubblicò, insieme ad un collega, un lavoro scientifico dal quale emergeva il problema dell’aumento della CO2 nell’atmosfera, l’insufficiente assorbimento della stessa ad opera degli oceani e il pericolo che si verificasse un surriscaldamento del pianeta dovuto all’effetto serra causato proprio dall’eccesso di CO2 di origine antropica (Revelle e Suess 1957). Le teorie di Revelle le ritroviamo in un Rapporto da lui redatto, rapporto che venne anche sottoposto all’attenzione del presidente americano Lyndon B. Johnson nel 1965. In tale Rapporto Revelle arriva persino a suggerire una possibile soluzione al problema a dir poco fantasiosa: “spargere palline da ping-pong fluttuanti sulla superficie degli oceani così da renderla più riflettente”. Soluzione fantasiosa, ma ben poca cosa se paragonata alle sofisticate e pericolose tecniche di modificazione del tempo meteorologico già allora in atto e alle inquietanti promesse dello stesso Johnson che nel 1962 dichiarava: “Dallo spazio riusciremo a controllare il clima sulla terra, a provocare alluvioni e carestie, a invertire la circolazione negli oceani e far crescere il livello dei mari, a cambiare la rotta della corrente del Golfo e rendere gelidi i climi temperati”. (https://www.youtube.com/watch?v=79voFUqcPq4)                                          
In ogni caso, le ricerche di Revelle, tese a sostenere che la CO2 di origine antropica poteva avere un effetto sul clima, furono fondamentali perché diedero un ulteriore impulso all’ideologia malthusiana di quel periodo. Con la pubblicazione del suo lavoro, Revelle forniva una base scientifica sia al forte movimento anti-natalista finanziato dalle grandi fondazioni americane, sia alle teorie riguardanti il“riscaldamento globale” di origine antropica. Lo stesso Revelle nel 1964 fondò il “Center for Population studies” dell’università di Harward, dove si conducevano ricerche che mettevano in correlazione il controllo demografico con i cambiamenti climatici. (M.Giaccio Il Climatismo: una nuova ideologia Edizioni 21mo SECOLO 2015).                                                   
X Club, Fabian Society, International Planned Parenthood Federation, Eugenics Society, Population Council, Aspen Institute e gruppo Bilderberg sono solo alcune delle entità che perseguivano scopi sociali e scientifici apparentemente diversi tra loro, ma collegati da un comune obbiettivo di gestire, anche biologicamente, la vita umana, attraverso il controllo sociale, il controllo delle nascite e il “miglioramento” della specie umana; le teorie di Roger Revelle diventarono un ulteriore pretesto utilizzato dalle elite filantropiche e tecnocratiche al fine di realizzare le loro agende di ingegneria sociale. 
Nel frattempo prendeva forma, per volontà dell’eugenista Julian Huxley, un nuovo modello di ambientalismo e, sempre per sua iniziativa, veniva fondato l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), e poi il WWF (Fondo Mondiale per la Vita Selvatica), una delle maggiori organizzazioni non governative di protezione ambientale.                      
Il ruolo del WWF va ricercato nella biografia dei suoi fondatori: Julian Huxley, il Principe Filippo d’Edinburgo e il Principe Bernhard dei Paesi Bassi (ex-nazista ed ex-presidente del Gruppo Bilderberg). I tre personaggi avevano in comune un forte disprezzo per la specie umana, che secondo Huxley andava migliorata attraverso la selezione dei “migliori” esemplari, destinati a governare il mondo, oppure sterminata per risolvere il problema della sovrappopolazione, come dichiarava il Principe Filippo nel 1988: “Nel caso in cui mi reincarnassi, mi piacerebbe tornare sottoforma di un virus mortale, in modo da poter contribuire  in qualche modo a risolvere il problema della sovrappopolazione”(Deutche Presse Agentur).                                                            
Il Fondo fa propria l’ideologia maltusiana ed eugenista dei suoi fondatori, secondo i quali una parte dell’umanità sarebbe un pericolo per la sopravvivenza del pianeta e delle elite mondiali, e la persegue nel corso della sua attività,  basti ricordare le parole di Thomas Lovejoy, vice presidente del WWF USA quando nel 1984 affermava che “Il problema maggiore è costituito da quei maledetti settori nazionali di quei paesi in via di sviluppo. Credono di avere il diritto di sviluppare le loro risorse come pare loro opportuno. Vogliono diventare delle potenze”(Catastrofismo climatico La grande speculazione. Carità-Gandini 2021). L’interesse per la vita selvatica faceva da copertura ad un piano di contenimento della crescita demografica, che per il WWF rappresentava il problema ambientale numero uno. “La campagna in favore dei progetti di denatalità è cosi assidua e ostinata da far sorgere il dubbio che forse la propaganda in difesa dell’ambiente sia solo un pretesto per realizzare la crescita zero”. La “multinazionale” dell’ambiente è stata governata da manager, dirigenti di multinazionali, finanzieri, le cui attività avrebbero dovuto essere in netto contrasto con le finalità del Fondo. Alcuni dei loro dirigenti furono a capo dei gruppi multinazionali coinvolti in alcuni dei peggiori disastri ambientali della storia: Bophal, Exxon Valdez e Seveso.  (https://it.paperblog.com/wwf-una-storia-poco-nobile-118758/).                      
Il WWF e le altre “industrie dell’ambiente” sono schierate contro la “pericolosissima” CO2, sfornano rapporti allineati con quelli dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), veri e propri testi di propaganda del terrore. Rimangono sordi agli appelli lanciati da coloro che mostrano teorie diverse, di chi sostiene che nell’arco della storia, la Terra ha subito diverse volte anche variazioni di temperatura senza che ciò comportasse necessariamente conseguenze catastrofiche.
La cricca filantropico/elitaria portatrice dell’ideologia eugenetica e maltusiana si va strutturando con la fondazione di nuove associazioni, alcune delle quali apertamente rivolte a rimodellare la società mondiale utilizzando l’emergenza ambientale come leva: il Club di Roma incarna perfettamente l’avanguardia di un nuovo modello di oligarchia elitaria “ecologicamente radicale”.  Il Club di Roma è così chiamato perché la prima riunione si sarebbe tenuta proprio nella capitale italiana. Altre fonti, invece, concordano nell’identificare la villa di Bellagio di proprietà della famiglia Rockefeller come sito inaugurale del Club, e David Rockefeller quale principale finanziatore dell’ente filantropico/ambientalista insieme al suo intimo amico Gianni Agnelli, anch’esso finanziatore del Club attraverso la Fondazione Agnelli.                                                    
Tra i fondatori ricordiamo Aurelio Peccei e Alexander King. Aurelio Peccei, imprenditore italiano, ha ricoperto cariche di alto livello nelle maggiori imprese dei trasporti (dirigente Fiat e cofondatore di Alitalia), dell’informatica (Olivetti), delle grandi opere (Italconsult) e in ambito militare ha ricoperto la carica di Presidente del Comitato per la cooperazione economica atlantica (succursale NATO).  Alexander King, chimico britannico a capo del programma scientifico dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), membro dell’Agenzia europea per la produttività e “scopritore pentito” del DDT, nell’arco della sua lunga vita ha rivestito importanti ruoli di potere all’interno di ministeri, fondazioni, dipartimenti e università occidentali, compreso il ruolo di consulente NATO. Peccei e King diventarono i pionieri del movimento per lo sviluppo sostenibile: si muovevano all’interno dei centri del potere capitalista anglo-americano ma con uno sguardo rivolto al modello cinese e sovietico, quale futuro metodo di governo da applicare al mondo occidentale. Tra gli altri membri merita ricordare l’aristocratico Bertrand de Jouvenel, precursore del capitalismo verde e dell’ecologismo utilitaristico, e Max Kohnstamm, segretario privato della Regina dei Paesi Bassi, poi segretario della comunità europea e successivamente presidente della commissione Trilaterale, fondata nel 1973 insieme a Kissinger, Brzezinski, Agnelli e l’onnipresente David Rockefeller. Si unirono al Club anche il principe Bernhard dei Paesi Bassi e il principe Filippo di Edinburgo, entrambi favorevoli alla riduzione della popolazione mondiale (P. Pelletier Clima capitalismo verde e catastrofismo Edizioni elèuthera).
Maurice Strong, filantropo petroliere canadese amico di David Rockefeller, aderì nel 1970. Con l’appellativo di “protagonista nella globalizzazione del movimento ambientalista”, insieme al meteorologo Bert Bolin, giocherà un ruolo fondamentale nella questione climatica, oltre a diventare un indiscusso protagonista della narrazione catastrofista climatica. Ha ricoperto posizioni di spicco delle maggiori realtà finto/ambientaliste, dal 1001 Nature Trust al WWF, al FOE (Friends of the Earth). Strong diventa “l’architetto” della governance ambientale dell’ONU: nel 1972 sarà Primo presidente del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), da lui stesso voluto, e poi presiederà la prima conferenza sull’ambiente di Stoccolma (1972), di chiara matrice catastrofista. Nel 1979 a Vienna si tiene, con il contributo dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) e UNEP, la prima conferenza mondiale sul clima e sui pericoli derivanti dai cambiamenti climatici di origine antropica. La successiva conferenza di Villach (1985) amplifica la problematica del riscaldamento globale legato alla CO2. Il rapporto della commissione Brundtland (1987), della quale fanno parte Strong e Bolin, diventerà il megafono dell’elite per diffondere la problematica globale messa a punto a Villach, alla quale si aggiunge il concetto di “sviluppo sostenibile”. A supporto del rapporto Brundtland  viene creato l’IPCC (1988) e Bolin ne diventa presidente. L’IPCC fornirà il fondamentale sostegno alla tesi dell’emergenza climatica causata dalla CO2 antropica che accompagnerà le successive conferenze mondiali sul cambiamento climatico, con Maurice Strong quale protagonista indiscusso. Dal Summit della Terra di Rio de Janeiro (1992), presieduto dallo stesso Strong, prende forma l’ideologia del catastrofismo climatico e il suo impianto mediatico: si fissano le condizioni per coinvolgere i grandi gruppi multinazionali nel gestire la green economy e prende corpo la famosa Agenda 2021 dell’Onu. Dal Summit di Rio in poi si tenterà di convincere le popolazioni che la loro sopravvivenza dipenderà dalle decisioni che politici, filantropi, gruppi finanziari, gruppi bancari e grandi imprenditori prenderanno durante questi incontri. Il club di Roma perseguiva la strategia fabiana che prevedeva di colonizzare i centri di potere istituzionali già esistenti, tra i quali i principali Forum internazionali delle Nazioni unite e l’IPCC, presieduti rispettivamente da Maurice Strong e Bert Bolin. Inoltre contribuiva alla fondazione di nuovi centri elitari come il World Economic Forum (1971), laddove ritroviamo Strong quale membro del consiglio di fondazione.                                   
Il Club di Roma era il principale contenitore di personaggi di spicco del mondo elitario politico economico militare e tecnocratico che aveva a cuore la difesa del loro status dal pericolo della popolazione mondiale che continuava a crescere e sprecava le risorse del pianeta. Rispetto ad altre associazioni, il Club di Roma ha esercitato un forte impatto sull’opinione pubblica, inaugurando l’epoca dell’ambientalismo catastrofista, secondo il quale la specie umana (naturalmente non quella elitaria) sarebbe colpevole di comportamenti aberranti e cancerosi contro il pianeta.                             
L’ideologia anti-umana del club viene supportata scientificamente con la stesura del suo primo Rapporto, pubblicato nel 1972, dal titolo “I limiti della crescita”. Frutto di uno studio condotto da scienziati e statistici del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e finanziato dalla fondazione Volkswagen, il Rapporto aveva lo scopo di definire i pericoli relativi alla moltiplicazione del genere umano e all’impatto della sua attività materiale sul pianeta. (per approfondimenti: P.Pelletier Clima Capitalismo verde e Catastrofismo Edizioni Elèuthera 2021  I.Bifarini Blackout 2022).                    
Il Rapporto del 1972 supporta pienamente lo sviluppo tecnologico, a patto che non si  incoraggi la popolazione ad “avanzare indefinitamente, innalzando il tetto delle possibilità materiali” come è stato fino a quel momento. I progressi delle tecniche antifecondative rivestirebbero un ruolo fondamentale nel restaurare lo stato di equilibrio tra indice di natalità e di mortalità, favorendo il controllo demografico a sfavore della crescita “disordinata”. Inoltre, il documento profetizza la produzione di cibi sintetici capaci di ridurre la dipendenza dalla Terra, così come prefigura la spinta della società verso la produzione di servizi piuttosto che verso la produzione di beni materiali di consumo, così da ridurre l’inquinamento. Poichè l’umanità non dovrebbe continuare a proliferare, si insiste sull’obbiettivo di stabilizzare il livello della popolazione e del capitale industriale per evitare la “crisi finale”. Il rapporto ha inaugurato un moderno sistema di modellizzazione computerizzata per analizzare il legame tra demografia, libero mercato, tecnologia, risorse e inquinamento, rivelatosi poi parziale e fallace, analogamente a quello successivamente adottato dall’IPCC per prevedere futuri catastrofici. Attraverso l’utilizzo di modelli computerizzati, la Terra viene ridotta ad un insieme di variabili, di calcoli e di parametri, diventando così un vero e proprio embrione del mondo-macchina. Il Rapporto del 1972 solleva la problematica della CO2 proveniente dai combustibili fossili che “influenza seriamente il clima” e analizza un insieme di problematicità  interdipendenti (demografiche, strategiche, alimentari e così via), risolvibili, secondo quanto asserito dal rapporto stesso, esclusivamente attraverso una pianificazione globale.                                              
La profezia di una fine imminente che troviamo ne “I limiti della crescita” attraversa tutti i lavori pubblicati successivamente: “nella metodologia del Club, il mito della fine è finalizzato a mobilitare l’opinione pubblica in favore di un progetto di società”(P.Braillard l’impostura del Club di Roma Edizioni Dedalo 1983). L’alternativa al caos e alla catastrofe diventa la pianificazione internazionale e la gestione razionale del pianeta, traendo ispirazione dal modello delle società multinazionali. Si invoca una “solidarietà” tecnocratica mondiale “secondo cui la politica deve essere guidata da princìpi della massima efficienza e asservita ad una razionalità tecnica, sfuggendo all’ideologia e facendo ricorso ai diversi settori della scienza”(IDEM). Il pensiero che anima costantemente il Club di Roma è l’inadeguatezza dei singoli paesi ad affrontare crisi di ampio respiro e la “convinzione che l’ONU è oggi il solo strumento capace di assicurare il cambiamento verso un nuovo ordine mondiale” (IDEM). Nell’ottica degli appartenenti al Club, le Nazioni Unite avrebbero dovuto accentrare potere, per esempio attraverso il controllo delle risorse mondiali e dei sistemi economico, finanziario, sanitario, militare, energetico e “naturalmente” ambientale. Non è un caso se tra i membri del Club ritroviamo gli esponenti di tutti questi settori.

ILPRESENTE                                                                                                                            Il Club di Roma non si è estinto con la morte dei suoi fondatori perché l’ideologia neo-malthusiana, incarnata negli obbiettivi de “I limiti della crescita”, è stata tramandata fino ad oggi. L’ossessione del Club per l’instaurazione di una governance globale capace di affrontare le molteplici emergenze trova la sua piena espressione nella pubblicazione nel 2018 del “Piano di Emergenza Planetaria” in collaborazione con l’Istituto Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico. Il Piano stabilisce in 10 punti le linee guida per un futuro più sostenibile e resiliente. Si tratta dell’esplicita richiesta alle Nazioni Unite e ai governi di dichiarare una emergenza climatica planetaria.                                   
Lo spirito de “I Limiti della crescita riecheggia durante il corso della lettura. Il Rapporto, che non ha mai smesso di rappresentare un faro per la grande industria ambientalista, a cinquant’anni dalla sua nascita assume la veste di libro profetico, i cui scenari catastrofici si stanno drammaticamente materializzando, a meno che non si attui un radicale cambiamento della società e del sistema economico-finanziario. La narrazione catastrofista viene supportata dai continui riferimenti apocalittici dell’IPCC, l’ente che il Club ha contribuito a costruire: dal pericolo della CO2 e dell’aumento della temperatura globale oltre i 2 gradi all’estinzione delle specie animali, il mantra è sempre lo stesso, così come lo sono i colpevoli, ossia la massa umana produttrice di CO2 e del buco dell’ozono, massa umana che deve diventare resiliente alle transizioni volute dall’alto per evitare l’estinzione. Alcuni punti del Piano del 2018 anticipano le linee guide draconiane partorite recentemente dalla Commissione Europea: la proibizione della vendita di motori a combustione interna e la ristrutturazione degli edifici a zero emissioni entro il 2030, l’invito rivolto alle banche principali a sostenere le energie “pulite”, la piena adesione all’agenda 2030, il pieno sostegno all’utilizzo delle tecnologie digitali e il potenziamento dell’intelligenza artificiale per combattere le emissioni antropiche. Il Club di Roma sostiene la trasformazione digitale del Pianeta, poi, in continuità con “I limiti della crescita”, rilancia la necessità di contenere la popolazione demografica incentivando l’accesso ai contraccettivi e ai programmi di pianificazione familiare.                                                                   
Il “Piano di Emergenza Planetaria”, al quale aderiranno successivamente il WWF, il Climate4Nature e tante altre realtà della galassia “ecologista”, verrà inserito all’interno del documento “global risk report 2020” del World Economic Forum. D’altronde l’attuale co-presidente Sandrine Dixson-Decléve del Club è di casa a Davos, così come lo erano i suoi predecessori.    
Nell’agosto 2020, il “Piano di Emergenza Planetaria”viene integrato con la pubblicazione del “Piano di emergenza planetaria 2.0,” che include l’emergenza sanitaria da Covid-19, facendo così convergere la crisi climatica e della biodiversità con la salute umana. La cosiddetta interdipendenza delle emergenze  diventa l’occasione per rilanciare la necessità di ridisegnare i governi, i sistemi economici e finanziari a favore di una leadership globale. La riduzione dell’estrazione dei combustibili fossili, la riduzione delle emissioni di CO2, l’implementazione delle energie “pulite”, l‘implementazione dei fondi non governativi per il clima, l’utilizzo “sostenibile” del suolo e il potenziamento dell’agricoltura rigenerativa e smart sono alcuni dei punti toccati nel documento. Alla sinfonia catastrofista del clima che cambia, delle temperature che si alzano e dei fatidici 1,5 gradi oltre i quali l’IPCC paventa il collasso mondiale, si aggiungono la minaccia del covid e delle future zoonosi che affliggeranno l’umanità in assenza di un piano globale efficace. La recita della zoonosi e del salto di specie persiste anche se il copione puzza di stantio. Rasentando il ridicolo, Club di Roma, WEF, Greta Thunberg, Greenpeace, Ultima Generazione e il resto della eco-cricca insistono sulla tesi secondo la quale il virus avrebbe fatto il salto di specie dagli altri animali all’uomo, anziché direttamente dal biolaboratorio all’uomo. L’impianto menzognero della zoonosi serve a far convergere l’emergenza sanitaria con quella climatica e ad estendere i poteri dell’OMS sulla “salute globale”.                                                                             
Con il progetto “One Health”, sottoscritto a ottobre 2022, l’OMS si è accordata con UNEP, WOAH (Organizzazione mondiale per la salute animale) e FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) per affrontare le minacce alla salute animale, umana e ambientale e fornire direttive internazionali in materia di epidemie zoonotiche. L’OMS utilizza la narrazione dell’emergenza climatica per imporre direttive globali in merito a qualsiasi rischio che abbia a che fare con la salute pubblica. Si tratta di un ulteriore passo verso il totalitarismo sanitario/climatico: il potere di violare i nostri corpi attraverso la somministrazione di farmaci biotecnologici e di negare le nostre libertà fondamentali attraverso l’obbligo dei certificati digitali per potere accedere ai servizi più elementari stanno diventando dei pericoli drammaticamente reali, per buona pace di chi ingenuamente ha creduto che l’emergenza covid fosse un brutto ricordo da archiviare.      
“Il sonno della ragione genera mostri”, e più si persiste nel sonnecchiare più i mostri si moltiplicano. L’OMS, il grande leviatano sanitario agisce nel nome dei suoi finanziatori: Bill Gates, GAVI Alliance, Wellcome Trust e le maggiori case del farmaco e del digitale, inoltre stringe collaborazioni con la fondazione Rockefeller nell’affrontare le prossime pandemie causate dai cambiamenti climatici. L’ibridazione dell’emergenza sanitaria con quella climatica serve ad imporre regole sempre più stringenti nel nome di un fantomatico bene collettivo. La governance tecnocratica che è alla base dell’ONU e le sue appendici mira alla gestione totale della popolazione e alla trasformazione degli individui in una massa entusiasta di diventare schiava del regime tecno-sanitario-digitale; per chi invece non si adegua e prova ad evadere dalla gabbia del ricatto, del controllo e della sorveglianza totale, scattano le misure censorie e la regressione allo stato di pericoloso nemico della salute e dell’ambiente, imputabile del reato di ecocidio. Il nuovo ordine climatico-sanitario globale è allineato nel fare risalire le varie problematiche mondiali, reali o virtuali, al riscaldamento globale e il martellamento mediatico senza tregua fidelizza l’opinione pubblica anche se la narrazione è scadente. 
L’attuale co-presidente del Club di Roma è Sandrine Dixson-Declève, una delle donne più influenti al mondo nel guidare l’economia green. Come i suoi predecessori, nell’arco della sua carriera ha ricoperto posizioni di prestigio all’interno dell’ONU e delle sue agenzie, della Commissione Europea, delle maggiori aziende chimiche petrolifere e automobilistiche, di contesti legati all’istruzione e alla ricerca. In continuità con i vecchi membri del Club, anche l’attuale co-presidente è inserita nei gangli del potere governativo e non governativo per contribuire insieme alla eco-cricca alla piena realizzazione del Green New Deal e della Quarta Rivoluzione Industriale. 
Oligarchi, manager, tecnocrati, magnati del petrolio, delle energie “pulite” e delle armi: sono questi i filantropi che piacciono tanto a Greta Thunberg e a quelli di Ultima generazione and Co. Sono gli eco-filantropi che fanno soldi facendo del bene. Non sono il contadino con i suoi saperi tramandati nel tempo per coltivare la terra senza sfruttarla, o l’ecologista che rifiuta il modello tecnocratico e il consumismo come stile di vita, l’artigiano o il bottegaio dietro l’angolo di casa. Niente di tutto questo. La direzione che deve prendere il mondo con tutto quello che ci sta dentro è decisa da entità che volano talmente in alto da non essere viste da chi sta in basso.                  
Nel maggio 2022, il Club fornisce la “bussola” che indica la direzione da intraprendere per il raggiungimento del Green deal europeo, con la pubblicazione del rapporto “International System Change Compass”, stilato con la collaborazione di SYSTEMIQ e Open Society European Policy Institute. Il documento fornisce una guida per i leaders europei nel ridefinire la leadership, la finanza, la governance, la sanità, la mobilità, la gestione delle risorse ecc…. affinchè si raggiunga la piena elettrificazione, decarbonizzazione, neutralità climatica e l’equità vaccinale per il mondo intero. Il Club di Roma ha conservato un ruolo da protagonista nel ridefinire l’assetto sociale politico ed economico dei popoli: le alleanze con  realtà così influenti come il WEF di Klaus Schwab e l’Open Society di George Soros ci offrono un’idea di quanto è compatto il Potere tecno/filantropico al di sopra di noi. E’ nel maggio 2023 che Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione Europea, interviene alla conferenza Beyond Growth evocando il Club of Rome e compiacendosi di come il Green deal europeo segua “lo spirito” del Rapporto “I limiti della crescita”. In realtà il Club di Roma e l’intero panorama ambientalista sostenitore del Green new deal trasforma lo spirito della Natura in un feticcio. La Natura da salvare diventa un’entità astratta che si scontra con la materialità della sua devastazione insita nello “spirito” del Green new deal. La narrazione che ci viene somministrata quotidianamente in difesa della biodiversità e degli ecosistemi è infantile, banale, semplicistica come le migliori strategie pubblicitarie richiedono: è la costruzione di un mondo incantato che fluttua  in assenza della gravità necessaria per riportarci coi piedi per terra e per guardare con sguardo disincantato la realtà nuda e cruda.

IL FUTURO
Dietro l’apparente buon senso di raggiungere la fine dello sviluppo economico illimitato, dell’inquinamento e dello spreco delle risorse del pianeta si cela il disegno perverso di ridurre la popolazione demografica e i suoi consumi affinché le risorse del pianeta vengano totalmente messe a disposizione della grande trasformazione digitale ed elettrica del mondo ad opera dei grandi inquinatori del pianeta. Come ricordava Aurelio Peccei nel 1981, “un comportamento aberrante della nostra specie la rende gravemente colpevole davanti al tribunale della vita. Si tratta di una proliferazione esponenziale che non si può definire che cancerosa” (Cento pagine per l’avvenire, 1981). In realtà l’umanità non è colpevole di esistere e di procreare perché metterebbe in pericolo il pianeta, ma perché “il modello di vita prodotto dal capitalismo industriale deve essere salvaguardato a vantaggio di una minoranza, poiché qualsiasi tentativo di estendere questo modello all’intera umanità provocherebbe necessariamente il crollo del sistema”(Celso Furtado).                      
L’umano del futuro non possiederà nulla, bensì accederà a dei servizi alle condizioni di credere nelle emergenze perpetue e di aderire alle transizioni infinite, di credere nella bontà dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione coatta dell’esistenza. Il capitalismo diventa 4.0,  rimodellato sull’obbiettivo di rafforzare la governance globale elitaria e tecnocratica che difende la politica globalista e capitalista delle grandi multinazionali e delle start up ad alta tecnologizzazione, mentre la massa sarà gestita attraverso lo strumento delle emergenze calcolate, del razionamento e della sorveglianza. L’umanità ingombrante e caotica che popolava il vecchio mondo con il suo consumismo compulsivo cederà il posto al transumano che abiterà il nuovo mondo disciplinato dalla tecnologia.
Si va concretizzando il sogno dei filantropi Rockefeller, Maurice Strong, Aurelio Peccei e Alexander King di attuare una politica di riduzione della popolazione e di adottare il modello cinese per gestire l’umanità. Sotto l’incantesimo della paura per il clima che cambia e del senso di colpa per esserne la causa, si accettano le imposizioni calate dall’alto senza mettere in discussione eventuali altre finalità che non hanno nulla a che vedere con la salvaguardia della Natura o della riduzione di emissioni di anidride carbonica. Il pericolo della CO2, riproposto in modo ossessivo e in tutti i contesti possibili, ha simbolicamente inquinato i cervelli dei giovani e dei meno giovani, ha interdetto la capacità di riconoscere dove sta il bene e dove sta il male, dove sta la verità e dove alberga la menzogna. La menzogna alberga nella bocca di chi fino a ieri era protagonista nel distruggere la Natura nel nome del capital globalismo ed oggi continua a distruggerla nel nome del capitalismo inclusivo e della Quarta Rivoluzione Industriale. La menzogna alberga nelle bocche di chi promuove la pace nel mondo fomentando la guerra e la sua economia.
Colossi della finanza come Blackrock, JP Morgan, Goldman Sachs e Bank of America investono indifferentemente nel settore militare, farmaceutico e nella transizione eco/digitale. “Fare soldi facendo del bene”, è lo slogan con il quale si irretiscono i neo gruppi ecologisti e li si porta ad una sorta di idolatria verso Bill Gates, Jeff Bezos, Elon Musk, George Soros e tutti gli altri ecotransumanisti che finanziano la causa degli attivisti affinché il nuovo mondo da loro progettato si realizzi nel più breve tempo possibile. I neo-ecologisti diventano complici, spesso a loro insaputa, di un disegno anti umano e contro natura che solo menti rivolte al transumanesimo possono concepire. La cricca degli eco- filantropi di casa alle Nazioni Unite e a Davos, con i suoi lacchè politici, suonano il piffero per chi è disposto a saltare nel neomondo postumano. Trasudano arroganza. Il mal celato disprezzo per la popolazione, che dall’alto del loro status viene percepita ne più ne meno che una massa informe da ridurre all’umiliante operazione algebrica utilizzata da Bill Gates per spiegare il rapporto tra popolazione e CO2, non suscita avversione come sarebbe auspicabile, anzi, convince l’umanità ad odiare se stessa. Gli individui vengono convinti a percepirsi come dei parassiti, dei cancri, degli abusivi del pianeta “progettato per contenere 3 miliardi di persone” (Cingolani). L’individuo impaurito e colpevolizzato accetta passivamente gli ordini che calano dall’alto. Si lascerà inoculare ad oltranza altrimenti muore e fa morire i propri simili, si lascerà “decarbonizzare” altrimenti  muore e fa morire il pianeta. 
L’umanità viene educata ad odiare se stessa. L’umanità che odia se stessa non ha futuro perché si lascerà sostituire da “qualcosa di migliore”: la transumanità.                          
In continuità con l’agenda maltusiana, assistiamo ad una perversa propaganda anti-natalista, quale gesto di responsabilità per non sovraffollare ulteriormente la Terra. L’organizzazione francese “Démografie responsabile”, per esempio, incoraggia l’autolimitazione della natalità per favorire la stabilizzazione della popolazione umana e la sua riduzione a lungo termine, ricorrendo anche alla sterilizzazione chirurgica. Ancora più estrema è la posizione del “Movimento per l’estinzione umana volontaria” (VHEMT), che annovera tra i suoi seguaci quelli favorevoli alla sterilizzazione obbligatoria.       
Per salvare il pianeta bisogna depopolarlo e l’ideologia del progresso diventa il valido alleato al raggiungimento di tale obbiettivo: l’accesso facilitato alla farmacologia anticoncezionale e abortiva, la strenua difesa dell’aborto e i continui tentativi di estenderne i limiti temporali fino a sovrapporli all’infanticidio, il proliferare dell’ideologia gender, la tendenza del potere biomedicale a prendersi in carico la gestione della procreazione e la somministrazione di massa di vaccini, di farmaci e di sieri genici colpevoli di procurare l’infertilità, sono alcuni degli strumenti con i quali si estingue parte dell’umanità fingendo di emanciparla e di salvarla. Anche l’eutanasia diventa un diritto da rivendicare per tutti e per tutte, per il malato, per l’anziano, per il povero, per il disabile, per il giovane depresso e per l’angosciato cronico, senza lasciare indietro nessuno. L’accesso alla morte programmata deve diventare inclusiva per le categorie “inutili” e non funzionali all’ascesa dell’uomo nuovo con l’anima in silicio: il postumano.                                                                                                                          
Gli eco-transumanisti di oggi sono gli eredi dei tecnocrati che nel passato hanno preso il potere un po’ alla volta, inserendosi man mano nei gangli delle istituzioni trasformandole, in modo quasi impercettibile, dall’interno. Oggi si sono realizzate le condizioni ottimali per dare la “zampata” finale, secondo la strategia dei fabiani, e per instaurare un regime tecnoscientifico che trasforma gli esseri viventi e il sistema terrestre nel suo complesso. Il neo regime tecnoscientifico non ammette dissenso: è dolce per chi lo accetta in modo sonnambulesco, diventa spietato per chi prova a contrastarlo. Tutti i protagonisti del catastrofismo climatico sono colpevoli di fronte alla Natura di spendersi per una transizione eco-digitale che di ecologico non ha proprio nulla, sono colpevoli di fronte all’umanità di adoperarsi per l’attuazione di un programma anti-umano che si chiama Quarta Rivoluzione Industriale.                                                                                                                         
I lupi travestiti da agnelli dell’élite fabiana di ieri non sono altro che i transumanisti travestiti da filantropi di oggi.    

Riferimenti:
Davide Rossi, La Fabian Society e la Pandemia, Arianna Editrice. 2021.
Julian Huxley, Ciò che oso pensare, Edizioni GOG 2022.
Francesco Borgonovo, Ecco chi è la paladina degli abortisti. Una razzista amante dell’eugenetica in La Verità , 27 Giugno 2022.
https://www.youtube.com/watch?v=79voFUqcPq4
Catastrofismo climatico. La grande speculazione, Carità-Gandini 2021.
https://it.paperblog.com/wwf-una-storia-poco-nobile-118758/
Philippe Pelletier, Clima capitalismo verde e catastrofismo, Edizioni Elèuthera, 2021.
Ilaria Bifarini, Blackout. La transizione ecologica e la deriva dell’Occidente, 2022.
Philippe Braillard, L’impostura del Club di Roma, Edizioni Dedalo, 1983.


Cristiana Pivetti, Giugno 2023, www.cristianapivetti.org

Pubblicato su L’Urlo della Terra, numero 11, Luglio 2023
www.resistenzealnanomondo.org

Disegni di Cristiana Pivetti

Video del Convegno I figli della macchina

Silvia Guerini
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Renate Klein
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Il regno del mercato totale – Intervista a Dany-Robert Dufour

Il regno del mercato totale
Intervista a Dany-Robert Dufour da La Décroissance

Ritenete che il sesso sia una realtà biologica e che non si possa cambiare il proprio corpo a piacimento? Allora siete sicuramente dei reazionari e rischiate di essere banditi dal campo dei progressisti. Costoro, perfetti utili-idioti del capitale, non hanno capito che la richiesta che il mercato e la tecnologia, chiamate a soddisfare ogni desiderio individuale, si assumano una responsabilità sempre maggiore, fa il gioco di un «capitalismo libidinale», sempre più radicale.

È questo il messaggio del filosofo Dany-Robert Dufour nel suo nuovo libro “Le Phénomene trans” (Il fenomeno trans) – Editore Le Cherche Midi – 2023.

La Décroissance: ciò che lei nel suo libro nomina «il fenomeno trans» per lei non è altro che «una delle ulteriori opzioni nel catalogo liberale». Da vent’anni a questa parte, noi mandiamo alle stampe la rivista “La Décroissance” per ricordare che non può esserci una crescita infinita. L’ideologia trans è frutto della stessa matrice dell’ideologia della crescita: il regno dell’illimitato in tutti i settori?

Dany-Robert Dufour: sì, transessualismo (o transumanesimo) e crescita infinita fanno parte della stessa lotta. Infatti, queste ideologie ignorano il limite. Esse sono vittime della hybris, la dismisura. Eppure, lo sappiamo, di questo rischio eravamo stati avvertiti sin dall’inizio della nostra civilizzazione: i greci dicevano che colui che è vittima della hybris e infrange il limite va incontro alla nemesi, il castigo. Il castigo della crescita infinita sono gli squilibri ambientali che minacciano la vita sulla terra. Quanto ai castighi che si abbattono sull’attivismo trans, possiamo menzionare gli squilibri psichici, giuridici e sociali che scaturiscono dall’affermazione grottesca per cui un uomo può essere una donna (o viceversa).

La D.: Lo psicanalista Jean-Pierre Winter osserva che «tutto funziona come se la fantasia fosse la fonte della legge». Infatti, al di là dei singoli casi individuali, non è la società nel suo complesso che ondeggia nel regno della fantasia?

D.-R. D.: Sì, nel nostro caso, si tratta di una fantasia di onnipotenza. Infatti, gli attivisti trans affermano che si può scegliere il proprio sesso – quando nella realtà è impossibile. Tuttavia, questa scelta è oggi avallata dalla legge. Siamo passati nel giro di qualche anno dall’idea che un individuo potesse esibire dei tratti sociali dell’altro sesso (ciò è sempre esistito in ogni tempo) all’affermazione che esso potesse assumere l’altro sesso. Un grosso sbaglio. Infatti, non è per il semplice fatto che appaio come una persona dell’altro sesso che sono dell’altro sesso. A meno di sostituire l’apparenza all’essere. In questo caso, ci si ritrova nel pieno di una fantasia, una parola di origine greca che condivide la stessa radice di “fantasma”.

La D.: Questa rivista festeggia l’uscita del nostro duecentesimo numero, ma questa festa ha un retrogusto amaro poiché abbiamo l’impressione di assistere ad una disgregazione continua della situazione. Bisogna prendere la situazione per quello che è per non correre, anche noi, il rischio di vivere cullandoci nelle nostre fantasie?

D.-R. D.: Sì, con tutta evidenza assistiamo ad un peggioramento della situazione. È per questo che occorre rimanere vigili. Ne va della nostra integrità intellettuale che consiste proprio a non cadere nel regno della fantasia. Un po’ di latino, questa volta, per dire come «vigile» derivi da «vigilare», «vegliare», da cui la parola «vigilante», la vedetta, incaricata di osservare dall’alto il profilo dell’orizzonte e di fare dei segnali. È il nostro compito: scrutare e analizzare tutto ciò che ci viene incontro – anche se nulla garantisce che saremo ascoltati.

La D.: Allo stesso modo dell’ex Femen Marguerite Stern, richiamando la realtà, ossia al fatto che essere una donna è una realtà biologica, lei è stato invitato soprattutto dai media di destra, e allo stesso tempo messo da parte da quelli di sinistra. Come sfuggire a questa trappola?

D.-R. D.: Le ricordo che per molto tempo non sono stato invitato né dai media di sinistra (che mi consideravano un neo-reazionario) né da quelli di destra (che mi consideravano un rivoluzionario). Non sono solo in questa situazione. Con la stampa del mio ultimo libro “Le Phénomene trans” (Il fenomeno trans) le cose sono un po’ cambiate.

Infatti, la stampa di destra ha visto nel mio saggio un buono strumento per stuzzicare la sinistra. Ho accettato di rispondere agli inviti, ma mi sono imposto di non dissimulare le mie posizioni, in particolare mettendo in evidenza le responsabilità del Mercato nelle derive trans attuali. Il quotidiano Le Figaro ha colto nel segno perché ha pubblicato, nell’edizione di sabato 8 aprile scorso, la lunga intervista che mi ha fatto intitolandola: «La sinistra contro il movimento trans». Del resto, se questo la può rassicurare, il libro ha ricevuto una buona recensione anche nel giornale «L’Humanité».

A dire il vero, ci ritroviamo in una confusione tale che la stampa di sinistra difende, salvo rare eccezioni, un neoliberalismo culturale, ciò a cui si oppone la stampa di destra, che tuttavia difende allo stesso tempo un liberalismo economico. Jean-Claude Michéa ha descritto con precisione questa ripartizione dei compiti. In sintesi, viviamo tempi molto confusi: gli uomini sono donne e la sinistra è di destra… Certo, se la stampa autenticamente critica (come la vostra) fosse più sviluppata, non dovrei guardarmi intorno. Ma siccome questa stampa non ha, per definizione, i mezzi della stampa per così dire “ufficiale”, mi sembrava una buona strategia usufruire della stampa di destra per denunciare il neoliberalismo culturale della sinistra. Non sarebbe così se la sinistra facesse il suo mestiere. In realtà siamo lontani dall’obiettivo. Essa non ha capito che con il neoliberalismo e il regno del Mercato Totale (che giunge fino all’intimità) siamo passati, già da trent’anni, dal vecchio capitalismo patriarcale ad un nuovo capitalismo libidinale. Insomma, la sinistra non ha fatto il mestiere di vedetta di cui accennavo sopra per avvertire le persone assennate riguardo a ciò che stava per arrivare. Peggio ancora: questa sinistra si è fatta rifilare il suo attuale “software woke” dal neoliberismo culturale americano (i GAFAM della Silicon Valley, insieme a Hollywood, alla Disney e a Netflix…) senza nemmeno accorgersene!

La D.: Alcune parole come la «mascolinità tossica» o ancora «l’androcene» sono apparse in questi ultimi anni, additando il maschio come la causa primaria di tutte le crisi. Tuttavia, la funzione del padre, oggi così vituperata, è di separare il bambino dalla madre. Questa colpevolizzazione dell’uomo nella sua virilità, squalificandolo dal ruolo di figura di riferimento per i ragazzi di oggi, non è a sua volta una causa principale del «fenomeno trans» e un imperativo del capitalismo liberale?

D.-R. D.: Esatto. Lacan ha sottolineato, durante le sue giornate di studio sulle psicosi dell’età infantile, negli anni intorno al 1968, che il declino della funzione paterna avrebbe portato all’avvento degli «eterni bambini». L’eterno bambino è la persona bloccata in un’infanzia prolungata. Una creatura senza il senso del limite, abbandonata a se stessa, che in apparenza sembra gioire di un’onnipotenza, la quale, in realtà, la devasta. Una manna dal cielo per il Mercato che promette la soddisfazione delle pulsioni a questi eterni bambini, sempre bisognosi, grazie al consumo di prodotti della società di massa, di fantasticherie su misura offerte dall’industria culturale.

Attualmente, la cultura “woke”, proveniente dagli Stati Uniti, non ha fatto altro che aggravare la situazione. Il “woke” è in effetti quel nuovo eterno bambino che si caratterizza dal fatto di qualificarsi con uno status di vittima del «vecchio uomo bianco occidentale» (chiara raffigurazione del Padre). Uno status dopotutto confortevole poiché consiste in una volontà di onnipotenza con le fattezze di una legittima richiesta di risarcimento senza fine e di soddisfazione di ogni richiesta. «Sono vittima (del Padre), perciò tutto mi è dovuto». In tal modo questi rappresentanti della cultura “woke” si presentano con sembianze contraddittorie: se da un lato predicano la tolleranza compassionevole che si addice allo status di vittima, dall’altro non esitano a «cancellare» violentemente tutto ciò che si oppone alle loro idee; si occupano di politica, ma operano attraverso la modalità vittimistica della minoranza (sessuale, etnica… ) che fa leva sulla propria sofferenza per imporre le visioni morali proprie di tale minoranza; investono sulla cultura, ma lo fanno provocando un separatismo culturale – un Bianco non potrà mai criticare l’opera di un Nero, un attore etero non potrà mai interpretare il ruolo di un omosessuale, una donna non deve leggere il romanzo di un uomo; il passato dovrà essere rivisto e corretto in funzione dei loro valori «morali»…  Il risultato finale sono campagne di virtù che chiedono una revisione completa delle leggi e del linguaggio comune per poter includere i loro infiniti elenchi di «diritti particolari». Queste campagne fanno largo uso sulle reti cosiddette sociali che riuniscono, secondo la dinamica del mimetismo, coloro che esibiscono lo stesso tratto caratteristico: «sono vegano», «sono trans», «sono nero», «sono omosessuale», «sono donna», etc. Il grande sconfitto è l’universalismo (repubblicano) che pose dei valori comuni per i quali valeva la pena battersi come, ad esempio «libertà, uguaglianza, fraternità». E il grande vincitore, è la ghettizzazione democratica, con l’apparizione di gruppi identitari, ognuno dei quali accampato sulla propria pretesa di superiorità morale, in guerra permanente contro gli altri.

La D.: In conclusione, la risposta alla nostra crisi di civiltà si risolve forse semplicemente in questo proverbio: è meglio la privazione piuttosto che il vizio?

D.-R. D.: Sì, con la precisazione che non amo molto il termine «privazione». Mi permetta un esempio per spiegare il motivo. Se io, genitore, impedisco a mio figlio di passare delle ore con dei videogiochi idioti e compulsivi, non è per privarlo di qualcosa, ma, al contrario, affinché sia capace di desiderare, affinché abbia il tempo e gli strumenti per esercitare una volontà propria. Lo stesso vale a livello di civiltà: se è vero che occorre finirla col viziare gli individui attraverso la crescita continua, è per dare loro il tempo e gli strumenti per capire in quale mondo precisamente vogliono vivere.

Tradotto dal francese
Pubblicato su La Décroissance, numero 200, luglio 2023

Pdf dell’intervista in francese: